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La pace è un cantiere aperto a tutti, non solo agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi. La pace è una responsabilità universale: essa passa attraverso mille piccoli atti della vita quotidiana. A seconda del loro modo quotidiano di vivere con gli altri, gli uomini scelgono a favore della pace o contro la pace. Noi affidiamo la causa della pace specialmente ai giovani. Possano i giovani contribuire a liberare la storia dalle false strade in cui si svia l’umanità. Dal Discorso di Giovanni Paolo II ai rappresentanti delle Chiese cristiane e comunità ecclesiali e delle religioni mondiali convenuti in assisi 1986
Tirana, 2015. A ventinove anni dal primo incontro tra le religioni di Assisi ,e’ questo il luogo dove si sta svolgendo l’incontro internazionale interreligioso di Preghiera per la Pace, che si presenta con un titolo semplice ma incisivo: Peace is always possible (la pace e’ sempre possible). Ci si chiede tuttavia come mai la scelta sia ricaduta su una citta’ come Tirana, e la risposta non puo’ che ricercarsi nel passato turbolento del paese. Come infatti spiega il presidente della Comunita’ di Sant’Egidio Marco Impagliazzo, l’Albania e’ stata protagonista di uno scenario drammatico che ha visto durante gli anni un enorme flusso migratorio di cittadini albanesi abbandonare la propria terra in condizioni disastrose, tragiche. Ricordi lontani, ma che oggi sono considerati parte di un tema di grande attualita’. Ma il fascino di Tirana, dove in questi giorni si respirera’ lo spirito di Assisi, lo si ritrova anche nel suo clima di ottima convivenza tra le varie realta’ etniche e religiose presenti sul territorio. Puo’ sembrare infatti surreale, se non utopica, la presenza di cristiani ( cattolici, protestanti e ortodossi) e musulmani che vivono pacificamente giorno per giorno in pace e amicizia. Ma sono queste le fondamenta su cui lavora l’incontro internazionale di preghiera per la pace, e sono queste le fondamenta su cui la Comunita’ di Sant’Egidio si impegna, giorno per giorno, a costruire un mondo piu’ umano. Laura Vesprini
Sandra è una ragazza nigeriana incinta di 28 anni, è sposata e decide di lasciare il proprio paese, affrontando il deserto, il caos libico e la traversata del Canale di Sicilia per poter assicurare un futuro migliore alla sua bambina. Ha superato l’inferno, a differenza di tanti altri è viva, è arrivata in Sicilia, in Italia, in Europa. Viene portata all’ospedale Piemonte di Messina, la sua bambina è prematura e viene al mondo con qualche settimana di anticipo. Sandra decide di chiamarla “Miracle”, il Miracolo è che lei e la sua bambina ce l’abbiano fatta. Andiamo a trovarla all’ospedale, ci racconta la sua storia, ci dice che non riesce a mettersi in contatto con il marito, anche lui partito dalla Nigeria, ci dice anche che si sente sola qui, nessuno parla inglese, e ci confessa che siamo la sua famiglia adesso. Le portiamo una torta, chiacchieriamo un po’ e poi andiamo a vedere la piccola. È dentro l’incubatrice e dovrà stare in ospedale per alcuni giorni ancora. Sua madre è felicissima, e ci ringrazia molto per l’aiuto che le stiamo dando. Ci congediamo da Sandra per tornare a casa, lei ci ringrazia ancora e ci dice: “God bless you”, “che Dio vi benedica”. Rimaniamo con lei che ci rivedremo nei prossimi giorni, e le lasciamo un numero di telefono per chiamare per qualsiasi eventualità. Usciamo dalla porta dell’ospedale pensando a ciò che verrà per Sandra e la bambina, rassicurati dal fatto che quello che hanno passato non accadrà più. Come Sandra sono tante le donne, incinte o con bambini piccoli, che intraprendono i viaggi della speranza, molte non ce l’hanno fatta, inghiottite insieme ai loro piccoli dal mare. Il nostro pensiero e quello di tutti dovrebbe essere rivolto a queste donne coraggiose, che rischiano tutto per assicurare un futuro migliore ai loro figli. Con la speranza nel cuore che tutte le donne come Sandra possano avere una vita giusta. di Giorgio Cannetti
Oggi questo post è dedicata a Aylan, piccolo naufrago trovato morto su una spiaggia turca la cui storia sta facendo commuovere tanti. Abbiamo scelto di pubblicare sulla nostra pagina la foto che racconta di una piccola vita che ricomincia qui in Europa, quella di Gabrielle, accolta al porto che gioca con i Gxp, perché vogliamo che ciascun bambino non debba morire di speranza ma dedicarsi a quello che i bambini fanno meglio: il gioco.
