L’Isis è alle porte dell’Italia, o almeno così vogliono far credere i guerriglieri. Ma si sa che questi signori sono bravi a far credere quello che vogliono. Sanno usare i social network, youtube, e la propaganda è forse la loro arma principale. Ma purtroppo non è l’unica. E come sempre chi paga sono i più deboli, coloro che non hanno fatto nulla, colpevoli solo di esistere. Che dolore per i 21 cristiani copti uccisi così barbaramente, morti con il nome di Gesù sulle labbra, privando gli assassini la vittoria più grande, quella di togliere loro la speranza. C’è che dice che a tanta violenza non si può che rispondere con la violenza. La guerra è l’unica soluzione, e chi non la fa è solo perché spaventato. Ma siamo sicuri? Non si tratta di essere pacifisti, basta guardarsi indietro. L’Isis non è nato forse da una guerra, quell’invasione dell’Iraq che ha gettato il medio oriente nel caos? E poi è stato aiutato da un’altra guerra, quella in Siria. Le armi che usano i terroristi sono degli americani, che li hanno armati per combattere una guerra per procura contro Assad (si può leggere il bel libro di Loretta Napoleoni per capire meglio questa storia intricata). Certo bisogna rispondere, ma siamo sicuri che una risposta forte significhi mostrare i muscoli? Andrea Riccardi ci spiega che non è così. Speriamo che venga ascoltato. Magari una soluzione ragionevole potrebbe essere quella proposta da Papa Francesco. Smettiamo di vendere le armi ai paesi in guerra! E voi che ne pensate?
Categoria: Attualità
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Ho mai pensato che avrei potuto iniziare la mia giornata leggendo le notizie dal fronte? Potevo mai immaginarmi di leggere ogni giorno nuovi nomi di soldati caduti del mio Paese? Mi è mai passato per la mente che avrei potuto perdere qualcuno in guerra?
***AGGIORNAMENTO: I Giovani per la Pace questa sera 11.02.2015, a Porto Empedocle hanno rivolto l’ultimo saluto alle 29 vittime, morte per il freddo, deponendo un fiore su ogni bara***. L’ennesima tragedia di Lampedusa è tremenda e non possiamo lasciar cadere nel silenzio, anche del nostro pensiero, una tragedia così immane che tocca gente con cui diventiamo amici durante i servizi della comunità, nuovi europei che hanno avuto la grazia di non morire per il freddo, o nel deserto o in Libia, che ora sono nostri amici. Non ci si può abituare alla morte e non si può fare scorrere una notizia così grave con l’aggiornamento delle notizie dei social network! C’è l’urgenza di fermarsi, pregare, riflettere. Serve una generazione di donne e uomini che ricorda, nel pensiero e nella preghiera questi ragazzi, che capisca che tutto questo non è giusto, che non si abitui alla morte, che si preoccupi di cambiare le decisioni prese dall’alto che provocano questi disastri. Serve un’ alleanza intergenerazionale che accolga chi è straniero, lo porti nell'”albergo” mentre è mezzo morto e lo curi e successivamente lo accolga nella propria famiglia, tra le proprie preoccupazioni, pensando che nel volto di quell’africano che talvolta è arrabbiato per la sua situazione, ci sono tanti che non sono arrivati! La nostra amicizia spiazzante può tramutare quella rabbia giustificata in integrazione, e l’integrazione vera, regala frutti importanti per la nostra società tutta; penso ai Giovani per la Pace di Mineo, nuovi europei arrivati con i viaggi della speranza che pregano per la Pace e che servono chi è più povero. Bisogna fare uno sforzo culturale, informandoci e leggendo i giornali perchè non possiamo dimenticare questi morti di Lampedusa e dobbiamo vivere affinché non accada più, perché non è giusto che la morte ci abbia strappato via un amico potenziale, l’incontro benedetto con lo straniero che a tanti giovani italiani ha cambiato la vita, orientandone i sogni le preghiere, allargando le prospettive della vita da cristiano. Tempo fa con un amico parlavamo dell’olocausto e ci chiedevamo come fosse possibile che così tanta gente avesse fatto spallucce dinnanzi all’abominio di uno sterminio così atroce di sei milioni di ebrei. Oggi la nostra società quanta misericordia ha per questi morti? Quanto ci sembra normale? Quanto poco dura nel nostro sangue l’ebollizione dell’indignazione? Questa società è davvero in grado di scagliare la pietra verso il passato, avendo la coscienza così pulita da essere sicura che non ci ritorni in faccia? Papa Francesco che a Lampedusa aveva fatto il suo primo viaggio apostolico, durante l’udienza generale dell’undici Febbraio, si è detto preoccupato, assicurando la propria preghiera ed invitando nuovamente ad uno spirito di solidarietà nell’accoglienza. La sua preoccupazione deve diventare allora ancora più contagiosa, la preghiera diffusa e la solidarietà verso lo straniero uno stile di vita irrinunciabile che comprenda tutti affinché il suono dolce e accorato delle sue parole, proferite proprio a Lampedusa, tocchi il cuore di ciascuno: “non si ripeta, non si ripeta più per favore”.
