A un passo da San Valentino consigliamo un libro che racconta di una grande storia d’amore. Un libro profondo, emozionante, spirituale, edificante: questo libro fa riflettere sulla vita, sulla fede e sull’amore. Ed è un libro difficile da dimenticare. Francis Sable, secondogenito di un’aristocratica famiglia inglese, è giovane, ricco, brillante e poeta di talento. Perché allora non è felice? Perché la sua vita è percorsa da un’insoddisfazione che i balli, i divertimenti e le vacanze all’estero non riescono a placare? In questo romanzo di formazione e conversione Ethel Mannin sviluppa una riflessione toccante e profonda sull’amicizia e sull’ambizione, sulle relazioni tra gli uomini e sul rapporto con Dio. Sullo sfondo l’Europa brillante e fragile tra le due guerre mondiali. Al centro, il dramma di una figura indimenticabile. La storia di un grande e lento processo di innamoramento verso Dio e verso il prossimo.
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Il 7 Febbraio la Comunità di Sant’Egidio compie 47 anni! E’ l’ anniversario di un sogno da ragazzi diventato vita per gran parte del mondo. E questa festa oggi la sentiamo tutti un pò nostra perché ci siamo fatti prendere da questo desiderio di cambiare che é arrivato lontano e ci ha raggiunti. 47 anni fa Andrea Riccardi si é guardato intorno e ha capito che la forza più grande veniva dalla parte degli ultimi, grazie a quella intuizione oggi é anche e soprattutto la festa dei poveri, di quelli che prima ancora di essere poveri sono i nostri amici. 47 anni di pace, di immagini di un mondo diverso, più giusto, 47 anni di parole che diventano vere, di periferie che tornano al centro, di ultimi che sono uguali ai primi, 47 anni di amore in circolo. Dal ’68 ad oggi la storia di un ragazzo e un piccolo gruppo di amici per le strade di Roma é arrivata sui cigli di molte strade, nei domani di tanti bambini, nei giorni di molti anziani, nelle speranze di interi paesi, dentro di noi, a mostrarci una prospettiva privilegiata da cui guardare il mondo nostro. In 47 anni sono state fatte grandi cose, ma l’ immagine del nostro sogno non é ancora completa, non ha ancora assunto i contorni che vorremmo avessero gli angoli di ogni paese, di ogni piccola e grande vita. Tanti auguri per oggi e per tutti i domani in cui sceglieremo di essere parte di questa gioia, di questa famiglia larga quanto il mondo! Articolo scritto da Francesca Sepe
Un’immagine. Una fotografia semplice a fine giornata. E’ una foto di un bambino, in bianco e nero. Sembra essere ferito. Sotto una frase. “Lo dirò a Dio”. Altri blog e giornali riportano la frase per intero: “Dirò cosa mi hanno fatto a Dio, Gli dirò tutto”. Commentando con un amico dicevo che non è facile. Spesso “scorri” tra tante immagini e notizie, brutte, orribili, strazianti. Ma scorri. Continui a passare oltre perché lo scorrere del pollice dal basso verso l’alto elimina dalla visuale una notizia e ne mette un’altra che non si sa qual è ma è pur sempre diversa. Questa volta però, è una frase. Non è un’altra immagine, non è la comunicazione per immagini che mi colpisce. E’ la frase, chi l’ha pronunciata, dove è stata detta questa frase e perché. La frase, e la ripropongo nuovamente è: “Dirò cosa mi hanno fatto a Dio, Gli dirò tutto”. La dice una bambino, secondo blog e agenzie, di 3 o 4 anni – voglio scusarmi in anticipo ma nell’oceano di notizie è difficile ricostruire la verità. La dice in Siria un bambino prima di morire dopo aver subito delle atrocità – e che sia vero o no un bambino che subisce una guerra, subisce un’atrocità. Un bambino, in un paese in guerra, solo, promette di dire a Dio che il Male egli uomini gli ha fatto qualcosa di brutto; che la guerra gli ha fatto qualcosa di ingiusto; che la violenza gli ha tolto tutto, finanche la vita. Quante volte la stessa identica successione di parole, diverse solo per l’autorità (Papà/Mamma/maestro/insegnante/fratello maggiore) a cui ci si rivolge, abbiamo ripetuto tutti noi. Quante volte ci ha consolati l’idea non di un vendicatore ma di un uomo o una donna saggi, che vedono dall’alto, in nostro soccorso e capaci non di offrirci la vittoria ma di ristabilire la giustizia ? Quante volte ci ha consolati questa idea, possibilità, soluzione ? I bambini ovunque vi