Il mondo cambia a partire dalle periferie, quelle urbane, umane, quelle esistenziali che toccano tanti giovani oggi che sognano il cambiamento e non sanno da dove iniziare! Vienici a trovare! Il mondo cambia a partire dalle nostre città che hanno diritto ad un pensiero nuovo che nasca dall’amicizia con i poveri, con la preghiera, con tanti anziani dimenticati negli istituiti, dai bambini che vivono i quartieri periferici e che hanno il diritto al cambiamento, ad avere un giovane per amico che lo accompagni nell’avventura della vita che insieme diventa meno complicata. I bambini hanno diritto alla Scuola della Pace. Il mondo cambia a partire dall’accoglienza dei rifugiati nelle nostre città, nei porti e nelle stazioni, luoghi di passione e di incontro, luoghi dove i Giovani per la Pace hanno trovato grandi alleati per costruire la globalizzazione della solidarietà e per sconfiggere la globalizzazione dell’indifferenza di cui parla Papa Francesco. Infatti molti rifugiati incontrati in tutta Italia oggi aiutano gli italiani in difficoltà! Il mondo cambia se costruiremo città più umane che devono tornare a guardare con compassione chi vive in strada. Possiamo scegliere se costruire la città del filo spinato o la civiltà del convivere. I giovani per la Pace da anni hanno legato la propria vita a quella dei poveri ed hanno scoperto che solo così il volto delle città può cambiare, concretamente: sono infatti migliaia i poveri che già ora andiamo a trovare con fedeltà e da anni in tutta Italia, perché l’amicizia con i poveri è un’amicizia fedele. Puoi farlo anche tu! #ChangeYourCity con i giovani per la pace! Partecipa anche tu alle attività di solidarietà con i più poveri, vienici a trovare alla sede dei giovani per la pace più vicina e scopri anche tu che insieme il mondo può cambiare. Non esitare #ChangeyourCity Partecipa su Twitter scrivendoci le tue idee taggando i @gxlapace con l’hashtag #ChangeYourCity
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L’ abbiamo attesa come un dono l’Africa, ci siamo preparati il cuore e siamo partiti. In Africa si può andare anche senza una valigia, basta veramente un cuore, che parte povero e torna ricco. Questa Africa ci ha insegnato l’ amore e il valore per la vita di ognuno. In Mozambico ci siamo sentiti a casa, abbiamo incontrato parte della nostra grande famiglia ed era come appartenersi da sempre. Immaginiamo lo stesso mondo. Dream é il luogo più sacro del nostro mondo, dove si rinnova ogni giorno il miracolo della vita, soprattutto nella forza delle attiviste. I giovani per la pace di Matola stanno crescendo, hanno grinta, tenacia, l’ allegria e più di ogni altra cosa ci credono fedelmente con ogni fibra e su questo abbiamo veramente da imparare. Questa nostra Africa ci ha insegnato la cura e l’ attenzione, ma soprattutto ci ha trasmesso passione. La passione per il cambiamento, per quella rivoluzione dei cuori e del mondo e ci ha mostrato segni evidenti di quanto tutto questo sia possibile, di quanto è capace di cose grandi la Comunità che prega e che sogna. Le cuoche, i bambini, i bambini che diventano grandi ma restano per aiutare i piccoli dopo di loro, il centro nutrizionale, la fatica che è sempre alllegria, c’ e’ sempre un motivo per abbracciarsi e per sorridere insieme al centro di Matola, anche quando ci sono più di 500 bocche da sfamare ogni giorno. Torniamo a Napoli cosapevoli che quella.terra adesso ci appartiene più di prima. Torniamo con la forza e l’ entusiasmo che ci spingono a fare di più per quell’ “Africa” che ritroviamo ogni giorno nella nostra città, soprattutto nelle periferie dove più nessuno volge lo sguardo, ai bordi delle strade che si fanno case, negli istituti, nei giovani. In noi. L’ Africa insegna a guardare. Ad amare. Questo é il dono. Di Francesca Sepe