I Giovani per la Pace esprimono la loro costernazione per quanto sta avvenendo nel canale di Sicilia. Non si può accettare che centinaia di giovani perdano la loro vita in questo modo orribile. Chiediamo all’Italia e all’Europa di ripristinare l’operazione Mare Nostrum perché nessuno perda più la vita in cerca di pace e di un futuro migliore.
Un’immagine. Una fotografia semplice a fine giornata. E’ una foto di un bambino, in bianco e nero. Sembra essere ferito. Sotto una frase. “Lo dirò a Dio”. Altri blog e giornali riportano la frase per intero: “Dirò cosa mi hanno fatto a Dio, Gli dirò tutto”. Commentando con un amico dicevo che non è facile. Spesso “scorri” tra tante immagini e notizie, brutte, orribili, strazianti. Ma scorri. Continui a passare oltre perché lo scorrere del pollice dal basso verso l’alto elimina dalla visuale una notizia e ne mette un’altra che non si sa qual è ma è pur sempre diversa. Questa volta però, è una frase. Non è un’altra immagine, non è la comunicazione per immagini che mi colpisce. E’ la frase, chi l’ha pronunciata, dove è stata detta questa frase e perché. La frase, e la ripropongo nuovamente è: “Dirò cosa mi hanno fatto a Dio, Gli dirò tutto”. La dice una bambino, secondo blog e agenzie, di 3 o 4 anni – voglio scusarmi in anticipo ma nell’oceano di notizie è difficile ricostruire la verità. La dice in Siria un bambino prima di morire dopo aver subito delle atrocità – e che sia vero o no un bambino che subisce una guerra, subisce un’atrocità. Un bambino, in un paese in guerra, solo, promette di dire a Dio che il Male egli uomini gli ha fatto qualcosa di brutto; che la guerra gli ha fatto qualcosa di ingiusto; che la violenza gli ha tolto tutto, finanche la vita. Quante volte la stessa identica successione di parole, diverse solo per l’autorità (Papà/Mamma/maestro/insegnante/fratello maggiore) a cui ci si rivolge, abbiamo ripetuto tutti noi. Quante volte ci ha consolati l’idea non di un vendicatore ma di un uomo o una donna saggi, che vedono dall’alto, in nostro soccorso e capaci non di offrirci la vittoria ma di ristabilire la giustizia ? Quante volte ci ha consolati questa idea, possibilità, soluzione ? I bambini ovunque vi è la guerra non hanno questa possibilità di speranza in un adulto, in un’autorità in grado d ristabilire la giustizia. L’Onu oggi denuncia gli orrori subiti dai bambini per mano dell’Is. Non scriverò su questo, basterà leggere quanto si dice per restare sgomenti. Vorrei trasmettere l’inquietudine che provo davanti a questa affermazione: “dirò tutto a Dio”. Forse non sarà vera questa notizia. Non c’è certezza sulla veridicità della notizia, risalente ad agosto dello scorso anno, ma è un pensiero sicuramente passato per la mente di un qualsiasi bambino in Siria, fosse anche per un secondo. Posto questo allora io spero. Io spero che quel bambino; quei bambini; quelle preghiere di quanti tornano a sentirsi bambini davanti all’orrore di un male così abominevole possano vedere o raggiungere Dio e dirgli cosa è stato fatto loro. E’ una preghiera, è una richiesta, è una supplica davanti ad un male che sfinisce. “Lo dirò a Dio”, questo basta a non rendere preghiera e speranza inutili. A qualcuno ancora in un mondo silente e sordo davanti alla guerra, è possibile...