Cari fratelli e sorelle, Capi e rappresentanti delle Chiese cristiane e comunità ecclesiali e delle religioni mondiali, Cari amici. Nel concludere questa giornata mondiale di preghiera per la pace, a cui voi siete intervenuti da molte parti del mondo, accettando gentilmente il mio invito, vorrei esprimere i miei sentimenti, come un fratello e un amico, ma anche come un credente in Gesù Cristo, e, nella Chiesa cattolica, il primo testimone della fede in lui. In relazione all’ultima preghiera, quella cristiana, nella serie che abbiamo ascoltato, professo di nuovo la mia convinzione, condivisa da tutti i cristiani, che in Gesù Cristo, quale Salvatore di tutti, è da ricercare la vera pace, “pace a coloro che sono lontani e pace a quelli che sono vicini” (Ef 2, 17). La sua nascita fu salutata dal canto degli angeli: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace agli uomini che egli ama” (Lc 2, 14). Predicò l’amore tra tutti, anche tra i nemici, proclamò beati quelli che operano per la pace (cf. Mt 5, 9) e mediante la morte e la risurrezione ha portato riconciliazione tra cielo e terra (cf. Col 1, 20). Per usare un’espressione di san Paolo apostolo: “Egli è la nostra pace” (Ef 2, 14). È infatti la mia convinzione di fede che mi ha fatto rivolgere a voi, rappresentanti di Chiese cristiane e comunità ecclesiali e religioni mondiali, in spirito di profondo amore e rispetto. Con gli altri cristiani noi condividiamo molte convinzioni, particolarmente per quanto riguarda la pace. Con le religioni mondiali condividiamo un comune rispetto e obbedienza alla coscienza, la quale insegna a noi tutti a cercare la verità, ad amare e servire tutti gli individui e tutti i popoli, e perciò a fare pace tra i singoli e tra le nazioni. Sì, noi tutti siamo sensibili e obbedienti alla voce della coscienza di essere un elemento essenziale nella strada verso un mondo migliore e pacifico. Potrebbe essere diversamente, giacché tutti gli uomini e le donne in questo mondo hanno una natura comune, un’origine comune e un comune destino? Anche se ci sono molte e importanti differenze tra noi, c’è anche un fondo comune, donde operare insieme nella soluzione di questa drammatica sfida della nostra epoca: vera pace o guerra catastrofica? Sì, c’è la dimensione della preghiera, che pur nella reale diversità delle religioni, cerca di esprimere una comunicazione con un Potere che è al di sopra di tutte le nostre forze umane. La pace dipende fondamentalmente da questo Potere che chiamiamo Dio, e che, come noi cristiani crediamo, ha rivelato se stesso in Cristo. Questo è il significato di questa giornata di preghiera. Per la prima volta nella storia ci siamo riuniti da ogni parte, chiese cristiane e comunità ecclesiali e religioni mondiali, in questo luogo sacro dedicato a san Francesco per testimoniare davanti al mondo, ciascuno secondo la propria convinzione, la qualità trascendente della pace. La forma e il contenuto delle nostre preghiere sono molto differenti, come abbiamo visto, e non è...