è la guerra non hanno questa possibilità di speranza in un adulto, in un’autorità in grado d ristabilire la giustizia. L’Onu oggi denuncia gli orrori subiti dai bambini per mano dell’Is. Non scriverò su questo, basterà leggere quanto si dice per restare sgomenti. Vorrei trasmettere l’inquietudine che provo davanti a questa affermazione: “dirò tutto a Dio”. Forse non sarà vera questa notizia. Non c’è certezza sulla veridicità della notizia, risalente ad agosto dello scorso anno, ma è un pensiero sicuramente passato per la mente di un qualsiasi bambino in Siria, fosse anche per un secondo. Posto questo allora io spero. Io spero che quel bambino; quei bambini; quelle preghiere di quanti tornano a sentirsi bambini davanti all’orrore di un male così abominevole possano vedere o raggiungere Dio e dirgli cosa è stato fatto loro. E’ una preghiera, è una richiesta, è una supplica davanti ad un male che sfinisce. “Lo dirò a Dio”, questo basta a non rendere preghiera e speranza inutili. A qualcuno ancora in un mondo silente e sordo davanti alla guerra, è possibile...
Il 16 ottobre 1943 gli ebrei romani furono arrestati dai nazisti e deportati ad Auschwitz: piu di mille, uomini, donne, bambini e anziani, persero la vita nel famigerato campo della morte. Fino alla liberazione della città, il 4 giugno 1944, altre centinaia di ebrei furono arrestati e deportati. Coloro che sfuggirono alla morte vissero i mesi successivi nascondendosi e fuggendo dai nazisti e dagli italiani collaborazionisti di Saló. Questo libro racconta le loro storie attraverso le testimonianze dirette di chi ha vissuto quel tragico periodo, aperto dalle leggi razziste del 1938, che hanno preparato la strada alle deportazioni. I protagonisti delle storie raccontate sono, all’epoca, ragazzi, poco più che adolescenti. Sono scampati a volte per caso, a volte perché la solidarietà e l’amicizia dei loro concittadini – spesso dei religiosi – sono state più forti della paura delle rappresaglie. I loro ricordi, che pacatamente intrecciano insieme eventi drammatici e piccole vicende della vita quotidiana, testimonianze dai campi di sterminio e vivaci ritratti del popolo del Portico d’Ottavia, sono consegnati ai giovani di oggi perché non si perda la memoria del più grave crimine contro l’umanità e perché la tragedia non si ripeta.
Quanto scalpore ha generato “il pugno” di Papa Francesco. Sembra quasi che la nostra società, d’un tratto, sia diventata repellente alla violenza (verbale). Sembra quasi che l’ex cardinale di Buenos Aires si sia trasformato in un violento teppista che aspetta solo di fare a pugni con tutti. Be’, ma perché scandalizzarci quando è già così ? Prima che su chi vi scrive si scagli l’ira dei difensori di Papa Francesco tengo a precisare una cosa: Bergoglio non è un teppista violento ma sta facendo a pugni con tutti. In fondo le polemiche di un certo mondo politicamente (s)corretto sono la cartina al tornasole di un finto ripudio della violenza. L’offesa, a cui quel pugno risponde, è già censurata per un cristiano – Francesco ha detto molto sulla violenza verbale. Il pugno del Papa non è pugno di vendetta dal momento in cui già l’offesa, da cui scaturisce la reazione, è censurata. Non si discute nemmeno la giustificazione della violenza poiché già se il primo termine, l’offesa dell’insulto – meno grave del pugno – è censurata, quanto è più censurata e proibita la reazione del pugno, fisica, più grave dell’insulto verbale ? Tuttavia, un finto perbenismo si scandalizza per il gusto della polemica. La polemica è un gusto, cattivo, di chi, non sapendo più che dire e come apparire, si appiglia a questioni di lana caprina. Non è un nascondimento. Non è un tentativo di ovviare una questione per non affrontarla. E’ un problema di non-conoscenza. Non si conosce, non si sa, non si è in grado di leggere. Ma leggere cosa ? Il pugno di Papa Francesco Francesco è quella malsana rabbia che nasce dallo stomaco, dalla pancia. E’ quella cattiveria che sale e che “offende” l’altro. E’ quell’istintività perversione di cui tutti facciamo esperienza. E’ quell’atteggiamento che il pastore di anime che Bergoglio è cerca di curare. Francesco parla alla gente e la capisce ma non la compatisce nei suoi “istinti”. Anzi, parla a questi istinti: è inutile