“Uniamo le nostre voci perché il grido della pace che si alza da tante parti del mondo possa sovrastare il rumore delle armi e della guerra” è stato l’invito del Presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo pochi giorni prima dell’incontro interreligioso “Il grido della Pace” che si è svolto dal 23 al 25 ottobre presso il Centro congressi La Nuvola e il Colosseo di Roma. Un invito che è stato trasformato in monito dai relatori che, durante i tre giorni, hanno parlato di pace in ogni sua sfaccettatura, coinvolgendo popoli, religioni e culture differenti, ricordando quei luoghi dove ancora le persone sperimentano violenze e guerre e invocando una collaborazione mondiale per un futuro più speranzoso. L’idea del grido della pace è stata al centro di questo incontro: un’immagine forte, ripetuta in lingue diverse, rivolta a tutto il mondo e che possa arrivare alle persone con forza ancora maggiore dell’idea della guerra e della violenza. Un appello di pace che trova sostegno nella religione: “La preghiera è sorella del grido di dolore di chi soffre guerra e povertà” ha affermato Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio; la religione può essere, infatti, tanto un mezzo per aiutare il dialogo e le persone quanto per giustificare la violenza se mal interpretata. Mai come quest’anno, poi, l’incontro ha avuto tanto rilievo: l’incombente presenza della guerra in Ucraina e delle continue violenze generate risuonava nei discorsi dei leader politici, dei leader religiosi, dei sopravvissuti e degli studiosi senza però mai dimenticare le crudeltà nel resto del mondo contro cui è impossibile combattere se non uniti gli uni con gli altri, come hanno unanimemente affermato tutti i relatori. Cooperazione, pace, futuro: sono dunque state queste, quindi, le parole chiave della conferenza che ha avuto un impatto mondiale e che si è conclusa davanti al Colosseo proprio con centinaia di cartelli bianchi con scritto “pace”, alzati da bambini, adulti e anziani, un gesto simbolico ma che certamente ha riassunto lo spirito di questi tre giorni. È stato, poi, ricordato come noi giovani abbiamo un ruolo fondamentale in questa lotta per la pace: non siamo solo le donne e gli uomini che un domani dovranno impegnarsi, ma possiamo iniziare a fare la differenza già oggi; possiamo infatti far sentire la nostra voce tanto quanto quella degli adulti e lo possiamo fare con ancora più forza e dedizione. Iniziamo da un gesto semplice che, però, ha una potenza incredibile: fare scuola della pace. Di esempio sono state le parole di Olya Makar, testimone ucraina della guerra e membro di Sant’Egidio, che ha riferito “Abbiamo riaperto la scuola della pace. È stato il primo luogo dove i bambini sono tornati a ridere” e ci fanno capire quanto noi possiamo essere importanti: se un bambino che ha vissuto orrori e violenze che si porterà dentro per tutta la vita riesce ad avere un attimo di spensieratezza mentre gioca o fa un disegno con noi, allora significa che possiamo davvero costruire la pace. Non dovremmo dunque iniziare a riflettere concretamente su cosa...
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Oggi all’università Roma Tre, il papa ha risposto alle domande di quattro giovani universitari, tra cui una giovane rifugiata siriana giunta in Italia insieme al Santo Padre dopo la sua visita a Lesbo, ed ha indicato alcuni concetti fondamentali per il raggiungimento della pace nel mondo ma anche nella vita di tutti i giorni.
Guardate questo video meraviglioso, tante immagini che compongono una cosa sola: la pace!
