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Anno: 2016
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Il commento di Alessandro dei GXP Roma allo storico discorso di Papa Francesco alla GMG
Sebastian IntelisanoL’invito del papa rivolto ai giovani nasce da un uomo che ha “preso contatto con la vita”, con le vite concrete e che si è lasciato coinvolgere dal Vangelo dei poveri per non dimenticare la sua città. Di fronte alla radicale proposta di vita di papa Francesco vengono in mente tutte le domande, le paure e soprattutto le illusioni dell’uomo, in tempi segnati dalle crisi e dal terrorismo: Non vinciamo la violenza con più violenza: non dobbiamo essere pronti al litigio, all’insulto e alla distruzione, ma alla pazienza di costruire una famiglia. Di fronte al male, e al bene, ci unisca “come migliore parola la preghiera”, che mette a tacere l’istinto di distruzione e ci fa costruire, perché “niente giustifica il sangue di un fratello e niente è più prezioso della persona che abbiamo accanto”. Non solo non giudichiamo, ma non tagliamo fuori quelli che vivono nella paura di credere che i loro errori e i loro peccati li abbiano estromessi per sempre dalla vita con gli altri. Confondere la felicità con un divano, con una vita di consumo e facili comodità, ha una grande prezzo: la libertà. La libertà è lasciare un’impronta nella storia e nella vita degli altri. L’intontimento invece è dato da droghe e vi sono anche droghe socialmente accettate che ci rendono ancora più schiavi, facendoci perdere il contatto con la vita. Possiamo sprecare giorni di fronte a un videogioco. Non è da stolti avere una vita piena di amici, in strada, per costruire una nuova famiglia che accolga tutti. Non solo misericordiosi ma anche attori politici, persone che pensano, animatori sociali. San Francesco, Madre Teresa, Charles de Foucauld hanno vissuto il mondo con una comprensione profonda e si sono fatti scuotere dalle parole del Signore che dicono: “Tutto quello che avete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”, come ricorda il papa nella presentazione della nuova applicazione DoCat. Questa comprensione del mondo nasce dalla misericordia, dall’aver incontrato il Signore nell’affamato, nell’assetato, nel malato, nel detenuto, nell’amico finito male, nel profugo e nel migrante, in chi è solo. Bisogna però sapere tradurre questa sapienza nel mondo in cui si vive ed anche questa è misericordia, è solidarietà. “In una mano la Bibbia e nell’altra il giornale” diceva il teologo svizzero Karl Barth. Questo ci aiuta ad avere una comprensione, un’intelligenza di un mondo non intelligibile. Il papa inoltre non dice che tutti i giovani sono inattivi e non si informano, anzi ricorda che ve ne sono alcuni, non sempre i più buoni, che finiscono per decidere per gli altri. I giovani possono farsi strumenti di messaggi di odio e organizzarsi a tal fine. E quelli che vogliono la pace? Non devono forse anche loro incidere e essere “attori politici”? Sì, e guidati da una logica diversa da quella data dal mondo, fatto di contrapposizioni e antagonismo. La grande immagine che viene nella mente e nel cuore del Santo Padre di fronte a tanti giovani, nel momento di preghiera, è allora...
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Cari giovani, buona sera! E’ bello essere qui con voi in questa Veglia di preghiera. Alla fine della sua coraggiosa e commovente testimonianza, Rand ci ha chiesto qualcosa. Ci ha detto: “Vi chiedo sinceramente di pregare per il mio amato Paese”. Una storia segnata dalla guerra, dal dolore, dalla perdita, che termina con una richiesta: quella della preghiera. Che cosa c’è di meglio che iniziare la nostra veglia pregando? Veniamo da diverse parti del mondo, da continenti, Paesi, lingue, culture, popoli differenti. Siamo “figli” di nazioni che forse stanno discutendo per vari conflitti, o addirittura sono in guerra. Altri veniamo da Paesi che possono essere in “pace”, che non hanno conflitti bellici, dove molte delle cose dolorose che succedono nel mondo fanno solo parte delle notizie e della stampa. Ma siamo consapevoli di una realtà: per noi, oggi e qui, provenienti da diverse parti del mondo, il dolore, la guerra che vivono tanti giovani, non sono più una cosa anonima, per noi non sono più una notizia della stampa, hanno un nome, un volto, una storia, una vicinanza. Oggi la