<< Non so come ringraziarvi per la vostra amicizia, siete la mia vita>>. Sono queste le parole con cui ci ha salutato Annamaria, una nostra amica anziana dell’Istituto di Via Alba nel quartiere di San Giovanni (Roma), alla fine della festa di Natale che abbiamo fatto giovedì scorso insieme ai liceali di varie scuole della zona. La numerosa partecipazione di giovani ha subito messo di buon umore le anziane ospiti dell’istituto, infrangendo così lo stereotipo degli anziani tristi, creando un clima di simpatia e affetto che ci ha accompagnato per tutto il pomeriggio. Le nostre amiche aspettavano da tempo questo particolare giorno di festa con lo stesso spirito con cui attendono la nostra visita ogni sabato: quelle tre ore a settimana passate in istituto, che sono solo un piccolo tassello del nostro tempo libero, per le anziane rappresentano una fonte di speranza durante tutte le giornate vuote passate in solitudine. Significativa è stata la gioia che hanno espresso all’arrivo di Paolo, uno dei primi ragazzi con il quale abbiamo iniziato questa bella amicizia tra generazioni, che dopo tre mesi di Erasmus è venuto a trovarci, rendendo ancor più unico questo pomeriggio di festa. La commozione e la felicità delle anziane hanno toccato i nostri cuori specialmente quando abbiamo visto il video con le foto più belle di questi anni di amicizia vissuti insieme. Lasciare un dono ad ognuno di loro è stata la testimonianza del legame personale che ci unisce.Questo è per noi il vero senso del Natale: non limitarsi alla frenesia dei regali e del susseguirsi di cenoni con i parenti, ma trovare il tempo per mettere al centro chi nel corso dell’anno vive ai margini della nostra società. Da quest’anno hanno cominciato a sperimentare questo significativo modo di festeggiare il Natale anche alcuni ragazzi di una parrocchia di Riccione ai quali abbiamo fatto visita. Siamo andati infatti a trovare insieme a loro i 40 anziani che vivono nell’Istituto “Nuova Primavera”. Nel loro caso questo Natale alternativo, arricchito dall’incontro con il prossimo, è stato l’inizio di una nuova bella amicizia e il loro entusiasmo ha dimostrato che c’è veramente più gioia nel dare che nel ricevere. Roberto Barrella
Anno: 2013
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La morte di un senzatetto non fa notizia. Non urge nemmeno trovare una soluzione, o già porsi il problema dei tanti senza dimora costretti dalle condizioni economiche a vivere ai margini della società. È inumano passare oltre rispetto a queste notizie: solo nell’ondata di freddo del febbraio 2012, in Italia, hanno perso la vita 57 persone. Nel resto d’Europa se ne sono contate almeno altre 600. Da diverse settimane l’Italia è entrata nel clima invernale. E il calendario delle stragi sembra continuare il suo corso: i naufragi nel Mediterraneo in estate, i clochard privi di vita nelle strade d’inverno. Ci uniamo al dolore, espresso anche dal Papa, per la morte dei senza dimora. Per la morte dell’uomo trovato ieri nel parcheggio del Gianicolo. Riportiamo l’articolo apparso su Repubblica: Clochard morto vicino al Vaticano Il Papa: “Profondo dolore” la Repubblica, 11 dicembre 2013 L’uomo è stato trovato nel parcheggio del Gianicolo, vicino a Piazza San Pietro. Il Pontefice nel documento Evangelii gaudium aveva denunciato la scarsa attenzione per la morte di un senzatetto. “Profondamento addolorato“. Così si è detto Papa Francesco nell’apprendere che un clochard è stato trovato morto ieri nel parcheggio del Gianicolo, a ridosso di piazza San Pietro. Il Pontefice si è rammaricato per il silenzio sul fatto di cronaca. Proprio Bergoglio, infatti, nel suo recente documento “Evangelii gaudium” aveva denunciato come la morte di un senzatetto non faccia notizia. Uno scritto fortemente dalla parte dei poveri e degli ultimi, dove con parole semplici ma vibranti il Papa si indigna per fatti come questi. “Non è possibile – scrive – che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada mentre lo sia il ribasso di due punti di Borsa”. Da settimane ormai decine di senzatetto passano la notte intorno alla piazza come ha raccontato “Repubblica”. Lungo via della Conciliazione, quando scende la notte e calano le saracinesche su vespri e novene, ogni gradino diventa casa di uomini e donne diseredati, rifugiati, ammalati, anziani dimenticati. E proprio in quell’area vicino al Vaticano, il Pontefice di recente ha mandato il fidato elemosiniere, il polacco don Konrad Krajewski, perché sia il suo braccio della carità. Quella zona, popolata di notte dagli “ultimi” della città, dove anche lui, se potesse affidarsi solo all’istinto, andrebbe in prima persona per aiutare, confortare, soccorrere. La Comunità organizza ogni anno, in prossima del Natale, una raccolta speciale di generi di prima necessità, coperte e vestiti per i pranzi di Natale e per il sostegno delle persone senza fissa dimora.