riportare le parole spese dal Pontefice dall’inizio del suo pontificato su atteggiamenti concreti che separano dagli altri. Allora il punto qual è ? Semplice: scandalizzarsi della violenza che è in me e della violenza che è sugli altri. Di “pugni” fisici si parla poco, ci si indigna poco (quanti pugni abbiamo dato a Greta e Vanessa con la questione volgare dei soldi spesi per salvarle ?). Nel mondo la gente fa a pugni e non interessa e non interessano le ragioni per cui lo si fa. Si preferisce la cronaca del pugno e non la comprensione delle ragioni che spingono al conflitto (locale-personale, globale-comunitario). Il Papa ha già abbondantemente risposto all’inaccettabilità della violenza. Appigliarsi alla sua descrizione è sviare una questione essenziale: qual è la soglia di rispetto per l’intimo dell’altro ? Questa era la domanda vera. Resta un tema che verrà affrontato. La questione da affrontare è una: il Papa è diventato tutto d’un tratto violento o il nostro ascolto è scarso ? Avevamo un’occasione per affrontare una questione...
Dopo l’attentato di Parigi, la Comunità di Sant’Egidio e la Comunità Islamica di Sicilia hanno invitato la cittadinanza a riflettere sul dialogo tra Cristiani e Musulmani nella costruzione della società del convivere, a partire dalla vita comune nella città di Catania. Sono state organizzate infatti una serie di iniziative che hanno avuto luogo a partire da Venerdì 16 a Sabato 18 Gennaio 2015, che hanno compreso momenti di preghiera per la pace, una preghiera interreligiosa e, nella Domenica 18 Gennaio 2015, una giornata di giochi per i bambini, all’interno della suggestiva cornice del monastero dei Benedettini. La “tre giorni”, nata con l’intento di porre un argine ad un clima d’odio che sarebbe potuto nascere dalla lettura miope della tragica cronaca degli ultimi giorni, ha avuto il merito di riempire gli occhi dei cittadini di Catania dell’immagine emozionante della bellezza di una città dell’integrazione in cui cristiani e musulmani pregano, vivono e giocano insieme. Ci siamo riscoperti amanti appassionati della pace, costruttori pazienti di una città del convivere, necessaria per superare la difficoltà dei nostri tempi. -L’attentato di Parigi- come suggerisce Emiliano Abramo della Comunità di Sant’Egidio,- infatti è un campanello d’allarme che dimostra che le periferie sono vuote di proposte. Chi arriva con un’idea forte le conquista. Se a Parigi attecchisce il fondamentalismo, nelle periferie siciliane i ragazzi trovano la mafia. Ma non per questo pensiamo che tutti i cristiani sono mafiosi. Insieme, tutte le comunità religiose, devono contribuire a una città basata sulla convivenza pacifica-. E’ inaccettabile che ci si possa perdere in semplificazioni infauste sui musulmani, creando assiomi che fanno molto male a persone presenti in maniera assolutamente positiva nella vita della città di Catania e in particolare nel sostegno ai più poveri ed ai migranti durante la stagione degli sbarchi. I bambini musulmani sono nati in Italia, sono le seconde generazioni, si sentono italiani, frequentano le scuole italiane. Bisogna proteggerli da una demagogia indecente pronta ad additarli come “piccoli terroristi” o “figli di terroristi” creando una cultura d’insieme. La moschea è un luogo aperto a tutti dove si costruisce la pace e si aiutano i poveri, stranieri ed italiani, cristiani e musulmani. Il mondo in cui viviamo ci è solo dato in prestito ed abbiamo il dovere di consegnarlo ai più piccoli, migliore di come ce lo hanno lasciato, l’integrazione, anche attraverso il linguaggio universale del gioco, porta i più piccoli, di tutte le religioni, ad assimilare una cultura della solidarietà. In una società sempre più colorata stare insieme diventa cultura, e la cultura è un argine importante alla violenza. Allora perché non condividere insieme questa tensione per la pace ? Perchè non lanciare una proposta a tutta la dimensione cittadina per dare un’anima a quest’Europa delle semplificazioni e della fazioni. Perché non dimostrare che non solo è possibile ma che lo stiamo già facendo! La “tre giorni” ha visto il suo esordio Venerdì 16 Gennaio alle ore 14:00, nella Moschea della misericordia, dove centinaia di persone hanno pregato per la pace, orientati verso La Mecca,...
