Il sangue è un tessuto come la pelle. Come nessuno oggi, reputandosi onesto, discriminerebbe un uomo dal colore della pelle, così un cittadino non dovrebbe più esprimersi con questa categoria superata: il diritto del sangue. Hai sangue italiano? Sei italiano. Anche se alle ultime analisi del sangue, quando ho chiesto al medico di controllare se il mio sangue fosse italiano – riconoscibile dal tipico rosso con sfumature bianco-verdi – ha strabuzzato gli occhi. Un po’ di storia: è il 1912, l’Italia sognava di conquistare la Libia, e il Parlamento del Regno approvava una legge sulla cittadinanza: ha cittadinanza italiana chi nasce da padre italiano, non importa dove; non la ha chi nasce da genitori stranieri in Italia, almeno che il neonato non abbia la fortuna di essere di padre ignoto o apolide o, se per qualche motivo, non possa seguire la cittadinanza del padre. Nel frattempo in Italia sorge la Repubblica (1946), entra in vigore la Costituzione (1948), eppure la legge sulla cittadinanza è affrontata di nuovo come materia organica solo ottanta anni dopo, nel 1992. Qualche assurdità1 era già stata corretta, tuttavia la legge del 1992 ribadisce il diritto del sangue (ius sanguinis, in latino) contro il diritto del suolo (ius soli), ammesso solo in pochi casi fortunati – come si diceva prima, genitori ignoti o apolidi2 e quindi conta il suolo sul quale sei nato. Alcuni contesteranno l’uso poco metaforico qui fatto della parola ‘sangue’. Il legislatore per ‘sangue’ intendeva quella trasmissione di principi e valori italiani che solo genitori italiani possono offrire! Non intendeva certo il liquido che ci scorre nelle vene! Il sangue è una metafora della cultura. E questa è una gran baggianata storica. Quando la cittadinanza veniva concessa al popolo italiano, il popolo italiano non esisteva. Pochi avevano ricevuto un’istruzione, pochi sapevano parlare o almeno comprendere quella lingua ‘calata dall’alto’, l’italiano. Una vera lingua comune, un “italiano standard”, si forma a partire dagli anni Cinquanta, anche grazie alla diffusione della televisione (si legga quest’interessante articolo). Insomma, guardando alla storia ci si accorge che la categoria (politica) della cittadinanza è sempre servita a unire, a costruire un popolo, e non banalmente a ribadire legami già esistenti. Si pensi alla cittadinanza dell’Unione Europea e a quegli ‘invisibili’ benefici che se ne traggono. Non è un caso che i Paesi delle primavere arabe abbiano posto al centro del dibattito la questione della cittadinanza, per costruire democrazie più forti. La cittadinanza è uno strumento della coesione. È espansiva per sua natura, perché deve allargare i suoi confini quando si trasforma in privilegio, da diritto che fu. I Giovani per la Pace sostengono dal 2010 la campagna per il diritto alla cittadinanza ‘Made in Italy’ per affermare un diritto della cultura: chi cresce e studia in Italia è italiano! La lunghezza del post mi invita a concludere: seguirà un articolo a breve sul dibattito di questi giorni in Italia sul tema della cittadinanza. A. —— 1. come la disuguaglianza giuridica e morale tra i coniugi: si noti che per...
Mese: May, 2013
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“Bisogna conoscere culture diverse, parlare con tutti, anche con i terroristi, e cercare di mettersi sempre nelle scarpe degli altri.” Così esordisce il grande musicista e cantante Peter Gabriel, che, in occasione dell’apertura del summit a Roma tra i premi Nobel per la pace del 2006, ci invita a riflettere su realtà e culture che al giorno d’oggi possono risultare remote ed inaccessibili. L’ex frontman dei Genesis ha cercato nei suoi svariati album solisti (in particolare in “III” e “IV”) di riportare in auge tradizioni e culture differenti affiancandosi artisti appartenenti al mondo africano e non, del calibro di Youssou N’Dour, Yungchen Lhamo e Nusrat Fateh Ali Khan, attingendone le sperimentazioni musicali che in seguito contribuiranno all’evoluzione della cosiddetta “world music”. Come importante esempio che risente degli influssi musicali della “world music” possiamo citare il terzo album solista “III” del 1980. Nel brano “Games Without Frontiers” il testo, ispirato ai giochi senza frontiere televisivi, da una parte dipinge una realtà sociale dove i giochi tra bambini costituiscono la soluzione alla violenza, dall’altra si fa ironico e prelude alla possibile guerra. In “Biko”, inno solenne scritto in memoria dell’attivista politico Stephen Biko, morto nel 1977 nella lotta contro l’apartheid, si può notare come le parole e la musica convergano in un vero e proprio canto africano. L’album “IV”, invece, è uno dei più grandi apporti di Gabriel alle lotte per la libertà e l’uguaglianza, che entra in sintonia con gli analoghi sforzi attivistici di Paul Simon (Simon & Garfunkel) . “Wallflower” introduce il tema dei Desaparecidos, “San Jacinto” confronta la società olistica dei pellerossa con la vuotezza dell’America dei fast food. Inoltre in questo album è esemplare il tentativo da parte di Gabriel di far coesistere le tradizioni musicali della cultura africana (“The Rhythm Of The Heat”) con le nuove tecnologie emergenti (ad esempio il nuovo sintetizzatore “Fairlight”, di lì utilizzato frequentemente dall’artista). Il cantante, che considera la musica una forma di comunicazione universale, vede nella conoscenza reciproca un fattore fondamentale per promuovere la pace nel mondo. Nella canzone “I Have The Touch” Gabriel sottolinea quanto il contatto, non solo mentale, ma anche fisico tra le persone possa risultare essenziale anche nella sua semplicità, e ciò assume il ruolo di un indispensabile gesto sociale (“The pushing of the people / I like it all so much”). L’interesse di Gabriel verso le culture lontane e meno conosciute ha gettato le basi per il movimento WOMAD (“World Of Music, Arts and Dance”), volto a diffondere tramite la musica la conoscenza e i valori di culture lontane e differenti dalla nostra. L’artista ha anche promosso il progetto “Witness”con l’obiettivo di di informare le persone degli abusi subiti tramite la distribuzione di mezzi video-informatici ai grandi attivisti che lavorano in loco. “E’ più difficile negare certe cose se sono state registrate con foto, video o testimonianze” conclude Gabriel al termine della conferenza. Pertanto la musica non solo è in grado di creare una rete umana fatta di popoli e culture variegati,...
La potenza delle immagini degli spari davanti Palazzo Chigi ha penetrato gli schermi delle TV, squarciato gli amplificatori delle radio, bucato le pagine dei quotidiani, insomma: ha travolto ogni mezzo di comunicazione. Sono immagini tristi, preoccupanti e cariche di simboli, indefiniti e pericolosamente interpretabili, che tuonano nel furore di queste rocambolesche giornate e in un gande periodo di crisi umana e economica. In tutto questo torna attuale un tema molto caro ai Giovani per la Pace, il tema della violenza. Sì, perché dopo i fatti di Palazzo Chigi, dopo una domenica che vedeva all’inizio cammino costituzionale il nuovo gioverno, la violenza è tornata a far paura, è tornata a dar traccia di se ma soprattutto e tornata a porci una domanda: cambiare senza violenza è ancora possibile ? Ha ancora senso parlare della necessità di una cultura della non-violenza ? Tutte domande che i Giovani per la Pace da tempo si pongono e pongono all’interno delle scuole, delle università e attorno alle quali spesso hanno invitato a ragionare. Il tema della violenza non è mai uscito fuori di scena, anzi si è rivelato assai presente e ha preso le somiglianze di un uomo disperato, con una crisi familiare alle spalle – legata al gioco di azzardo – e al dramma di arrivare alla fine del mese: elementi che ognuno di noi riscontra quotidianamente nell’amicizia con tanti uomini e tante donne in difficoltà. Potremmo dire, addirittura, che l’uomo di ieri poteva essere uno dei nostri tanti amici che spesso bussa alle nostre porte chiedendoci un aiuto. Il rumore degli spari ci fa riflettere e ci aiuta comprendere come quel “NO ad ogni violenza”, un concetto ribadito sempre con forza dai Giovani per la Pace, non è affatto fuori dalla storia e dal tempo che stiamo attraversando. La cultura della non-violenza, l’obbiettivo di cambiare tutto ma senza violenza, dunque, non è solo un’idea bella o qualcosa di condivisibile ma qualcosa di necessario. Diffondere la cultura della non-violenza vuol dire essere un argine a quel disagio sociale, a quella rabbia per giorni sempre più duri e faticosi che si avvertono camminando nelle strade dei quartieri, nelle piazze e nelle vie. La disperazione della gente – della gente per bene che ha speso una vita lavorando onestamente e che ha attraversato un mare di sacrifici – diventa qualcosa con cui fare i conti, diventa qualcosa da capire e a cui dare risposte credibili ma soprattutto umane. Urge il tempo di ripensarsi e di ritrovare all’interno delle città, attraverso un confronto serio e costruttivo, nuove risposte capaci di essere inclusive e di costruire alleanze per tutti. Colmare presto il divario tra chi ha e chi non ha, costruire alleanze a sostegno di chi è in difficoltà e costruire spazi di dialogo, di ascolto è il modo concreto con cui iniziare a contribuire ad un percorso di rinnovamento, in tempi di contrapposizione e rabbia. Mbaye Gueye
