Di fronte al dolore così forte per la tragedia di sabato notte nel Canale di Sicilia con oltre 700 morti nel naufragio del mercantile, gli Universitari Solidali della Comuntà di Sant’Egidio hanno deciso di invitare tutti i cittadini romani, specialmente i giovani e gli studenti, a due veglie che si terranno MARTEDI, 20 APRILE alle 20.00 Momento di preghiera presso la Basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina MERCOLEDI 22 APRILE alle 19.45 Fiaccolata a Piazzale del Verano di fronte la Basilica di San Lorenzo a pochi metri dall’Università La Sapienza. Insieme per pregare per tutte le vittime del Naufragio degli immigrati avvenuto nella notte tra sabato e domenica; tragedia che si è consumata nel Canale di Sicilia con circa 700 vittime. Una fiaccolata in cui unire tanti per pregare per persone che “cercavano la felicità”, ma hanno trovato la morte e chiedere la mobilitazione della comunità internazionale. Un momento in cui le tante fiamme delle candele che verranno accese accompagneranno il dolore di tanti. Mercoledì Al termine dell’incontro, come gesto concreto a servizio dei più bisognosi, verrà organizzata la distribuzione itinerante di strada di coperte e pasti ai senza tetto di Roma.
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Il 31 gennaio 1983 alla stazione Termini moriva Modesta Valenti di fronte agli occhi di chi non volle caricarla sull’ambulanza a causa dei pidocchi. Durante tutto il mese di febbraio, la memoria di Modesta e di quanti sono morti per le strade della nostra città, capitale d’Italia, ha attraversato le chiese di Roma, che si sono illuminate della luce di quelle candele accese in memoria di ciascuno dei nostri amici senza fissa dimora. Oggi – 1 marzo – la memoria è arrivata all’istituto San Michele ed è stata celebrata, con nostra grande gioia, da Monsignor Konrad Krajewski. La chiesa si è riempita di una molteplicità di volti differenti e, al contrario di come qualcuno vorrebbe farci credere, la molteplicità di storie, culture e lingue insieme non ha generato chiasso, discordia o confusione. La memoria di quanti hanno perso la vita per strada, i primi scartati da una società con il culto dell’autosufficienza, ha unito persone diversissime concordi nel voler rimettere al centro i più fragili, i più deboli. Dopo la liturgia, la moltitudine diversità unite nella gioia e nel sogno di una società che metta al centro i più deboli non si è dispersa, bensì raccolta a pranzo, durante il quale abbiamo conosciuto i giovani rifugiati ospiti della SPRAR San Michele, che hanno arricchito la nostra festa di lingue, racconti e gioia.
Una rappresentanza dei Giovani per la pace di Catania si è recata a Lampedusa, dove ha fatto visita al centro di accoglienza. La visita si inscrive in un periodo difficile poiché vi sono diversi sbarchi ma, cosa ancora più grave ci sono state, anche negli sbarchi di questi giorni, diverse vittime. Ormai non si riescono più a contare le vittime che sta portando questo tragico esodo dall’Africa all’Europa; il Mar Mediterraneo sta diventando l’Auschwitz del ventunesimo secolo, e il tutto proprio davanti ai nostri occhi. Bisogna fare qualcosa. E’impensabile che il mondo si stia abituando alla morte e legge il fenomeno drammatico dell’ immigrazione come qualcosa che non lo colpisce personalmente. Troppo sangue versato, troppe vittime, troppe vite che si consumano in mare. Bisogna rimanere umani davanti ala morte. I Giovani per la pace si sono recati a Lampedusa per conoscere e accogliere in maniera umana i migranti ma soprattutto per pregare per le vittime che ci sono state in mare in questo ultimo periodo. Giunti al centro di accoglienza i Giovani per la pace hanno conosciuto i migranti appena sbarcati, stanchi ma allo stesso tempo gioiosi poiché dopo tanto viaggiare e dopo tante difficoltà erano arrivati sani e salvi , felici per essere arrivati in Europa, anche se non sapevano bene dove, in Europa. I Giovani per la pace dopo aver conosciuto i migranti hanno ascoltato le loro storie e stanno cercando di ricostruire gli avvenimenti accaduti in mare che hanno provocato la morte di molti uomini. Non si conoscono ancora i nomi delle ultime trecento vittime, e si cerca di recuperarli parlando con i sopravvissuti. Questa è una sfida ardua ma che è stata già portata avanti dalla comunità di Sant’Egidio in passato. Ogni tre ottobre si celebra la preghiera Morire di Speranza, ricordando il nome di ogni vittima e pregando