Enza Basile, anziana testimone della Seconda Guerra Mondiale, incontra i giovani di Fiumicino
Nel caos della vita moderna non c’è più tempo per fermarsi, per osservare, per pensare. Veniamo inghiottiti dalla frenesia della citta e diventiamo complici involontari di un’ indifferenza collettiva. In quest’amalgama procediamo spediti senza alzare la testa, senza fare caso ai dettagli delle cose che ci circondano, dimentichiamo in fretta le periferie e i visi che le abitano. Cè chi, in tutto questo, rimane perennemente invisibile, nonostante sia sotto gli occhi di tutti: persone che vivono ai margini delle nostre città, segregate al di fuori dei confini della nostra società. Persone dimenticate ormai da tutti, che gridano per essere ascoltate ma non hanno voce. Persone che hanno alle spalle mille e più storie, di sofferenza, di dolore, di rassegnazione, ma anche di gioia, di amori, di risate. Persone di ogni provenienza, cittadini del mondo senza diritti. A Messina, ogni venerdì, un gruppo di giovani più o meno numeroso si riunisce, accomunato dalla stessa voglia di conoscere queste persone e le loro storie, e gira la città, passando per i posti apparentemente dimenticati da tutti. Portano un panino e delle bevande, un gesto simbolico, un pensiero che si traduce in qualcosa di concreto, che significa: “Io, ogni venerdì, sarò qui ad ascoltarti”. I ragazzi e le ragazze dei Giovani per la Pace di Messina hanno preso una decisione, quella di rompere la monotonia e l’indifferenza della vita della loro città e trasformarla in un gesto concreto di supporto e di amicizia. Hanno ascoltato la storia di Leon, di Achille, di Salvatore e di tanti altri, hanno riso insieme a loro ma si sono anche fermati a riflettere, perchè hanno capito che la condizione di queste persone è ingiusta, e che c’è ancora molto da fare per portare all’attenzione di tutti un problema che, di questi tempi, è stato completamente dimenticato. Articolo scritto da Giorgio Cannetti
di Simone Dei Pieri e Michele Caruso KIEV (UCRAINA) – Durante l’ultimo anno si è delineato il profilo politico dell’Ucraina, martoriata dalle rivolte e divisa tra da una pericolosa diatriba tra l’Unione Europea e la Russia. Le informazioni, le immagini e le notizie che arrivano da qui -Kiev in testa- sono ogni settimana più tetre.
Conosco poco il Talmud e ancor meno l’ebraismo; mi professo un ignorante cosciente di ciò che ignora e della bellezza contenuta nei libri sacri delle grandi religioni della storia. Negli anni ho sempre avuto davanti agli occhi, per i motivi più svariati, alcuni versi ma se c’è qualcosa che mi ha colpito più di tutti è sempre stato leggere “chi salva un uomo, salva l’umanità intera”. Alla vigilia del 70′ anniversario dall’apertura dei cancelli di Auschwitz, credo che questa frase porti con sé tutto ciò che pagine e pagine non potrebbero spiegare mai. Il 27 Gennaio risveglia dal torpore un po’ tutti. Riporta alla mente immagini che sin da piccoli abbiamo imparato a non dimenticare, con la consapevolezza di un bambino che sa quanto sia sbagliato far del male a qualcun altro. Oggi, a 70 anni da quella data, io sono un po’ diverso dal bambino che ero e in cuor mio spero di essere un po’ migliore, ma mi sento profondamente bugiardo. E a dire il vero, bugiardi siamo un po’ tutti. Non fraintendetemi, non voglio essere polemico. O meglio, voglio esserlo ma come lo è un bambino, chiedendo il ‘perché?’ di tutte le cose fin quando non è sazio di risposte, fino al nuovo slancio di domande verso ciò che lo circonda. Perché siamo tutti un po’ bugiardi? Perché ogni anno ci troviamo a ripetere che “ricordiamo per far sì che tutto ciò non accada mai più”, non vi siano uomini, donne e bambini che debbano temere per la propria vita, nascondendosi per paura di ciò che sono, si tratti di un credo religioso, del colore della pelle o di un accento diverso. Siamo bugiardi perché sono cambiati i luoghi, le persone, i bersagli e gli aguzzini, ma trasuda ancora violenza dalle mani di questo mondo ‘nuovo e civilizzato’ che stiamo contribuendo a costruire. 27 Gennaio. Villaggi rasi al suolo, donne e bambini sgozzati, omicidi di massa. Trascorse circa tre settimane dalle elezioni in Nigeria, i fondamentalisti islamici Boko Haram hanno “intensificato l’offensiva contro città e villaggi nel nord-est, abitati a grandissima maggioranza da musulmani.” Attualmente nessun civile può entrare o uscire dalla metropoli e le organizzazioni umanitarie lanciano un grido, temendo per la vita di centinaia di migliaia di civili. Uomini, donne e bambini. 27 Gennaio. Riesplode la violenza in Ucraina. Gli scontri si sono riaperti lungo tutto il fronte, mentre Donetsk, le città e i villaggi circostanti vengono martellati dai mortai. Ogni giorno si apre con le notizie di nuove vittime, civili e non. Una nuova ondata di violenza che è culminata negli attacchi contro i mezzi pubblici, non ultimo quello di qualche giorno fa che ha fatto registrare nove morti ad una fermata di filobus. Uomini, donne e bambini. 27 Gennaio. Non si è ancora chiusa la ‘questione CharlieHebdo’ che ha svegliato tutto il mondo, puntando i riflettori su Parigi e fermando il calendario al 7 Gennaio. I giornali titolano “Il terrore insaguina Parigi e la Francia”, “Assalto alla redazione del giornale satirico, 12...