Ci sono volte in cui la follia inganna la fantasia. Te la ruba e la distrugge.E in una guerra c’é follia sì, nella sua massima espressione. La guerra é folle.Ma stasera vorrei trovare una parola che non ho, che va oltre la follia e che mi spieghi questi giorni in Nigeria. Non é follia se prendi due occhi di bambina ci guardi dentro e non ti fermano.Non ti disarmano l’ anima. Non ti fanno pensare un’ altra volta. Ma ne guardi un’ altra e un’ altra ancora. E non ti fermi. Gli frughi nelle tasche e gli rapini la vita. E riduci in macerie quell’innocenza piena di sogni ma da sempre senza speranze. Gli metti nelle tasche e sotto i vestiti il contrario di una nascita. E li rendi alba senza fine.Non può essere follia. É di certo qualcosa di più. É una storia che la ragione non si spiega. É una scena che il pensiero non si immagina. La Nigeria é lontana da qui. Dall’ America. Da una gran parte del mondo. Ma ad avere addosso le bombe erano tre bambine. E i bambini sono un’ altra cosa. Devono essere un’ altra cosa.I bambini sono quasi il contrario della guerra. Di una violenza inarrestabile. Hanno gambe fragili ma futuri immensi.Li strappano via come fiori di campo. E li fermano lì alle luci dell’ alba. La Nigeria è lontana da qui, ma certe fini pesano sul cuore di molti mondi.É un buio che pesa sul cielo di tutti.Per questo una parola probabilmente non troverò. E neanche una spiegazione per chi pensa che le bambine ci sono andate piene di coscienza. La Nigeria é lontana, ma ritorna tutte le volte che due occhi di bambina incontrano i miei.”#prayforNigeria di Francesca Sepe
E’ stata una giornata particolare quella di Lunedi 5 Gennaio. La RAI, è venuta a Catania per registrare un servizio sul lavoro dei Giovani per la Pace durante il loro servizio ai più poveri e per raccontare una generazione che, partendo dagli ultimi, ha deciso di cambiare il mondo. Giovani catanesi e nuovi europei insieme, questo ha colpito la truope RAI, che ci ha seguito durante tutta la giornata. Villa Chiara, la casa per per anziani che i Giovani per la Pace frequentano settimanalmente, è stata la prima tappa. La prima immagine raccontata dalle telecamere, è stata quella del dialogo tra Giuseppe, di 94 anni, e Jonathan e Karamo, due Giovani per la Pace del CARA di Mineo. Tema:la Libia!!! Quella di tanti anni fa, la Libia dove gli italiani stavano bene, la Libia della giovinezza di Giuseppe…ma anche la Libia di oggi, la Libia della sofferenza, della guerra, la Libia raccontata da Karamo e Jonathan, quella della violenza, delle torture, l’inferno raccontato dalle parole dei due Giovani per la Pace di Mineo. Tanta curiosità da parte degli anziani per questo appuntamento inaspettato: “La RAI viene da noi??? E chi ce lo doveva dire!!!!” Seconda tappa di questa giornata, è stata la preparazione della cena per chi vive per strada. Ogni settimana infatti tanti giovani, liceali e universitari, preparano un pasto per chi non ha casa. Anche qui tanta curiosità da parte di tutti che, tra un panino da preparare e l’altro, hanno risposto alle domande del regista della RAI Lucio. Tanti gli intervistati, tante domande e tanta curiosità. Perchè così tanti giovani, catanesi e nuovi europei, hanno scelto di vivere, all’interno della propria settimana, una tensione e un’attenzione così particolare per che è più povero ? Perchè chiamiamo i poveri, amici ? Perchè un giovane del Ghana, del Gambia, del Senegal, che vive a Mineo, ha deciso di dedicare parte della propria settimana per servire chi è più povero di lui ? Queste, alcune delle domande che ci sono state rivolte. Non riportiamo le risposte e vi rimandiamo al servizio che andrà in onda Domenica 11 Gennaio alle ore 10.30 su RAI 1. Il servizio televisivo è continuato con le riprese della preghiera dei Giovani per la Pace, dove ancora una volta è risuonato il Vangelo di Natale; Gesù nasce nel buio e nel freddo della notte, il buio nella vita e nel cuore di tanti, il buio della guerra, del terrorismo, della povertà, della solitudine. Ma il Natale è quella luce che illumina quel buio, una luce che dà gioia e che si capisce nel servizio a chi è più povero, nell’essere insieme, cambiando il proprio cuore. Al termine della preghiera, verso le 20.30 circa, le telecamere hanno ripreso le nostre macchine riempirsi di coperte, té caldo, panini, piumoni. Siamo così partiti per il nostro “giro” lungo le vie della città, dove chi non ha casa ci aspetta per un pasto caldo, una coperta, ma sopratutto per scambiare quattro chiacchiere tra buoni amici. Anche qui tanta curiosità: “E che ci fa qui la RAI con...