DREAM oggi rappresenta un modello di contrasto all’HIV/AIDS, alla malnutrizione, ma anche ad altre malattie infettive e a molte patologie croniche che, a partire dai migliori protocolli diagnostico- terapeutici del mondo ricco, ha trovato una sua forma adeguata in Africa. In questo senso il Programma è in grado di offrire un consistente contributo al continente, che non può sostanziarsi solo nella replicazione di numerosi centri di cura dell’HIV in tanti paesi africani, ma anche può rappresentare un modello di contrasto a molte altre patologie infettive e croniche. Particolarmente importante per DREAM è la ricerca continua dell’eccellenza per mettere a disposizione di tali patologie ciò che di più avanzato offre il mondo sviluppato, per arrivare alla liberazione da molte malattie in Africa. Proprio per porre l’accento sull’allargamento già avvenuto in questi anni ci siamo proposti un significato più largo dell’acronimo DREAM. Non solo “Drug Resource Enhancement Against AIDS and Malnutrition” ma “Disease Relief through Excellent and Advanced Means” cioè “Liberazione dalle malattie attraverso mezzi avanzati ed eccellenti ”. Il sogno cresce. Questo DREAM, che potremmo definire DREAM 2.0, affronta questa nuova sfida. La lunga esperienza di questi anni, il modello prodotto e il sostegno fattivo e concreto di molti professionisti europei e africani ci hanno permesso di compiere tale salto. Visita il sito di Dream Qui
“Non c’è posto” è una frase antica, è una frase estremamente popolare. Da duemila anni a questa parte è il modo di chiamarsi fuori, sentendosi anche un po’ giustificati: perché mica è colpa mia se non c’è abbastanza spazio, perché non ci posso fare niente se non c’è posto per te, perché abbiamo accolto tanti ma tu e la tua famiglia siete fuori quota, quindi restate pure dall’altra parte del confine. Non c’è posto è il modo di chiudere il cancelletto del proprio giardino, guardare alla propria erba curata (o meno) e credere che il mondo sia tutto lì. Non c’è posto è la paura di confrontarsi con le difficoltà che accompagnano sempre l’incontro con l’altro, ma che rinunciano alla bellezza che esso porta. Con i Giovani per la Pace invece abbiamo scoperto che accogliere chi bussa alle nostre porte non è solo necessario ma è bello! È bello perché arricchisce, allarga lo sguardo ma soprattutto è bello perché è bello stare insieme. È per questo che noi vogliamo dire che c’è posto, c’è posto anche per te! E vogliamo dirlo insieme italiani e stranieri, nati in Italia e non, vogliamo dire che c’è posto per la diversità, c’è posto per l’amicizia, c’è posto per chi scappa dalla guerra. Partecipa anche tu alla campagna usando l’hashtag #cepostoancheperte!
La foto di Aylan, bambino di Kobane sta sempre più diventando l’immagine del risveglio dei cuori dell’Europa. Sembra quasi volerci comunicare “in guerra si muore e si muore anche fuggendo dalla guerra” muoiono anche i bambini. Ci stiamo chiedendo guardando l’immagine come fermare le guerre? Come accogliere senza morte? E’ fresca nei ricordi l’immagine delle bare arrivate a Catania: Oggi è il momento in cui c’è bisogno di uno sforzo comune, collettivo, personale che si tramuti in sforzo internazionale. Un’immagine è di per sé statica se la gente non si muove attorno ai sentimenti che suscita: un bambino, la sabbia, la morte ed è facile creare resistenze anche alla commozione, all’indignazione, tornare ad abituarci alla morte di tanti Aylan nel mondo, non provare quel sussulto di impegno, quell’orgoglio di essere rifugio! Perchè un rifugiato senza rifugio è un uomo morto, è un bambino senza asilo, è una donna spenta ed il rifugio deve essere come un ventre materno e non cadere in balia delle ondate sociali di simpatia e antipatia. Pensiamoci: All’occhio sociale e mediatico si rincorrono queste due immagini sul migrtante: poco prima il migrante è il problema, poco dopo è risorsa: questa è schizofrenia che va superata. Oggi l’Europa può veramente essere quel rifugio, quella culla che si era immaginata al tramonto della seconda guerra mondiale. Un luogo di serenità per chi scappa dalla guerra che l’Unione è riuscita a cacciare via dai suoi confini. Questo è un merito e al tempo stesso una responsabilità verso il mondo! Tenendo fuori chi scappa dalla guerra, la guerra tornerà dentro i nostri confini e già bussa alla porta con un suono allettante. La nostra responsabilità ce la ricorda il papà di Aylan mentre parla di suo figlio non come un’immagine ma restituendogli carne, rendendolo simbolo e non solo fotografia, parlandone semplicemente come un bambino, che giocava, piangeva, rideva, saltellava e faceva i dispetti. Come un bambino che oggi è vivace nel bussare alle porte dei nostri cuori facendoci riscoprire che ogni tanto è giusto piangere. Bisogna uscire e incontrare, cambiare, protestare, accogliere a mani nude, perchè non fare passare un pensiero aberrante che ci vuole chiusi è la grande battaglia corpo a corpo contro il male di questo tempo. Una battaglia che non si può perdere.