A Piazza San Pietro Papa Francesco, l’8 dicembre, aprendo la Porta Santa ha aperto la Chiesa e il mondo ad un anno di Misericordia. Misericordia vuole dire avere un cuore (cor) per i miseri. Questo termine descrive una condizione necessaria per il mondo che viviamo. Quanto sarebbe, è e vorremmo che il cuore si avvicini più ai miseri, ai poveri, agli ultimi, ai diseredati della terra. La porta della Misericordia è una sfida, una domanda, una proposta concreta. In fondo la porta può essere il filo rosso che lega tutte quelle povertà da cui tanti, troppi cuori si sono allontanati. La prima porta è proprio quella di casa. Quella appena chiusa o aperta. Una porta che per tanti che vivono la durezza della vita in strada è inesistente; o scorrevole, come quella di una stazione in cui ripararsi; o la porta di un negozio davanti a cui chiedere l’elemosina e mai la porta di un “luogo degno” e degno di accogliere la dignità ineliminabile di ogni uomo. E’ questa la prima porta Santa, quella di una casa che è rifugio e affermazione di dignità, da attraversare con tanti: in un cammino di amicizia e riscatto dalla solitudine e dal freddo. E ancora due sono le porte che prima si aprono e poi si chiudono a tanti anziani. La porta di una casa santuario di ricordi e di affetti che si chiude lasciando il posto, nella debolezza dell’età, alla porta di un istituto che si apre. Porte anonime, che non odorano di famiglia ma di solitudine. Porte da cui raramente affiora un volto conosciuto, amato. Queste due porte parlano di un’unica ferita quella di anziani ormai vittime silenziose della cultura dello scarto. La sfida dell’anno della misericordia porta qui, alle soglie di queste due porte con compiti ben precisi. O attraversarle per ridare al legno la santità dell’odore di famiglia e rivestire di colori nuovi, colori caldi, luoghi anonimi in vista di un ritorno alla porta di casa; o attraversarle per trasformare case-prigioni in case di sogni. Case di anziani dove mettere, avvicinare, lasciare il cuore per permettere di vivere e non subire la bellezza degli anni e dei capelli bianchi. E quanti bambini non passano dalla porta di una scuola ? O quanti attraversano la porta di casa solo per vivere la strada ? E quante porte del futuro a troppi bambini si chiudono spinte dal vento prepotente di una legge della disuguaglianza ormai troppo diffusa in tante periferie ? E la grande porta del mediterraneo, poi divenuta porta dei Balcani, ma prima ancora porta di una casa distrutta dalla guerra ? Quanti le hanno attraversate per giungere a porte nuove, insonorizzate, in un certo senso, dal rumore assordante della guerra e della violenza ? Porte che sì, con colpa, sono state chiuse ma che possono essere riaperte, riattraversate o ricostruite con una scelta umana, di simpatia, di amicizia, di sfida e di voglia di una Storia nuova. Sì, in compagnia di fratelli e sorelle da abbracciare sull’uscio di una casa, la...
A ostacolare lo stesso “sogno” americano sono le letture infedeli di chi accetta acriticamente il dominio della finanza; di chi nomina sempre il nome di Dio invano a fini politici in quanto afferma che “la pena di morte è il riconoscimento della preziosità della vita umana”; di chi nega il cambiamento climatico; di chi grida al “socialismo” autoritario se si parla di redistribuzione della ricchezza; di chi ribadisce l’infelice “diritto ad avere armi” e a venderne; di chi critica l’accordo con l’Iran per mera contrapposizione alla persona di Barack Obama, senza conoscerne il contenuto.