Roma, immigrato ustionato denuncia: “Mi hanno dato fuoco in un cassonetto”. Non è la prima volta che gli immigrati, i senza dimora e i “diversi” sono vittime di episodi di razzismo e di violenza gratuita. L’altro ieri a Verona quattro ragazzi “perbene”, all’uscita da una discoteca, hanno sparato proiettili di gomma su alcune prostitute. A Roma è già successo tante volte che, per noia o per fastidio, ci si accanisca su chi è indifeso dal disprezzo e dalla stupidità altrui. Per questo esprimiamo la nostra solidarietà a Rachid, e speriamo si riprenda presto dalle ferite e dallo spavento. E vogliamo invitarvi tutti, giovedì prossimo, 12 dicembre, a un incontro del corso “Parole degli uomini, Parola di Dio” in cui rifletteremo insieme sul senso della festa ed ascolteremo la testimonianza di un a persona senza dimora.
“Cari ragazzi e care ragazze”. Ecco come Tamara Chikunova., fondatrice dell’associazione “Madri contro la pena di Morte e la Tortura”, apre l’incontro del 28 novembre nell’aula magna dell’Università Lateranense. Si rivolge a un pubblico di 1600 studenti, come una mamma, e in effetti è così che la chiamano i suoi amici condannati a morte. Una storia di rabbia, di violenza ma soprattutto di grande perdono, il perdono che ha dato a Tamara la grinta necessaria per cominciare la sua lotta contro la Pena di Morte. Perché perdere il sonno per un condannato a morte? La sua storia comincia il 17 aprile 1999, in Uzbekistan, con l’arresto del figlio Dimitrij, condannato a morte per un delitto che non aveva commesso. Troppi sono stati gli insulti e le violenze – fisiche e psicologiche – che Tamara ha dovuto subire per tentare di salvare Dimitrij. Quella del figlio è stata infatti una condanna avvenuta con uno sporco ricatto, con una confessione falsa da firmare davanti a se e la cornetta del telefono vicino l’orecchio, con cui poteva sentire le grida della mamma picchiata dai poliziotti. Così ha inizio il processo. Sin dall’inizio dell’udienza il giudice mette in chiaro che Dimitrij sarebbe stato condannato a morte. La sua sorte, ormai, era già stata decisa. Persino l’avvocato della difesa di Dimitrij firma dichiarazioni contro di lui. Tre giorni dopo, la notizia è resa pubblica: Dimitrij Chikunova Condannato a morte per omicidio. I momenti per parlare col figlio sono pochi, circa un incontro al mese. Il 10 luglio 2000 Tamara va a trovare Dimitrij in carcere, ma l’incontro non avviene: quella mattina, infatti, suo figlio è uscito di cella per la sua esecuzione. Da quel giorno ha inizio la guerra di Tamara contro la società disumana dell’Uzbekistan e del mondo intero. E’ così che è nata la sua associazione, insieme ad altre donne coraggiose e “piccole” come lei che hanno voglia di umanizzare il nostro mondo. Perché, si chiede Tamara, questa crudeltà contro suo figlio? Perché dio l’ha voluta punire? E poi l’incontro con la Comunità di Sant’Egidio e con don Marco. “ Devi perdonare tutti”, le dice. “Avevo un problema” confida Tamara. “Non dormivo. Per mesi era come se avessi una sete dentro di me. Era la sete di vendetta. La vendetta è una cosa tremenda, ti distrugge dall’interno: non ti fa dormire, non ti fa vivere”. E come darle torto? Dopotutto la pena di morte ricorda molto una vendetta. Forse è per questo che uno stato che utilizza la pena capitale non è in grado di mantenere un ordine tra i cittadini e presenta un enorme tasso di criminalità. E’ la vendetta che si respira nell’aria, che viene promossa dalla legge. Se lo stato per primo commette un omicidio, come fa a dare l’esempio al cittadino? “ Mi dissero di perdonare” rivela Tamara. “ E ho perdonato tutti. Ho perdonato coloro che hanno picchiato e ucciso mio figlio. Ho perdonato anche quegli amici che dopo la morte di Dimitrij mi avevano abbandonata. E...
