28 agosto 1963. Giornata afosa in una Washington ricca di folla. In quel pomeriggio, nonostante il clima avverso, ben 250.000 americani attendevano davanti il Lincoln Memorial un segnale, una svolta in un’ America ancora radicata ad una mentalità ottocentesca. Un singolo uomo mostrò le crepe di un’ America che, nonostante fosse fautrice di ideali democratici, non riconosceva una pari dignità sociale fra le diverse etnie nazionali. Uno stato che ogni 4 luglio giurava, con la mano sul cuore, fedeltà verso le patria ma soprattutto esaltava un’ ipocrita uguaglianza fra gli uomini. Quell’ uomo, con il suo celebre discorso “I have a dream”, riconobbe il dono, concesso dal creatore, di diritti inalienabili, tra i quali la vita, la libertà e la ricerca della felicita. Il sogno di Martin Luther King era il sogno di milioni di neri oppressi da una cultura razzista, cittadini che aspiravano a valori quali la fratellanza e la giustizia sociale. Il 1963 non era una fine ma un inizio. L’inzio di una rivoluzione culturale, l’ inizio della speranza, l’ inizio di una nuova convivenza. http://www.repubblica.it/esteri/2013/08/28/news/martin_luther-king-discorso-65443575/ 28 agosto 2013. Stesso scenario, stessa folla. 50 anni dopo, il protagonista però è, così vuole il fato, il primo presidente nero Barack Obama. Accolto da diverse figure del cinema e politiche, il presidente americano riprende i fili del suo predecessore per fare altri nodi. Riconosce l’ urgenza di ripartire dalle speranze passate per affrontare problemi sociali odierni. Per Obama non basta l’affermazione economica di una minoranza per ignorare il persistere di diseguaglianze estreme, dalle scuole alle carceri. Un salario dignitoso, un’ assistenza sanitaria per tutti, un’ istruzione di qualità per i figli: sono questi i punti della battaglia sui diritti civili. Nell’ America di oggi (e non solo) il sogno è ancora incompiuto. Il discorso di M.L.King è e sarà fonte di ispirazione per le generazioni future. Anche nei momenti più bui le sue parole risuoneranno nelle nostre menti e ci insegneranno a sperare. http://www.repubblica.it/esteri/2013/08/28/news/martin-luther-king_50_anni-65433896/ Ecco a voi il video. F. L.
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L’immagine che vedete è un titolo del Corriere della Sera online. Sotto la firma dell’autore c’è una barra ‘social’: vale a dire che questo giornale facilita l’interazione del lettore, che può dunque commentare e condividere la notizia con un click. Il dato preoccupante si registra alla prima funzione, dove si legge ‘soddisfatto 47%’. Ai tempi dei social network si può esprimere velocemente un’opinione, semplificata, plebiscitare, pseudo-statistica. Più o meno con la stessa civiltà di chi tirasse fuori la testa dal finestrino di un’auto in corsa e gridasse tutta la propria frustrazione. ‘Mi piaceeeeee’, ‘sono contrariatoooooo’ e così via. Ebbene, sul Corriere.it si può esprimere il proprio sentiment sulle notizie, per dire che quanto letto ci lascia: indignati, tristi, preoccupati, divertiti o soddisfatti. Tra le cinque emozioni, di cui due positive, i lettori (registrati) del Corriere così si sono espressi. Per netiquette, forse, dovrebbero limitarsi le opzioni per certe notizie. Ma il problema è ben altro. A.