I giovani per la pace hanno ancora voglia di Natale, di quello fatto di cuore, speranza e cambiamento. É per questo che un gruppo di liceali allontanandosi dal centro l’ ha ritrovato alla periferia di una periferia, dove più nessuno cerca, dove più nessuno spera: al campo rom di Scampia. Su uno sfondo di fango e baracche abbiamo pregato insieme, una preghiera che ci ha visti partecipi della stessa emozione, un’ emozione che ci ha convinti di essere nel posto giusto, era Natale negli occhi dei bambini e delle donne rom perché eravamo li, in un luogo che i più disprezzano e attentano, era Natale nei nostri occhi perché eravamo con loro a fare di una periferia il centro del nostro mondo. Questa mattinata al campo ha risposto a molte delle nostre domande, perché ci ha fatto capire cosa c’ é realmente dietro i giudizi sbagliati, ma soprattutto che alle periferia non finisce la vita, ma rinasce e si fa spazio tra mille punte di spine. La strada che porta al campo ha tutte le sembianze di una discarica di rifiuti, ma entrando capisci che é anche una discarica di mani arrese e sguardi indifferenti e che la nostra preghiera e il nostro Natale non potranno di certo finire. Sul balcone di una vela c’ era scritto che “cresce solo chi é sognato”, noi sognamo un cambiamento per Scampia, per i rom, per le periferie tutte, e giornate come questa ci fanno ben sperare!” Articolo scritto da Francesca Sepe
Art lotta per abolire la pena di morte, nonostante questa sia ritenuta la giusta risposta, la vendetta contro chi compie i reati più gravi, come l’uccisione di una persona. Si pensa prima di tutto a una giustizia da rendere ai familiari della vittima, tuttavia Art ha capito che non si tratta di giustizia: l’uccisione di un uomo è sempre ingiusta.
La Musica, si sa, a noi Giovani per la Pace piace molto. Ma quando questa serve a fare del bene ci piace due volte e anche di più. Per questo abbiamo il piacere di parlarvi di un’iniziativa che avrà luogo nei prossimi giorni a Roma. “The future is knocking!” (il futuro sta bussando), è vero, ma non solo, perché questo è il titolo del concerto sinfonico che si terrà domenica 19 ottobre alle 18:30 presso l’Auditorium della Conciliazione. Ad esibirsi sarà la Young Talents Orchestra EY, un’orchestra nota molti non solo per il suo talento ma anche per il suo sostegno a diversi progetti di inclusione sociale. Grazie al concerto sarà possibile sostenere le attività di “Sounds for Peace – Musica per la pace” l’iniziativa dei Giovani per la Pace che attraverso laboratori musicali crea spazi aggregativi per tanti nostri coetanei in difficoltà con uno strumento che ci accomuna e ci appassiona tutti: la musica. La musica coinvolge ed insegna a crescere e lavorare insieme. In tanti quartieri disagiati della Capitale, Sounds for Peace, è l’alternativa perché favorisce spazi di incontro che spesso mancano. Ma non solo questo perché per noi Musica vuol dire anche cultura che passa attraverso i diversi dibattiti e confronti legati alla nostra iniziativa. La Fondazione EY Italia Onlus con questo concerto ha dunque deciso di sostenere la “Musica per la Pace”, per favorire un’alternativa a tanti quando queste sembrano mancare. Quello di domenica 19 ottobre si preannuncia come un concerto dal programma vivace, sorprendente , energico e appassionato. Sotto la direzione di Carlo Rizzari e insieme al grande violinista Salvatore Accardo, la giovane e talentuosa orchestra e il celebre violinista affronteranno il concerto per violino e orchestra di Mozart detto Alla Turca, con il suo ultimo e sorprendente movimento di Rondò. Prima però del concerto l’evento sarà aperto dall’altrettanto talentuoso e noto Alessandro Taverna che con il suo pianoforte si esibirà davanti ai presenti con l’esecuzione della Tarantella di bravura S.386 di Litz. Al pianista però non sarà riservata solo l’apertura perché la seconda parte del concerto sarà introdotta dallo stesso con il celebre incipit di quattro note della Quinta Sinfonia di Bethooven. “The future is knocking”, se aprirete la porta sentirete la Musica per la Pace! Dunque, qualora siate interessati, per l’acquisto dei biglietti collegatevi sul sito www.Ticketone.it e vi ricordiamo nuvamente che l’appuntamento è per domenica 19 ottobre alle ore 18:30 presso l’Auditorium Conciliazione (Via della Conciliazione, 4). Una serata all’insegna della buona musica e della beneficienza, i motivi giusti per esserci! Buon Ascolto!
