Dall’ECO LAB di Pace un carico di aiuti umanitari con materiale scolastico per le bambine e i bambini in Ucraina
RedazioneUn abbraccio di solidarietà agli amici e alle amiche dell’Ucraina, per scrivere insieme un futuro di pace. ECO LAB: un impegno di solidarietà e pace Come giovani della Comunità di Sant’Egidio abbiamo organizzato una raccolta di materiale scolastico per aiutare le bambine e i bambini in Ucraina che in questo periodo di grande sofferenza causata dalla guerra vedono il futuro più che mai incerto. Da sempre la Comunità è vicina ai bambini, li conosciamo proprio nelle scuole della pace organizzate nelle città di in più di 70 paesi nel mondo, dove cerchiamo di aiutarli nelle loro necessità, scolastiche e non solo. Vogliamo soprattutto stare insieme a loro per trasmettere i valori della pace e dell’amicizia, in contesti difficili di violenza, di emarginazione e spesso di abbandono. Abbiamo deciso di avviare questa raccolta di materiale scolastico per l’Ucraina perché ci sembra un gesto di solidarietà concreta per aiutare le bambine e i bambini nella loro educazione e istruzione. Con la guerra e i rumori delle armi, uno dei primi diritti di un bambino, ossia quello di vivere l’infanzia in un percorso di educazione e formazione, viene meno. Sappiamo dai nostri amici in Ucraina che i bombardamenti non si fermano e le città colpite da questi sono costrette a fare i conti con sistemi di allarme e sirene che suonano in continuazione. La Comunità sin dal 24 febbraio 2024, data che segnerà i due anni dallo scoppio della guerra, si è impegnata molto per portare aiuto, creando una rete di solidarietà che ha coinvolto tantissimi ucraini che nel bisogno hanno deciso di rendersi disponibili per portare a loro volta aiuto. Ora il freddo complica ulteriormente la situazione. Spesso manca la luce, la corrente elettrica, il riscaldamento. La scuola è il futuro dei bambini La scuola è il futuro dei bambini, è per noi quel modo di “preparare” la pace, cioè di preparare un futuro a-venire, perché l’istruzione non dev’esser loro negata. Abbiamo deciso quindi di impegnarci raccogliendo ogni sabato pomeriggio, dalle 17 alle 19, all’ECO LAB di Pace di Trastevere materiale utile per fronteggiare una situazione spesso drammatica e per questo abbiamo voluto preparare un carico di aiuti umanitari da inviare in Ucraina a fine febbraio. Per farlo abbiamo chiesto aiuto ad aziende e donatori, a studenti e lavoratori, a chiunque desideri dare il suo contributo, perché siamo certi che la solidarietà di tutti può segnare un grande traguardo di pace. Inviare un carico di aiuti umanitari quando spesso si sente solo parlare di armi è un gesto che vuole essere significativo: crediamo che anche nei momenti più bui si possa fare molto, continuando ad aiutare i tanti che sono nel bisogno, perché nessuno dev’essere dimenticato. Dove tutto viene distrutto, qualcosa si costruisce: aiutare un bambino a studiare significa iniziare a costruire il futuro, anche quando sembra impossibile. La guerra ha infatti reso tutto più difficile, recarsi a scuola non è oggi così semplice. La solidarietà, una risposta alla sofferenza della guerra È per preservare il loro diritto allo studio e...