«Quel giovane potevo essere io», in questo modo il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha criticato la sentenza di assoluzione di George Zimmerman, la guardia volontaria che uccise un anno fa Trayvon Martin, diciassettenne afroamericano. Nel quartiere recintato e multietnico di Sanford (Florida), Trayvon risiedeva presso la nuova famiglia del padre. Non aveva nulla a che fare con le irruzioni registrate negli ultimi tempi che erano motivo di tensione nella comunità. In una serata piovosa del febbraio 2012, un atteggiamento sospetto del giovane preoccupò Zimmerman, il quale prese a seguirlo. Dopo una violenta colluttazione sparò al ragazzo disarmato. Zimmerman è stato accusato di essere spinto da razzismo o dall’aver comunque tracciato un profilo razzista del soggetto nella telefonata alla stazione di polizia. Un’ipotesi alimentata dal solito caso mediatico: l’emittente NBC ha trasmesso un montaggio fuorviante, per il quale ha posto in seguito pubbliche scuse. Nelle registrazioni è possibile ascoltare che è esplicitamente richiesta l’origine etnica del ragazzo a fini identificativi. La risposta pubblica è stata confusa: disordini a Los Angeles, bandiere bruciate, una petizione su Change.org con oltre 2,2 milioni di firme a sostegno dell’arresto di Zimmerman, minacce di morte a quest’ultimo. Col senno del poi, la sentenza di assoluzione è sconvolgente solo per l’affermazione di un assoluto diritto di legittima difesa e non per una scongiurabile, terribile attenuante di razzismo. La congettura sulla matrice razzista dell’episodio sembra solo un grande errore politico. L’episodio è significativo delle resistenze culturali attivabili per non far bruciare il delicato circuito delle società democratiche. La lotta al razzismo non finisce con la proclamazione di Convenzioni e costituzioni pluraliste. Anzi, forse proprio queste rappresentano il punto di inizio. L’allarmismo e lo sguardo paranoico sulla realtà non aiutano. Il razzismo si combatte attraverso due canali: la concretezza e l’educazione. Innanzitutto bisogna rimuovere le barriere che non permettono l’integrazione e lo sviluppo dei diversi gruppi etnici: in sostanza, la segregazione razziale seppur espunta giuridicamente, si può sedimentare in forme sociali ed economiche, per cui è essenziale che, in nome della cittadinanza, tutti abbiano le stesse opportunità. In secondo luogo, l’osservanza di un siffatto modello sociale non può affermarsi senza una concordanza degli animi. È a dir poco criminale che proprio ‘i cittadini a cui sono affidate funzioni pubbliche’ si abbandonino a motteggi razzisti e a deteriori atrocità verbali. No, in un Paese civile non si può augurare a un ministro di colore, madre di due figlie, una violenza sessuale. E non la si può paragonare a un animale. (Perché viene dal Congo). La risposta dei più impuniti è: ”Se si confrontasse un bianco a qualsiasi animale, non accadrebbe lo stesso”. Nel merito dell’infelice battuta del (dis)onorevole Calderoli, basta galleggiare sulla superficie per cogliere il sofisticato improperio razzista. In ogni modo, il razzismo è un movente che spinge sempre a infrangere lo schermo della persona umana. Svincolare da certe oscene parole, quando financo la motivazione è evidente, è un doppio oltraggio. Ma è necessario più che mai giustamente indignarsi e quotidianamente impegnarsi per tessere un solido...
