La crisi / Le crisi, installazioni, dipinti, video-opere e testi di persone con disabilità. Mostra promossa dai Laboratori d’arte della Comunità di Sant’Egidio. Si è inaugurata oggi la mostra La crisi / Le crisi, che sarà ospitata per l’intera settimana presso la facoltà di Giurisprudenza di Roma Tre. Cercheremo in quest’articolo di riprendere le parole di chi è intervenuto. Potete scaricare l’audio dell’evento dal link in fondo all’articolo. La mostra è il risultato di una accurata documentazione su argomenti del nostro tempo con una particolarità: nessun artista si è qui abbandonato al pessimismo, proprio perché l’arte permette di alzare lo sguardo. La crisi / Le crisi, mostra promossa dalla Comunità di Sant’Egidio, ha visto la partecipazione di tante associazioni e cooperative. L’ateneo Roma Tre, oltre ad essere un luogo di cultura in quanto sede universitaria, ha sempre dimostrato una sensibilità nei confronti della disabilità, iniziando dall’abolizione delle barriere architettoniche. La mostra in questo luogo è più che mai significativa. È peraltro un onore per l’ateneo ospitare un segmento di un ciclo di esposizioni che sono state ospitate alla Biennale di Venezia e alle Scuderie del Quirinale. L’arte come espressione personale, di ricchezza interiore, fa emergere qui un mondo di sentimenti e aspettative, altrimenti sacrificato nelle nostre società. Si scorge una profondità di pensiero sorprendente, in cui si danno letture originali della crisi. Parlar troppo della crisi porta spesso a conclusioni banali, ma non parlarne potrebbe sortire effetti ancor più pericolosi. Si scoprono diverse dimensioni dell’uomo: ecco che La prima crisi, titolo di un’opera, diventa la discordia tra Adamo ed Eva. Si scopre la sofferenza dell’altro, in un mondo diviso: La casa al centro reclama i diritti del popolo rom. La questione centrale risiede nel non perdere l’umanità in tempi di crisi. L’etimologia greca della parola crisi restituisce il significato di giudizio, non a caso. L’artista Maurizio Valentini, della Comunità di Sant’Egidio, esprime il suo pensiero attraverso la fotografia. Del suo percorso artistico si menziona la partecipazione a I/O è un Altro, special project di César Meneghetti. Stay tuned on this blog, visitate questo blog in questi giorni: saranno pubblicate immagini e parole dalla mostra! Si estende l’invito ai lettori di Roma: La crisi / Le crisi Università degli Studi Roma Tre – Facoltà di Giurisprudenza via Ostiense, 161 18-22 novembre 09.30-18.00 Premiazione delle opere scelte dalla giuria popolare Venerdì 22 novembre, ore 11.00 – aula 9 È possibile votare sul luogo o sul gruppo Facebook dei Giovani di Sant’Egidio – Roma Tre (https://www.facebook.com/giovanidisantegidioroma3?fref=ts) a cura di A.
Anno: 2013
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A conclusione di un lavoro che ha impegnato i suoi artisti con disabilità insieme a quelli di numerose associazioni, cooperative, case alloggio, etc… i Laboratori d’arte della Comunità di Sant’Egidio organizzano una serie di mostre dal titolo “La crisi / Le crisi” che avranno luogo in alcuni quartieri della città di Roma. Attraverso dipinti, installazioni, video-opere e testi, ciascuna esposizione vuole offrire un contributo di riflessione sulle situazioni di crisi sia del presente che del passato, cogliendo quei segni che lasciano intravedere una luce di speranza sul futuro. Vi aspettiamo dal 18 al 22 novembre presso L’Università degli studi Roma Tre, via Ostiense 159. Inaugurazione lunedì 18 novembre ore 16,30 aula 4. http://www.santegidio.org/pageID/3/langID/it/itemID/8019/Inaugurazione_della_mostra_La_crisile_crisi.html Non perdere anche i prossimi appuntamenti!!