per loro. Ricordare è importante, perché è il primo modo di non accettare quello che avviene, di non passare oltre voltando lo sguardo dall’altra parte. In nomi ci ricordano che i morti non sono numeri ma uomini e donne, giovani, con delle storie, e un futuro che gli è stato strappato. La stagione che inizia è molto difficile poiché ci sono diversi sbarchi, ma alcuni giovani lampedusani hanno deciso di coltivare il sogno dei giovani per la Pace e andranno a trovare anche gli anziani in istituto, perché serve un’alleanza intergenerazionale. Bisogna coltivare questa grande amicizia con i migranti e soprattutto pregare e credere nella forza della preghiera, in particolar modo in questo periodo di Quaresima; bisogna creare ponti di Pace. C’è bisogno di cambiamento. Il mondo deve cambiare: è necessario fermare la “Globalizzazione dell’indifferenza”, perché l’indifferenza uccide e non crea società di uomini e donne rilevanti ma persone che davanti ai grandi appuntamenti con la storia girano le spalle e se ne vanno tristi. Articolo scritto da Giorgio Marino.
Nel caos della vita moderna non c’è più tempo per fermarsi, per osservare, per pensare. Veniamo inghiottiti dalla frenesia della citta e diventiamo complici involontari di un’ indifferenza collettiva. In quest’amalgama procediamo spediti senza alzare la testa, senza fare caso ai dettagli delle cose che ci circondano, dimentichiamo in fretta le periferie e i visi che le abitano. Cè chi, in tutto questo, rimane perennemente invisibile, nonostante sia sotto gli occhi di tutti: persone che vivono ai margini delle nostre città, segregate al di fuori dei confini della nostra società. Persone dimenticate ormai da tutti, che gridano per essere ascoltate ma non hanno voce. Persone che hanno alle spalle mille e più storie, di sofferenza, di dolore, di rassegnazione, ma anche di gioia, di amori, di risate. Persone di ogni provenienza, cittadini del mondo senza diritti. A Messina, ogni venerdì, un gruppo di giovani più o meno numeroso si riunisce, accomunato dalla stessa voglia di conoscere queste persone e le loro storie, e gira la città, passando per i posti apparentemente dimenticati da tutti. Portano un panino e delle bevande, un gesto simbolico, un pensiero che si traduce in qualcosa di concreto, che significa: “Io, ogni venerdì, sarò qui ad ascoltarti”. I ragazzi e le ragazze dei Giovani per la Pace di Messina hanno preso una decisione, quella di rompere la monotonia e l’indifferenza della vita della loro città e trasformarla in un gesto concreto di supporto e di amicizia. Hanno ascoltato la storia di Leon, di Achille, di Salvatore e di tanti altri, hanno riso insieme a loro ma si sono anche fermati a riflettere, perchè hanno capito che la condizione di queste persone è ingiusta, e che c’è ancora molto da fare per portare all’attenzione di tutti un problema che, di questi tempi, è stato completamente dimenticato. Articolo scritto da Giorgio Cannetti
Conosco poco il Talmud e ancor meno l’ebraismo; mi professo un ignorante cosciente di ciò che ignora e della bellezza contenuta nei libri sacri delle grandi religioni della storia. Negli anni ho sempre avuto davanti agli occhi, per i motivi più svariati, alcuni versi ma se c’è qualcosa che mi ha colpito più di tutti è sempre stato leggere “chi salva un uomo, salva l’umanità intera”. Alla vigilia del 70′ anniversario dall’apertura dei cancelli di Auschwitz, credo che questa frase porti con sé tutto ciò che pagine e pagine non potrebbero spiegare mai. Il 27 Gennaio risveglia dal torpore un po’ tutti. Riporta alla mente immagini che sin da piccoli abbiamo imparato a non dimenticare, con la consapevolezza di un bambino che sa quanto sia sbagliato far del male a qualcun altro. Oggi, a 70 anni da quella data, io sono un po’ diverso dal bambino che ero e in cuor mio spero di essere un po’ migliore, ma mi sento profondamente bugiardo. E a dire il vero, bugiardi siamo un po’ tutti. Non fraintendetemi, non voglio essere polemico. O meglio, voglio esserlo ma come lo è un bambino, chiedendo il ‘perché?’ di tutte le cose fin quando non è sazio di risposte, fino al nuovo slancio di domande verso ciò che lo circonda. Perché siamo tutti un po’ bugiardi? Perché ogni anno ci troviamo a ripetere che “ricordiamo per far sì che tutto ciò non accada mai più”, non vi siano uomini, donne e bambini che debbano temere per la propria vita, nascondendosi per paura di ciò che sono, si tratti di un credo religioso, del colore della pelle o di un accento diverso. Siamo bugiardi perché sono cambiati i luoghi, le persone, i bersagli e gli aguzzini, ma trasuda ancora violenza dalle mani di questo mondo ‘nuovo e civilizzato’ che stiamo contribuendo a costruire. 