A catechismo ci hanno insegnato a “non rubare” e “non desiderare le cose altrui”, a casa ci hanno sempre detto che per avere qualcosa bisogna meritarsela, guadagnarsela o comprarsela, che rubare è un reato e che si finisce prima in prigione e poi all’inferno perché il furto è un crimine contro gli uomini (perché è contro la legge), e contro Dio (perché è contro i Suoi Comandamenti). Invece il mitico Gigi Proietti, nel lontano 1973, sotto la regia di Elio Petri in “La proprietà non è più un furto”, pronunciò un memorabile necrologio in memoria di un ladro “morto sul lavoro”. Vale la pena spendere tre minuti per ascoltare le immortali parole del Maestro, non tanto per esaltare la figura dei ladri (che criminali erano e criminali rimangono anche dopo questo monologo), quanto piuttosto per soffermarci a riflettere sulla figura degli ultimi, che loro malgrado reggono “l’equilibrio sociale e l’economia nazionale”. Se ogni tanto fossimo tutti dei bravi Proietti, in grado di guardare con altri occhi i molti che incontriamo sulle strade della nostra vita, dai poveri, agli stranieri e via dicendo, saremo sicuramente delle persone migliori. “È morto un ladro! Poteva essere uno di quegli uomini che passano da onesti, e invece no! Lui rifiutò l’ipocrisia, giocò tutte le carte allo scoperto. Non si nascose, non finse, non giocava in borsa, non sfruttava la gente. Rubava! Al mondo si presentava tale e quale era: un ladro! Ma che sarebbe il mondo senza ladri? Pensateci: quanti di questi “onesti” finirebbero sul lastrico? Quanti? Facciamo i conti: i fabbri, le fabbriche di serrature, di saracinesche, tutti i guardiani notturni, le forze dell’ordine, gli inventori di antifurto sempre più perfezionati, i portieri, gli avvocati, i giudici, i secondini, i direttori di penitenziario, gli assicuratori, i cani poliziotto… che farebbero senza i ladri? Che disastro sarebbe se un giorno tutti i ladri decidessero di smettere di rubare. L’economia nazionale andrebbe a rotoli! È ai ladri che la società deve l’ordine costituito e l’equilibrio sociale, perché rubando allo scoperto, coprono e giustificano i ladri che operano coperti dalla legalità.” Em.Me.
Dopo i casi tortuosi nord-coreani e siriani, questo post spetta di diritto a 2 stati entrati in collisione negli ultimi giorni. Il primo può essere riassunto dalla dicotomia amore-odio provata dagli stessi cittadini, il secondo lo ricordiamo purtroppo “solo” per il nome non propriamente raffinato e per le grosse risate fra gli studenti delle elementari. Chi sono? Italia e Kazakistan. Il lettore medio potrebbe pensare non conoscendo la materia:” Non mi dire. Non è guarito. Berlusconi è coinvolto con una Ruby kazaka”. Sarebbe stato comunque molto improbabile dato che il signor B. in questi tempi giudiziari ha la pressione al minimo e appare disinteressato persino al suo diletto più grande. No, l’ origine del problema risiede nella diplomazia e l’ Italia non è esente da colpe e incapacità. La storia inizia la notte tra il 28 e il 29 maggio in seguito ad un blitz in una villa di Casal Palocco di proprietà della kazaka Shalabayeva, moglie del dissidente politico Ablyazov. Il blitz, richiesto dall’ ambasciata kazaka(espressione della volonta del governo dittatoriale kazako) alla questura romana e al capo della mobile, non produce gli effetti di cattura sperati poichè Ablyazov ha ottenuto asilo politico come dissidente dall’Inghilterra . La moglie e la figlia subito dopo vengono messe su un jet privato,espulse dal nostro territorio e affidate ad un paese, il Kazakistan, che disapprova ogni forma di dissenso. Cosa stona in questa storia a parte la sfliza di nomi incomprensibili e difficili da ricordare? L’ Italia promuovendo l’ espulsione, ha agito contro il Testo Unico sull’ Immigrazione che dice espressamente:“in nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere soggetto di persecuzione per motivi di razza, di lingua, di cittadinanza, di opinioni politiche”. Bene. Il dado è tratto. Ora