Il nostro viaggio in Mozambico ci ha dato grande emozione. La maggior parte del tempo la trascorriamo al centro nutrizionale di Matola dove ogni giorno giochiamo, balliamo, cuciniamo con la gioia nel cuore e la voglia di essere insieme. Ma una mattinata abbiamo voluto dedicarla ai luoghi di Dream. Quando sentiamo parlare di Dream pensiamo sempre a qualcosa di grande e non ci sbagliamo. Dream é qualcosa di grande! Gli occhi delle persone in attesa al centro di Machava, il primo centro aperto in Mozambico, non si dimenticano, raccontano di quanto questa eccellenza scientifica continui a salvare vite. Le attiviste ci testimoniano di quante ne ha salvate in passato, il centro di Matola 2 per la prevenzione della trasmissione verticale, ci dice quante vite nuove salverà ancora, grazie alla cura che somministrano alle donne sieropositive incinte. Il dato più bello ad oggi é che nell’ ultimo anno tutti i bambini sono nati sani grazie a questo trattamento! Dream è stato e sarà vita. La forza di questo progetto e delle persone che ci lavorano somiglia tanto ad un miracolo, un miracolo di umanità, attenzione, dedizione. C’ é negli occhi di tutti la voglia di salvare, di non dimenticare, di non dover dire che ormai é troppo tardi. Dream da coraggio e insegna che il cambiamento parte dall’ attenzione per la vita di ognuno. Giovani per la Pace di Napoli
Siamo pronti a partire, con una nave carica di sogni, la Bari- Durazzo, tutti con un’unica direzione Tirana, città a cui tanti di noi sono legatissimi. A Tirana si parlerà, si sognerà, si farà PACE! Perché la pace è sempre possibile, anche in questi anni in cui sembra essersi smarrita, in cui i nostri occhi sono pieni del male di guerre senza fine, di stragi senza età di violenza. Serve tornare a sognare la pace, e le religioni in questo hanno un ruolo cruciale. Seguiteci su questo blog, sulla nostra pagina, sin dalla partenza, seguiremo il suono emozionante di religioni, uomini spirituali, leader e gente comune, uniti per la pace, tutti insieme per dire che #peaceispossible. Seguiremo le conferenze che si terranno dal 6 all’8 Settembre, ve ne renderemo conto, vi offriremo le immagini di un mondo multicolore e unito! Ecco l’appello di Pace della preghiera per la pace tenutasi ad Anversa nel 2014! Buona lettura e costruiamo insieme un mondo di Pace! APPELLO DI PACE 2014 APPELLO DI PACE Donne e uomini di religione diversa ci siamo riuniti su invito della Comunità di Sant’Egidio ad Anversa, nel cuore dell’Europa. In una terra che ha subito l’orrore della Grande Guerra Europea e Mondiale, un secolo fa. Ci inchiniamo alla memoria dei tanti caduti e ripetiamo: Mai più la guerra! Oggi invece la guerra è tornata sul suolo europeo, travolge convivenze millenarie in altre terre, fa soffrire troppi. Abbiamo ascoltato la preghiera di milioni di profughi e fuggiaschi, di chi chiede di non morire di fame e di sete, di malattie curabili in altre parti del mondo. La richiesta di dignità dei poveri, il bisogno di giustizia di popoli, le periferie del mondo. Il mondo ha avuto grandi possibilità e tempo per costruire la pace, per accorciare le distanze, per prevenire i conflitti, prima che le crisi diventassero troppo grandi. Il mondo ha perso però tante occasioni. Ma ora è tempo di decisione, non di rassegnazione. La guerra e la violenza in tante parti del mondo vogliono riscrivere i confini, le forme di vita, il modo in cui guardiamo all’altro. Il mondo rischia di perdere il senso di un destino comune proprio mentre è diventato globale. Ci sono malattie profonde che rendono tutto difficile: la divisione e la rassegnazione attraversano e indeboliscono tanti: le comunità religiose, la politica, gli assetti e le istituzioni internazionali. Le religioni sono chiamate a interrogarsi: hanno saputo dare un’anima alla ricerca di un destino comune o sono state catturate in una logica conflittuale? Ma le religioni possono molto: dare cuore e anima alla ricerca della pace come destino comune di tutti i popoli. Ci assumiamo oggi la responsabilità della pace quando troppo pochi sognano la pace. Le religioni dicono oggi con più forza di ieri: non c’è guerra santa; l’eliminazione dell’altro in nome di Dio è sempre blasfema. L’eliminazione dell’altro, usando il nome di Dio, è solo orrore e terrore. Accecati dall’odio, ci si allontana in questo modo dalla religione pura e si distrugge quella religione...