Jama’tu Ahlis Sunna Lidda’awati wal-Jihad, it’s the official name of Boko Haram, meaning “people who are committed to the teachings of prophet and Jihads”in Arabic. They propagate a motto through the Islamic words “Boko”, which means Westhern, and “Haram”, which means forbidden. Simply “boko haram” together mean “Western Development is forbidden” by Islamic teachings. Therefor as the name implies, they believe that western development has corrupted the moral values of muslims, especially girls, which led to several attacks in girls’ boarding-schools. Like for example the attack at Chibok in April where over two hundred girls were abducted by the same Islamic sect which at the same time is threatening to enslave all of them permanently by marrying them. At this juncture the Nigeria government terrified and with no choice, has sought the international assistance to fight the war against terrorism in the country. After which about 80 U.S. soldiers were deployed in Nigeria to help into whereabouts of the missing girls and as well reinforce the country’s security system. Despite of the effort been made by the Government to restore normality in the country diverse attacks still persist, proving that Boko Haram does not only have a fighting force of thousand of men, but also, of bombing, paradoxically. Moreover,majority of the fighters are made up of Kanuri’s ethnic group and to follow Chadians,Somalians and Sudanese rebels whose bases are in the Sambisa forest along the border between Nigeria and Cameroon. Will be there ever peace in Nigeria? Will never change Nigeria without violence? Yes there will, if the Government will understand that protection of lives and property are the first priority of any existing Government; if the government will learn to put the interest of its citizens far above every other thing; reducing poverty rate by facilitating an educational program that enhances the participation of both richs and poors, urbans and rurals citizens of the country. Without those, life will always be threaten in the country. By Jonathan Chijioke Many thanks to Gulia Giunta for the cooperation Jama’tu Ahlis Sunna wal-Jihad Lidda’awati, è il nome ufficiale di Boko Haram, che significa “le persone che si impegnano per gli insegnamenti del Profeta e della Jihad” in arabo. Propagano un motto attraverso le parole islamiche “Boko”, che significa Occidentale, e “Haram”, che significa proibito. Semplicemente “Boko Haram”, insieme, significa “lo sviluppo occidentale è proibito” dagli insegnamenti islamici. Quindi, come suggerisce il nome, gli esponenti di questo gruppo credono che lo sviluppo occidentale abbia corrotto i valori morali dei musulmani, in particolare delle ragazze e ciò ha portato a diversi attacchi nei collegi femminili. Come per esempio l’attacco a Chibok nel mese di aprile, dove oltre duecento ragazze sono state rapite dalla stessa setta islamica che allo stesso tempo minaccia di ridurle tutte in schiavitù permanentemente sposandole. Per questo il governo della Nigeria, terrorizzato e senza scelta, ha cercato gli aiuti internazionali sono stati dispiegati in Nigeria per aiutare nella località delle ragazze scomparse e rafforzare il sistema di sicurezza del Paese....
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