In occasione dell’importante iniziativa “Città per la vita” della Comunità di Sant’Egidio molti giovani italiani hanno avuto la possibilità di incontrare persone eccezionali. Nei prossimi giorni racconteremo alcuni di questi incontri.Iniziamo con un post scritto dagli studenti del Liceo Labriola di Ostia sull’incontro con Shujaa Graham avvenuto il 3 dicembre nella sede della Comunità di Sant’Egidio di Ostia a cui hanno partecipato più di 300 studenti da diverse scuole del quartiere. Gli ultimi cinque anni benchè fuori dal carcere erano stati tormentati a parte qualche breve sprazzo di felicità. Dopo il braccio della morte aveva confessato diverse volte di desiderare di non essere mai nato e di aspettare con ansia il trapasso. Poco dopo il proscioglimento, la sorella Annette lo aveva visto davanti alla finestra della cucina come in trance. Ron le aveva preso la mano e le aveva detto :<< Prega con me, Annette. Prega il Signore che mi prenda adesso>>. (John Grisham, l’Innocente. Tratto dalla storia vera di Ron Williamson per anni detenuto nel “Death Raw”, rilasciato 5 giorni prima della condanna). Questo non è il caso di Shujaa Graham. Shujaa nasce a Lake Providence in Louisiana nel 1951. Da ragazzo si trasferisce a Los Angeles dove entra a far parte di una gang di criminali, per sentirsi forte, protetto, migliore, sicuro. Passa la sua adolescenza in riformatori e a 18 anni viene trasferito nel carcere di Soledad prison. Mr. Mohammed, un amico quarantacinquenne che conobbe dentro la prigione, gli insegnò la storia lo educò e proprio nel carcere cominciò a combattere per i diritti umani appoggiando le tesi di Malcom X e Martin Luter King. Venne accusato di aver ucciso una guardia carceraria. D’altronde accusare un afroamericano che lottava per i suoi diritti, era comodo a molti.Iniziarono i processi, la condanna; iniziarono gli anni nel Death raw (braccio della morte). Commosso, Shujaa ci racconta dei pestaggi ricevuti dalle guardie carcerarie, prima in un ascensore per 5 minuti poi in una stanza dove 12 guardie lo hanno picchiato per 30 minuti. Non pensava sarebbe sopravvissuto. Ma Shujaa voleva vivere con tutto se stesso, non ha mai pensato al suicidio; come si fa a non pensare di riottenere la libertà e di smettere di soffrire quando vieni torturato, picchiato, annullato, quando vivi per tre anni in una cella di più o meno due metri quadrati dove il massimo movimento consente l’apertura delle gambe? Dopo undici anni nel braccio della morte venne rilasciato. Shujaa è stato annullato di un’identità,privato di ogni diritto. Dopo la condanna a morte, Shujaa venne privato della vita. Poi arrivò quel Marzo 1981. Venne liberato, di colpo un uomo annullato viene costretto a portare il peso della libertà sulle spalle che grava come un macigno. Shujaa voleva vivere con tutto se stesso,ma non è facile per niente riabituarsi alla vita. Non ho mai conosciuto uomo più libero, ho pensato uscendo dalla conferenza tenutasi il 3/12/2013. La libertà è un diritto. Credete tutti di avere diritto alla vita? Non è così. L’uomo si crede creatore, toglie la vita...