spetterebbe agli alti vertici riconoscere le proprie responsabilità. E invece no. Al Parlamento nessuno era cosciente(così dicono): da Angelino Alfano, ministro dell’interno, alla Bonino, ministro degli affari esteri. Il capro espiatorio risponde al nome di Alessandro Marangoni, capo della polizia, e probabile burattino di personalità di alto rango istituzionale. Le ripercussioni sono notevoli poichè coinvolgono la sfera politica ed economica. Con il Kazakistan i rapporti economici muovevano cifre da capogiro. Ammonta ad un miliardo di euro nel 2012 il valore degli scambi commerciali tra i 2 paesi. Per non parlare della mancanza di credibilità e fiducia che sta ottenendo il governo Letta all’ interno dei confini territoriali e a livello comunitario. In questo momento di ricrescita economica e sopratutto culturale l’ Italia richiede impegno,serietà da parte di ciascuno di noi, nessuno escluso. E se persino i diversi ministri lanciano il sasso e nascondono la mano, allora ragazzi temo che la strada sia lunga. Fabio Lazzari
Gli antichi Romani credevano che nel nome assegnato ad una persona fosse indicato il suo destino. La famosa locuzione latina “nomen omen” tradotta letteralmente, può significare: “il nome è un presagio”, “un nome un destino”, “il destino nel nome”, “di nome e di fatto”. Le ragioni per cui un papa sceglie un determinato nome sono tantissime e diverse tra loro. I papi moderni nella scelta del nome vogliono un po’ come “sintetizzare” il programma del proprio pontificato. Ecco come il Card. Bergoglio, una volta diventato papa, ricostruisce la scelta del suo nome pontificale. Quando nel Conclave si stava ultimando lo spoglio dei voti ed egli si stava rendendo conto di essere diventato Papa, alcuni pensieri presero corpo nella sua mente: “Non dimenticarti dei poveri!. E quella parola è entrata qui: i poveri, i poveri. Poi, subito in relazione ai poveri ho pensato a Francesco d’Assisi. Poi, ho pensato alle guerre, mentre lo scrutinio proseguiva, fino a tutti i voti. E Francesco è l’uomo della pace. E così, è venuto il nome, nel mio cuore: Francesco d’Assisi. L’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il Creato, in questo momento in cui noi abbiamo con il Creato una relazione non tanto buona, no? E’ l’uomo che ci dà questo spirito di pace, l’uomo povero… Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!”. Papa Francesco, il primo pontefice della storia a essersi chiamato così. In questo nome la sintesi del suo programma: i poveri, la pace, l’amore per il Creato; e poi… Una Chiesa povera per i poveri. E’ questa la sintesi della vicenda umana di Francesco d’Assisi, un ragazzo come tutti, figlio del suo tempo, che però ha saputo dare una svolta radicale alla sua vita, ha raccolto la sfida di provare a vivere il Vangelo “alla lettera” (così some era scritto), operando nei fatti quel cambiamento personale capace di “trasformare la storia”. C’è una famosa frase di Gandhi: “Sii tu stesso il cambiamento che vorresti vedere nel mondo”. Questa frase esprime bene il senso della vita di Francesco d’Assisi. Una vita eccezionale ma, allo stesso tempo “accessibile a tutti”, nel senso che ognuno può trarre ispirazione, replicandola nella propria epoca e nella propria condizione. La vita di Francesco d’Assisi è ricca di segni. Di seguito ne riportiamo tre. Francesco vince il suo terrore per i poveri baciando un lebbroso. Dei lebbrosi (che erano i più poveri tra i poveri) si provava un senso di schifo e ribrezzo; al tempo di Francesco d’Assisi ce ne erano molti e quando passavano tutti fuggivano. Francesco combatte il disprezzo per i poveri innanzitutto iniziando da sé, vincendo il senso di schifo che come tutti lo prendeva. Non solo non fugge, non solo si avvicina, ma lo abbraccia e lo bacia. Cade un muro, inizia una rivoluzione. Il mondo cambia. Francesco va fino in Egitto per dialogare con il Sultano, il capo dei mussulmani. Era il tempo delle Crociate. L’islam era il nemico, il male, il pericolo da...
