CONAKRY (GUINEA) – I viaggi suggeriscono parole uniche. Quando dici “Conakry” al gate, ti guardano come se fossi spacciatore di oppio.
Categoria: I nostri articoli
Contattaci con un WhatsApp o un SMS +39 351 972 5555
I Giovani per la Pace si confrontano sui temi assegnati nella prova d'italiano dell'esame di Stato 2014. Iniziamo con il dono, un tema da veri maturandi, perché di cruciale importanza nei nostri tempi.
Con Ibrahima Sory Barry Per coloro i quali non conoscono la storia della Guinea (cartina geografica), val la pena di ricordare che il 28 settembre 2009, giorno che sarà poi soprannominato “lunedì di sangue”, le Forze dell’ordine guineane uccisero più di 150 connazionali e violentarono oltre 40 donne.Almeno 1500 persone furono ferite, molte altre furono vittime di “sparizione” o vennero arrestate. Una serie spaventosa di esecuzioni extragiudiziali, torture e altri maltrattamenti, stupri, schiavitù sessuale e detenzioni arbitrarie furono perpetrati ad opera della gendarmeria (un corpo d’élite delle forze armate della Guinea) e della polizia. Ad oggi, solo otto persone sono state processate per atti che sono stati commessi invece da decine di membri delle Forze dell’ordine. Un massacro questo sepolto nel dimenticatoio della storia. Solo nel 2013, è stata condotta un’inchiesta da parte diSouhyer Belhassen, Presidente onorario della Federazione internazionale delle leghe per i Diritti dell’Uomo (FIDH), per rinforzare la lotta contro la dilagante impunità (tutt’ora presente nel Paese), per garantire lo stato di diritto e favorire il processo di riconciliazione nazionale. Proprio in questi giorni, la FIDH e l’OGDH (l’Organizzazione Guineana a difesa dei diritti dell’uomo e del cittadino) hanno finalmente imposto alle autorità guineane di rendere giustizia alle vittime del massacro entro la fine del 2015. “Oggi la Guinea è impegnata in una corsa contro il tempo: ha l’opportunità, per la prima volta nella sua storia, di rendere giustizia alle vittime dei crimini commessi sul suo territorio negli ultimi anni, a partire dal sanguinoso 28 settembre 2009. Se non vi saranno provvedimenti immediati per chiudere i processi in corso, la Corte Penale Internazionale si approprierà del dossier e giudicherà i presunti responsabili in qualità di organo sovranazionale” – queste le parole della stessa Souhayer Belhassen. “Il nuovo ministro della giustizia – ha detto Angel Gadiry Diallo, rappresentante della OGDH – sembra aver dato una spinta importante per la realizzazione di un sistema giudiziario efficiente; specialmente per la risoluzione di casi sensibili come quelli citati. Attendiamo ora una conferma di questa apertura attraverso la rapida conclusione dei processi”. La strada che la Guinea deve percorrere è quella dell’istituzione di un Consiglio Superiore della Magistratura e della riforma del sistema giudiziario, condizioni essenziali per la nascita di un vero e proprio apparato legislativo: il codice di procedura penale deve essere riesaminato alla luce degli impegni internazionali che la Guinea si trova a dover ottemperare. Forse, dopo quasi tre anni dalla fondazione della “Commissione provvisoria di riconciliazione nazionale”, co-presieduta dal Primo Imam della grande Moschea e dall’Arcivescovo di Conakry, si potranno davvero raccogliere i primi frutti del processo di riconciliazione che consentirà alla Guinea di soddisfare il bisogno di verità e giustizia del suo popolo, ed alleviare il dolore profondo dei tanti cittadini guineani, tuttora vittime di gravi violazioni dei diritti umani. E viene spontaneo pensare alle tante parti della Terra dove i diritti umani sono calpestati e derisi giorno per giorno…E poi diteci se questo non dovrebbe far notizia! Guarda il seguente reportage, “Guinea: cercando giustizia per un massacro”: Leggilo anche su: Vento nuovo