La vita dello studente sotto un’ ottica umoristica. Ammettiamolo senza troppa ipocrisia. Almeno una volta nella nostra carriera universitaria (dico una per essere ottimista, sia chiaro) ci siamo divertiti a sminuire l’ importanza di altri dipartimenti. Ebbene si, anche a te è capitato di puntare il dito contro la vita universitaria di amici dimostrandogli l’ inutilità e soprattutto la facilità del loro corso di studi rispetto al tuo. Visto che la tendenza è sempre quella di difendere la propria amata sede, in questo post si mostreranno i luoghi comuni, le leggende metropolitane di ogni facoltà con i propri pro e contro. Il post non vuole colpire qualcuno in particolare e salvare invece qualcun’ altro. Noterete che nessuno verrà risparmiato. Buona lettura. MEDICINA Iniziamo ovviamente dall’ elité universitaria per antonomasia. La categoria dei medici è la più spocchiosa che possa esistere e la più odiata da tutto il mondo universitario. Gli aspiranti medici iniziano la loro carriera sentendosi come Vittorio Sgarbi nei programmi Tv. Dire 17 volte “capra” conferisce al critico d’ arte una certa onnipotenza e superiorità verso l’ interlocutore. Così gli studenti si sentono verso le future anime disoccupate degli altri dipartimenti. Peccato che il fomento durerà poco. Incominceranno a maledirsi dopo l’ ennesima serata rinchiusa a casa mentre gli amici faranno baldoria a destra e a manca. Inutile dire che dei 9274 iscritti del 1° anno, solo 50 o poco più riescono a superare il cosiddetto Rubicone. Appellativo: Quaquaraquà PSICOLOGIA Dipartimento stracolmo di gente psicolabile in cerca dell’ illuminazione, dell’ essenza della vita. In alcuni casi tra gli iscritti si trovano madri di 20 anni con 4 figli e il compagno al carcere di Rebibbia alla disperata ricerca di un aiuto oppure persone in crisi esistenziali pronte ad arrivare persino in Burkina Faso pur capire se le zebre sono nere a strisce bianche o bianche a strisce nere. Purtroppo il docente medio è rappresentato da Gigi Marzullo, capace di tenere un lezione intera sul nuovo giorno che è appena finito e il nuovo giorno che è appena iniziato. Gli studenti usciti da questa sede universitaria (con le dovute eccezioni fortunatamente) arriveranno alla tomba di Freud e ci seppelliranno vivo lo stesso Marzullo. Appellativo: Poeti maledetti GIURISPRUDENZA Terminato l’ esame di maturità si giunge alla dolente scelta di vita. Coloro che sono indecisi sul da farsi, scelgono senza rigore di logica questo pazzo dipartimento. Eh si, perché giunti alla prima lezione le uniche parole che si riescono a comprendere sono il nome e cognome del professore. Diritto è ovunque e ti perseguiterà persino al bagno dell’ università dove troverai scritti sul muro articoli della costituzione, leggi ordinarie e cosi via. Gli iscritti al primo anno non capiscono che in Italia ci sono più avvocati che venditori ambulanti di fazzoletti Scottex. Nonostante questo imperterriti continuano la loro carriera sperando di diventare un giorno i nuovi paladini della giustizia. Impossibile non descrivere il conformismo femminile in questo dipartimento. Infatti le ragazze sono fatte con lo stampino. Portano tutte quante quelle maledette borse (Gucci o Vuitton ovviamente) con quel maledetto braccino alzato. Mi consolo pensando che l’ artrosi sarà la loro compagna negli anni futuri. Appellativo: Diavolo veste Prada SCIENZE POLITICHE Questa...