Il 16 ottobre 1943 gli ebrei romani furono arrestati dai nazisti e deportati ad Auschwitz: piu di mille, uomini, donne, bambini e anziani, persero la vita nel famigerato campo della morte. Fino alla liberazione della città, il 4 giugno 1944, altre centinaia di ebrei furono arrestati e deportati. Coloro che sfuggirono alla morte vissero i mesi successivi nascondendosi e fuggendo dai nazisti e dagli italiani collaborazionisti di Saló. Questo libro racconta le loro storie attraverso le testimonianze dirette di chi ha vissuto quel tragico periodo, aperto dalle leggi razziste del 1938, che hanno preparato la strada alle deportazioni. I protagonisti delle storie raccontate sono, all’epoca, ragazzi, poco più che adolescenti. Sono scampati a volte per caso, a volte perché la solidarietà e l’amicizia dei loro concittadini – spesso dei religiosi – sono state più forti della paura delle rappresaglie. I loro ricordi, che pacatamente intrecciano insieme eventi drammatici e piccole vicende della vita quotidiana, testimonianze dai campi di sterminio e vivaci ritratti del popolo del Portico d’Ottavia, sono consegnati ai giovani di oggi perché non si perda la memoria del più grave crimine contro l’umanità e perché la tragedia non si ripeta.
Le strade dei poveri sono segnate da storie, storie nascoste, umiliate, celate dall’indifferenza, storie umili storie appassionanti, storie sorprendenti, storie di incontri che altrimenti si sarebbero perse nell’oblio. L’oblio, la mancanza di memoria segna le strade dei poveri, degli ultimi, degli emarginati, dei periferici. La memoria è un valore che disegna una società più umana, ma è anche un esercizio faticoso, un esercizio che i giovani per la pace fanno e che regalano generosamente agli altri con la testimonianza degli incontri nelle periferie. In fondo oggi anche i giovani sono periferici, schiacciati da un mondo che si mostra potente e crede di poter far subire la propria potenza ai giovani, invecchiandoci nell’abitudine al compromesso, ingannandoci con il falso idolo “dell’uomo solo di successo”, di una competitività che chiede di pensare solo a sè stessi. La memoria, il ricordare è uno strumento ancora più potente di un mondo che abbandona i suoi poveri: abbiamo appena ricordato anche su questo blog Floribert, giovane per la Pace, innamorato del Vangelo, che ha trovato la propria libertà dalla mentalità egoista della Repubblica democratica del Congo dedicandosi agli altri, fino alla fine, con coraggio, generosità, sentimenti che coltivati possono fare rinascere le nostre periferie. Ma la memoria è anche quella che esercitiamo quando ricordiamo i nomi dei bambini, i nomi dei nuovi europei (a volte davvero complicati da pronunciare bene). La memoria si fa preghiera quando ricordiamo i nomi dei nostri amici defunti, è quella che si manifesta nella sua potenza durante la preghiera per la pace, quando decliniamo in maniera precisa accompagnati dal canto del Kyrie eleison, i nomi dei paesi in guerra, in un mondo in cui hanno fatto entrare nelle abitudini l’espressione “guerre dimenticate”. Non ci si può abituare alla guerra, che Andrea Riccardi definisce “madre di tutte le povertà”; aver dimenticato le guerre dovrebbe far ricordare un altro sentimento: la vergogna. “Guerre dimenticate” è un atto d’accusa ad un mondo che si gira dall’altro lato, ad un mondo che preso dai suoi piccoli problemi ha dimenticato chi soffre e muore “altrove”. In un mondo dimentico, questo “altrove” si espande e si contrae a seconda dell’indifferenza e si dimenticano i poveri sulla strada che rischiano la vita per il freddo, i bambini che finiscono nelle mani dei violenti, i quartieri a rischio, gli anziani, simbolo della memoria sociale, che vengono abbandonati negli istituti senza che questo desti sgomento o scandalo, i migranti che muoiono a migliaia nel mare dove andiamo a villeggiare. La mancanza di memoria produce così un olocausto silenzioso, con numeri che atterriscono ma che non appassionano perché si vive in maniera auto riferita. Siamo nella settimana della giornata della memoria, e ricordare lo sterminio scientifico di milioni tra ebrei, Rom, omosessuali, disabili e dissidenti politici è necessario perché ricordando l’olocausto ci ricordiamo che anche l’uomo più evoluto scientificamente può essere scientificamente disumano, mentre l’uomo spirituale che si ferma, che riflette che si commuove, che depone un fiore, che prega e che non dimentica, è chiamato a lavorare affinché...