“Università, i rom assediano i wc per lavarsi e radersi: furti e caos”. Questo è ciò che si legge all’apertura della pagina di cronaca di una testata romana che ogni giorno circola gratuitamente in tutte le metro della città e altrove. “Grido di allarme degli studenti di Ingegneria: i bagno sono impraticabili e nelle sedi regna il degrado”. Certo è che alla vista di tale annuncio si direbbe una vera e propria invasione. E la cosa non finisce qui, perché facendo una rapida consultazione dei social network maggiormente frequentati si possono avvistare le parole di studenti vittoriosi e festanti che, all’uscita della notizia, reclamano la paternità dell’avvenuta diffusione dell’episodio. A questo punto però, scorrendo meglio le pagine del web, sollecitati dalla curiosità della vicenda un po’ anomala, si scopre che in realtà l’ipotetico fatto non sia altro che la testimonianza di alcuni ignoti ragazzi che hanno portato altri universitari alla conoscenza della vicenda attraverso una pagina social chiamata Insulted Roma Tre. Il che la dice già lunga sulla serietà della questione: su questa pagina gli studenti si divertono infatti a pubblicare insulti e inveire in modo più o meno scherzoso contro comportamenti fastidiosi di colleghi e situazioni spiacevoli di vita universitaria. Ed è proprio in mezzo a questo clima goliardico che sorge anche la notizia della fantomatica invasione di rom alla facoltà di ingegneria dell’università di Roma tre. Con tanto di foto scattata sul luogo dell’accaduto: l’immagine di un senza tetto che impropriamente utilizza il bagno dell’università per lavarsi e radersi. Comportamento sbagliato, non c’è che dire. Ma anche tanto sbagliato quanto la reazione di chi, arrogantemente, si è appropriato del diritto di farne una battaglia ideologica vera e propria, diffondendo la notizia persino tra le pagine di una testata cittadina. Quando avrebbe tranquillamente potuto spiegarlo alla persona stessa,chiedendogli con grazia di avvicinarsi alla porta di uscita perché quello non era il luogo adatto per lavarsi. E magari, preso da slancio caritatevole e comprensivo avrebbe potuto consigliargli di andare con lui, accompagnandolo quindi verso un qualsiasi luogo più adatto – come per esempio la segreteria dell’istituto – dove forse avrebbero potuto trovargli una soluzione alternativa. Magari il segretario trovatosi in mezzo alla vicenda gli avrebbe volontariamente offerto la possibilità di utilizzare la toilette del personale. O in caso contrario, avrebbe potuto metterlo in contatto con le associazioni presenti sul territorio romano, che tempestivamente avrebbero trovato per lui una reale soluzione, anche di tipo duraturo. Ma questo stranamente non accade mai, perché la cultura nazionalista di cui spesso ci facciamo vanto, altrettanto spesso si dimentica di atteggiamenti di questo tipo. La via più facile sembra sempre quella di rimuovere le situazioni di disagio piuttosto che spendersi per prendersene cura e cercare di cambiarle definitivamente. Ma è davvero questa la risposta più efficace al “degrado”? È vero, non molto distanti da quell’università vi sono terreni dove spesso vivono individui di origini Rom. Tanto vituperati perché a dire di tutti “la loro cultura li spinge alla delinquenza”. Anche se a ben...
Il 28 Maggio, alla presenza delle autorità civili e religiose, a Catania, si sono svolti i funerali delle 17 vittime del naufragio a largo di Lampedusa. Una cerimonia sobria, intensa e accompagnata dalla presenza di chi da quella barca è sopravvissuto. Sì erano presenti parenti, amici, “compagni di speranza” di quella barca, di quel legno, che approda sulla città di Catania il 13 maggio provocando un terremoto delle coscienze. Una preghiera, delle preghiere, delle bare e un rito interreligioso perché degna sepoltura fosse assicurata a tutti. Come detto dall’Imam della Moschea della Misericordia di Catania: “carità di fronte alle tragedie provenienti da oppressioni e guerre: oggi si sta dando dignità a chi non ha potuto averla da vivo”. Le parole dell’Imam Keith Abdelhafid, sono le parole dell’uomo spirituale che guarda oltre e coglie nella tragedia l’essenza dei fatti. Sì, perché forse riusciamo a comprendere quelle parole di Papa Francesco che a Lampedusa ci diceva che “Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere”. Cos’è l’esperienza del piangere se non la reale commozione dell’uomo davanti al dramma umano ? Si potrebbe quasi dire che con la commozione degli uomini e delle donne di oggi l’umanità si è salvata. Come accennato prima, a piangere erano anche i sopravvissuti e questa, al di fuori da uno sguardo banale e approssimativo, è la dimostrazione che qualcosa cambia. Sì, il cuore dell’uomo, anche del nuovo europeo che giunge nelle nostre coste, è un cuore intriso di mistero e bisognoso di conversione, cioè di “volgere lo sguardo verso”. Volgere lo sguardo verso quel passato pieno di sofferenze