Pubblichiamo l’articolo di Matteo sulla mostra La crisi / Le crisi, esposta di recente a Roma Tre. L’articolo è stato pubblicato su Trevolution, rivista di Studenti alla Terza. Dal 18 al 22 novembre 2013 i Laboratori d’arte della Comunità di Sant’Egidio hanno esposto dipinti, installazioni, video-opere e testi presso il dipartimento di Giurisprudenza. La mostra, intitolata “La crisi/Le crisi”, ha presentato opere di persone con disabilità, invitando gli studenti e i docenti di Roma Tre a votare la loro opera preferita. Esodo, lavoro collettivo Attraverso diverse forme espressive le persone con disabilità hanno comunicato in maniera efficace il loro pensiero e il loro sguardo sulla realtà. Ne è emersa una lettura originale dell’attuale crisi economica, ma anche un’analisi di tante altre situazioni di “crisi” – culturale, sociale, esistenziale – che gli autori delle opere descrivono senza indulgere al pessimismo. Al contrario, il loro modo di guardare la realtà è spesso percorso da una vena giocosa e (auto)ironica. È il caso dell’installazione di Daniela Perri dal titolo Dopo la crisi. Liquefatta, che si è aggiudicata il secondo premio della giuria popolare: in quest’opera l’artista ha giocato sulle sue crisi (epilettiche), auspicando una possibile ed emergenziale via di fuga. Senza negare le difficoltà che le situazioni di crisi creano o acuiscono anche nel nostro paese (come in La crisi alimentare di Maria Grazia Galleoni, quinta opera più votata), le persone con disabilità non mancano di provocare nell’osservatore la sorpresa per il modo diretto e anticonformista di prospettare possibili soluzioni. Il primo premio è stato assegnato all’installazione Esodo, lavoro collettivo del Laboratorio d’arte della Comunità di Sant’Egidio (nella foto). Gli artisti hanno voluto rappresentare la crisi che ha percorso negli ultimi anni tanti paesi africani, spingendo migliaia di persone a rischiare il viaggio attraverso il Sahara e il Mediterraneo, alla ricerca di un approdo in Europa. La simbologia giudaico-cristiana richiama la necessità di approfondire le radici culturali e spirituali per rinvenire le risorse per uscire rinnovati dalla crisi. Una delle artiste con disabilità, Hirseyo Tuccimei, che è nostra collega a Scienze della Comunicazione, ha scritto nella poesia “Tutto può cambiare”: “Piuttosto conviene sperare per gli altri che amareggiarsi per sé / Piuttosto conviene accogliere i profughi che rimanere egoisti / Piuttosto conviene fare il piccolo passo alla nostra portata che aspettare il salto in avanti impossibile / Piuttosto conviene impegnarsi ogni giorno che stare a guardare / Piuttosto conviene provare a lottare che unicamente lagnare”. Sì, tutto può cambiare. Se l’impegno dei singoli viene condiviso e diviene progetto comune. Se l’università sa cogliere le sollecitazioni che vengono dall’esterno e non si chiude nei suoi problemi. Se la solidarietà non si limita ad offrire soluzioni episodiche e diviene il modo normale di affrontare le difficoltà di tutti. Matteo Cavicchioli, Giovani di Sant’Egidio (fb) Puoi visitare virtualmente la mostra accedendo a questa galleria: clicca qui.
A partire da inizio settembre a Milano hanno iniziato ad arrivare consistenti gruppi di profughi in fuga dal conflitto che infuria attualmente in Siria. Milano, tuttavia, non sembrava essere la destinazione finale, ma solo una città di passaggio per raggiungere la vera meta: l’ Europa del Nord. Poiché le autorità inizialmente non si erano accorte dell’urgenza della situazione e non avevano adottato alcuna misura, gruppi di giovani con la Comunità di Sant’Egidio si sono recati in stazione centrale. L’allarme era arrivato dall’associazione dei “Giovani Musulmani”, ragazzi e ragazze di seconda generazione che già da settembre incontravano i profughi in stazione e li proteggevano da coloro che tentavano di approfittarsi della loro disperazione. Le famiglie dormivano per terra sui mezzanini della stazione e il loro bisogno di partire li portava persino a risparmiare sul cibo. Studenti del liceo classico Carducci venuti a conoscenza della grave situazione, si sono mobilitati per prestare aiuto, alcuni raccogliendo coperte e vestiti pesanti a scuola durante il giorno, altri di sera recandosi in stazione per distribuire beni di prima necessità, e ascoltare le loro storie! Dopo alcune settimane il comune ha allestito per i profughi centri di accoglienza dove possono soggiornare prima di ripartire. Noi siamo andati due domeniche di seguito a trovarli per capire meglio che cosa avevano passato in Siria e per farli sentire un po’ meno soli e dimenticati in un paese straniero. Ci ha molto colpito la storia di Alì, un giovane siro-palestinese di 17 anni, scappato da Damasco. Ci ha raccontato che nella capitale il suo quartiere era stato assediato, la sua scuola bombardata ed era impossibile viverci. Tuttavia, come tutti, Alì non avrebbe mai voluto lasciare il suo paese, ma si è trovato costretto a causa della situazione. Molti, come lui, sono doppiamente profughi: scappano, infatti, dai campi profughi palestinesi sorti in Siria dal 1948. Noi ci auguriamo che Alì e tutti gli altri profughi riescano a raggiungere la meta che desiderano senza correre il rischio di essere bloccati alle frontiere!