Quanto scalpore ha generato “il pugno” di Papa Francesco. Sembra quasi che la nostra società, d’un tratto, sia diventata repellente alla violenza (verbale). Sembra quasi che l’ex cardinale di Buenos Aires si sia trasformato in un violento teppista che aspetta solo di fare a pugni con tutti. Be’, ma perché scandalizzarci quando è già così ? Prima che su chi vi scrive si scagli l’ira dei difensori di Papa Francesco tengo a precisare una cosa: Bergoglio non è un teppista violento ma sta facendo a pugni con tutti. In fondo le polemiche di un certo mondo politicamente (s)corretto sono la cartina al tornasole di un finto ripudio della violenza. L’offesa, a cui quel pugno risponde, è già censurata per un cristiano – Francesco ha detto molto sulla violenza verbale. Il pugno del Papa non è pugno di vendetta dal momento in cui già l’offesa, da cui scaturisce la reazione, è censurata. Non si discute nemmeno la giustificazione della violenza poiché già se il primo termine, l’offesa dell’insulto – meno grave del pugno – è censurata, quanto è più censurata e proibita la reazione del pugno, fisica, più grave dell’insulto verbale ? Tuttavia, un finto perbenismo si scandalizza per il gusto della polemica. La polemica è un gusto, cattivo, di chi, non sapendo più che dire e come apparire, si appiglia a questioni di lana caprina. Non è un nascondimento. Non è un tentativo di ovviare una questione per non affrontarla. E’ un problema di non-conoscenza. Non si conosce, non si sa, non si è in grado di leggere. Ma leggere cosa ? Il pugno di Papa Francesco Francesco è quella malsana rabbia che nasce dallo stomaco, dalla pancia. E’ quella cattiveria che sale e che “offende” l’altro. E’ quell’istintività perversione di cui tutti facciamo esperienza. E’ quell’atteggiamento che il pastore di anime che Bergoglio è cerca di curare. Francesco parla alla gente e la capisce ma non la compatisce nei suoi “istinti”. Anzi, parla a questi istinti: è inutile riportare le parole spese dal Pontefice dall’inizio del suo pontificato su atteggiamenti concreti che separano dagli altri. Allora il punto qual è ? Semplice: scandalizzarsi della violenza che è in me e della violenza che è sugli altri. Di “pugni” fisici si parla poco, ci si indigna poco (quanti pugni abbiamo dato a Greta e Vanessa con la questione volgare dei soldi spesi per salvarle ?). Nel mondo la gente fa a pugni e non interessa e non interessano le ragioni per cui lo si fa. Si preferisce la cronaca del pugno e non la comprensione delle ragioni che spingono al conflitto (locale-personale, globale-comunitario). Il Papa ha già abbondantemente risposto all’inaccettabilità della violenza. Appigliarsi alla sua descrizione è sviare una questione essenziale: qual è la soglia di rispetto per l’intimo dell’altro ? Questa era la domanda vera. Resta un tema che verrà affrontato. La questione da affrontare è una: il Papa è diventato tutto d’un tratto violento o il nostro ascolto è scarso ? Avevamo un’occasione per affrontare una questione...
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