Riceviamo dall’Albania e volentieri pubblichiamo: La Comunità di Sant’Egidio in Albania (nella capitale, a Tirana) svolge un servizio con gli anziani. Lo facciamo una volta a settimana – di solito la Domenica pomeriggio – andandoli a visitare nell’Istituto dove sono ospiti (n.d.r.: Casa delle Suore di Madre Teresa di Calcutta), restando con loro circa un’ora fino al momento della cena. Ogni volta che gli anziani ci vedono arrivare, ci accolgono con gioia, come se ci avessero conosciuto fin da piccoli, come se noi fossimo i loro figli. Noi parliamo con loro, organizziamo giochi con la palla o il domino; a volte cantiamo, balliamo e quando viene l’ora della cena li aiutiamo a mangiare. Alcuni di loro non sono in grado di alimentarsi da soli e noi gli vogliamo ancora più bene per questo. Gli anziani ci raccontano la loro storia, quella della loro famiglia e nelle parole che escono dalla loro bocca ce n’è sempre una di gratitudine: ci ringraziano per quel poco che facciamo, per l’amicizia e la sincerità che ci unisce. Per molto tempo siamo stati in 15, tutti universitari, che partecipavamo a questo servizio, ma ora il numero è in crescita, soprattutto in queste ultime settimane grazie alle presentazioni della comunità che abbiamo fatto per i giovani, organizzando cinque incontri, all’università e in un liceo. Abbiamo poi fatto una grande festa per gli anziani, alla quale hanno partecipato molti giovani (universitari e liceali) che hanno visto quello che facciamo. Speriamo di aver lasciato loro una buona impressione in modo che si appassionino e tornino nel futuro! Ma noi non vogliamo fermarci qui. Faremo altri incontri, al fine di coinvolgere un numero molto maggiore di persone che vogliono aprire il loro cuore ai più poveri. Noi vogliamo essere sempre di più e ogni giorno vogliamo imparare a donare sempre più amore verso le persone che hanno bisogno. Vogliamo trasmettere a tutti questo ideale: l’amore è l’unica cosa che ci potrà salvare dai problemi e dal vuoto di questo mondo! Testo originale in albanese Komuniteti Sant’Egidio I Shqiperise meret me sherbimin tek te moshuarit. Kete sherbim ne e bejme nje here ne jave zakonisht te dielen dhe qendrojme me ta rreth nje ore e gjysem. Qe ne momentin qe te moshuarit na shikojne duke hyre ne deren e qendres ku jetojne tek ta shfaqet nje byzeqeshje e jashtezakinshme ,na takojne sikur te kishin vite qe na njohin sikur te ishin femijet e tyre. Ne bisedojme me ta, organizojme lojra me top,domino,nganjehere kenge, valle dhe kur vjen ora e darkes ne I ndihmojme duke shperndare ushqimin tek ta, disa prej tyre qe sjane te afte te ushqehen vete dhe ne I ushqejme me shume kenaqesi. Ata na tregojne per familjen e jeten e tyre madje dhe ne fjalet qe dalin nga goja e tyre eshte gjithmone nje falemderim ,ata na falemderfojme per dherbimin qe ne I bejme dhe per miqesine dhe sinqeritetin qe ne I trasmetojme dhe mbi te gjitha DASHURINE qe ne I japim atyre. Deri tani kemi...