La storia siamo noi” cantava De Gregori. E aggiungeva “nessuno si senta escluso!”. Ogni piccolo passo, ogni piccolo segno, ogni piccola azione contribuisce a creare effetti molto più grandi di quelli che crediamo possibili realizzare. La storia siamo noi non perché tutti siano chiamati a compiere grandi imprese, ma perché ogni piccola azione è essa stessa una grande impresa. Al netto della filosofia, noi non siamo ciò che ci capita, siamo esclusivamente ciò che scegliamo di diventare. Con fatica e coraggio. E ciò che abbiamo scelto di diventare è, tristemente, una massa di persone scarsamente informate, saccenti e supponenti, che ignorano ciò che accade al di là delle proprie mura di casa. Voglio portare un esempio concreto. Giorni fa è stato decapitato Khaled al-Asaad, direttore e custode delle rovine di Palmira. Ciò che è rimasto sono un paio di lenti quadrate, cerchiate di nero. Gli occhiali di Khaled. Gli occhiali sono tutto, hanno un significato immenso. Sono lo studio di un uomo, la fatica sulle carte, sui documenti, sui reperti. Una metafora, se vogliamo. La lente della cultura che ci consente di vedere meglio dentro l’anima del mondo, dentro la sua storia, dentro le sue tracce. Il resto è solo dolore. Il corpo decapitato, appeso a un palo della luce in una piazza della città siriana conquistata lo scorso Maggio dalle bande nere dell’ISIS. La testa riposta nella polvere, ai piedi del corpo, con gli occhiali ancora indosso. Per sfregio? Per caso? Come se quella cultura, quella forza e quella fatica sia voluta rimanere attaccata all’uomo che era e non è più. O forse solo perché Asaad dopo 50 anni trascorsi ad accudire, custodire, proteggere, elevare la bellezza della storia, dell’arte, della cultura di Palmira, è un martire di una guerra molto più grande di lui, come uomo. La distruzione dell’arte, della storia, della cultura è solo la negazione di tutto ciò che l’uomo ha potuto costruire quando ha tentato di elevarsi. Non ha nulla di nobile. Non ha nulla di religioso. Di ispirato. Di giusto. Così come i terroristi che hanno compiuto ciò. Che riposi in pace un altro uomo e la sua storia sia d’esempio per tutti noi. Di Simone dei Pieri
Viaggiando per l’Africa si ha la possibilità di conoscere molti dei suoi volti; a partire dalle sue riserve naturali, che regalano paesaggi esotici e cinematografici. Ma in Mozambico, nonostante la natura regali viste mozzafiato al fortunato viaggiatore, una particolare attenzione va riservata a Beira, e ai volti dei bambini del Centro Nutrizionale di Beira. Personalmente, amo pensare all’Africa con il volto di un bambino in particolare, un bambino la cui storia è dolorosa proprio come tanti altri bambini di strada. Ernesto è stato uno dei primi bambini che noi Giovani per la pace abbiamo conosciuto il primo giorno al centro nutrizionale della Comunità di Sant’Egidio. È impossibile non notare immediatamente il sorriso di Ernesto: pieno, radioso, capace di coinvolgere anche i suoi occhi spiritosi. Nonostante il suo sorriso contagioso, la storia di Ernesto è una delle più tragiche che io abbia sentito. Inseme al suo fratellino, Ernesto si è ritrovato in mezzo a una strada da un giorno all’altro circa un anno fa. Dopo la morte del padre infatti, Ernesto e suo fratello si sono ritrovati a convivere con la madre e con il suo nuovo marito. Ma come purtroppo succede succede fin troppo spesso qui a Beira ( ascoltando le storie di molti atri bambini), pare che il patrigno abbia ben presto cominciato a picchiare lui e il fratello . La situazione si è resa ben presto insopportabile, a tal punto da costringere la madre a mandare via i propri figli. Personalmente non me la sento di giudicare la madre, né la sua “scelta” di continuare a vivere a fianco di un mostro simile (soprattutto in un paese in cui l’emancipazione femminile è del tutto assente, salvando qualche raro caso), lasciando andare via i suoi figli. Così Ernesto è finito per strada insieme al fratello. Dormono in un piazzale, vengono “protetti” da un ragazzo di strada più grande in cambio di soldi che racimolano con le elemosina. Il centro nutrizionale è stata la salvezza di tanti bambini come Ernesto, bimbi di strada con storie tragiche che hanno trovato nel centro non solo un pasto garantito per ogni giorno, ma anche punti di rifefimento per la vita come le attiviste del progetto DREAm che lavorano presso il centro. Donne dotate di straordinario coraggio (che definirei senza esitazione come l’orgoglio del genere femminile ), che hanno deciso in qualche modo di adottare tutti questi bambini bisognosi di cibo, cure, ma soprattutto di affetto. È stato senza dubbio difficile lasciare Ernesto alla fine di questo viaggio, specie dopo aver sentito uscire dalla sua bocca la parola “mamma” ( o MADA, in dialetto) rivolgendosi a me: per il momento stiamo cercando in tutti i modi di far luce su cosa sia rffettivamente successo a casa di Ernesto, sperando di instaurare un dialogo pacifico con la madre e il patrigno, nella speranza che Ernesto e suo fratello possano tornare a casa ( che è senza dubbio un’alternativa migliore della strada ). Nel frattempo ciò che io -e che ognuno di noi – possiamo...