Oggi parleremo di un argomento che a noi Giovani per la Pace sta a cuore perché alcuni di noi sono stati in Mozambico, perché ventuno anni fa la pace è stata raggiunta grazie all’impegno della Comunità, perché in Mozambico ci sono circa 100 comunità tra città e realtà locali, perché l’amicizia con questo paese è nata proprio sul tema della pace e ci ha aperto il cuore sull’Africa. Parlo di Mozambico, però, perché sono preoccupata. La Frelimo e la Renamo si sono combattute per quasi vent’anni in una sanguinosa guerra civile, finché la Comunità di Sant’Egidio, non ha deciso di porsi come mediatore, riuscendo a raggiungere dopo 2 anni di trattative la pace. A seguito dei Trattati di Roma (4.10.1992), l’esercito è stato unificato e in Mozambico si sono tenute elezioni libere e democratiche, che hanno portato al potere la Frelimo, mentre la Renamo riusciva a ottenere delle vittorie politiche locali (soprattutto nel nord del paese). La democrazia ha permesso che il Mozambico divenisse uno dei paesi più ricchi ed emergenti dell’Africa, meta di turisti, ma anche di tanti profughi che fuggono dalle guerre e dalla povertà. Dai giornali ho appreso che il 21 ottobre l’esercito ha attaccato la base della Renamo a Gorongosa, dove il capo del partito, Afonso Dhlakama, era rifugiato da circa un anno e da cui è fuggito verso un luogo ignoto. Sta bene, secondo le dichiarazioni di alcuni giornalisti del giornale mozambicano O Paìs, che l’hanno incontrato, così come sta bene la popolazione, fuggita prima dei bombardamenti. Ho quindi letto su diverse testate che Afonso Dhlakama non riconosceva più i trattati di Roma, per poi leggerne l’esatto contrario circa quattro giorni dopo (il 25 ottobre). Ho pensato, allora, di parlare con qualcuno che è continuamente in contatto con il Mozambico e i Mozambicani, per avere un’immagine più chiara della situazione; pertanto, ho intervistato la professoressa Chiara Turrini, responsabile della Comunità di Sant’Egidio in Mozambico. Redattore: Dai giornali italiani abbiamo letto dell’attacco del governo alla base della Renamo, ma è scoppiata così improvvisamente la tensione o c’erano già dei presupposti? Chiara Turrini: Sì, dei presupposti c’erano già perché la Renamo ha chiesto di cambiare la legge elettorale in vista delle elezioni municipali che ci saranno e il 20 novembre e le nazionali che ci saranno il prossimo anno e purtroppo non hanno trovato un accordo sulla riforma della legge elettorale. Si erano create da alcuni mesi due delegazioni, una del governo e una della Renamo, per provare a fare un tavolo di dialogo ma purtroppo non è stato trovato l’accordo, fino a che sono cominciati… Degli incidenti c’erano già stati dopo Pasqua di quest’anno nell’ultimo tratto di autostrada, che è la strada principale che collega il Nord con il Sud, vicino a Beira. R: Quali potrebbero essere le cause delle tensioni? Sono semplicemente politiche o c’entrano anche i giacimenti di gas recentemente scoperti? CT: In Mozambico hanno trovato molte ricchezze naturali negli ultimi anni, il carbone, il gas… Io penso che sì, ha a che...