Mese: May, 2013
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“Mamma, oggi vado in biblioteca a studiare”. “Ma sei sicuro?”, dice la madre con gli occhi lucidi. “Sì, la fine dell’anno è alle porte. Il dovere mi chiama”. Luigi, sì, il nostro protagonista si chiama Luigi, raggiunge la biblioteca. Nel bus strapieno al nostro studente è difficile nascondere il leggero e pratico pranzo preparato dalla madre: una teglia di peperoni gratinati. Macchiandosi di sudore (altrui) per via del poco spazio, Luigi pensa al capitolo di fisica sui fluidi e si chiede come sia possibile che l’acqua non sia comprimibile quando il corpo umano ne contiene almeno il 70%. Si rassegna all’idea che quella compressione gli provocherà come minimo la perdita di qualche arto. Giunge finalmente in biblioteca. Un solo armadietto libero. Serve una moneta da un euro per attivare il meccanismo che permette di estrarre la chiave per chiudere l’armadietto. Quel congegno è sicuramente opera del male. Rovista, rovista nelle tasche e non trova la moneta. Neanche a dirlo, nessuno può ‘spicciargli’ la banconota da cinque. Luigi corre all’edicola, si compra un giornale a caso e finalmente ha la moneta! Occupa l’armadietto. Poggia i libri sul tavolo e inizia a studiare fisica. Non basta la voce gracchiante della prof. e l’immagine del suo prominente neo peloso che l’accompagna sempre quando studia fisica; la biblioteca è un concerto di rumori. Cosa non si fa per sfuggire dall’insidia di facebook e trovarsi un posto ‘neutro’ con poche distrazioni, e quei tanto cinematografici rumori di sottofondo che stimolano la concentrazione. Neanche per sogno: stavolta i colleghi topi di biblioteca vogliono vincere la gara in rumorismo. Uno starnuto da una parte – con tutto il timore che un getto provetto impiastri tutto il libro di matematica, incollando le pagine – una pernacchia dall’altra e alla fine arriva lei, sì, proprio lei, la diva della biblioteca. Ce n’è sempre una che cattura lo sguardo sognante di tutti. Ha un piccolo problema: i tacchi. E il pavimento della biblioteca si presta bene ad amplificarne il suono. Immancabile l’amica (brutta, ma con i tacchi), che l’accompagna. Ovviamente quel giorno non vogliono studiare, ma cercare un libro da una parte all’altra. Sembra un rodeo, anzi un maneggio, in cui i cavalli vanno al galoppo. To tlòc, to tlòc, to tlòc. In effetti la mascella dell’amica è molto sporgente. “Diamine!”, pensa Luigi che voleva studiare. Ma arriva anche il momento perfetto, tranquillo, in cui pensi di poter studiare tutto il capitolo e… passa il bibliotecario per dire: “Tra quindici minuti la biblioteca chiude”. A voi è mai capitato di voler studiare e di trovarvi nel posto più rumoroso del pianeta? I. A.
Don Pino Puglisi, ha sostenuto i primi passi dei Giovani per la Pace nel suo quartiere di Brancaccio (anche se allora portavamo un altro nome). Alcuni di noi lo hanno conosciuto, è stato nostro amico. Un uomo mite, ma forte. Oggi lo vogliamo ricordare con le parole di Papa Francesco all’angelus di ieri, dopo che il nostro amico è stato proclamato beato. Alziamo gli occhi da noi stessi, guardiamoci intorno, rischiamo di non accorgercene, ma può capitare di camminare accanto ai santi. “Cari fratelli e sorelle,ieri a Palermo, è stato proclamato Beato Don Giuseppe Puglisi, sacerdote e martire, ucciso dalla mafia nel 1993. Don Puglisi è stato un sacerdote esemplare, dedito specialmente alla pastorale giovanile. Educando i ragazzi secondo il Vangelo li sottraeva alla malavita, e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà, però, è lui che ha vinto, con Cristo Risorto. Io penso a tanti dolori di uomini e donne, anche di bambini, che sono sfruttati da tante mafie, che li sfruttano facendo fare loro un lavoro che li rende schiavi, con la prostituzione, con tante pressioni sociali. Dietro a questi sfruttamenti, dietro a queste schiavitù, ci sono mafie. Preghiamo il Signore perché converta il cuore di queste persone. Non possono fare questo! Non possono fare di noi, fratelli, schiavi! Dobbiamo pregare il Signore! Preghiamo perché questi mafiosi e queste mafiose si convertano a Dio e lodiamo Dio per la luminosa testimonianza di don Giuseppe Puglisi, e facciamo tesoro del suo esempio!” Papa Francesco, 26 Maggio 2013 La Redazione