che diventa “palestra del dolore”, e commuoversi per non rimanere freddi come se ormai il dramma dell’olocausto del mediterraneo sia un fatto scontato:una scia di morte per cui nessuno potrà mai fare nulla. E’ la loro commozione, quella dei nuovi europei, e la commozione dei vecchi europei insieme che dona a noi la possibilità di ribaltare il paradigma di un’assenza di visione. E’ un terremoto delle coscienze che porta alla ricostruzione di un pensiero euro-mediterraneo: Europa terra di tutti, Europa terra dei popoli che soffrono. Non a caso Ghoete, citando lo stesso passaggio ripreso all’inizio della cerimonia di commemorazione dal Sindaco di Catania Enzo Bianco, definisce l’Europa come “Centro meraviglioso di tanti raggi della storia universale”. Sono tanti i raggi che si incastrano in questa nostra storia europea, sono raggi di storia universale di popoli e di singoli che nelle coste, nei luoghi di accoglienza, nelle chiese, nei luoghi di incontro ma anche nelle isole stanno plasmando questo centro che li raccoglie. Ghoete, un europeo del 700, lo definisce un centro meraviglioso, adesso gli europei del XXI secolo hanno il compito di definirlo. Ma questa affermazione non vuole essere una frase ben scritta o un’espressione ridondante e vuota. Un principio di definizione c’è, la storia di questo centro comincia a prender forma. Lo fa in quel Santo incontro – santo perché gradito a Dio – tra le domande dei giovani della sponda Nord del mediterraneo e quelli della...
Felix Asante è un giovane richiedente asilo politico che il giorno del funerale di Stato a Catania per le vittime del tragico sbarco del 13 Maggio in cui hanno perso la vita diciassette persone, ha offerto alla cittadinanza la propria testimonianza. La testimonianza di un ragazzo di appena diciannove anni, che la traversata l’ha fatta, riuscendo a sopravvivere e trovando in Italia un’inaspettata sorpresa: Conoscendo la Comunità di Sant’Egidio infatti si è sentito a casa ed ha deciso di impiegare le sue forze per aiutare chi è più povero e per costruire la pace. Salve Felix, raccontaci un po’ di te Sono nato diciannove anni fa, da mamma ganese e da papà maliano, lei era una commerciante, comprava cose in mali e le vendeva in Ghana. Là ha conosciuto mio padre, hanno avuto una relazione e lei è rimasta incinta. Purtroppo sposarsi non era possibile, perché mia mamma era musulmana e mio padre cristiano, e ci sarebbe stato il matrimonio solo se mia mamma fosse diventata cristiana. La famiglia di mia madre non ha accettato. Come era la tua vita in Africa? Impossibile, era una vita insostenibile a causa di tanti problemi,per questo motivo ho cercato di trovare una vita migliore. In Africa non c’è pace, non la conosciamo nelle famiglie, nella vita, nei cuori, fuori fuori e dentro casa. Quindi, cosa hai fatto? Ho cercato di arrivare in Libia. Ma per arrivare in Libia devi passare dal deserto: lì o sopravvivi o muori. Molti miei amici sono morti, tante, tante persone, io sono fortunato perché sono rimasto vivo. E una volta in Libia? Stare in Libia non era buono, sono stato prigioniero e ho subito tante torture. Sono stato preso a botte, nel mio corpo porto i segni delle torture ed ho deciso di venire in Italia. Poi cosa è successo? In prigione ci facevano lavorare, sono stato lì diversi mesi. Un giorno mi hanno detto di scendere in spiaggia e mi hanno messo su una barca. Non sapevo cosa sarebbe successo, non sapevo che sarei venuto in Italia. Grazie al cielo sono arrivato vivo. Come hai conosciuto la Comunità di Sant’Egidio? A dicembre, durante il Pranzo di Natale, sono entrato a fare parte dei Giovani per la Pace della Comunità di Sant’Egidio. Farne parte ha cambiato la mia vita, è stata la mia svolta, perché quando vivevo in Africa non conoscevo la parola ‘pace’, io stesso non avevo pace. Noi giovani africani veniamo in Europa perchè è una terra di Pace. Oggi in questa giornata di dolore hai raccontato la tua storia, come ti senti ad essere qui? Anche io sono passato attraverso il mare e quello che è successo a queste persone sarebbe potuto succedere anche a me. Dio ci ha salvati. Ho visto la morte con i miei occhi”, nella mia barca abbiamo avuto lo stesso problema. Sono veramente triste oggi. Felix, qual è il tuo sogno? Sono contento di quello che il Governo italiano e gli italiani hanno fatto per me. Lavorerò duro per l’Italia...