Voci da Lampedusa: “In quel viaggio terribile, sono stato trattato come una bestia. Ma sono africano, immigrato. Un essere umano!” Ciao a tutti! Nell’ultimo mese l’isola di Lampedusa è tornata tristemente alla ribalta per le stragi al largo delle sue coste: stragi di uomini e donne che, come tutti, cercano un futuro migliore per le proprie famiglie, sfuggono dalla guerra e dalla miseria, cercano un’alternativa – in alcuni casi – all’uccidere o all’essere uccisi. Partono prevalentemente dall’Africa subsahariana, e ultimamente da Siria ed Egitto (per ovvi motivi); attraversano il Sahara, stipati su pick-up o a piedi; trascorrono un periodo più o meno lungo in Libia, perché rinchiusi in una prigione o perché devono guadagnarsi i soldi per pagarsi la traversata del Mediterraneo, che avviene sulle “carrette del mare”: pescherecci piccoli e stipati di gente fino a scoppiare (o affondare). Infine arrivano in Italia e cosa trovano? Due centri di accoglienza e pratiche lunghissime, con dei funzionari italiani che devono decidere se era abbastanza grande la sofferenza da cui scappavano, se era abbastanza reale il rischio di essere uccisi o dover uccidere, per dargli lo status di rifugiato. Se non hai sofferto abbastanza, puoi tornare a casa. Quelli che arrivano, però, sono già dei sopravvissuti. Non solo, per i paesi da cui fuggono, ma perché sopravvivono a un viaggio tra i cimiteri: il cimitero del Sahara e il cimitero del Mediterraneo; solo nel secondo, dal 1988 sono morte almeno 19.372 persone. Perché parlo di tutto questo? Perché martedì 12 novembrealle ore 19:15 nella Basilica di San Bartolomeo all’isola Tiberina avremo la possibilità di ascolta Maurice, uno di questi uomini coraggiosi e fortunati, un ragazzo della Costa D’Avorio che ha guardato in faccia la sete, la sofferenza, i maltrattamenti insieme a tanti suoi coetanei, dei quali molti non ce l’hanno fatta. A seguire ricorderemo le tante vittime dell’inaccoglienza e dell’indifferenza. E rifletteremo insieme sull’odio e sull’inimicizia, come radici della sofferenza di tanti. Perché non è giusto guardare dall’altra parte, quando tanti muoiono e soffrono. Elena
Manca poco meno di una settimana all’inizio della ventisettesima edizione degli incontri Internazionali per la Pace nello spirito di Assisi, voluti per la prima volta dal Beato Giovanni Paolo II, che dal 1986 si svolgono ogni anno in una città diversa. L’edizione di quest’anno, dal titolo “Il coraggio della speranza: religioni e culture in dialogo”, si svolgerà dal 29 settembre al 1 ottobre, e vedrà coinvolti, come sempre, centinaia di leader di tutte le religioni e personalità del mondo della cultura e della politica, provenienti da più di 60 Paesi. Consulta il programma in PDF Ci aspettano tre giorni intensi di amicizia, condivisione, dialogo e preghiera, nel rispetto della più genuina accezione di COMUNITÀ, come testimoniato da queste tre bellissime e-mail che ci hanno inviato i ragazzi del gruppo dei Giovani per la pace di Bari, di San Vito dei Normanni (Br) e della Sicilia: “La preghiera per la pace per noi “Giovani per la pace di Bari” rappresenterà un momento fondamentale per il nostro percorso. Dopo un anno difficile per la nostra città e per la nostra comunità che nel contesto cittadino ci vive, la preghiera per la pace vorremmo che rappresenti un punto di ripartenza. Un’esperienza da cui trarre spunto ed energia positiva, per poter affrontare un altro anno nel miglior modo possibile. I giorni che ci apprestiamo a vivere siamo certi che in questo senso ci daranno ottime risposte. Risposte all’insegna dell’amicizia, del dialogo e della cultura del convivere con gli altri e per gli atri. Bari è una città che ha bisogno di tutto ciò e noi nel nostro piccolo vorremmo accogliere questa esigenza come una grande opportunità. Un’opportunità che nasce proprio dall’incontro della prossima settimana. Innanzitutto siamo certi di trovare un clima di grande amicizia, che ci conforta e ci rende felici. Un’amicizia incondizionata che ci darà la forza e la gioia per ripartire. Poi ci sono i Panel, un’esperienza di grande profilo culturale da cui trarre spunto per importanti riflessioni. Ci viene in mente il discorso interculturale a noi tanto caro in virtù del nostro impegno con gli stranieri che cerchiamo di accogliere nella nostra città. O ancora quello relativo alla povertà fulcro essenziale dell’esperienza comunitaria. E soprattutto la preghiera e la fede in Dio che sorreggono come salde fondamenta il nostro cammino in Comunità. Nella prossima Preghiera per la pace insomma noi riponiamo immensa fiducia ed importanti aspettative. Siamo certi altresì che tutto ciò non verrà disatteso perché il nostro volere è quello dell’intera Comunità di S.Egidio di cui noi cerchiamo soltanto di essere umili interpreti. “ Angelo – Maddalena – Marika “Ci presentiamo, siamo Marinunzia, Adele, Cinzia, Emanuela, Annarita, Lucia, Maria Teresa, Maddalena, Mariangela, Angela, Angelo. Facciamo parte dei Giovani per la Pace, Puglia . Purtroppo, però, grazie a un tragico evento abbiamo avuto la fortuna di conoscere un mondo completamente diverso dalla nostra realtà. Una vecchia realtà, costruita su basi fragili che ci rendevano partecipi di una vita monotona. Grazie ai Giovani
Diamo con piacere spazio a questa notizia che ha toccato il cuore di tutti noi. Guarda il VIDEO dal minuto 19:40 al minuto 21:40 La redazione si unisce nella Preghiera (Mt 25, 31-46) con Gabriela Caballero e tutta la popolazione carceraria.