Chiunque abbia frequentato lezioni all’Università da un centinaio di anni ad oggi, avrà avuto modo di constatare delle coincidenze sorprendenti. Molto spesso, infatti, i libri di testo sono scritti dallo stesso professore che ne ha “suggerito” l’acquisto, o dal collega che insegna nel corso parallelo. Non c’è nulla di male a suggerire il proprio testo, dato che spesso i professori proiettano in aula gli stessi schemi riportati nel libro, utilizzano la stessa notazione, e ripropongono gli stessi esempi: nulla di meglio per consolidare a casa gli insegnamenti ricevuti! Un volume costa mediamente tra i 30€ ed i 50€. Se si pensa che per conseguire una laurea triennale si devono sostenere una ventina di esami, nella migliore delle ipotesi la voce “spesa per libri di testo” alla fine dei tre anni segnerà un totale di 600€ (30€ x 20libri). Nella migliore delle ipotesi… Tale importo non finisce interamente nelle tasche degli autori – a cui viene riconosciuta solo una percentuale irrisoria del prezzo di copertina – ma viene distribuito tra i protagonisti del settore editoriale (chi stampa, chi trasporta, chi vende ecc.). C’è un modo per mantenere inalterati i guadagni degli autori e ridurre la “spesa per libri di testo” a carico degli studenti: la digitalizzazione degli stessi! Quanti autori sarebbero disposti rendere disponibili i propri capolavori in formato digitale? Perché dovrebbero farlo? Proviamo a rispondere a quest’ultima domanda analizzando pro e contro di questa idea: PRO 1)Riduzione del prezzo di copertina del libro (pari alla quota che oggi riceve dall’editore sul prezzo di copertina); 2)Riduzione dell’impatto ambientale dovuta al mancato ricorso alla carta, oltre che al mancato impiego di inchiostro; 3)Disincentivo all’acquisto di libri di testo fotocopiati illegalmente; 4)Possibilità di correzione “in tempo reale” degli eventuali errori contenuti nel libro di testo; 5)Possibilità di inserire contenuti multimediali (es. video esplicativi), e interattivi (es. modelli dinamici) 6)Eliminare il peso dei libri dalle borse e dagli zaini degli studenti CONTRO 1) Ripercussioni negative sulla filiera dell’editoria; 2) Diseducazione alla scrittura su carta e limitazione della gestualità al solo scorrere e schiacciare su uno schermo ULTERIORI PROPOSTE 1) Sviluppare un sistema di distribuzione di e-book (e simili) uni-personali, (simile ai software venduti on-line), atto a impedire la distribuzione illegale e la copiatura del prodotto, a vantaggio di chi non l’ha acquistato 2) Creazione di uno spazio in cui l’autore si rende disponibile a rispondere alle domande dei lettori (un forum). Se ti sono venuti in mente altre proposte, altri pro, o contro, scrivili in un commento qui sotto, ci aiuterai ad arricchire questo post. Grazie! Ti potrebbe interessare anche: COSA NE PENSI DEI TABLET NELLE SCUOLE? e LA VERGOGNA DEI LIBRI DI TESTO FOTOCOPIATI ...