27 Gennaio. Villaggi rasi al suolo, donne e bambini sgozzati, omicidi di massa. Trascorse circa tre settimane dalle elezioni in Nigeria, i fondamentalisti islamici Boko Haram hanno “intensificato l’offensiva contro città e villaggi nel nord-est, abitati a grandissima maggioranza da musulmani.” Attualmente nessun civile può entrare o uscire dalla metropoli e le organizzazioni umanitarie lanciano un grido, temendo per la vita di centinaia di migliaia di civili. Uomini, donne e bambini. 27 Gennaio. Riesplode la violenza in Ucraina. Gli scontri si sono riaperti lungo tutto il fronte, mentre Donetsk, le città e i villaggi circostanti vengono martellati dai mortai. Ogni giorno si apre con le notizie di nuove vittime, civili e non. Una nuova ondata di violenza che è culminata negli attacchi contro i mezzi pubblici, non ultimo quello di qualche giorno fa che ha fatto registrare nove morti ad una fermata di filobus. Uomini, donne e bambini. 27 Gennaio. Non si è ancora chiusa la ‘questione CharlieHebdo’ che ha svegliato tutto il mondo, puntando i riflettori su Parigi e fermando il calendario al 7 Gennaio. I giornali titolano “Il terrore insaguina Parigi e la Francia”, “Assalto alla redazione del giornale satirico, 12...
Francesco di Palma ha scritto il bel libro su Floribert Bwana Chui, ucciso nel 2007 perché si è rifiutato di accettare di farsi corrompere per far passare delle partite di cibo avariato che avrebbe nuociuto alla popolazione di Goma, nella Repubblica Democratica del Congno. Il libro si intitola “Il prezzo di due mani pulite“. Ieri in occasione della presentazione del libro abbiamo intervistato l’autore. Ecco il testo dell’intervista. Come la storia di Floribert può essere d’esempio anche per la società italiana? La storia di Floribert è una storia profondamente radicata in un contesto specifico, in un contesto africano, in particolare congolese. Floribert si pensava come congolese, come africano, e in fondo sognava un riscatto per il Congo e per l’Africa. Detto il suo radicamento, va però anche detto che la sua vita, il suo saper dire no a un materialismo invadente, a una sete di denaro che diventa qualcosa che ti ruba il cuore e la mente, tutto questo diventa un segno e in fondo un modello che parla al nostro mondo europeo. Se anche noi non conosciamo quella realtà violenta e tante volte sfigurata, che è il Congo, possiamo però dire che c’è una realtà arida, una realtà spietata china sul denaro, che tante volte è anche quella di noi europei. In questo contesto l’esempio di Floribert che sceglie la vita e non il denaro, che sceglie i poveri e non il guadagnarci sopra, mi sembra che anche pensando agli esempi recenti di Mafia Capitale, può essere qualcosa che ci fa riflettere e ci aiuta a scegliere per il meglio. Com’è ora la situazione in Congo? Il Congo di Floribert era un Congo appena uscito dalla guerra civile, dalle due guerre che l’avevano insanguinato. Oggi la situazione è differente per quello che riguarda il Paese: l’ovest è più pacificato, purtroppo in Kivu ci sono ancora diversi scontri; sono soprattutto milizie, ribelli che cercano di trovare notorietà o di guadagnare qualche cosa in un’opera di guerriglia, di predazione, di banditismo e questo è qualcosa che ancora va superato. D’altra parte il Congo deve ancora ricostruirsi come società più attenta agli ultimi, più attenta a tutti e di vincere quella che è la grande sfida, quella della corruzione, di grandissimi divari sociali ed economiche; un nuovo Congo che affronta sfide non belliche, ma che affronta la sfida di una società che sia più a misura d’uomo, più attenta all’uomo. Quale messaggio vuole lanciare a tutte quelle persone che si sentono sfiduciate dalla corruzione dilagante in Italia? Io non vorrei lanciare messaggi, quello che posso fare è proporre questa testimonianza di Floribert; come è stato detto oggi alla presentazione il mondo oggi è tentato dal vittimismo, dalla rassegnazione; è una tentazione che c’è in ognuno di noi ed è la reazione più facile di fronte a qualcosa che non va bene. In fondo Floribert ci insegna che c’è un grande spazio per la testimonianza personale, per le scelte personali, per un azione e un modo di agire che siano un segno...