L’intervista è stata rilasciata dall’amatissimo attore e pluripremiato presentatore televisivo, al termine della finale di Play Music Stop Violence. D: Un commento su PMSV, sui testi delle canzoni. Che cosa ti è rimasto di questi ragazzi così giovani? R: Una volta sono andato a messa sul prato dove c’era un sacerdote fichissimo che alla fine disse “andate, la messa comincia adesso“. Parafrasando potrei dire che Stop the Violence comincia ora! Qui dentro eravamo tutti ragazzi buoni con i genitori. La violenza sta fuori, è lì che dobbiamo giocarci la coppa: con le parole con i fatti, con la “ chitarra di tutti i giorni”. Oggi è una gara, ma la gara vera è quella tutti i giorni. La coppa dura 365 giorni fatti di civiltà, solidarietà e impegno nel guardare dietro di sé se c’è qualcuno che ha bisogno di una mano. Il nostro Paese si è incattivito, la parola crisi crea l’alibi a tutti per poter tirare fuori il peggio di sé, quando invece la crisi dovrebbe essere il motore per poter tirare fuori il meglio di sé stessi. A me, come essere umano, interessa che tutti loro: musicisti, arrangiatori, Totò direbbe “ fuochisti, macchinisti, uomini di fatica” diano il loro meglio in tutti i 364 giorni che ci separano dalla prossima edizione l’anno prossimo. Va benissimo la solidarietà, ma poi deve continuare! È come il sasso tirato nello stagno che deve fare i cerchi.È come il pranzo di Natale che fa la comunità di Sant’Egidio con i poveri. Quello è un giorno, poi c’è il 26 27 28 ecc. D: Dal mancato superamento del test di ammissione all’Arma dei Carabinieri nel 1984 a Capitano Ancesti nella fiction Don Matteo, una bella rivincita? R: No, più che una rivincita, è un bel regalo che può farti un mestiere molto strano come il mio, in cui un giorno sei carabiniere, un giorno medico, un giorno presenti Affari Tuoi, un giorno la Corrida. È stato un grande regalo e un grande piacere, portare la divisa che fa parte delle nostre istituzioni migliori. D: All’accademia del maestro Proietti raccontavate mai barzellette sui carabinieri? R: No, le barzellette sui carabinieri i più bravi a raccontarle sono loro, che hanno una grande autoironia, io non mi permetterei mai. Il maestro Proietti a scuola qualche volta ce le racconta, non sui carabinieri, ma per spiegarci i tempi comici. Una barzelletta può essere racconta in 1000 modi diversi. Proietti era un grandissimo insegnante. Ogni settimana ci diceva “ a regà, è un mestiere che può lasciare poveri e infelici, io ve lo insegno”. Mio padre era un chirurgo; si è messo a piangere due anni quando gli ho detto che volevo fare l’attore, è stato un dramma per lui. Bisogna essere felici di quello che si ha. Scopri che nella vita oltre al cosa conta anche il come: cosa facciamo? come lo facciamo? Oggi ad esempio tornando a Stop the Violence, è stato fatto tutto con grande leggerezza, ma non nel senso di superficialità, ma nel senso...
Vi proponiamo il video della serata finale di Pmsv 2014 svoltasi all’Auditorium Parco della musica a Roma.
Scrivo questa volta in una forma assai insolita e molto distante dai noti canoni del giornalismo tradizionale, ma spero ugualmente mantra di riflessione e significato.