Inequivocabile la sua immagine. Il basco e sopratutto il sigaro in bocca erano la sintesi di uno stile di vita indipendente, anticonformista legato ai piaceri terreni. Questo era Don Gallo, uomo semplice che era riuscito a far collimare la sfera spirituale con quella terrena così perfettamente, a comprendere che la forza della vita risiede nella collettività, nell’ ascolto, nell’ amore verso il prossimo. Don Gallo nasce a Genova nel 1928. L’ascesa nel mondo ecclesiastico, inziata all’età di 20 anni, non produsse gli effetti sperati in termini di carriera a causa della sua indole estremamente rivoluzionaria verso una Chiesa che non condivideva i suoi ideali. Fu accusato di non essere un prete ma un politico, che i suoi contenuti non erano cristiani ma comunisti. Eppure coloro che ebbero la fortuna di conoscerlo, affermarono che si era mostrato non solo un prete straordinario ma una fratello, un amico, un confidente, come colui che ti apre le braccia e che mai ti giudica. Ovunque passava ti lasciava un segno indelebile, riusciva a mostrare le tue debolezze e a porti domande che toccavano le aree più nascoste dell’ anima. Prete di prima linea, si era distinto nelle lotte per il lavoro, nel diritto di cittadinanza agli stranieri, nella difesa degli ultimi. La sua era un Chiesa che includeva, che accoglieva persone dalle vite più disparate: barboni, tossici, gay, trans, lesbiche. Per Don Gallo queste erano creature di Dio e in quanto tali dovevano essere accolte dalla comunità cristiana e non emarginate e ripudiate. Si cadrebbe in errore se la figura di Don Gallo venisse ricordata unicamente per il colore del partito a cui aderiva. Ex-partigiano, non hai mai nascosto la propria fede nel socialismo, espressione dell’ amore collettivo verso un mondo libero dalle diseguaglianze sociali. Don Gallo lo vogliamo ricordare per quello che veramente era: un esempio di amore, etica e libertà per le nuove generazioni. La sua corsa non è volta al termine perchè il testimone è ora nelle nostre mani e a noi spetta l’ arduo di compito di ripercorrere la sua strada. Grazie Don Gallo Fabio Lazzari
Peace Collective, Ballo Della PaceBRANO VINCITORE DEL PRIMO PREMIO “CATEGORIA AUTORI” Leggi il testo su Play Music Stop Violence
Negli ultimi anni si è sentito molto parlare della possibilità di sostituire i libri di testo con una più economica e soprattutto “pratica” versione digitale degli stessi. http://www.camera.it/parlam/leggi/08133l.htm (Legge 133/08, si veda l’Art. 15 “Costo dei libri scolastici” ) http://www.sviluppoeconomico.gov.it/images/stories/normativa/legge_17_dicembre_2012n221.pdf ( Legge 221/12, si veda l’Art. 11 “Libri e centri scolastici digitali”, pagg. 84-85) La tecnologia c’è: dai tablet ai computer domestici è possibile già da molto tempo leggere una moltitudine di testi di ogni genere. In alcune scuole è stato avviato un progetto che prevede l’assegnazione di un tablet ad ogni alunno, e l’adozione di soli libri in formato digitale. Il tema è tutt’ora “caldo” e ha interessato alcuni dei più autorevoli siti di tecnologia, istruzione, famiglia, ecc. Una breve selezione di alcuni siti, da cui ricavare informazioni utili su pregi e difetti del binomio istruzione-tablet: http://www.solotablet.it/blog/a-scuola-col-tablet (contenente moltissimi articoli sull’argomento) http://www.figliefamiglia.it/2012/09/lebook-entra-in-classe-pro-e-contro-del-libro-digitale/ (contenente altri articoli sull’argomento nella sezione “articoli simili”) http://www.pcprofessionale.it/2013/04/05/tablet-school-una-scuola-a-misura-dellera-digitale/ (articolo dell’autorevole rivista “PCprofessionale”) http://scuolachefarete.it/2012/10/ipad-in-classe-pro-e-contro-di-una-rivoluzione-multimediale/ (articolo della “community dei docenti” e risposta della Sig.ra Clara, mamma di tre studenti, molto preoccupata dall’uso-abuso del tablet) http://www.controcampus.it/2013/04/scuola-digitale-pro-e-contro-della-scuola-digitale-2-0-tablet-school-intervista-alla-dott-sa-bardi/ (intervista alla Dott.ssa Bardi: artefice prima dell’adozione degli iPad in classe, fondatrice e Vice Presidente del Centro Studi ImparaDigitale e pioniera della Tablet-School) Quali vantaggi e quali conseguenze negative potrebbe avere secondo te l’adozione dei tablet nelle scuole? Aiutaci a documentarci: se conosci un sito in cui è trattato bene l’argomento, condividilo con noi nel tuo post di risposta. Grazie! Ti potrebbe interessare anche CARI PROF, E’ GIUNTA L’ORA DEGLI E-BOOK e LA VERGOGNA DEI LIBRI DI TESTO FOTOCOPIATI Em.Me.