Speravamo di non dover riscrivere una nuova pagina nella storia. Eppure le incomprensioni, l’ incapicità verso una soluzione, gli interessi economici hanno preso il sopravvento. Dopo mesi di scontri civili fra il governo e la popolazione oppressa, lo scontro ha assunto una dimensione internazionale con il pericolo di una deflagrazione mondiale. Il mio obiettivo in questo post è quello di dare una panoramica del conflitto, di spiegare le cause e forse di trovare una soluzione. Già nel post precedente(http://www.cittaditutti.net/2013/05/guerra-civile-siriana.html) avevamo analizzato le origini del conflitto interno. Oggi dobbiamo inserire due protagonisti mondiali che stanno mettendo a dura prova i trattati di pace: Stati Uniti e Russia. Tutto è iniziato il 21 agosto 2013. In questa data il governo siriano adottò armi chimiche contro la popolazione spezzando vite di bambini,donne e uomini. Tale gesto ha destato l’ indignazione degli Stati Uniti che di fronte a tale crudeltà erano e sono tuttora pronti ad intervenire militarmante a difesa della popolazione. La situazione si complica ulteriormente perchè gli interessi economici russi in Siria (come in parte anche degli Stati Uniti) sono notevoli ( petrolio e gas naturale) e se i civili dovessero vincere la guerra civile, ciò consentirebbe al Qatar di ottenere uno sbocco sul Mediterraneo per i suoi gasdotti. In tal modo farebbe concorrenza diretta con la Russia sul mare. Il G20 di questi giorni poteva rappresentare uno strumento di riconciliazione fra le due superpotenze ma così non è stato. Il faccia a faccia tra Putin e Barack Obama è terminato con nulla di fatto. Putin ha dichiarato: ” nel caso di attacco al governo siriano, Mosca manderà aiuti militari a Damasco”. Ha inoltre condannato il possibile intervento degli Stati Uniti affermando che l’ applicazione della forza nei confronti di uno stato sovrano(Siria) è possibile solo per autodifesa e con il mandato ONU e non sarebbe questo il caso. Così gli Stati Uniti violerebbero la legge internazionale. L’ aria che si respirava al G20 era quella di una nuova Guerra Fredda. Apettiamo con grande interesse e con un pizzico di preoccupazione l’ evolversi di un storia dal potenziale devastante e confidiamo nella diplomazia comunitaria e nella capacità di giungere a compromessi. Il primo passo deve essere fatto dal governo siriano e dal presidente Bashar Al-Assad, veri fautori di un clima di violenza. Oggi 7 settembre può essere un giorno di cambiamento, un giorno di pace. Il messaggio di papa Francesco ha portato una nuova linfa nelle menti spaventate e indifese(http://www.cittaditutti.net/2013/09/papa-francesco-la-pace-e-un-bene-che.html). Forse Siria, Stati Uniti e Russia guarderanno questa sera migliaia di persone radunate a Piazza San Pietro e capiranno che confidare nella pace è l’ unica soluzione.