Ogni città nasconde segreti e meraviglie che molto spesso nemmeno le persone che le abitano conoscono. Non è difficile trovarle, a volte basta cercarle e guardare oltre le apparenze. Si trovano in zone trafficate dove le persone passano continuamente ma sono immerse nei loro pensieri, poco curiose di scoprirle o meglio impaurite da quello che possono rivelare. A volte è più facile non sapere; il diverso destabilizza. Voglio raccontarvi alcune storie per farvi scoprire luoghi nascosti, persone poco conosciute della mia città che hanno un passato, un presente e un futuro da condividere con noi. Le stazioni sono luoghi di transito, ove persone ogni giorno circolano con le loro valigie, corrono ,hanno paura di perdere il treno e non si rendono conto di quello che li circonda. Ecco, il primo luogo della nostra storia, la stazione. La stazione nasconde molti segreti, è un luogo conosciuto da tutti dove gli sguardi si incrociano per poi perdersi nei diversi vagoni ma aldilà dei binari, del rumore del treno che sta partendo possiamo intravvedere un edificio apparentemente abbandonato. Non è così, ci vivono persone, ragazzi con una propria meravigliosa storia. Faisal, il ragazzo degli occhiali fashion , ha diciannove anni, sguardo penetrante, è arrivato in Italia da poco dopo un viaggio estenuante, non vuole niente soltanto un ombrello per ripararsi dalla pioggia che neanche il tetto di un palazzo riesce a bloccare e un paio di occhiali Fashion. Vuole poter essere un ragazzo della sua età, vivere la spensieratezza di un ventenne e dimenticare per qualche istante le difficoltà della vita. Romi, il più rumoroso del gruppo pensa che alzare la voce sia il modo migliore per sembrare forte ma in realtà è soltanto un modo per nascondere le paure, le malinconie. desidera amici, vuole una vita normale, quella vita che molti ragazzi come noi sprecano senza capire la fortuna che hanno. Ad un altro ragazzo mancavano due mesi per finire l’università nel suo paese ma è dovuto scappare, lasciare i suoi affetti i suoi luoghi… Queste sono alcune storie di ragazzi come noi, che hanno dovuto abbandonare la loro città in cerca di qualcosa di migliore. Cerco un luogo dove custodire i loro ricordi, le emozioni delle ultime settimane. Le persone speciali di queste storie sono riuscite con uno sguardo, con poche parole a rispondere ad alcuni dubbi/domande che i grandi e i giornali non sempre riescono a darmi. Ho condiviso con loro momenti importanti, costruito un’amicizia, abbattuto barriere e sconfitto la paura collegata all’ignoto. Ho capito che le mie paure derivano dal fatto di non conoscere una cultura, un popolo, delle abitudini diverse dalle mie. La cronaca ci informa solamente di episodi negativi senza mostrarci che anche loro vogliono far parte della nostra comunità, aiutando il prossimo. Ieri uno dei nostri amici richiedenti asilo ha aperto la propria casa per festeggiare il compleanno di una bambina rumena perché avessimo un posto più grande dove poter stare tutti. Un altro giovane per la pace nuovo europeo ha voluto comprare personalmente un...