Si afferma più volte che l’ Europa vive da tempo un periodo di prospera serenità e pace in un contesto territoriale che non conosce conflitti bellici mondiali da oltre 50 anni( in questo lasso di tempo la guerra fredda non ha rappresentato una vera e propria guerra armata). Sicuramente questo è vero ma come si può cantare vittoria quando a “pochi”chilometri di distanza da noi è in atto una guerra civile che sta decimando un’ intera popolazione? Stiamo parlando ovviamente della Siria. Questo stato si inserisce di diritto nel contesto della primavera araba, corrente di agitazioni e proteste dell’area medio-orientale iniziata nell’inverno 2010 contro i regimi di stampo autoritario/totalitario. I protagonisti del conflitto siriano sono caratterizzati da discrepanze ideologiche e soprattutto economiche: da una parte abbiamo una popolazione civile alla stregua delle forze e dall’ altra forze militari governative guidate dal presidente Bashar Al-Assad,dittatore autoritario. Come potrete ben capire l’ origine del conflitto è di natura politica. Infatti in seguito alle pressanti richieste di maggiori libertà individuali, sociali, politiche (libertà di manifestazione e libere elezioni) le risposte democratiche del regime non sono arrivate al mittente. Il governo non ha voluto compiere un processo di cambiamento istituzionale proiettato verso forme democratiche occidentali Il conflitto risale addirittura a 2 anni fa,( il 15 marzo 2011) esploso per mano di pochi rivoltosi. In poco tempo è divenuto dapprima caso nazionale e in seguito internazionale. L’ instabilità interna ha coinvolto l’ equilibrio degli stati confinanti, quali Turchia, Israele e quelli oltreoceano come gli Stati Uniti. Secondo l’ ultimo bilancio 90.000 persone sono state uccise dall’ inizio del conflitto, tra i quali anche migliaia di donne e bambini innocenti. Numero che potrebbe aumentare vertiginosamente fino a quando non si giungerà ad una proposta istituzionale pacifica. In questo drammatico panorama sono coinvolti Mar Gregorios Ibrahim e Paul Yazigi, due vescovi siriani amici della Comunità di Sant’Egidio. Sequestrati negli ultimi giorni di aprile nei pressi di Aleppo, stavano lavorando per la convivenza pacifica in Siria. L’ appello dei giovani della pace è chiaro: chiediamo che la comunità internazionale intervenga affinché i due vescovi vengano liberati e non solo. Auspichiamo che il conflitto siriano giunga al termine dopo anni di inutili e sanguinose lotte. Il nostro appoggio incondizionato va sicuramente alla popolazione siriana, da troppo tempo schiacciata dal terrore del corpo statale. La democrazia è un diritto e va tutelato. Come potremmo rimanere indifferenti quando anche una sola persona non sarà libera dalla guerra e dalle ingiustizie sociali? Fabio Lazzari
Ci siamo!!! Finalmente il 25 maggio, il gran finale del music contest “Play Music Stop Violence” promosso dai Giovani per la Pace L’appuntamento è per sabato 25 maggio alle 17 alla Sala Sinopoli, Auditorium Parco della Musica, ingresso gratuito. Un concerto a più voci, con dieci band selezionate fra trentadue gruppi musicali di Roma e non solo, per un totale di 200 giovani artisti, che hanno partecipato alle selezioni nei mesi scorsi. I “magnifici dieci” si esibiranno live nella finalissima della terza edizione di “Play Music Stop Violence – Cambia il mondo con la tua musica”, il contest musicale per giovani talenti promosso dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Fondazione Musica per Roma con il sostegno della Camera di Commercio di Roma. Le band partecipano al concorso con brani originali sul tema dell’impegno contro ogni forma di violenza: guerra, razzismo, povertà, all’insegna del motto “Il mondo cambia musica”.