Papa Francesco: “La pace è un bene che supera ogni barriera”. Preghiera e digiuno per la Siria, 7 Settembre 2013
Alessandro IannamorelliRiportiamo l’Angelus di Papa Francesco del 1° settembre 2013. “Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Quest’oggi, cari fratelli e sorelle, vorrei farmi interprete del grido che sale da ogni parte della terra, da ogni popolo, dal cuore di ognuno, dall’unica grande famiglia che è l’umanità, con angoscia crescente: è il grido della pace! E’ il grido che dice con forza: vogliamo un mondo di pace, vogliamo essere uomini e donne di pace, vogliamo che in questa nostra società, dilaniata da divisioni e da conflitti, scoppi la pace; mai più la guerra! Mai più la guerra! La pace è un dono troppo prezioso, che deve essere promosso e tutelato. Vivo con particolare sofferenza e preoccupazione le tante situazioni di conflitto che ci sono in questa nostra terra, ma, in questi giorni, il mio cuore è profondamente ferito da quello che sta accadendo in Siria e angosciato per i drammatici sviluppi che si prospettano. Rivolgo un forte Appello per la pace, un Appello che nasce dall’intimo di me stesso! Quanta sofferenza, quanta devastazione, quanto dolore ha portato e porta l’uso delle armi in quel martoriato Paese, specialmente tra la popolazione civile e inerme! Pensiamo: quanti bambini non potranno vedere la luce del futuro! Con particolare fermezza condanno l’uso delle armi chimiche! Vi dico che ho ancora fisse nella mente e nel cuore le terribili immagini dei giorni scorsi! C’è un giudizio di Dio e anche un giudizio della storia sulle nostre azioni a cui non si può sfuggire! Non è mai l’uso della violenza che porta alla pace. Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza! Con tutta la mia forza, chiedo alle parti in conflitto di ascoltare la voce della propria coscienza, di non chiudersi nei propri interessi, ma di guardare all’altro come ad un fratello e di intraprendere con coraggio e con decisione la via dell’incontro e del negoziato, superando la cieca contrapposizione. Con altrettanta forza esorto anche la Comunità Internazionale a fare ogni sforzo per promuovere, senza ulteriore indugio, iniziative chiare per la pace in quella Nazione, basate sul dialogo e sul negoziato, per il bene dell’intera popolazione siriana. Non sia risparmiato alcuno sforzo per garantire assistenza umanitaria a chi è colpito da questo terribile conflitto, in particolare agli sfollati nel Paese e ai numerosi profughi nei Paesi vicini. Agli operatori umanitari, impegnati ad alleviare le sofferenze della popolazione, sia assicurata la possibilità di prestare il necessario aiuto. Che cosa possiamo fare noi per la pace nel mondo? Come diceva Papa Giovanni: a tutti spetta il compito di ricomporre i rapporti di convivenza nella giustizia e nell’amore (cfr Lett. enc.Pacem in terris : AAS 55 , 301-302). Una catena di impegno per la pace unisca tutti gli uomini e le donne di buona volontà! E’ un forte e pressante invito che rivolgo all’intera Chiesa Cattolica, ma che estendo a tutti i cristiani di altre Confessioni, agli uomini e donne di ogni Religione e anche a quei fratelli e sorelle che non credono: la pace è un bene che supera ogni
28 agosto 1963. Giornata afosa in una Washington ricca di folla. In quel pomeriggio, nonostante il clima avverso, ben 250.000 americani attendevano davanti il Lincoln Memorial un segnale, una svolta in un’ America ancora radicata ad una mentalità ottocentesca. Un singolo uomo mostrò le crepe di un’ America che, nonostante fosse fautrice di ideali democratici, non riconosceva una pari dignità sociale fra le diverse etnie nazionali. Uno stato che ogni 4 luglio giurava, con la mano sul cuore, fedeltà verso le patria ma soprattutto esaltava un’ ipocrita uguaglianza fra gli uomini. Quell’ uomo, con il suo celebre discorso “I have a dream”, riconobbe il dono, concesso dal creatore, di diritti inalienabili, tra i quali la vita, la libertà e la ricerca della felicita. Il sogno di Martin Luther King era il sogno di milioni di neri oppressi da una cultura razzista, cittadini che aspiravano a valori quali la fratellanza e la giustizia sociale. Il 1963 non era una fine ma un inizio. L’inzio di una rivoluzione culturale, l’ inizio della speranza, l’ inizio di una nuova convivenza. http://www.repubblica.it/esteri/2013/08/28/news/martin_luther-king-discorso-65443575/ 28 agosto 2013. Stesso scenario, stessa folla. 50 anni dopo, il protagonista però è, così vuole il fato, il primo presidente nero Barack Obama. Accolto da diverse figure del cinema e politiche, il presidente americano riprende i fili del suo predecessore per fare altri nodi. Riconosce l’ urgenza di ripartire dalle speranze passate per affrontare problemi sociali odierni. Per Obama non basta l’affermazione economica di una minoranza per ignorare il persistere di diseguaglianze estreme, dalle scuole alle carceri. Un salario dignitoso, un’ assistenza sanitaria per tutti, un’ istruzione di qualità per i figli: sono questi i punti della battaglia sui diritti civili. Nell’ America di oggi (e non solo) il sogno è ancora incompiuto. Il discorso di M.L.King è e sarà fonte di ispirazione per le generazioni future. Anche nei momenti più bui le sue parole risuoneranno nelle nostre menti e ci insegneranno a sperare. http://www.repubblica.it/esteri/2013/08/28/news/martin-luther-king_50_anni-65433896/ Ecco a voi il video. F. L.