C’è un mondo di giovani in Europa che non vuole sottomettersi alla cultura dello scarto, che non vuole accettare di vedere nell’altro (nel povero) un nemico. Un mondo di giovani che ha ascoltato le parole di Papa Francesco sulla globalizzazione dell’indifferenza e vuole costruire una globalizzazione della solidarietà. In Europa quest’estate, hanno detto in tanti modi “Non ci sto!” a chi lascia i poveri ai margini. Hanno riscoperto in tanti modi la solidarietà, la bellezza di incontrare i poveri… Un esempio? Solo a Roma quest’estate sono venuti a trovarci 2500 giovani provenienti da diverse parti d’Italia e d’Europa, per conoscere ciò che facciamo, per scoprire la bellezza della gratuità in risposta a un mondo sempre con la calcolatrice alla mano. Durante l’anno, inoltre, incontriamo sempre più ragazzi che vogliono fare qualcosa per gli altri, per gli ultimi: sono una parte di quell’Europa che vuole reagire alla globalizzazione dell’indifferenza e che scopre nell’altro un amico invece di un nemico. I giovani vogliono costruire un’Europa che cambia. L’Europa cambia dall’incontro con i poveri.
La guerra non è mai santa” dice l’appello di #peaceispossible e ripensando all’11 settembre di quattordici anni fa queste parole risuonano nelle mie orecchie. Non esiste una guerra santa, non è mai santo togliere la vita a un altro uomo e non esiste modo di giustificare un assassinio o una strage. Il Signore chiede di porre la nostra vita al suo servizio, non di macchiare il suo altare con il sangue dei suoi figli. Il sacrificio di Isacco ce lo ricorda: il Signore non permise ad Abramo, padre di tutti i credenti, di uccidere suo figlio, bloccò la sua mano. Neanche Dio permise ad Abramo di offrirgli sacrificio con il sangue del proprio figlio, quindi come possiamo pensare che uccidere altri esseri umani sia santo? La violenza in nome di Dio è un sacrilegio, uccidere in nome di Dio è un sacrilegio. Non c’era nulla di santo negli attentati dell’11 settembre 2001, non c’era nulla di Santo nelle guerre che dopo ne sono scaturite. Dopo quattordici anni ci si apre la domanda di come onorare l’11 settembre, di come chiudere questo periodo di violenze e attentati contro i deboli, contro gli innocenti in nome di un Dio che è amore e misericordia, non certo violento e crudele. La guerra, è sotto gli occhi di tutti, ha miseramente fallito dimostrando che la violenza non può essere risposta perché genera solo altro dolore e altro odio. Deve finire il tempo della guerra, il tempo in cui si può prendere la vita degli innocenti e trovare giustificazione (che sia religiosa o laica). Questo mondo ha bisogno di pace. La pace è l’unica strada possibile per uscire dalla spirale del dolore. Non esiste guerra santa, solo la pace è santa.
Lunedì 7 Settembre alle 17:00 i giovani migranti del CARA di Mineo si sono ritrovati al container C a pregare per i coniugi Solano, uccisi lo scorso 30 agosto a Palagonia. In un clima di grande commozione circa un centinaio di cristiani cattolici, protestanti, pentecostali provenienti da Ghana, Nigeria, Gambia Mali ed altri paesi si sono ritrovati con i giovani migranti da tempo parte della Comunità di Sant’Egidio. Una preghiera a cui hanno partecipato anche alcuni degli impiegati della struttura e la direzione al completo. Molti dei lavoratori, in turno, hanno voluto ringraziare gli ospiti che hanno promosso la preghiera per l’appuntamento che hanno voluto con forza. “Abbiamo vissuto la solidarietà, l’amore e la vicinanza” non possiamo non mostrarle a nostra volta a chi è stato colpito dalla violenza dei fatti di Palagonia”. Una preghiera voluta con forza perché troppo forte l’impatto con la notizia diffusasi nelle ore successive all’uccisione dentro il CARA, uno shock hanno detto alcuni. “La violenza si è abbattuta anche su di noi, sappiamo cosa vuol dire esserne vittime”. Durante la preghiera ognuno ha tenuto in mano una piccola candela in ricordo dei coniugi Solano. “Il nome di Dio è la Pace. Preghiamo perché non si alzi più