Riceviamo e pubblichiamo la lettera e le foto di Lucia Florio, una Giovane per la Pace di Messina, sulla beatificazione di Padre Pino Puglisi dopo la cerimonia del 25 Maggio scorso. “Ciao a tutti! Sono Lucia, Giovane per la Pace di Messina. Vi voglio raccontare un sogno: è il sogno di tutti noi ragazzi che facciamo scuola della pace nei ‘quartieri’. Ogni settimana aiutiamo i nostri bambini a fare i compiti, regaliamo qualche sorriso e un pò di serenità… Ecco, questo è anche il sogno di Padre Pino Puglisi, “uno di noi”. Lui nel quartiere di Brancaccio a Palermo toglieva i ragazzi non solo dalla strada, ma li rubava alla mafia, e come sappiamo è stato ammazzato per questo. Il 25 Maggio è stato il suo e il nostro giorno, il giorno della rivincita. La Beatificazione di 3P (dalle iniziali del suo nome) è stat una festa non solo per Brancaccio e Palermo, ma per tutti noi che lottiamo giorno dopo giorno, per le nostre scuole della pace in tutto il mondo. Una delle frasi che Puglisi diceva era: “E se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto…”. Essere lì quel giorno con gli altri giovani per la pace, andare nel suo quartiere e sotto casa sua (dove gli hanno sparato), mi ha fatto capire davvero il significato di questa frase: ‘insieme si è più forti e l’amore è l’arma giusta per vincere!'” La Redazione
Alla casa della Comunità di Sant’Egidio a Tor Bella Monaca, periferia est di Roma, si è fatto un viaggio nel continente degli anziani; nel continente occidentale, in cui il progresso tecnologico ha allungato i tempi della vita. Anni in più che rischiano di esser svuotati di senso, se vissuti nella solitudine, alla periferia della vita, in cui ci si sente inutili. Con parole umane, dal tono letterario-scientifico a quello del racconto di vita, il libro La forza degli anni (maggio 2013), della collana I libri di Sant’Egidio, dona a giovani e famiglie lezioni di vecchiaia. Un libro che può cogliere le diverse sfumature di questa nuova stagione della vita; è scritto a più mani ed è il risultato di quarant’anni di alleanza con gli anziani. Nel pomeriggio del primo giugno, alla casa di Tor Bella Monaca, sempre più voci hanno indagato il segreto di quegli anni che, per mezzo dell’amicizia, possono rinnovarsi di novità e di fede, impreviste. Moderatrice dell’incontro Paola Cottatellucci, autrice del contributo “L’anziano, la famiglia e altre relazioni”. Ha fatto risuonare le parole di Maria, ultracentenaria: ‘I vecchi senza amore, muoiono’. Il viaggio nel continente anziano è iniziato attraverso le parole di don Francesco Tedeschi, Professore alla Pontificia Università Urbaniana, per il quale il dono di questo libro consiste nel ‘liberarci dalla paura con la coscienza di una forza che può far rinascere e guarire la nostra società, a partire dal legame tra anziani e giovani’. Legami in una famiglia senza confini, come la Chiesa di tutte le generazioni, della gratuità e dell’amore. Dopodiché, Laura Spazzacampagna, assistente sociale al municipio VII (ex X), nonché appassionata di antropologia, ha dato delle immagini della cultura del rispetto nei confronti dell’anziano in altre società: la vecchiaia, intesa come processo continuo e ininterrotto dalla nascita, ci avvicina a un patrimonio di sapienza, ereditato dagli avi. Ha in seguito rilevato le criticità dell’assistenza istituzionale agli anziani e di come questa possa essere rinvigorita dallo spirito e dalla creatività della Comunità. Segue l’intervento del Prof. Leonardo Palombi (Tor Vergata), attivo nel programma DREAM. Attraverso la lettura di alcune storie tratte dal libro, ha mostrato come ‘La forza degli anni’ capovolga la prospettiva di alcuni problemi. Dalla questione del burn-out degli operatori, ossia del logoramento di chi per mestiere si approccia ogni giorno alla sofferenza, alla questione del cuore, della domanda personale, da cui scoprire la potenza terapeutica, guaritrice, bilaterale dell’amicizia che ravviva una scintilla di umanità mai spenta del tutto. Prende, dunque, la parola il dirigente scolastico Fabio Cannatà (liceo Amaldi). In qualità di operatore della scuola, ha sottolineato come la mancanza di scolarizzazione minacci l’autosufficienza e di come la scuola, in diverse vesti, possa rappresentare un ponte tra giovani e anziani, tra scuola e territorio. Pertanto ha lanciato ai giovani l’idea di fare un corso di uso del computer per gli anziani. Non tanto per il c.d. digital divide, quanto per dare occasione ai giovani di dialogare con gli anziani. Si forma così un rapporto non facilmente definibile secondo i soliti schemi. Chi...