guerra in Siria è il dolore e la sofferenza di tante persone, di tanti giovani come la coraggiosa Rand, che sta qui in mezzo a noi e ci chiede di pregare per il suo amato Paese. Ci sono situazioni che possono risultarci lontane fino a quando, in qualche modo, le tocchiamo. Ci sono realtà che non comprendiamo perché le vediamo solo attraverso uno schermo (del cellulare o del computer). Ma quando prendiamo contatto con la vita, con quelle vite concrete non più mediatizzate dagli schermi, allora ci succede qualcosa di forte: tutti sentiamo l’invito a coinvolgerci: “Basta città dimenticate”, come dice Rand; mai più deve succedere che dei fratelli siano “circondati da morte e da uccisioni” sentendo che nessuno li aiuterà. Cari amici, vi invito a pregare insieme a motivo della sofferenza di tante vittime della guerra, di questa guerra che c’è oggi nel mondo, affinché una volta per tutte possiamo capire che niente giustifica il sangue di un fratello, che niente è più prezioso della persona che abbiamo accanto. E in questa richiesta di preghiera voglio ringraziare anche voi, Natalia e Miguel, perché anche voi avete condiviso con noi le vostre battaglie, le vostre guerre interiori. Ci avete presentato le vostre lotte, e come avete fatto per superarle. Voi siete segno vivo di quello che la misericordia vuole fare in noi. Noi adesso non ci metteremo a gridare contro qualcuno, non ci metteremo a litigare, non vogliamo distruggere, non vogliamo insultare. Noi non vogliamo vincere l’odio con più odio, vincere la violenza con più violenza, vincere il terrore con più terrore. E la nostra risposta a questo mondo in guerra ha un nome: si chiama fraternità, si chiama fratellanza, si chiama comunione, si chiama famiglia. Festeggiamo il fatto che veniamo da culture diverse e ci uniamo per pregare. La nostra migliore parola, il nostro miglior discorso sia unirci in preghiera. Facciamo un momento di silenzio e preghiamo; mettiamo davanti a Dio...
Un passo dietro l’altro, racconti e preghiere per far conoscere la Storia, e che storia! I bambini delle Scuole della Pace di Padova e Verona hanno trascorso momenti intensi alla Colonia perchè hanno conosciuto quello che li ha preceduti. A pochi chilometri dalla casa, un cimitero inglese della prima guerra mondiale che ci ha colpiti ed emozionati. I bambini hanno ascoltato increduli e attenti le storie dei soldati e hanno seguito il percorso come un pellegrinaggio, uniti nella preghiera e attenti ad ogni nome di ogni lapide. I bambini, con la loro innocenza erano dei fiori che sbocciavano in quel campo così triste e che sospiravano in coro: “Mi dispiace, io non volevo” I bambini che chiedono scusa per colpe che loro non hanno, sono quelli che ci danno speranza per il futuro. Parliamo ai nostri ragazzi, parliamo a tutti perchè costruire un mondo di pace è possibile e loro sono il cuore dei nostri sogni!
I Giovani per la Pace si stringono alle famiglie colpite dal tragico attentato che ha colpito Monaco ieri 22 Luglio 2016. Siamo particolarmente commossi, perché i giovani, nostri coetanei, sono stati il primo bersaglio di questo gesto folle. È sempre più evidente che il clima di violenza che soffia nelle periferie umane ed esistenziali, che produce orrori come quello di ieri sera, vada fermato con un’azione pacifica di persone che in quelle periferie si impegnino per cancellare le disuguaglianze e le differenze. Questa tragedia mette tanti davanti ad una verità: è la violenza che crea questi drammi, non la religione, e ai tanti che continuano ad additare l’islam come colpevole, anche in un contesto in cui non c’entra nulla come quello dell’attentato di Monaco, noi vogliamo dire che questo è solo un modo populista per dividere ancora di più la società: attenzione, in una società divisa la violenza si insinua più forte. E l’Islam, non è un problema, ma ha un problema, quello di tanti di cattivi maestri che sfruttano questa religione per reclutare soldati per la loro causa tra i i giovani. Noi Giovani per la pace continuiamo ad invitare alla preghiera e ad unire la gente attraverso il nostro lavoro dove sono presenti le cicatrici del mondo e delle nostre città per costruire città vivibili, meno violente e dove la società sia finalmente la società del convivere, l’unica società possibile per sconfiggere la violenza