I giovani non trovano lavoro, non hanno opportunità, né vale la pena per loro darsi da fare, in tempi di crisi. La crisi impoverisce i giovani, in tutti i sensi. Oppure, c’è una speranza e la realtà, a partire da quella giovanile, non è così tragica. Il pessimismo, in verità, è una profezia che si avvera da sola. Avvertite anche voi che i giovani sono la speranza del futuro? Riportiamo una breve lettera al Corriere della Sera del nostro amico Massimiliano, pubblicata il 25 novembre, per cercare di dare insieme una risposta. Oltre la crisi Non più bamboccioni Condivido l’articolo di Giovanni Belardelli (Corriere, 23 novembre) che osservava che la crisi ‘ormai è dentro di noi’ e invitava a ‘rompere la spirale di un pessimismo che rischia, inevitabilmente, di autoavverarsi’. Sono dottore di ricerca e ricercatore (precario) in un’università romana. Conosco un po’ l’ambiente universitario, anche perché coordino le attività della Comunità di Sant’Egidio tra i giovani di Roma. Mi capita sempre più di vedere ragazzi pronti a imparare e faticare, ben diversi dallo stereotipo dei bamboccioni di qualche anno fa. Riscontro un fermento, che è come la spia del loro desiderio di mettersi in gioco, di aiutare e di rischiare. Anche la recente inchiesta del Censis indicava una ripresa della voglia di impegno civile e di adesione a iniziative di solidarietà, nonostante la crisi. Percepisco insomma quelle ‘energie vitali’, evocate da Belardelli sulla falsariga di Chateaubriand. Mi pare che queste energie, poco visibili, se non oscurate da tanti altri fenomeni negativi, ci permetteranno di guardare con speranza il futuro. Massimiliano Signifredi Roma
La potenza del tifone Haiyan è arrivata a noi con la notizia straziante della lunga scia di morte che si è lasciato dietro. Con la sua furia, il tifone Yolanda (così lo chiamano nelle Filippine ndr) si è abbattuto in Micronesia, Vietnam, Cina e, in modo particolare, sulle Isole Filippine. Dal Sud-est asiatico sogni, speranze, fatica e sacrifici di una vita sono stati spazzati via in un niente: gettando un popolo nell’abisso della disperazione. Genitori che hanno perso i propri figli, bambine e bambini orfani, legami spezzati dalla forza distruttrice del ciclone. Non un semplice fenomeno naturale, nel Pacifico si verifica qualcosa di più particolare: nel Pacifico il male opera nella storia e segna tragicamente il cammino di un popolo. Un fatto, drammatico, che ha subito interrogato i Giovani per la Pace spingendoli a fermarsi per pregare insieme agli amici della comunità filippina a Catania e nei piccoli centri di Riposto e Francofonte. Nella sofferenza nessun popolo, nessuna nazione, nessun uomo può essere lontano dal cuore dei giovani della Comunità di Sant’Egidio. Da qui la necessità di pregare per estendere un abbraccio ai popoli colpiti da Haiyan, lontani geograficamente ma più vicini a noi grazie agli amici filippini che da diversi anni vivono in Sicilia e ancor di più grazie al volto di Dio che abbiamo davanti nella preghiera. La preghiera dei Giovani, è diventata l’occasione per accogliere e incontrare quanti erano spaventati e colpiti dalla tragedia e per alleviare il senso di impotenza che tanti hanno avvertito nel momento della catastrofe. Davanti ad un male così grande e così terrificante si è trovata una risposta nella forza debole della preghiera, dove tutti troviamo sentimenti nuovi e parole di consolazione. L’amicizia, per i Giovani per la Pace è dunque consolazione, l’amicizia è interessamento per le vicende umane, per i drammi vissuti da tanti, anche lontano da noi. Per questo nella preghiera gli amici della comunità filippina hanno trovato conforto. Sono proprio loro a dire “Grazie per questo invito alla preghiera: siamo entrati in questo affetto e in questa generosità”. Le loro parole ci confermano nuovamente come un amore gratuito verso gli altri edifica e costruisce ed è in grado