Eco Lab di Pace, lo spazio dove l’ecologia e la solidarietà si incontrano e si trasformano in aiuto concreto
RedazioneOrmai sono trascorsi diversi mesi da quando abbiamo iniziato a pensare l’ECO LAB di Pace a Roma, un nuovo spazio di solidarietà e tutela dell’ambiente. Di sabato in sabato, grazie all’aiuto di tante persone volenterose il nuovo progetto del gruppo giovani della Comunità di Sant’Egidio ha pian piano preso forma. Ad inizio anno abbiamo anche avuto il piacere di essere ospiti del programma JustToday su Padre Pio TV. Qui puoi ascoltare la nostra intervista, abbiamo raccontato com’è nato l’ECO LAB e cosa svolgiamo qui. Abbiamo parlato di RICICLO, ECOSOLIDARIETÀ e PACE, le tre parole che caratterizzano la nostra attività. Riprendendo le parole di Paolo, nell’intervista raccontiamo che essere giovani per la pace significa impegnarsi per un mondo diverso, un’alternativa di pace prima di tutto, ma anche un mondo dove non è l’individuo ad essere al centro di tutto, ma è anche la comunità, il prossimo. Un mondo più solidale in cui il NOI è messo al centro, e non semplicemente l’IO. Ma cos’è ECO LAB? L’ECO LAB è un luogo di solidarietà e riciclo dove diamo nuova vita ai vestiti usati e trasformiamo la generosità in azione: un’iniziativa di solidarietà e riciclo sostenibile che rimette in circolo abiti usati per aiutare i più poveri. AI LAB la solidarietà e il rispetto per l’ambiente si fondono insieme, la missione principale è quella di dare nuova vita ai vestiti donati, dividerli e porli in scatole pronti per una seconda avventura. Ma l’obiettivo di ECO LAB è aiutare a supportare persone bisognose, dalle carceri ai senza fissa dimora, offrendo loro capi caldi e confortevoli. La forza dei giovani volontari all’ECO LAB Ciò che rende davvero speciale ECO LAB è il numero di giovani che lavorano instancabilmente dietro le quinte, che dedicano il loro tempo e le loro energie per trasformare questo luogo di “deposito” in un LAB attivo e accogliente, dimostrando come la solidarietà si possa fare, per davvero, nel concreto. Da qui partono infatti i carichi di aiuti anche verso terre che vivono la sofferenza della guerra, come l’Ucraina e la Siria. Come aderire a questa iniziativa? ECO LAB non è solo un luogo fisico, ma un invito aperto a tutti coloro che desiderano partecipare a un cambiamento positivo. Chiunque può visitare questo spazio per dare il suo contributo a rendere più dinamico questo “anello” nella catena del riciclo solidale! Un mondo di colori, tessuti, ma anche di farmaci, beni di prima necessità, e tante storie di aiuto. Un circolo virtuoso di generosità e solidarietà. Vieni anche tu! Qui generosità e solidarietà entrano in circolo, dove il riciclo diventa una seconda possibilità. Unisciti a noi verso un futuro più sostenibile e solidale! Ci trovate tutti i sabato pomeriggio in Via Angelo Bellani 41 (vicino Stazione Trastevere). Puoi contattarci mandando una mail a [email protected]
È un’amicizia che si rivela “benedizione”. Essere amici dei poveri vuol dire “benedire” la vita di tante persone che vivono per strada, all’angolo di qualche viuzza dispersa, appartati lungo i viali delle nostre città o davanti a dei negozi luminosi, di giorno e di notte. Amici che sono per noi fratelli e sorelle da conoscere, ascoltare e aiutare. È grande la compagnia dei giovani che fa servizio con la Comunità di Sant’Egidio: in fondo, un passaparola e un invito per “aiutare ad aiutare” portano molti ad aggiungersi a quel gruppo che, con sacche pesanti e thermos, si avvia al “giro”, ogni settimana, nel cuore della città e nelle periferie. Dagli amici poveri impariamo che la vita di strada è una vita difficile, una vita che ti mette alla prova, ti addolora e ti ammala. Impariamo a vedere con i nostri occhi che le necessità di chi vive per strada sono tante, prima fra tutte quella di proteggersi dal freddo e dalla fame, lo sappiamo ancor meglio in questo periodo, quando, uscendo di casa ed esclamando “che freddo!”, ci avvolgiamo la sciarpa attorno al collo. Nelle sere fredde di questo inverno ci rechiamo nelle stazioni ferroviarie o nei luoghi