La prima impressione appena arrivati a Blantyre(Malawi) è stata quella di non aver mai realmente pensato e vissuto la povertà africana prima di allora; allo stesso tempo abbiamo respirato subito quel desiderio di rinascita e speranza del popolo africano. La vera Africa non è quella del Safari, ma quella della calorosa accoglienza dei nostri amici della Comunità di Sant’Egidio di Blantyre, dell’incontro con i bambini e della visita agli anziani confinati in piccoli rustici sulla montagna. La percezione della vecchiaia in Africa è un insieme di contraddizioni: anche se a volte si riconosce agli anziani il ruolo di padri della patria e custodi della saggezza, nella maggior parte dei casi li si abbandona al di fuori della società; il parallelo con i nostri amici anziani in Italia ci ha fatto riflettere su come bisogna cambiare la cultura nelle nostre città e costruire un’amicizia tra generazioni. La visita al centro DREAM ci ha fatto capire che nella vita non bisogna mai rassegnarsi: la professionalità e la solidarietà di dottori, attivisti e volontari hanno creato in Africa un futuro di speranza per molti malati di AIDS. Il primo incontro con i bambini del Centro Nutrizionale è stato molto toccante: vedere nei loro occhi la felicità per un piccolo gesto di affetto o una parola dolce ci ha fatto comprendere quanto aspettavano la nostra visita e quanto in due settimane avremmo potuto fare per non far rimanere il nostro incontro solo un’esperienza, ma renderlo un punto di partenza per un futuro migliore. La nostra amicizia significa molto per loro, ci fa capire l’importanza della vicinanza ai poveri e la gioia che si prova nel dedicare il proprio tempo agli ultimi. In particolare Sellina e Lucy si sono affezionate subito a noi e, quando siamo andati a trovare gli anziani, loro ci hanno aspettato al centro nutrizionale per poterci rivedere e salutarci calorosamente. Nel week-end siamo andati a trovare i ragazzi del riformatorio: la maggior parte di loro sono lì per aver rubato poco più di una gallina ma, nonostante le precarie condizioni di vita, si riesce a leggere nei loro occhi il desiderio di riscatto e la voglia di vivere una vita serena; l’accoglienza che ci hanno riservato ci ha subito scaldato l’animo e ci ha fatto capire che per loro anche una semplice visita significa molto. All’orfanotrofio il benvenuto è stato sempre molto gioioso: i bambini erano felicissimi della nostra visita e ci hanno dedicato alcuni balli africani; i bimbi del centro nutrizionale hanno regalato i loro disegni agli orfani e si sono esibiti con le canzoni della Scuola della Pace. Quello che abbiamo imparato in queste due settimane in Malawi non lo si apprende né leggendo i giornali né guardando la tv: la felicità, la speranza e l’amicizia con i bambini ha addolcito il nostro cuore e ci ha aperto gli occhi sul mondo africano e sull’importanza di un ponte di solidarietà tra Europa e Africa. http://www.santegidio.org/pageID/3/langID/it/itemID/7467/Vi_raccontiamo_la_nostra_estate_di_solidariet_in_Africa.html Roberto Barrella
L’immagine che vedete è un titolo del Corriere della Sera online. Sotto la firma dell’autore c’è una barra ‘social’: vale a dire che questo giornale facilita l’interazione del lettore, che può dunque commentare e condividere la notizia con un click. Il dato preoccupante si registra alla prima funzione, dove si legge ‘soddisfatto 47%’. Ai tempi dei social network si può esprimere velocemente un’opinione, semplificata, plebiscitare, pseudo-statistica. Più o meno con la stessa civiltà di chi tirasse fuori la testa dal finestrino di un’auto in corsa e gridasse tutta la propria frustrazione. ‘Mi piaceeeeee’, ‘sono contrariatoooooo’ e così via. Ebbene, sul Corriere.it si può esprimere il proprio sentiment sulle notizie, per dire che quanto letto ci lascia: indignati, tristi, preoccupati, divertiti o soddisfatti. Tra le cinque emozioni, di cui due positive, i lettori (registrati) del Corriere così si sono espressi. Per netiquette, forse, dovrebbero limitarsi le opzioni per certe notizie. Ma il problema è ben altro. A.