A Capodanno ho scoperto un crocevia: in una delle poche notti in cui il freddo ha toccato Roma, quest’inverno, io ho scoperto un incrocio di esistenze sospese, un rifugio caldo per chi fino a pochi mesi, settimane o giorni prima aveva una casa. La notte di Capodanno abbiamo fatto “il giro”: abbiamo portato la cena agli amici che vivono per la strada, facendo festa e brindisi anche assieme a loro. Dal momento che alcuni pasti erano avanzati, siamo andati in esplorazione e abbiamo scoperto che nel Policlinico la sala d’attesa di notte diventa il punto d’incontro di tante storie diverse. Da luogo di attesa e di angoscia, diventa il porto sicuro per chi nelle strade dovrebbe aspettare l’arrivo dell’alba, il passaggio del freddo, sperando che la sua morsa non lo stringa per sempre, come purtroppo ancora accade anche nella nostra città. È nella sala d’attesa del Policlinico che abbiamo conosciuto Erika, che a casa non riesce a dormire da sola perché pensa al suo Mirko morto più di un mese prima proprio lì, al Policlinico. È nella sala d’attesa del Policlinico che scopriamo quanto può essere facile e banale finire per strada, come è successo a Cristiana che è venuta in Italia con la falsa promessa di un lavoro e senza i soldi per tornare in Romania dalle due figlie. È Massimo a ricordarci che tante volte è un tessuto umano disgregato, l’isolamento, a costituire la prima arma della strada: lui ci è finito perché ha litigato con la moglie e perché essendo in cattivi rapporti con il fratello non voleva farsi ospitare a casa sua. A Capodanno abbiamo scoperto un crocevia di umano che ci interroga ogni giorno. Le storie che ci hanno raccontato sono anzitutto storie di solitudine, di una società meno solidale, di famiglie e individui isolati, e tutti possiamo tutti ogni giorno combattere la solitudine, in ogni momento possiamo lavorare per ricollegare i nodi di una rete sociale (e solidale) che la diffidenza e il mito dell’autosufficienza corrodono quotidianamente. Anche questo è costruire la pace. Elena
Negli ultimi giorni ben tre bambini sono stati fatti esplodere “imbottiti” di esplosivo come terroristi qualsiasi. Ma non possiamo illuderci che si tratti di un attentato come ogni altro avvenuto in passato. Questa volta è diverso. I terroristi hanno veramente oltrepassato ogni limite! È di per sé intollerabile il fatto che degli innocenti bambini debbano quotidianamente assistere alla violenza della guerra, ma non si può tollerare nella maniera più assoluta che vengano utilizzati come protagonisti di questa folle guerra, mascherata da scontro religioso, ma che nasconde la volontà di controllare le ricchezze del paese, in primis il petrolio. I bambini devono giocare, studiare e divertirsi. Chi fa loro del male, colpisce prima di tutto se stesso! I bambini sono IL patrimonio dell’umanità. Custodiscono il bene più importante e prezioso che c’è: il futuro di tutti noi!