la mano di un uomo su un altro uomo, perché nessuno soffra per la violenza, per i coniugi Solano e perché ognuno di noi viva come custode di suo fratello” queste le parole finali affidate alla predicazione sul brano di Genesi 4, 1-16. Alla conclusione della preghiera, un gruppo di musulmani che avevano assistito hanno voluto fare una piccola preghiera per unirsi al clima di cordoglio. Enoch Babajide pastore protestante, membro della Comunità di Sant’Egidio, che ha presieduto la preghiera di oggi dice: “con tutta la nostra vicinanza e le condoglianze sincere, in modo importante e commovente abbiamo visto amati fratelli e sorelle a Mineo uniti per mostrare la loro solidarietà e la pace con la famiglia dei signori Solano e la gente di Palagonia. “Chi è tuo fratello?” ci siamo chiesti ed in silenzio abbiamo salutato i coniugi Solano ora nel paradiso celeste dove non vi è dolore. Auguriamo alle loro anime di riposare in pace e a noi che siamo su questa terra di vivere vivere in pace, amore ed unità, senza vendetta, senza più uccisioni tra fratelli”. Spiega Emiliano Abramo della Comunità di Sant’Egidio: “i giovani del CARA pregano per i due anziani uccisi a Palagonia mentre alcuni continuano a speculare sulla morte. Questa è la risposta spirituale di chi agli occhi di Dio non ha colore o passaporto, ma solo un cuore di carne che soffre spesso per il male del mondo e anche, banalmente, per i giudizi degli uomini. Noi italiani dobbiamo essere orgogliosi della nostra accoglienza e di appartenere a questa storia di uomini buoni e semplici, migranti, capaci di pregare e di commuoversi”
Migranti, una sfida globale. E’ questo il titolo della conferenza che si e’ tenuta stamattina al Palazzo dei COngressi di Tirana e trasmessa in diretta dal sito ufficiale della Comunita’ di Samnt’Egidio. Un titolo scottante, che si presenta come una vera e propria provocazione e che richiama un tema di estrema attualita’, nonche’ di emergenza. Una particolare attenzione e’ stata rivolta verso l’intervento di Daniela Pompei, della Comunita’ di Samnt’Egidio. All’interno del suo discorso, e’ stato infatti possible riassumere con estrema chiarezza e precisione la drammatica situazione dei profughi, e di come per anni l’Europa ha scelto di voltare le spalle a queste persone, discutendo piuttosto il numero di quote che eventualmente si sarebbero potute accogliere. Ma l’Europa ha tuttavia rucevuto un colpo, un colpo infertogli dall’immagine – che Daniela definisce “emblematica” – del piccolo Aylan. E da queste immagini che hanno fatto il giro del mondo, qualcosa si e’ finalmente svegliato. Ed e’ per questo che Daniela ha presentato al meeting una serie di proposte finalmente concrete per fronteggiare l’emergenza profughi. Tra le proposte, spicca senza dubbio la necessita’ urgente di riconoscere la protezione europea temporanea ai Siriani, organizzare un sistema di accoglienza fondati su una piu’ ampia cooperazione che coinvolga anche I cittadini, le associazioni, le diocesi e, soprattutto, rivedere il sistema di asilo e di immigrazione europeo. Fa senza dubbio un certo effetto vedere finalmente concretizzarsi delle proposte che non contemplino il ripudio di queste popolazioni che cercano asilo, ma e’ anche vero che queste iniziative comporteranno un imopegno non statico, ma progressivo, interattivo e che non potra’ realizzarsi senza una fitta rete di cooperazione non solo tra comuni cittadini, ma soprattutto tra I giovani. Laura Vesprini