dove “abbiamo visto qualcuno”, portando cibi e bevande calde, coperte e altri generi di conforto utili a proteggerli (e salvarli). Ogni nuovo incontro è per noi l’inizio di una nuova storia e di una memoria. Ci ricordiamo di ognuno di loro perché non incontriamo “solo” dieci o venti persone, ma incontriamo dieci e venti storie diverse e per ogni storia ci troviamo di fronte ad una vita che ha bisogno di aiuto. Il cibo che portiamo loro è, quindi, per noi solo l’inizio, per loro una salvezza. Impariamo tanto dai loro racconti o dai loro silenzi inscalfibili, che piano piano si trasformano in gesti di affetto e di fiducia. Apprendiamo dagli ultimissimi dati che “nelle strade delle città europee ci sono 700 mila persone che dormono su marciapiedi e panchine, negli androni dei portoni, nelle stazioni, un numero che negli ultimi 10 anni è cresciuto del 70%”. Sono dati che spaventano, vista la crescita così importante della forma “più estrema di esclusione sociale”. Proprio per questo, vorremmo impegnarci sempre di più e la solidarietà è la prima risposta. Impariamo che la povertà non è mai una scelta: a volte ha la sfumatura del disagio fisico, talvolta mentale, spesso economica, a volte frutto della “sfortuna”, ancora troppo spesso colpevolizzata da una società che sempre di più si basa sulla logica della competizione e vede nel povero “un perdente”. La povertà è una storia drammatica perché è, in fondo, una estrema solitudine. C’è una rete di aiuto che si è costruita intorno all’amicizia con i poveri: non solo accoglienza notturna, non solo un pasto caldo, ma anche l’aiuto per “svoltare”. Spesso quando incontriamo i senza fissa dimora, incontriamo anche tanta rassegnazione e vergogna. Proprio in quel momento capiamo che la situazione davanti ai nostri occhi non sarà e non potrà essere così per sempre, abbiamo imparato...
I corridoi umanitari: un viaggio con una meta sicura per un’accoglienza umana e rispettosa
RedazioneIl viaggio di tutti ha una meta e chi arriva merita rispetto, dignità e ascolto: è questa l’accoglienza che si fa “più umana”. Perché l’incontro ci rende capaci di una narrazione giusta, che non faccia sconti alla ricchezza di ogni storia di sofferenza che, nel bagaglio, chi arriva porta con sé. È la festa di un’accoglienza calorosa di molti bambini, donne e uomini che possono finalmente iniziare a vivere una nuova vita piena di felicità in Italia. Un augurio di benvenuto a tutti loro! Sono atterrati nella mattina di giovedì 30 marzo, all’Aeroporto di Fiumicino, 58 rifugiati siriani che hanno vissuto a lungo nei campi profughi del Libano o in alloggi precari nella periferia di Beirut e 15 richiedenti asilo dai campi della Grecia provenienti da Iraq, Somalia e Congo. Si chiamano corridoi umanitari e la via dell’accoglienza si fa realtà. Sì, perché lo sfondo di questa accoglienza ha molto a che fare con noi. Per questo, ci riguarda. È una via (più) umana, più rispettosa, più giusta. Per questo anche legale, per i tanti che abbandonano la vita lasciandosi alle spalle un “bagaglio” di sofferenze dovute ai traumi della guerra e delle violenze, alla disperazione di fronte alla povertà e alla rassegnazione nei campi profughi, dentro o ai margini dell’Europa, quasi si volesse distaccare il destino di migliaia di vite umane da quelle che sono le sorti del nostro intero continente. Dal 2016, quando si è trovato l’accordo con il ministero degli Esteri e degli Interni, grazie alla collaborazione della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e della Tavola Valdese, complessivamente in Europa con i corridoi umanitari sono giunti oltre 6 mila rifugiati. Il 18 marzo Papa Francesco ha incontrato le famiglie “ospiti”, nel vero senso doppio della parola: i tanti cittadini che hanno offerto la loro casa a coloro che sono giunti in Italia, in Francia, in Belgio e in Andorra, e anche “i nuovi Europei”, come sono stati definiti da Marco Impagliazzo, il Presidente della Comunità di Sant’Egidio, i migranti e i rifugiati che arrivano nel nostro continente. Tantissimi i bambini, i giovani, le donne e gli uomini ricevuti in udienza dal Papa, che