E’ stata una giornata particolare quella di Lunedi 5 Gennaio. La RAI, è venuta a Catania per registrare un servizio sul lavoro dei Giovani per la Pace durante il loro servizio ai più poveri e per raccontare una generazione che, partendo dagli ultimi, ha deciso di cambiare il mondo. Giovani catanesi e nuovi europei insieme, questo ha colpito la truope RAI, che ci ha seguito durante tutta la giornata. Villa Chiara, la casa per per anziani che i Giovani per la Pace frequentano settimanalmente, è stata la prima tappa. La prima immagine raccontata dalle telecamere, è stata quella del dialogo tra Giuseppe, di 94 anni, e Jonathan e Karamo, due Giovani per la Pace del CARA di Mineo. Tema:la Libia!!! Quella di tanti anni fa, la Libia dove gli italiani stavano bene, la Libia della giovinezza di Giuseppe…ma anche la Libia di oggi, la Libia della sofferenza, della guerra, la Libia raccontata da Karamo e Jonathan, quella della violenza, delle torture, l’inferno raccontato dalle parole dei due Giovani per la Pace di Mineo. Tanta curiosità da parte degli anziani per questo appuntamento inaspettato: “La RAI viene da noi??? E chi ce lo doveva dire!!!!” Seconda tappa di questa giornata, è stata la preparazione della cena per chi vive per strada. Ogni settimana infatti tanti giovani, liceali e universitari, preparano un pasto per chi non ha casa. Anche qui tanta curiosità da parte di tutti che, tra un panino da preparare e l’altro, hanno risposto alle domande del regista della RAI Lucio. Tanti gli intervistati, tante domande e tanta curiosità. Perchè così tanti giovani, catanesi e nuovi europei, hanno scelto di vivere, all’interno della propria settimana, una tensione e un’attenzione così particolare per che è più povero ? Perchè chiamiamo i poveri, amici ? Perchè un giovane del Ghana, del Gambia, del Senegal, che vive a Mineo, ha deciso di dedicare parte della propria settimana per servire chi è più povero di lui ? Queste, alcune delle domande che ci sono state rivolte. Non riportiamo le risposte e vi rimandiamo al servizio che andrà in onda Domenica 11 Gennaio alle ore 10.30 su RAI 1. Il servizio televisivo è continuato con le riprese della preghiera dei Giovani per la Pace, dove ancora una volta è risuonato il Vangelo di Natale; Gesù nasce nel buio e nel freddo della notte, il buio nella vita e nel cuore di tanti, il buio della guerra, del terrorismo, della povertà, della solitudine. Ma il Natale è quella luce che illumina quel buio, una luce che dà gioia e che si capisce nel servizio a chi è più povero, nell’essere insieme, cambiando il proprio cuore. Al termine della preghiera, verso le 20.30 circa, le telecamere hanno ripreso le nostre macchine riempirsi di coperte, té caldo, panini, piumoni. Siamo così partiti per il nostro “giro” lungo le vie della città, dove chi non ha casa ci aspetta per un pasto caldo, una coperta, ma sopratutto per scambiare quattro chiacchiere tra buoni amici. Anche qui tanta curiosità: “E che ci fa qui la RAI con...
I giovani per la pace hanno ancora voglia di Natale, di quello fatto di cuore, speranza e cambiamento. É per questo che un gruppo di liceali allontanandosi dal centro l’ ha ritrovato alla periferia di una periferia, dove più nessuno cerca, dove più nessuno spera: al campo rom di Scampia. Su uno sfondo di fango e baracche abbiamo pregato insieme, una preghiera che ci ha visti partecipi della stessa emozione, un’ emozione che ci ha convinti di essere nel posto giusto, era Natale negli occhi dei bambini e delle donne rom perché eravamo li, in un luogo che i più disprezzano e attentano, era Natale nei nostri occhi perché eravamo con loro a fare di una periferia il centro del nostro mondo. Questa mattinata al campo ha risposto a molte delle nostre domande, perché ci ha fatto capire cosa c’ é realmente dietro i giudizi sbagliati, ma soprattutto che alle periferia non finisce la vita, ma rinasce e si fa spazio tra mille punte di spine. La strada che porta al campo ha tutte le sembianze di una discarica di rifiuti, ma entrando capisci che é anche una discarica di mani arrese e sguardi indifferenti e che la nostra preghiera e il nostro Natale non potranno di certo finire. Sul balcone di una vela c’ era scritto che “cresce solo chi é sognato”, noi sognamo un cambiamento per Scampia, per i rom, per le periferie tutte, e giornate come questa ci fanno ben sperare!” Articolo scritto da Francesca Sepe
Domenica 21 dicembre nella chiesa della Ss Annunziata a Frosinone si è svolto il pranzo di Natale organizzato dai Giovani per la Pace della Comunità di Sant'Egidio.
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