La mancia è un premio, un riconoscimento per ciò che si è fatto e come lo si è fatto. Infatti le mance vengono lasciate dopo aver ricevuto un servizio, non prima. Sono un invito a “fare sempre così, anzi, meglio”. In ogni paese ci sono consuetudini, e in certi casi addirittura regole diverse: http://it.wikipedia.org/wiki/Mancia. Nel dubbio sono sempre validi il galateo ed il buon senso. Persino Batman ha ricevuto una mancia! (Dal min. 2:35 al min. 2:50) L’entità delle mance, come riportato nella puntata di Ballarò del 18 febbraio scorso è un termometro indicativo della crisi economica. Come dichiara un cameriere “ai tempi della dolce vita ci si viveva con le mance”. Come osserva la iena Mr Pink, nel film “Le Iene” di Quentin Tarantino: “le cameriere al bar non fanno altro che il loro lavoro. Allora perché lasciare una mancia? E soprattutto perché ci sono dei fortunati che la società considera degni di mancia?” Il quesito sollevato da Mr. Pink, condivisibile, o no che sia, spiana la strada per molte considerazioni: ad esempio io non sono affatto contrario alle mance, ma non capisco perché nella nostra società si lascia una mancia ai tassisti, ma non agli ambulanzieri! Forse perché si percepisce il valore della gratuità. Esiste per caso qualcosa di più appagante di un GRAZIE sincero scandito ad alta voce e accompagnato da un bel sorriso? Per alcuni forse si, potrà sembrare addirittura un ossimoro parlare di “valore” della “gratuità”, ma si tratta di una realtà ben radicata nella nostra società: si vedano le onlus, le fondazioni, le associazioni, le comunità, i movimenti e tutte le iniziative che orbitano attorno al mondo del volontariato. È bello ricordare che gratuito e gratitudine derivano dalla stessa radice. Em.Me.
L’economia influenza sempre di più le vite di tutti noi. I Giovani per la pace in questo blog vorrebbero offrire qualche piccola indicazione per muoversi in questo mondo a volte complicato e sfuggente. Iniziamo con questo contributo. Restate collegati… Helga è la proprietaria di un bar, di quelli dove si beve forte. Rendendosi conto che quasi tutti i suoi clienti sono disoccupati e che quindi dovranno ridurre le consumazioni e frequentazioni, escogita un geniale piano di marketing, consentendo loro di bere subito e pagare in seguito. Segna quindi le bevute su un libro che diventa il libro dei crediti (cioè dei debiti dei clienti). La formula “bevi ora, paga dopo” è un successone: la voce si sparge, gli affari aumentano e il bar di Helga diventa il più importante della città. Lei ogni tanto rialza i prezzi delle bevande e naturalmente nessuno protesta, visto che nessuno paga: è un rialzo virtuale. Così il volume delle vendite aumenta ancora. La banca di Helga, rassicurata dal giro d’affari, le aumenta il fido. In fondo, dicono i risk manager, il fido è garantito da tutti i crediti che il bar vanta verso i clienti. Intanto l’Ufficio Investimenti & Alchimie Finanziarie della banca ha una pensata geniale. Prendono i crediti del bar di Helga e li usano come garanzia per emettere un’obbligazione nuova fiammante e collocarla sui mercati internazionali: gli Sbornia Bond. I bond ottengono subito un rating di AA+ come quello della banca che li emette, e gli investitori non si accorgono che i titoli sono di fatto garantiti da debiti di ubriaconi disoccupati. Così, dato che rendono bene, tutti li comprano. Conseguentemente il prezzo sale, quindi arrivano anche i gestori dei Fondi pensione a comprare, attirati dall’irresistibile combinazione di un bond con alto rating, che rende tanto e il cui prezzo sale sempre. E i portafogli, in giro per il mondo, si riempiono di Sbornia Bond. Un giorno però, alla banca di Helga arriva un nuovo direttore che, visto che in giro c’è aria di crisi, tanto per non rischiare le riduce il fido e le chiede di rientrare per la parte in eccesso al nuovo limite. A questo punto Helga, per trovare i soldi, comincia a chiedere ai clienti di pagare i loro debiti. Il che è ovviamente impossibile essendo loro dei disoccupati che si sono anche bevuti tutti i risparmi. Helga non è quindi in grado di ripagare il fido e la banca le taglia i fondi. Il bar fallisce e tutti gli impiegati si trovano per strada. Il prezzo degli Sbornia Bond crolla del 90%. La banca che li ha emessi entra in crisi di liquidità e congela immediatamente l’attività: niente più prestiti alle aziende. L’attività economica locale si paralizza. Intanto i fornitori di Helga, che in virtù del suo successo, le avevano fornito gli alcolici con grandi dilazioni di pagamento, si ritrovano ora pieni di crediti inesigibili visto che lei non può più pagare. Purtroppo avevano anche investito negli Sbornia Bond, sui quali ora perdono il 90%. Il fornitore di birra inizia...
I Giovani della Pace sono felici per la notizia proveniente dagli Stati Uniti. Il Maryland ha abolito la pena di morte, divenendo così il sesto stato americano ad abolire la pena capitale dal 2007 ad oggi. http://www.santegidio.org/pageID/3/langID/it/itemID/6799/Il_Maryland_abolisce_la_pena_di_morte.html
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