Riceviamo dall’Albania e volentieri pubblichiamo: La Comunità di Sant’Egidio in Albania (nella capitale, a Tirana) svolge un servizio con gli anziani. Lo facciamo una volta a settimana – di solito la Domenica pomeriggio – andandoli a visitare nell’Istituto dove sono ospiti (n.d.r.: Casa delle Suore di Madre Teresa di Calcutta), restando con loro circa un’ora fino al momento della cena. Ogni volta che gli anziani ci vedono arrivare, ci accolgono con gioia, come se ci avessero conosciuto fin da piccoli, come se noi fossimo i loro figli. Noi parliamo con loro, organizziamo giochi con la palla o il domino; a volte cantiamo, balliamo e quando viene l’ora della cena li aiutiamo a mangiare. Alcuni di loro non sono in grado di alimentarsi da soli e noi gli vogliamo ancora più bene per questo. Gli anziani ci raccontano la loro storia, quella della loro famiglia e nelle parole che escono dalla loro bocca ce n’è sempre una di gratitudine: ci ringraziano per quel poco che facciamo, per l’amicizia e la sincerità che ci unisce. Per molto tempo siamo stati in 15, tutti universitari, che partecipavamo a questo servizio, ma ora il numero è in crescita, soprattutto in queste ultime settimane grazie alle presentazioni della comunità che abbiamo fatto per i giovani, organizzando cinque incontri, all’università e in un liceo. Abbiamo poi fatto una grande festa per gli anziani, alla quale hanno partecipato molti giovani (universitari e liceali) che hanno visto quello che facciamo. Speriamo di aver lasciato loro una buona impressione in modo che si appassionino e tornino nel futuro! Ma noi non vogliamo fermarci qui. Faremo altri incontri, al fine di coinvolgere un numero molto maggiore di persone che vogliono aprire il loro cuore ai più poveri. Noi vogliamo essere sempre di più e ogni giorno vogliamo imparare a donare sempre più amore verso le persone che hanno bisogno. Vogliamo trasmettere a tutti questo ideale: l’amore è l’unica cosa che ci potrà salvare dai problemi e dal vuoto di questo mondo! Testo originale in albanese Komuniteti Sant’Egidio I Shqiperise meret me sherbimin tek te moshuarit. Kete sherbim ne e bejme nje here ne jave zakonisht te dielen dhe qendrojme me ta rreth nje ore e gjysem. Qe ne momentin qe te moshuarit na shikojne duke hyre ne deren e qendres ku jetojne tek ta shfaqet nje byzeqeshje e jashtezakinshme ,na takojne sikur te kishin vite qe na njohin sikur te ishin femijet e tyre. Ne bisedojme me ta, organizojme lojra me top,domino,nganjehere kenge, valle dhe kur vjen ora e darkes ne I ndihmojme duke shperndare ushqimin tek ta, disa prej tyre qe sjane te afte te ushqehen vete dhe ne I ushqejme me shume kenaqesi. Ata na tregojne per familjen e jeten e tyre madje dhe ne fjalet qe dalin nga goja e tyre eshte gjithmone nje falemderim ,ata na falemderfojme per dherbimin qe ne I bejme dhe per miqesine dhe sinqeritetin qe ne I trasmetojme dhe mbi te gjitha DASHURINE qe ne I japim atyre. Deri tani kemi...
