Si deve però manifestare un senso di vergogna di fronte ai romani, soprattutto ai deboli: «Speriamo che il 2013 sia pieno di monnezza, profughi, sfollati e bufere» – diceva un sms augurale di un attore di questa vicenda
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“Sono italiano! Sono africano! E, come vedete, sono nero! E sono fiero di essere quello che sono. Ma soprattutto sono un essere umano!” Cosi apre la sua testimonianza Maurice, ventiseienne della Costa d’Avorio, sopravvissuto alla traversata del deserto del Sahara, ad un naufragio e giunto a Lampedusa; sorte fortunata, o oseremmo dire, benedetta , rispetto ai tanti immigrati che purtroppo in questi giorni ci hanno lasciato. Con queste parole sincere e coraggiose si apre il secondo appuntamento di “Parole di uomini, Parola di Dio”, organizzato dalla comunità di Sant’Egidio, che ogni mese si incontra per discutere sul valore di alcuni temi secondo le scritture e la nostra esistenza da uomini. Oggi vedremo come alla parola ODIO/INIMICIZIA si possa rispondere “ Facendo il bene” e “Riconoscendoci tutti fratelli, perché figli di uno stesso padre”. “Noi stranieri dobbiamo ringraziare l’Italia perché ci ha accolti” – ribadisce Maurice, ricordando quei 3 lunghi giorni di interminabile cammino nel deserto, mentre era costretto a lasciare sulla sabbia, stremati, tanti compagni di viaggio – “Molti non ce la fanno. Durante il viaggio vedi ai tuoi lati corpi umani, ma non puoi fermarti, devi andare avanti se vuoi sopravvivere”. Racconta ancora di come, dopo 2000 km, si sia visto proporre per la grande traversata una piccola barchetta trasandata di circa 250 posti, mentre lui e i suoi compagni di viaggio, erano più del doppio: “Quando arrivi lì devi per forza salire! Sono armati!”. Conclude sobriamente e umilmente il suo “esodo” raccontando dell’arrivo a Lampedusa e della felice accoglienza che ha ricevuto dalla Caritas di Frosinone.“Dio mi ha fatto conoscere molte persone buone!” – cosi risponde ai tanti amici che gli domandano come faccia a vivere con delle persone che “lo insultano, lo picchiano, lo discriminano” (gli italiani). “Mi piace l’Italia perché non posso lamentarmi! Però è ancora dietro al razzismo!” – Inizia, allora, un accorato appello ai tanti universitari operanti nella comunità presenti in aula, perché è dai giovani che le cose devono cambiare – “Non sono sporco, sono nero! Sono una creatura di Dio! Se dici cosi allora anche Dio deve essere sporco!” – “Tu credi in Dio? E non ami suo figlio perché è nero?” – “Se io vi dessi per un solo giorno la mia pelle, non ve lo scordereste mai per quello che vivreste!”.La sua testimonianza è sincera, umile e si estende anche al tema dell’interculturalità e all’apertura alle altre culture, viste come ricchezza: “Dovete togliervi dalla testa che siete superiori ai neri e che gli altri non possono insegnarvi niente!” – afferma con rammarico, lui che ora è allenatore di calcio ai bambini di Strangolagalli, la cittadina in cui ora vive felicemente. “Dovete approfittare delle altre culture; solo cosi potete accrescere le vostre conoscenze” – “Rispetto e un po’ di affetto! Solo questo chiediamo noi stranieri! Devi dirci che tu sarai la nostra famiglia!”.La sua è una fede forte, e ce lo dimostra rispondendo al tema ODIO, con la parola PERDONO: “Ho imparato a perdonare, ho imparato a pregare, ma non imparerò mai a fare finta di essere ciò...