«Io credo tuttavia che l’uomo soffra soprattutto per mancanza di visione». Così scriveva Giovanni Paolo II. Una verità che oggi vediamo verificarsi su chi migra. Il tema della visione per l’Europa è fondamentale. Negli anni in cui poco si è parlato di migranti il senso del nulla e del torpore ha invaso tutti, in modo trasversale. Sembrava che l’Europa fosse solo un’accozzaglia di questioni economco-finanziarie lontane dagli uomini. Se ci chiedessimo cosa caratterizzava il nostro dibattito non lo ricorderemmo. O al massimo ricorderemmo di sigle e questioni economiche che per nulla hanno toccato i nostri cuori o la nostra coscienza. I migranti però, affondando in un mare diabolico o morendo nelle guerre o per mano degli specialisti del terrore, hanno fatto riemergere passioni (tristi) che ci danno l’illusione di esser vivi. Il cattivismo. L’urlo. L’indifferenza. La spietatezza dei commenti. Lo schierarsi contro, anche poco comprendendo. Tutti indicatori di passioni tristi, disumane. “Partono perché illusi”, “partono perché li andiamo a prendere”, “partono perché la Libia è un caos”. Le frasi del torpore e del nulla. Un mantra continuo, incessante, contro una verità: l’assenza di “visione”. Un’assenza che ha incendiato i conflitti, aumentato le violenze e fatto razzia di vite. Un torpore ed un nulla che anziché porre fine agli scenari di disumanità e di morte ne ha aperti altri. Ungheria, Macedonia, il tunnel della manica, i camion. Spesso si è detto che la Libia è un inferno perché nel caos: ma vige il caos lì dove anziani e bambini sono costretti a strisciare sotto il filo spinato per avere salva la vita ? No. Lì vige in torpore ed il nulla: l’assenza di visione di cui il migrante soffre. E’ uno spettacolo indegno. Un torpore indegno. Un’assenza di visione indegna. Stiamo scambiando dei diseredati per ladri, affamati per ingordi, disperati per vacanzieri. C’è una domanda che sorge spontanea davanti a muri in costruzione e fili spinati: dopo i migranti chi saranno i prossimi dall’altra parte, i prossimi a soffrire per mancanza di visione ? Chi catalizzerà la passione triste divenendo un capro espiatorio che muore senza scandalizzare ? Gli “Untermensch” – termine che nell’ideologia razzista nazista descriveva coloro che erano considerati popoli inferiori – chi saranno ? Chi saranno le categorie le cui morti non provocheranno una grande vergogna nel cuore di tutti ? Ma c’è un’altra domanda: che valore avrà la vita in Europa ? L’epifania della vita, dell’estraneo, del volto, dell’altro che evoca la nostra responsabilità saremo in grado di sperimentarla ? Le immagini di sofferenza di questi giorni non vengono dalla Libia ma dall’Europa ed è preoccupante perché se la vita non è tale dove si cerca rifugio, non lo è in nessun altro luogo. I migranti stanno soffrendo soprattutto per mancanza di visione. E lentamente anche noi. Non perché qualcuno ci toglie futuro e risorse (“ci ruba il lavoro”) ma perché non ci stiamo (pre)occupando di costruire, allargare, sperimentare una visione accogliente in grado di accogliere “l’epifania del volto”. E ormai lo sappiamo e lo vediamo:...
Impossibile, vero? Eppure no! Non è affatto impossibile! Niente è impossibile! Basta guardare questa foto per capire quanto l’amore ci porti ad essere una sola entità. In questa foto non c’è un’anziana, non ci sono bianchi e non ci sono neri. C’è solo un sorriso di Libertà. Libertà di essere amati e libertà di amare, incondizionatamente, senza nessun trucco. Libertà di Coraggio. Quel coraggio travolgente volto ad aprire gli occhi dei cuori di tutti donandone la vista. Mai più cecità! Libertà di Rivoluzione. Abbattere ogni frontiera, di odio, di limite, di prevenzione, di paura è possibile! Libertà di Preghiera. Pregare insieme tutte le volte che lo si vuol fare, per i più cari, per i più lontani, per i dimenticati. Perchè la potenza della preghiera è l’elisir di lunga vita dell’amicizia. Libertà di Speranza. Un filo sottile ma ricco di energia che lega i cuori dei contagiati d’amore. Senza la speranza non si può essere liberi. Libertà di PACE. Estinguere ogni guerra e ogni rifiuto, per non rigettare mai più nessuno in mare. Ecco. In questa foto c’è solo un sorriso di grande Libertà. Quella meravigliosa libertà contagiosa di cui tutti dovremmo deliziarci. Lasciamoci contagiare. Non è affatto impossibile! Niente è impossibile! Myriam Magno
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