“Mamma, oggi vado in biblioteca a studiare”. “Ma sei sicuro?”, dice la madre con gli occhi lucidi. “Sì, la fine dell’anno è alle porte. Il dovere mi chiama”. Luigi, sì, il nostro protagonista si chiama Luigi, raggiunge la biblioteca. Nel bus strapieno al nostro studente è difficile nascondere il leggero e pratico pranzo preparato dalla madre: una teglia di peperoni gratinati. Macchiandosi di sudore (altrui) per via del poco spazio, Luigi pensa al capitolo di fisica sui fluidi e si chiede come sia possibile che l’acqua non sia comprimibile quando il corpo umano ne contiene almeno il 70%. Si rassegna all’idea che quella compressione gli provocherà come minimo la perdita di qualche arto. Giunge finalmente in biblioteca. Un solo armadietto libero. Serve una moneta da un euro per attivare il meccanismo che permette di estrarre la chiave per chiudere l’armadietto. Quel congegno è sicuramente opera del male. Rovista, rovista nelle tasche e non trova la moneta. Neanche a dirlo, nessuno può ‘spicciargli’ la banconota da cinque. Luigi corre all’edicola, si compra un giornale a caso e finalmente ha la moneta! Occupa l’armadietto. Poggia i libri sul tavolo e inizia a studiare fisica. Non basta la voce gracchiante della prof. e l’immagine del suo prominente neo peloso che l’accompagna sempre quando studia fisica; la biblioteca è un concerto di rumori. Cosa non si fa per sfuggire dall’insidia di facebook e trovarsi un posto ‘neutro’ con poche distrazioni, e quei tanto cinematografici rumori di sottofondo che stimolano la concentrazione. Neanche per sogno: stavolta i colleghi topi di biblioteca vogliono vincere la gara in rumorismo. Uno starnuto da una parte – con tutto il timore che un getto provetto impiastri tutto il libro di matematica, incollando le pagine – una pernacchia dall’altra e alla fine arriva lei, sì, proprio lei, la diva della biblioteca. Ce n’è sempre una che cattura lo sguardo sognante di tutti. Ha un piccolo problema: i tacchi. E il pavimento della biblioteca si presta bene ad amplificarne il suono. Immancabile l’amica (brutta, ma con i tacchi), che l’accompagna. Ovviamente quel giorno non vogliono studiare, ma cercare un libro da una parte all’altra. Sembra un rodeo, anzi un maneggio, in cui i cavalli vanno al galoppo. To tlòc, to tlòc, to tlòc. In effetti la mascella dell’amica è molto sporgente. “Diamine!”, pensa Luigi che voleva studiare. Ma arriva anche il momento perfetto, tranquillo, in cui pensi di poter studiare tutto il capitolo e… passa il bibliotecario per dire: “Tra quindici minuti la biblioteca chiude”. A voi è mai capitato di voler studiare e di trovarvi nel posto più rumoroso del pianeta? I. A.
Don Pino Puglisi, ha sostenuto i primi passi dei Giovani per la Pace nel suo quartiere di Brancaccio (anche se allora portavamo un altro nome). Alcuni di noi lo hanno conosciuto, è stato nostro amico. Un uomo mite, ma forte. Oggi lo vogliamo ricordare con le parole di Papa Francesco all’angelus di ieri, dopo che il nostro amico è stato proclamato beato. Alziamo gli occhi da noi stessi, guardiamoci intorno, rischiamo di non accorgercene, ma può capitare di camminare accanto ai santi. “Cari fratelli e sorelle,ieri a Palermo, è stato proclamato Beato Don Giuseppe Puglisi, sacerdote e martire, ucciso dalla mafia nel 1993. Don Puglisi è stato un sacerdote esemplare, dedito specialmente alla pastorale giovanile. Educando i ragazzi secondo il Vangelo li sottraeva alla malavita, e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà, però, è lui che ha vinto, con Cristo Risorto. Io penso a tanti dolori di uomini e donne, anche di bambini, che sono sfruttati da tante mafie, che li sfruttano facendo fare loro un lavoro che li rende schiavi, con la prostituzione, con tante pressioni sociali. Dietro a questi sfruttamenti, dietro a queste schiavitù, ci sono mafie. Preghiamo il Signore perché converta il cuore di queste persone. Non possono fare questo! Non possono fare di noi, fratelli, schiavi! Dobbiamo pregare il Signore! Preghiamo perché questi mafiosi e queste mafiose si convertano a Dio e lodiamo Dio per la luminosa testimonianza di don Giuseppe Puglisi, e facciamo tesoro del suo esempio!” Papa Francesco, 26 Maggio 2013 La Redazione
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