si è detto colpito ed entusiasta per la “creatività generosa” degli amici di Sant’Egidio che, di fronte alle tragedie delle numerose, troppe, morti di speranza nel Mediterraneo, hanno trovato una via possibile di accoglienza. È un esempio reale che ha salvato le vite di molte persone, è un segno lungimirante di un’umanità che è ancora possibile e non è “naufragata” in quelle onde che ci incutono tanta paura. Spesso, di fronte alle tragedie in mare, ci chiediamo che cosa spinge i migranti ad abbandonare la loro terra. Le motivazioni ci aiutano a pensare un mondo complesso, per il quale troppo frequentemente si cercano soluzioni ad effetto immediato e rapido, ma così non è e proprio perché le questioni sono complicate, meritano di essere affrontate cercando soluzioni con un impegno comune e un
Brillano gli occhi dei bambini – riflessioni dopo il Natale in un campo profughi
Alessandro IannamorelliÈ la quarta volta che vengo ad Atene ed ogni volta che preparo la valigia per ripartire una sensazione agrodolce mi pervade. Venire al campo e donare un po’ di infanzia ai bambini che vivono qui non è una semplice vacanza o una semplice esperienza di volontariato di qualche giorno l’anno. Venire qui significa vedere materializzarsi davanti gli occhi la sofferenza, la crudeltà del nostro mondo e della guerra, significa abbracciare anime pure a cui sta venendo sottratta un’infanzia, una casa, il diritto alla libertà. Vedere il campo è avere davanti gli occhi muri grigi che sembrano arrivare al cielo contornati da filo spinato, guardie giurate e indifferenza. Venire qui significa dover essere pronti ad aprire le braccia e il cuore ai sorrisi dei bambini, alla loro gioia e alla loro innocenza, ma anche alla sofferenza e alla quasi rassegnazione che traspare dagli occhi di madri e padri che hanno affidato al mare il destino dei propri figli, di figli senza padri, diventati uomini prima di quanto fosse giusto ma che si sciolgono in un abbraccio, di ragazze che diventano donne e che sognano un mondo in cui poter essere libere, di bambini che sognano di fare i calciatori, le maestre o i dottori. Parlare con queste persone, ascoltare le loro storie, guadagnare la loro fiducia implica anche prendersi la responsabilità di portare sempre nei nostri cuori e nei nostri pensieri le loro parole di speranza, le loro paure, significa non lasciarli soli, diventare la loro voce con chi non vuole uscire dalla sua bolla di egoismo ed indifferenza, di sognare e pregare per loro ogni giorno. Il campo ti toglie tutto, ti risucchia ogni energia, ti toglie la voglia di sognare, eppure dietro un primo velo di tristezza e rassegnazione gli occhi delle persone che ho incontrato brillano di resilienza e speranza per un domani migliore. Brillano gli occhi dei bambini che ci riconoscono, le nostre pettorine blu sono diventate segno di amicizia e speranza, ci corrono incontro e ci abbracciano senza volerci far andare via. Brillano quando Baba Noel (Babbo Natale dai noi) li chiama per nome sul palco, quando gli diciamo le poche parole che conosciamo in arabo o in farsi, quando passiamo nella galleria dell’autostrada con il pullman. Brillano gli occhi di ragazzi e ragazze iracheni, afgani, curdi alla vista dei pesci in un acquario o di un brownie con il gelato. Brillano gli occhi delle mamme e dei papà che ci ringraziano per quello che facciamo per i loro figli, che ci offrono acqua, the, biscotti anche quando non ne hanno. Brillano gli occhi di Ali, Navid, Asma e Asra, incontrati quest’estate e legati a noi per sempre. Brillano gli occhi di Amir Ali, Mustaba, Ahmed, Viana, Rajid, Yosser e dei loro genitori, brillano perché sono riusciti ad andare via dal campo ed hanno guadagnato un pezzetto di questa libertà che si meritano. Brillano gli occhi di Malak, Hassan, Eyad, Hossein, non so dove siano o cosa stiano facendo, ma so che la luce...
PROGETTI
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I Giovani per la Pace sono impegnati contemporaneamente su più fronti. Attualmente questi i progetti che ci stanno più a cuore.
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