Papa Francesco: “La pace è un bene che supera ogni barriera”. Preghiera e digiuno per la Siria, 7 Settembre 2013
Alessandro IannamorelliRiportiamo l’Angelus di Papa Francesco del 1° settembre 2013. “Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Quest’oggi, cari fratelli e sorelle, vorrei farmi interprete del grido che sale da ogni parte della terra, da ogni popolo, dal cuore di ognuno, dall’unica grande famiglia che è l’umanità, con angoscia crescente: è il grido della pace! E’ il grido che dice con forza: vogliamo un mondo di pace, vogliamo essere uomini e donne di pace, vogliamo che in questa nostra società, dilaniata da divisioni e da conflitti, scoppi la pace; mai più la guerra! Mai più la guerra! La pace è un dono troppo prezioso, che deve essere promosso e tutelato. Vivo con particolare sofferenza e preoccupazione le tante situazioni di conflitto che ci sono in questa nostra terra, ma, in questi giorni, il mio cuore è profondamente ferito da quello che sta accadendo in Siria e angosciato per i drammatici sviluppi che si prospettano. Rivolgo un forte Appello per la pace, un Appello che nasce dall’intimo di me stesso! Quanta sofferenza, quanta devastazione, quanto dolore ha portato e porta l’uso delle armi in quel martoriato Paese, specialmente tra la popolazione civile e inerme! Pensiamo: quanti bambini non potranno vedere la luce del futuro! Con particolare fermezza condanno l’uso delle armi chimiche! Vi dico che ho ancora fisse nella mente e nel cuore le terribili immagini dei giorni scorsi! C’è un giudizio di Dio e anche un giudizio della storia sulle nostre azioni a cui non si può sfuggire! Non è mai l’uso della violenza che porta alla pace. Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza! Con tutta la mia forza, chiedo alle parti in conflitto di ascoltare la voce della propria coscienza, di non chiudersi nei propri interessi, ma di guardare all’altro come ad un fratello e di intraprendere con coraggio e con decisione la via dell’incontro e del negoziato, superando la cieca contrapposizione. Con altrettanta forza esorto anche la Comunità Internazionale a fare ogni sforzo per promuovere, senza ulteriore indugio, iniziative chiare per la pace in quella Nazione, basate sul dialogo e sul negoziato, per il bene dell’intera popolazione siriana. Non sia risparmiato alcuno sforzo per garantire assistenza umanitaria a chi è colpito da questo terribile conflitto, in particolare agli sfollati nel Paese e ai numerosi profughi nei Paesi vicini. Agli operatori umanitari, impegnati ad alleviare le sofferenze della popolazione, sia assicurata la possibilità di prestare il necessario aiuto. Che cosa possiamo fare noi per la pace nel mondo? Come diceva Papa Giovanni: a tutti spetta il compito di ricomporre i rapporti di convivenza nella giustizia e nell’amore (cfr Lett. enc.Pacem in terris : AAS 55 , 301-302). Una catena di impegno per la pace unisca tutti gli uomini e le donne di buona volontà! E’ un forte e pressante invito che rivolgo all’intera Chiesa Cattolica, ma che estendo a tutti i cristiani di altre Confessioni, agli uomini e donne di ogni Religione e anche a quei fratelli e sorelle che non credono: la pace è un bene che supera ogni
Gli antichi Romani credevano che nel nome assegnato ad una persona fosse indicato il suo destino. La famosa locuzione latina “nomen omen” tradotta letteralmente, può significare: “il nome è un presagio”, “un nome un destino”, “il destino nel nome”, “di nome e di fatto”. Le ragioni per cui un papa sceglie un determinato nome sono tantissime e diverse tra loro. I papi moderni nella scelta del nome vogliono un po’ come “sintetizzare” il programma del proprio pontificato. Ecco come il Card. Bergoglio, una volta diventato papa, ricostruisce la scelta del suo nome pontificale. Quando nel Conclave si stava ultimando lo spoglio dei voti ed egli si stava rendendo conto di essere diventato Papa, alcuni pensieri presero corpo nella sua mente: “Non dimenticarti dei poveri!. E quella parola è entrata qui: i poveri, i poveri. Poi, subito in relazione ai poveri ho pensato a Francesco d’Assisi. Poi, ho pensato alle guerre, mentre lo scrutinio proseguiva, fino a tutti i voti. E Francesco è l’uomo della pace. E così, è venuto il nome, nel mio cuore: Francesco d’Assisi. L’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il Creato, in questo momento in cui noi abbiamo con il Creato una relazione non tanto buona, no? E’ l’uomo che ci dà questo spirito di pace, l’uomo povero… Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!”. Papa Francesco, il primo pontefice della storia a essersi chiamato così. In questo nome la sintesi del suo programma: i poveri, la pace, l’amore per il Creato; e poi… Una Chiesa povera per i poveri. E’ questa la sintesi della vicenda umana di Francesco d’Assisi, un ragazzo come tutti, figlio del suo tempo, che però ha saputo dare una svolta radicale alla sua vita, ha raccolto la sfida di provare a vivere il Vangelo “alla lettera” (così some era scritto), operando nei fatti quel cambiamento personale capace di “trasformare la storia”. C’è una famosa frase di Gandhi: “Sii tu stesso il cambiamento che vorresti vedere nel mondo”. Questa frase esprime bene il senso della vita di Francesco d’Assisi. Una vita eccezionale ma, allo stesso tempo “accessibile a tutti”, nel senso che ognuno può trarre ispirazione, replicandola nella propria epoca e nella propria condizione. La vita di Francesco d’Assisi è ricca di segni. Di seguito ne riportiamo tre. Francesco vince il suo terrore per i poveri baciando un lebbroso. Dei lebbrosi (che erano i più poveri tra i poveri) si provava un senso di schifo e ribrezzo; al tempo di Francesco d’Assisi ce ne erano molti e quando passavano tutti fuggivano. Francesco combatte il disprezzo per i poveri innanzitutto iniziando da sé, vincendo il senso di schifo che come tutti lo prendeva. Non solo non fugge, non solo si avvicina, ma lo abbraccia e lo bacia. Cade un muro, inizia una rivoluzione. Il mondo cambia. Francesco va fino in Egitto per dialogare con il Sultano, il capo dei mussulmani. Era il tempo delle Crociate. L’islam era il nemico, il male, il pericolo da...
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