di arrivare là dove le nostre forze incontrano un limite. Un’amicizia disinteressata e orientata all’altro genera stupore e si muove in direzione opposta a quello che normalmente accade, si muove in direzione opposta all’indifferenza: “non ci aspettavamo tutta questa vicinanza” ci hanno detto. Ma la preghiera ha anche liberato energie positive interrogando e spingendo tutti a vivere una dimensione più ampia del noi. Con la preghiera insieme ai giovani amici filippini si è aperta una pagina nuova, allargando l’orizzonte dei Giovani per la Pace e spingendoci a comprendere che è necessario un interessamento di ciascuno alla sofferenza di tanti vicini a noi, nelle nostre città proprio perché tutti hanno diritto ad essere consolati. Allora sulle belle preghiere di Catania, Torre Archirafi e Francofonte si potrebbe concludere dicendo che alleviando il dolore dell’uomo o della donna vicino, migliaia attorno a questi...
Guardando l’ immagine la mente ritorna agli anni più cupi della storia umana contemporanea, ricordi di un passato violento,ingiusto, inumano. Nonostante gli errori, le ingiustizie compiute dall’ uomo, la storia ideologica si ripete. Questa volta l’ odio ha trovato terreno fertile in una Grecia, una volta culla della cultura e della civiltà, indebolita e priva di speranza. La storia ci insegna che le grandi crisi economiche possono provocare la venuta del cosiddetto “uomo forte”, cioè di colui che con un’ azione rivoluzionaria e non priva di violenza proietta la nazione verso un disegno profetico. E questo è ciò che è accaduto e accade tuttora sotto gli occhi di un popolo allo stremo delle forze. Alba Dorata, partito di estrema destra, si impone nel panorama nazionale a partire dal 2010. La sua ascesa è inevitabile poiché, di fronte all’ incapacità dello Stato di reprimere i malesseri collettivi, spetta a quest’ ultimo ripristinare l’ordine perduto. In che modo? Cito un esempio semplice ma terribilmente efficace a smuovere i consensi di un popolo. I militanti di Alba Dorata più volte scesero in strada e distribuirono gratuitamente beni di prima necessità (pasta, acqua) ai bisognosi, ai disoccupati, agli oppressi. I discorsi patriottici, la rivalsa verso un’ Europa nemica dello stato greco, il valore della nazionalità pura (non infettata dal sangue straniero) e il conseguente ripudio verso il diverso hanno generato un cultura fondata sull’ antisemitismo, sul terrore, sull’ antidemocrazia. Agghiaccianti alcune dichiarazioni del leader di Alba Dorata Nikólaos Michaloliákos. Il 15 maggio 2012 egli affermò in un’ intervista: « Auschwitz? Cos’è successo ad Auschwitz? Io non ci sono andato. Voi? Non c’è stato nessun forno e nessuna camera a gas. E’ tutta una menzogna. Ho letto parecchi libri che hanno messo in dubbio la cifra propagandata di sei milioni di ebrei uccisi nei campi di sterminio. Hitler fu una delle più grandi personalità del ventesimo secolo» Potrei elencarvi decine di discorsi simili o forse peggiori. Non è mio interesse farlo. Basta questo al lettore per comprendere la natura criminale di questo partito e la demagogia che mette in atto costantemente. Il problema di questo fenomeno socio-politico non è rappresentato dalle parole di un uomo solo o da un gruppo ristretto. Qua si sta parlando del 19% dei greci ( quasi 1 su 5) che si riconosce in queste parole. Perché l’ Europa è paralizzata di fronte ad un caso così eclatante? Forse in nome del principio democratico da rispettare senza se e senza ma? O forse per indifferenza e scettiscismo nell’ ascesa al potere di questo partito? In ogni caso l’ omertà è veleno per una Grecia che si troverà ad un bivio. Vedremo sorgere una nuova Alba colma di odio e disprezzo oppure il cielo conserverà la sua limpidezza e umanità? Confidiamo nonostante tutto nella più grande civiltà della storia che insegnò per prima il valore della libertà, della democrazia, della cultura. F. L.