Troppo spesso leggiamo che l’accoglienza è un male, che l’integrazione è impossibile, che “non si possono accogliere tutti”. Noi abbiamo scelto per l’accoglienza e per l’integrazione, di coinvolgere i migranti che vogliono diventare nuovi europei nei nostri servizi, nella nostra vita, ed abbiamo scoperto una domanda di futuro e di pace a cui bisogna rispondere tutti insieme! Siamo giovani per la pace, ma siamo diventati un po’ più grandi ascoltando le parole dei migranti che ci ricordano che il male esiste, è dietro la porta, e noi da giovani per la pace, da Europei, da gente comune dobbiamo lottare, lavorare, pregare per fermarlo. A Catania ci sarà la #tregiornisenzafrontiere, dove europei e nuovi europei staranno insieme e creeranno un mondo unito. Segiuiremo sul blog e su facebook questo evento se non potrete venire a Catania il 9- 10 e 11 Agosto! Potete sostenerci anche dal mare, twittando con noi! In tutta Italia il lavoro dei gxp sta dimostrando che non è vero che l’integrazione è impossibile, ma bisogna sognare più forte della cattiveria che gira sul web e costruire il sorriso di queste immagini! Buona visione! PS: Per vivere queste immagini puoi iscriverti a “Tre Giorni Senza Frontiere“
Nell’ultimo anno abbiamo vissuto l’attacco feroce a Parigi, Bruxelles, Orlando, la morte di migliaia di migranti in mare, il risultato del referendum in Gran Bretagna. Siamo di fronte ad un’ Europa inerme, sempre più fragile, paralizzata dagli avvenimenti, incapace di restare unita. A Nizza sono stati uccisi molti bambini, nel Mediterraneo hanno perso i lori genitori e dalla Siria sono dovuti scappare perché la loro casa non era più un luogo sicuro. Minorenni innocenti che non hanno colpa di questa violenza e che sono stati sottratti alla spensieratezza della loro età. La violenza sta dilagando nelle nostre città, la libertà delle persone è messa a rischio e così abbiamo paura a viaggiare in aereo, ad utilizzare i mezzi pubblici, ad andare ad una festa in piazza. Cerchiamo di costruire barriere e muri per proteggerci, di allontanare lo straniero o meglio ancora di non farlo entrare nei nostri paesi. Ma è questa la soluzione al problema? l’Ignoto ci fa paura, il diverso ci destabilizza, ci stiamo chiudendo sempre di più in noi stessi. In questo momento storico, forse come non mai, è importante essere uniti, combattere contro i sentimenti di odio, aiutare le persone più deboli, quelle che hanno difficoltà ad arrivare a fine mese, le persone che non hanno un tetto, coloro che sono malati, senza pensare, ancora una volta, che non sono un nostro problema. Dobbiamo cercare di aprire i cuori, non avere paura di chi bussa alla nostra porta; porterà solamente più valore nelle nostre vite. Stiamo diventando una società sempre più multietnica, abbiamo bisogno che le nostre città siano pronte ad insegnare il vero significato della convivenza pacifica e dell’accoglienza. Noi giovani della comunità di Sant’Egidio siamo convinti che la pace sia possibile, entriamo nelle periferie delle nostre città poiché crediamo che l’integrazione sia una delle armi più efficaci contro la violenza che sta sconvolgendo i nostri paesi. Nel nostro piccolo stiamo cercando di far comprendere l’importanza della libertà e della fraternità. Martedì 19 luglio in via S. Anastasio presso la chiesa dell’Immacolato Cuore di Maria alle ore 19 abbiamo pregato insieme per ricordare tutte le vittime di questi attentati e per trasmettere un messaggio di solidarietà a tutti i paesi del mondo colpiti dalla guerra e oggetto di violenza. Come giovani non vogliamo perdere la speranza di poter ricucire le ferite che la violenza e la paura hanno creato nei nostri cuori, siamo consapevoli che sarà un percorso lungo ma soltanto insieme possiamo rendere la pace possibile. Giovani per la pace di Trieste