I Giovani per la Pace sono amici dei poveri e dei bambini! Per questo in più di 70 Paesi del mondo fanno la Scuola della pace. La Scuola della Pace è un doposcuola nel quale sono aiutati i bambini a fare i compiti, poiché molto spesso i genitori non possono aiutarli, o per il lavoro che gli occupa molto tempo o perché, magari stranieri, non sanno come aiutarli. Dopo i compiti si fanno delle attività su vari argomenti riguardanti l’attualità, facendo così un’educazione alla pace, s’insegna ai bambini a vivere insieme, a giocare insieme, s’insegna quanto è bello stare tutti insieme anche se diversi o per le origini, o per il colore della pelle o per religioni diverse. È bello vedere come si appassionano alle storie che raccontiamo loro, magari di bambini africani che, a differenza loro, non possono andare a scuola, o magari di bambini che non sono iscritti all’anagrafe. Dopo le attività si fa sempre una piccola festa, dove si canta, si balla e si gioca, prima di tornare tutti a casa. I bambini diventano i nostri amici: sono per noi come fratelli minori da accudire, aiutandoli a crescere, donando il nostro amore. È incredibile scoprire il mondo dei bambini, cercare di capirli e fare amicizia con loro. Non solo loro diventano dei fratellini per noi, ma siamo noi a diventare i loro fratelli maggiori, i loro confidenti e amici, tanto che iniziano a raccontarti le cose che gli succedono a scuola o magari anche dentro casa perché cercano in noi un aiuto, un punto di riferimento. Posso raccontarvi di Christian, un bambino della Scuola della Pace: è un bambino disabile che viene alla nostra scuola dalla pace da più di un anno. Nel giro di quest’anno è stato bello vedere come Christian è cambiato: all’ inizio non si fidava di nessuno, viveva nel suo mondo e non dava retta a nessuno, facendo confusione. Noi invece lo abbiamo fatto sentire come tutti i bambini, sgridandolo se necessario. Con il tempo Christian si sta affezionando, non vede l’ora di venire a scuola della pace, per giocare: si sta fidando di tutti noi e, quando qualcuno manca per tanto tempo, Christian lo mette alla prova, come a dirgli “dove sei stato tutto questo tempo?” Sono domande che Christian non ci pone con le parole ma con i suoi atteggiamenti, perché noi siamo i suoi amici e per lui è importante averci vicino e non deludere la sua fiducia. Melissa Nora
Quando Giorgio Napolitano è stato rieletto Presidente della Repubblica, vuoi per la sua abilità nel far dialogare le parti politiche, vuoi per la continuità ritenuta necessaria da taluni, in pochi hanno pensato a un tratto rilevante del pensiero politico del Presidente rieletto: nel messaggio di fine anno trasmesso a reti unificate, infatti, Napolitano ha ribadito l’importanza di riconoscere la cittadinanza italiana come diritto a chi nasce e cresce in Italia. Appello simile è giunto dalla Presidente della Camera, Laura Boldrini, nel suo discorso di insediamento. Il riconoscimento di questo diritto speriamo giunga a compimento dopo una lunga storia. Nella scorsa legislatura (2008-2013) sono stati presentati 48 disegni di legge per cambiare la normativa in tema di cittadinanza. Nemmeno uno convinse una maggioranza. In questo nuovo Parlamento si contano già una ventina di nuove proposte. Un tema che sembra poter essere caro solo al centrosinistra; quando, invece, è una lotta per i diritti che può trovare tutti d’accordo. Di fronte al paradosso del bambino nato da genitori stranieri, che ha compiuto i suoi studi in Italia, e forse nemmeno ricorda il Paese di provenienza, tantomeno sa parlare la lingua dei genitori con la stessa scioltezza con cui comunica in italiano, e per giunta tifa la Roma, cosa deve fare il legislatore? Sebbene per alcuni la caratteristica del tifo calcistico (sbagliato) sarebbe giusto motivo di sospensione di tutti i diritti civili e politici, ben s’intende che è l’uomo che fa la cultura e non la cultura a fare l’uomo. Cambiare la legge sulla cittadinanza non significa