Illustri rappresentanti delle Chiese e Comunità cristiane e delle grandi religioni del mondo, porgo a tutti voi i miei più rispettosi saluti ed esprimo la mia vicinanza spirituale all’Incontro Internazionale per la Pace che la Comunità di Sant’Egidio ha promosso a Tirana. Questi appuntamenti si susseguono nel solco tracciato da san Giovanni Paolo II con il primo storico incontro di Assisi dell’ottobre 1986. Da allora si è sviluppato un pellegrinaggio di uomini e donne di diverse religioni che, di anno in anno, fa tappa in diverse città del mondo. Mentre mutano gli scenari della storia e i popoli sono chiamati a confrontarsi con trasformazioni profonde e talora drammatiche, si avverte sempre più la necessità che i seguaci di diverse religioni si incontrino, dialoghino, camminino insieme e collaborino per la pace, in quello “spirito di Assisi” che fa riferimento alla luminosa testimonianza di san Francesco. Quest’anno avete scelto di fare tappa a Tirana, capitale di un Paese diventato simbolo della convivenza pacifica tra religioni diverse, dopo una lunga storia di sofferenza. E’ una scelta che condivido, come ho manifestato con la visita da me compiuta a Tirana nel settembre dello scorso anno. Ho voluto scegliere l’Albania come primo tra i Paesi europei da visitare, proprio per incoraggiare il cammino di convivenza pacifica dopo le tragiche persecuzioni subite dai credenti albanesi nel secolo scorso. Il lungo elenco di martiri parla ancora oggi di quel periodo oscuro,ma parla anche della forza della fede che non si lascia piegare dalla prepotenza del male. In nessun altro Paese al mondo è stata così forte la decisione di escludere Dio dalla vita di un popolo: anche solo un segno religioso era sufficiente per essere puniti con la prigione se non con la morte. Tale tristissimo primato ha segnato profondamente il popolo albanese, fino al momento della ritrovata libertà, quando i membri delle diverse comunità religiose, provati dalla comune sofferenza patita, si sono ritrovati a vivere insieme in pace. Per questo, cari amici, vi sono particolarmente grato per aver scelto l’Albania.Vorrei oggi ribadire assieme a voi quanto affermavo lo scorso anno a Tirana: «La pacifica e fruttuosa convivenza tra persone e comunità appartenenti a religioni diverse è non solo auspicabile, ma concretamente possibile e praticabile. La pacifica convivenza tra le differenti comunità religiose, infatti, è un bene inestimabile per la pace e per lo sviluppo armonioso di un popolo. E’ un valore che va custodito e incrementato ogni giorno, con l’educazione al rispetto delle differenze e delle specifiche identità aperte al dialogo ed alla collaborazione per il bene di tutti, con l’esercizio della conoscenza e della stima gli uni degli altri. È un dono che va sempre chiesto al Signore nella preghiera» (Discorso alle Autorità, 21 settembre 2014). E’ questo lo spirito di Assisi: vivere insieme in pace, ricordando che la pace e la convivenza hanno un fondamento religioso. La preghiera è sempre alla radice della pace! E proprio perché ha il suo fondamento in Dio,“la pace è sempre possibile”, come afferma il titolo del vostro...
In diretta da Tirana i Panel di #Peaceispossible 9.30 – Tirana International Hotel, Sala Akernia PANEL 2 – La pace è sempre possibile – in DIRETTA (italiano – inglese) Presiede Mario Giro Sottosegretario di Stato al Ministero degli Affari Esteri, Italia Intervengono Miriam Coronel Ferrer Presidente del Panel del Governo Filippino ai negoziati di pace per Mindanao Mauro Garofalo Comunità di Sant’Egidio Ignatius Ayau Kaigama Arcivescovo cattolico, Nigeria Dionysius Jean Kawak Arcivescovo ortodosso, Chiesa sira Aboud Sayeed Lingga Rappresentante del Fronte di Liberazione Islamico Moro, Filippine Marc-Antoine Pérouse de Montclos Istituto di Geopolitica, Francia Din Syamsuddin Presidente del Centro del “Indonesian Ulema Council” PANEL 6 – Una nuova alleanza tra umanità e ambiente – In DIRETTA 9.30 Hotel Rogner, Sala Conferenze PANEL 6 : Una nuova alleanza tra umanità e ambiente Presiede Maite Carpio Giornalista e regista, Italia Intervengono Athenagoras Metropolita ortodosso, Patriarcato Ecumenico Eugenio Bernardini Moderatore della Tavola Valdese, Italia Markus Dröge Vescovo evangelico, Germania Andrea Orlando Ministro della Giustizia, Italia Leopoldo Sandonà Responsabile del Programma del Festival Biblico di Vicenza, Italia Abraham Skorka Rettore Seminario Rabbinico Latinoamericano “Marshall T.Meyer”, Argentina
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