Poco meno di due anni fa, a Messina, iniziava il servizio per le persone che vivono in strada dei Giovani per la pace. Fra le tante persone che incontravamo girando la città ogni venerdì non mancavano mai due indiani, Gindar e S. Li trovavamo sempre davanti al tribunale, dormivano sdraiati su dei cartoni dentro un’aiuola, sotto gli occhi di una città intera, erano quasi sempre ubriachi, parlare con loro era veramente difficile, Gindar poi era malato, e peggiorava di settimana in settimana. Ricordo che di tanto in tanto, qualcuno che lavorava al tribunale portava loro qualcosa da mangiare e parlava anche con noi, altre volte invece li andavamo a trovare e le loro coperte non c’erano più perché gliele avevano rubate. La città però non era del tutto indifferente, non poteva esserlo. Percepivo un certo fervore nei loro confronti: una volta ci fu persino una protesta, per loro, di fronte al tribunale di cui non ricordo precisamente nemmeno il motivo. Ero perplesso dal fatto che tutto questo interesse fosse vuoto e passeggero, si parlava della vita di due persone come si potrebbe parlare di politica seduti al tavolino di un bar, in maniera un po’ campata in aria, giusto per parlare di qualcosa, mentre la vita di Gindar e di S. era appesa ad un filo. Infatti la batosta ci colpì all’improvviso, in una sera schifosa di un venerdì schifoso, eravamo al distributore di benzina sopra il tribunale, S. era lì, Gindar no: era morto, l’avevano portato in ospedale e non era più tornato. Eravamo tutti scioccati, S. era distrutto, da un giorno all’altro un nostro amico se ne era andato e noi non potevamo farci nulla. Non riuscivo ad accettare una cosa del genere, e mi faceva rabbia pensare che la morte di una persona passasse del tutto inosservata. Abbiamo pregato per Gindar, e da quel giorno abbiamo iniziato ad impegnarci tutti di più per S., che nel frattempo era dimagrito moltissimo e sembrava irriconoscibile: preparavamo dei panini solo per lui, gli facevamo visita sempre, anche fuori dal servizio, lo aiutavamo portandogli vestiti e coperte, rafforzammo quell’amicizia perché non volevamo che facesse la fine di Gindar, la fine più scontata secondo tutti. C’era comunque da fare un passo in più, lui stava male e andava portato in ospedale, convincerlo era quasi impossibile per mille motivi, ma alla fine accettò, aveva capito che era la scelta migliore. Così poco più di un mese fa, grazie all’aiuto di tanti lo portammo in ospedale, andavamo quasi sempre a fargli visita e lui intanto si curava e migliorava. Ha continuato a curarsi anche dopo essere stato dimesso, e adesso è stato accolto in una casa-famiglia dove potrà rimettersi in piedi. Se un anno fa mi avessero chiesto quale sarebbe stato il destino di S., non avrei saputo o voluto rispondere. Se ripenso a tutto quello che abbiamo passato insieme a lui, alle persone che ci hanno aiutato, ai progressi che ha fatto, rimango esterrefatto. Se penso che qualche mese fa quella persona...
Noi giovani europei, provenienti da Italia, Belgio, Spagna, Portogallo, Germania, Francia, Olanda, Svizzera e Gran Bretagna, ci siamo ritrovati qui a Parigi con la Comunità di Sant’Egidio, un anno dopo i terribili attentati terroristici che hanno colpito questa città e dopo l’attentato a Nizza. La nostra presenza qui rappresenta il rifiuto di lasciar vincere la paura e la chiusura in noi stessi, perché nessuno possa rubarci il nostro sogno, il sogno di cambiare le nostre città per cambiare l’Europa. Tutti diciamo con forza “change your city, change Europe”. Il nostro sogno è di riscoprire il sogno europeo. Lo stesso che ha creato l’unione tra i nostri paesi che ci ha permesso di vivere in pace in Europa occidentale sin dalla fine della seconda guerra mondiale. Ma questo sogno fallisce quando ci sono guerre e conflitti in Oriente, quando il razzismo è onnipresente, quando persistono le divisioni tra ricchi e poveri, giovani e anziani, tra chi viene dall’Europa e chi dall’Africa, Asia o Sudamerica. Si, questo sogno è fallito quando ci si rifiuta di accogliere rifugiati che scappano da regimi tirannici e dalla guerra, perché non è questa l’Europa che i suoi fondatori hanno sognato. L’ Europa che ci piace è quella che segue la chiamata di Papa Francesco, quando va ad accogliere i rifugiati, come in Germania dove ci sono migliaia di loro. l’Europa che ci piace è quella che si apre all’umanità come in Italia, quando costruisce corridoi o ponti per unire i paesi. Tutto questo ci fa credere che l’Europa possa diventare quella che noi sogniamo. Sogniamo un’Europa di amore e unità, forte nella solidarietà con i continenti più poveri e specialmente con l’Africa. Sogniamo un’Europa in cui non ci siano guerre, discriminazione, razzismo, un posto di accoglienza, di dialogo tra culture e di integrazione. Durante questo incontro a Parigi abbiamo meditato sui luoghi degli attentati terroristici e ascoltato la testimonianza di una persona che ha avuto il coraggio di affrontare questa violenza. Pertanto vogliamo rinnovare il nostro impegno a non cedere al ricatto del male e della divisione e invece a cercare sempre l’incontro con l’altro, con più determinazione a costruire ponti tra le persone. Ponti costruiti nell’amicizia e nella fiducia. Siamo la generazione che vivrà il futuro, per questo siamo la generazione che deve costruire questa Europa e noi pensiamo che possiamo cambiare quest’Europa, ma prima dobbiamo cambiare le nostre città a partire dall’amicizia con i poveri. E insieme potremmo dire “Change your city, Change Europe!”. Parigi 16 luglio 2016