“Sono italiano! Sono africano! E, come vedete, sono nero! E sono fiero di essere quello che sono. Ma soprattutto sono un essere umano!” Cosi apre la sua testimonianza Maurice, ventiseienne della Costa d’Avorio, sopravvissuto alla traversata del deserto del Sahara, ad un naufragio e giunto a Lampedusa; sorte fortunata, o oseremmo dire, benedetta , rispetto ai tanti immigrati che purtroppo in questi giorni ci hanno lasciato. Con queste parole sincere e coraggiose si apre il secondo appuntamento di “Parole di uomini, Parola di Dio”, organizzato dalla comunità di Sant’Egidio, che ogni mese si incontra per discutere sul valore di alcuni temi secondo le scritture e la nostra esistenza da uomini. Oggi vedremo come alla parola ODIO/INIMICIZIA si possa rispondere “ Facendo il bene” e “Riconoscendoci tutti fratelli, perché figli di uno stesso padre”. “Noi stranieri dobbiamo ringraziare l’Italia perché ci ha accolti” – ribadisce Maurice, ricordando quei 3 lunghi giorni di interminabile cammino nel deserto, mentre era costretto a lasciare sulla sabbia, stremati, tanti compagni di viaggio – “Molti non ce la fanno. Durante il viaggio vedi ai tuoi lati corpi umani, ma non puoi fermarti, devi andare avanti se vuoi sopravvivere”. Racconta ancora di come, dopo 2000 km, si sia visto proporre per la grande traversata una piccola barchetta trasandata di circa 250 posti, mentre lui e i suoi compagni di viaggio, erano più del doppio: “Quando arrivi lì devi per forza salire! Sono armati!”. Conclude sobriamente e umilmente il suo “esodo” raccontando dell’arrivo a Lampedusa e della felice accoglienza che ha ricevuto dalla Caritas di Frosinone.“Dio mi ha fatto conoscere molte persone buone!” – cosi risponde ai tanti amici che gli domandano come faccia a vivere con delle persone che “lo insultano, lo picchiano, lo discriminano” (gli italiani). “Mi piace l’Italia perché non posso lamentarmi! Però è ancora dietro al razzismo!” – Inizia, allora, un accorato appello ai tanti universitari operanti nella comunità presenti in aula, perché è dai giovani che le cose devono cambiare – “Non sono sporco, sono nero! Sono una creatura di Dio! Se dici cosi allora anche Dio deve essere sporco!” – “Tu credi in Dio? E non ami suo figlio perché è nero?” – “Se io vi dessi per un solo giorno la mia pelle, non ve lo scordereste mai per quello che vivreste!”.La sua testimonianza è sincera, umile e si estende anche al tema dell’interculturalità e all’apertura alle altre culture, viste come ricchezza: “Dovete togliervi dalla testa che siete superiori ai neri e che gli altri non possono insegnarvi niente!” – afferma con rammarico, lui che ora è allenatore di calcio ai bambini di Strangolagalli, la cittadina in cui ora vive felicemente. “Dovete approfittare delle altre culture; solo cosi potete accrescere le vostre conoscenze” – “Rispetto e un po’ di affetto! Solo questo chiediamo noi stranieri! Devi dirci che tu sarai la nostra famiglia!”.La sua è una fede forte, e ce lo dimostra rispondendo al tema ODIO, con la parola PERDONO: “Ho imparato a perdonare, ho imparato a pregare, ma non imparerò mai a fare finta di essere ciò...
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