propiziare l’arrivo di barconi dall’Africa – peraltro problema spesso trascurato, quello dei morti nel Mediterraneo, per via delle serpeggianti pulsioni razziste. Non significa riconoscere uno ius soli puro. Mi spiego: chi nasce sul suolo italiano, sarebbe italiano, senza se e senza ma. Essere cittadini italiani però significa avere diritti e doveri costituzionali: collaborare al progresso materiale e spirituale della nazione, essendo posti nella condizione di farlo. La mobilità delle persone influisce sul welfare e, per motivi di ordine pubblico, è rassicurante evitare la ‘spesa dei diritti’. L’unico limite è l’ordine pubblico, non però quello dettato dall’ossessione per la sicurezza e dai pregiudizi per cui l’immigrato è una ‘persona illegale’. Bisogna cambiare i termini del dibattito. Non è più tempo di contrapporre il diritto del sangue (ius sanguinis), vale a dire la cittadinanza se si discende da cittadini italiani, al diritto del suolo (ius soli), ossia essere cittadini per il semplice dato fisico di esser nati su suolo italiano. Ma non si può nemmeno andare avanti con le sevizie burocratiche per cui, chi nasce e cresce in Italia a diciotto anni (e non oltre!) deve inviare la richiesta per il riconoscimento della cittadinanza e, se non s’appresta, è costretto a rivolgersi al Ministero dell’Interno, con una trafila ancora più lunga. Se è un diritto, va riconosciuto all’istante. Parliamo dunque di uno ius soli temperato – nasci sul suolo italiano, vi risiedi, studi o lavori – e di uno ius culturae (diritto della cultura) – se...
«Sarà il mio onomastico e mi piacerebbe ricevere tanti biglietti d’auguri da inondare la casella postale. Almeno quel giorno vorrei sentirmi coccolato, respirare il profumo della vita. Grazie al buon cuore di quanti vorranno scrivermi. La autorizzo a pubblicare il mio recapito:Pasquale Buono, via Appia 319. 81028 S. Maria a Vico (Ce)». Questo il messaggio pubblicato da Massimo Grammellini sulla Stampa.it. Articolo della Stampa E’ bastata la lettura del giornale, qualche telefonata di amici di altre città e Valeria e Bianca, della Comunità di Sant’Egidio di Napoli hanno preso la macchina e sono andate a S.Maria a Vico, un Comune del Casertano, a trovare Pasquale. La visita a casa di Pasquale Una storia di solitudine e sconforto si è trasformata, grazie all’interessamento del giornalista Massimo Gramellini e della pronta risposta di Valeria e Bianca, in un segno di speranza per tutti gli anziani che vivono gli ultimi anni della loro vita lontano dai propri cari. La storia di Pasquale ci insegna che la solitudine si può sconfiggere e che l’affetto di un amico, di un figlio o di un nipote può migliorare lo stato d’animo e la salute di un anziano molto di più di mille medicine. http://www.vivaglianziani.it/2013/05/la-solitudine-si-puo-vincere-e-nessuno.html Roberto Barrella
BUKAVU, REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO Da anni la Comunità di Sant’Egidio li accoglie nella casa “l’Arca dell’amicizia” e provvede alla loro formazione professionale E’ dalla crisi del 1994, dovuta al genocidio in Ruanda, che le strade della regione del Kivu si sono riempite di bambini e ragazzi che sono stati chiamati «Maibobo», cioè «ragazzi di strada». In un primo tempo si trattava di minori non accompagnati in fuga dalla guerra, che avevano perso i genitori e si erano letteralmente smarriti, spesso portando con sé traumi dovuti al conflitto. Oggi, a distanza di quasi 20 anni da quei fatti drammatici, il fenomeno dei ragazzi di strada non è finito anzi si è drammaticamente accresciuto, e ogni giorno incontriamo ragazzi di 10, 12 e persino più grandi, che hanno rotto i legami familiari, dormono all’aperto e vagano lungo strade della città in cerca di sopravvivenza, in una società che non si cura di loro e in un mondo sempre più individualista. http://www.santegidio.org/C__un_futuro_per_i_Maibobo_i_ragazzi_di_strada_di_Bukavu.html
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