“Sogno è l’unica parola che in questo momento mi viene in mente. I sogni di me e molti altri ragazzi che vogliono vivere e, molto spesso, vengono infranti. I sogni di un ragazzo che stamattina, dopo un anno in Giappone con in Intercultura, ha perso la vita sul treno Andria Corato con altre 20 persone, soprattutto ragazzi. Universitari e adolescenti pieni di sogni, pieni di ideali, pieni di qualcosa da lasciare al mondo. Noi come comunità di Sant’Egidio abbiamo una missione: portare pace e amore nel mondo. Noi siamo ragazzi che vogliono e hanno diritto di vivere e cambiare il mondo. Stop alla violenza, alla crudeltà, al male. Stop a ciò che ci rende impotenti. Abbiamo il mondo nelle nostre mani e dobbiamo cambiarlo, proprio come Francesco, fino a ieri, ha cercato di fare. Quasi impensabile perdere la vita così presto, con una famiglia che ti aspettava da un anno. Ed è proprio per loro che in questo momento prego. Perché loro, come me e molti altri, hanno sempre creduto in lui e continueranno a farlo. Ho un consiglio per tutti per quanto sia piccolo e ancora alle prese con il mondo: sognate. E voi grandi non smettete di credere in noi. Francesco aveva avuto il coraggio di intraprendere un’esperienza all’estero di un anno grazie a tutte le persone, partendo dai genitori, che hanno creduto in lui. Cerchiamo di creare un mondo pieno di amore e non smettiamo di credere nei nostri ideali e valori, partendo dai nostri bambini che sono il nostro futuro, il nostro mondo.” Marco Baracchia GXP Trieste PS: Venerdì 15 pregheremo per la Puglia a Bari alle 20.15 presso la Chiesa di San Giovani Crisostomo
Incontrarsi a Parigi nel tempo della Brexit e dell’Isis? E’ questo che faranno oltre 400 giovani della Comunità di Sant’Egidio da tutta Europa dal 15 al 18 Luglio per partecipare alla manifestazione “Change Your City, Change Europe” . Durante questi giorni i giovani per la Pace della comunità di Sant’Egidio parteciperanno a numerosi incontri per testimoniare la necessità di unità e pace, a partire dal cuore dell’Europa ferita dal terrorismo. Così nel tempo della Brexit, di un’Europa sempre meno interconnessa, di un pensiero che rischia di minare il dialogo tra le religioni a causa della follia terrorista, i giovani per la pace si propongono come giovani europei che vogliono cambiare il Vecchio continente a partire dalle sue periferie, dai suoi quartieri abbandonati, dal dialogo tra religioni. Periferie, quartieri e dialogo, è lì che troppi giovani soffrono l’esclusione e finiscono per fare scelte sbagliate, è da lì che bisogna partire. I giovani per la pace vogliono essere figli del pensiero che ha dato vita all’Europa grazie ai padri fondatori. E’ così che giovani italiani, inglesi, francesi, tedeschi impegnati nel cambiamento delle proprie città con la prossimità ai più poveri, si ritroveranno a pregare insieme al Bataclan teatro di un sanguinoso attacco terroristico, a partecipare a incontri pubblici sull’accoglienza e l’integrazione dei rifugiati, focus group sullo stato delle periferie europee, porteranno la loro esperienza di giovani impegnati in prima line e la condivideranno con tutti per trovare spunti e soluzioni. Sabato 16 luglio in un incontro pubblico in piazza i Giovani per la pace si ritroveranno tutti insieme per leggere un appello di pace. In un’Europa che si divide i giovani per la pace hanno scelto per l’unità, hanno scelto di non abbandonare nessuno e di costruire un’Europa dei popoli che nasca dall’attenzione ai più poveri. Se l’obbiettivo dei terroristi è spaventare per dividere e portare guerra, i giovani per la pace hanno deciso di unirsi per portare una cultura di pace, perché se la pace è sempre possibile, cambiare l’Europa è persino necessario. Seguici con l’hastag #ChangeYourEurope!
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