«Quel giovane potevo essere io», in questo modo il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha criticato la sentenza di assoluzione di George Zimmerman, la guardia volontaria che uccise un anno fa Trayvon Martin, diciassettenne afroamericano. Nel quartiere recintato e multietnico di Sanford (Florida), Trayvon risiedeva presso la nuova famiglia del padre. Non aveva nulla a che fare con le irruzioni registrate negli ultimi tempi che erano motivo di tensione nella comunità. In una serata piovosa del febbraio 2012, un atteggiamento sospetto del giovane preoccupò Zimmerman, il quale prese a seguirlo. Dopo una violenta colluttazione sparò al ragazzo disarmato. Zimmerman è stato accusato di essere spinto da razzismo o dall’aver comunque tracciato un profilo razzista del soggetto nella telefonata alla stazione di polizia. Un’ipotesi alimentata dal solito caso mediatico: l’emittente NBC ha trasmesso un montaggio fuorviante, per il quale ha posto in seguito pubbliche scuse. Nelle registrazioni è possibile ascoltare che è esplicitamente richiesta l’origine etnica del ragazzo a fini identificativi. La risposta pubblica è stata confusa: disordini a Los Angeles, bandiere bruciate, una petizione su Change.org con oltre 2,2 milioni di firme a sostegno dell’arresto di Zimmerman, minacce di morte a quest’ultimo. Col senno del poi, la sentenza di assoluzione è sconvolgente solo per l’affermazione di un assoluto diritto di legittima difesa e non per una scongiurabile, terribile attenuante di razzismo. La congettura sulla matrice razzista dell’episodio sembra solo un grande errore politico. L’episodio è significativo delle resistenze culturali attivabili per non far bruciare il delicato circuito delle società democratiche. La lotta al razzismo non finisce con la proclamazione di Convenzioni e costituzioni pluraliste. Anzi, forse proprio queste rappresentano il punto di inizio. L’allarmismo e lo sguardo paranoico sulla realtà non aiutano. Il razzismo si combatte attraverso due canali: la concretezza e l’educazione. Innanzitutto bisogna rimuovere le barriere che non permettono l’integrazione e lo sviluppo dei diversi gruppi etnici: in sostanza, la segregazione razziale seppur espunta giuridicamente, si può sedimentare in forme sociali ed economiche, per cui è essenziale che, in nome della cittadinanza, tutti abbiano le stesse opportunità. In secondo luogo, l’osservanza di un siffatto modello sociale non può affermarsi senza una concordanza degli animi. È a dir poco criminale che proprio ‘i cittadini a cui sono affidate funzioni pubbliche’ si abbandonino a motteggi razzisti e a deteriori atrocità verbali. No, in un Paese civile non si può augurare a un ministro di colore, madre di due figlie, una violenza sessuale. E non la si può paragonare a un animale. (Perché viene dal Congo). La risposta dei più impuniti è: ”Se si confrontasse un bianco a qualsiasi animale, non accadrebbe lo stesso”. Nel merito dell’infelice battuta del (dis)onorevole Calderoli, basta galleggiare sulla superficie per cogliere il sofisticato improperio razzista. In ogni modo, il razzismo è un movente che spinge sempre a infrangere lo schermo della persona umana. Svincolare da certe oscene parole, quando financo la motivazione è evidente, è un doppio oltraggio. Ma è necessario più che mai giustamente indignarsi e quotidianamente impegnarsi per tessere un solido...
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