Manca poco alla finalissima della quarta edizione del concorso musicale Play Music Stop Violence! Quest’anno 24 band si sono iscritte al contest, presentando brani contro la violenza, il razzismo, la guerra,le ingiustizie e promuovendo la cultura della pace, della solidarietà e del rispetto dell’altro. L’idea del concorso nasce dalla convinzione che la musica e i giovani hanno una grande forza che concretamente può cambiare il mondo. Con la straordinaria partecipazione di Flavio Insinna, le 10 band finaliste ci accompagneranno in un percorso musicale che ci farà vivere i temi delle periferie esistenziali dei giorni nostri, parlando al cuore di ognuno di noi…Vi aspettiamo sabato alle 5 all’Auditorium Parco della Musica! Per info e prenotazioni(biglietto gratuito) scrivete a: [email protected] STAY HUNGRY, PLAY MUSIC!
150 giovani delle scuole di Roma alle Fosse Ardeatine per rinnovare il tragico ricordo del ’44.
RedazioneOggi 17 maggio la Comunità di Sant’Egidio ha riunito i giovani delle scuole romane da vari quartieri di Roma, per ricordare l’eccidio delle Fosse Ardeatine e insegnare loro che certe tragedie non si devono ripetere più. i ragazzi hanno attraversato i cunicoli e le cave dove è stato compiuto l’eccidio, osservando attentamente ogni singola roccia di quel buco di orrore che ha caratterizzato la morte di tutte quelle persone innocenti. Una volta raggiunto il cimitero memoriale ognuno di quei ragazzi si è soffermato attentamente nell’osservare le tombe di quella gente e notando con tristezza la presenza di uomini rimasti ignoti. Nonostante non avessero nome, sono rimasti nella loro mente come vittime morte invano e consegnate nelle mani di Dio prematuramente. L’uomo più anziano aveva 75 anni ed era probabilmente il ‘capo famiglia’ dei Di consiglio, una famiglia di ebrei presa e strappata via dalle proprie mogli e dalle proprie case. Il più giovane degli uomini sacrificati aveva 15 anni ed era un falegname, il secondogenito dei Cibei, Duilio, morto insieme a suo fratello Guido Cibei. Molti di loro erano di religione ebraica e le loro tombe erano caratterizzate dalla presenza di piccoli sassolini, come si usa nella tradizione ebrea, mentre sulle altre c’era un fiore. I giovani hanno visitato anche il piccolo museo del luogo ed hanno letto i famosi ‘volantini volanti’ che gli Alleati lanciavano dagli aerei per diffondere le idee della liberazione anziché della guerra. Prima di andare via i giovani hanno letto tutti insieme alcuni dei pochi messaggi che gli uomini avevano lasciato prima di morire con la consapevolezza che quelle sarebbero state le loro ultime parole. Uno di questi messaggi ha colpito particolarmente tutti quanti perché si trattava di una preghiera per la sorte degli ebrei anziché per se stesso. infine i ragazzi si sono incamminati in una marcia silenziosa ripercorrendo all’inverso il tragitto per arrivare all’ingresso dove hanno depositato una corona di fiori da parte dei Giovani per la Pace e della Comunità di Sant’Egidio. Donata la corona i ragazzi sono tornati alla loro vita spensierata insieme ai loro amici della Comunità di Sant’Egidio, ma con qualcosa in più nei loro cuori. Articolo scritto da Agnese, dei Giovani per la Pace di Roma.
Oggi i Giovani per la Pace di Brindisi e di San Vito dei Normanni si sono riuniti nel cortile della scuola Morvillo Falcone per pregare insieme in ricordo di Melissa Bassi, uccisa nell’attentato del 19 Maggio di due anni fa, davanti alla scuola. Ci siamo riuniti per ricordare, per onorare, una ragazza che ha perso la vita senza aver fatto nulla di male. Una ragazza dolcissima, sempre disponibile, buona dentro. Innocente.Dopo ci siamo recati al cimitero di Mesagne per posare dei fiori sulla sua tomba.Bisogna ricordare a quanto può arrivare la cattiveria umana, per porre un freno ad ogni violenza, perché nessuno perda più la vita in maniera così assurda, e noi oggi l’abbiamo fatto. I Giovani per la Pace di Brindisi
Altri articoli
-
Dall’ECO LAB di Pace un carico di aiuti umanitari con materiale scolastico per le bambine e i bambini in Ucraina
14/02/2024 -
Eco Lab di Pace, lo spazio dove l’ecologia e la solidarietà si incontrano e si trasformano in aiuto concreto
14/02/2024 -
L’amicizia che si rivela benedizione: dalla strada al Buon Pastore
26/01/2024 -
I corridoi umanitari: un viaggio con una meta sicura per un’accoglienza umana e rispettosa
02/04/2023