La pace è un cantiere aperto a tutti, non solo agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi. La pace è una responsabilità universale: essa passa attraverso mille piccoli atti della vita quotidiana. A seconda del loro modo quotidiano di vivere con gli altri, gli uomini scelgono a favore della pace o contro la pace. Noi affidiamo la causa della pace specialmente ai giovani. Possano i giovani contribuire a liberare la storia dalle false strade in cui si svia l’umanità. Dal Discorso di Giovanni Paolo II ai rappresentanti delle Chiese cristiane e comunità ecclesiali e delle religioni mondiali convenuti in assisi 1986
Gabrielle è una bambina della Costa d’Avorio sbarcata a Catania con la madre insieme a tanti altri migranti. Al porto La piccola Gabrielle ha giocato, era viva nel gioco. Per fortuna a lei non è toccata in sorte, tra i deboli di cui a pieno titolo lei fa parte, la fine degli altri quarantanove compagni di viaggio morti asfissiati. Vedere Grabrielle fa comprendere cosa vuol dire che tra quelle salme alcune erano di bambini. Il gioco che ha ridato a tutti i presenti, lì, al porto di Catania, la conferma potente, prepotente e imponente della vitalità di Gabrielle sono state le bolle di sapone. Ed è strano perché le bolle di sapone sono l’immagine che Papa Francesco a Lampedusa ha utilizzato ricordando a tutti di quella crudeltà “trasparente” – fintamente perbenista ma estremamente cinica e disumana – in cui tanti hanno trovato rifugio. Nell’isola a Nord della Tunisia il Papa diceva La una cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio… Una bolla che scoppia è il gioco di una bambina in un porto ma forse, prima di questo, è la realtà di ciò che accade, di ciò che siamo e di ciò che operiamo restituitaci nel modo più semplice. Gabrielle fa scoppiare con forza quei finti perbenismi che ci rendono follemente disumani restituendoci la realtà di ciò che siamo non per volontà ma per operato e pensiero: insensibili e concentrati sui noi stessi. “Il grido, il pianto, il grande lamento”: è questa stagione che viviamo – sono ancora parole dell’omelia di Bergoglio a Lampedusa. Ma il Papa continuava dicendo: “«Rachele piange i suoi figli… perché non sono più». Erode ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone”. Le bolle con cui Gabrielle gioca e che ci ridanno la realtà sono un forte discrimine tra l’essere Rachele o Erode. Rachele che cade disperata per la morte dei figli che negli sbarchi diventano fratelli e sorelle: figli di un’umanità dolente che in preda ai dolori tenta di non soffocare il gemito della vita. Erode invece cade dalla bolla che Gabrielle, i figli di Rachele e figli senza nome inghiottiti dal mare scoppiano. Erode è colui che cade dalla sua onnipotente cultura del benessere che lo porta a pensare a sé. Erode è smascherato dalle bolle di sapone. Ed Erode non è smascherato in quanto mentitore ma come assassino. La bolla di sapone non è il rifugio dei bugiardi ma di colore che accecati nella difesa del proprio benessere (della propria bolla) seminano morte. La descrizione più dura ma più vera di quanto sta accadendo. I moli dei nostri porti dovrebbero accogliere più bambini e insieme a loro i loro genitori e cari. Le bolle di sapone solo i bambini sono in grado di farle scoppiare con delicatezza. In una salma è impossibile.
Occorre rispondere alla domanda di solidarietà di chi ha bisogno di aiuto e di chi vuole reagire alla corruzione e abbracciare i problemi della propria città e del mondo. Occorre non sentirsi più fragili di chi è fragile veramente e chiede il nostro aiuto. Le parole di papa Francesco ci incoraggiano, perché non vanno al ribasso dei valori umani come le parole di alcuni, ma perché provengono dal Vangelo della povertà.
La primavera a Napoli é arrivata con un’ alba bellissima. É giunta come ogni volta donando speranza agli alberi che torneranno a rifiorire dopo un lungo inverno. Ma la speranza stavolta si è fatta luce con più di un segno, insieme all’ alba di questa nuova primavera é arrivato a Napoli Papa Francesco. Una lunga attesa che e’ diventata realtà proprio in un giorno di sole. É entrato nella città del mandolino subito con un messaggio e con un grande desiderio, che ci fosse posto per tutti a partire dalle periferie. Oggi a napoli c’ era posto per tutti. E non a caso Scampia la prima tappa dopo pompei. Con lo sguardo rivolto verso “le vele” ha incontrato bambini e disabili, li ha invitati ad avvicinarsi, affinché non ci fosse nessuna distanza. Ha pronunciato parole che non nascondevano paure nè retorica, “la vita a Napoli non é mai stata facile, ma non é mai stata triste”, ha detto con la stessa sincerità e lo stesso impeto con cui ha affrontato il tema del lavoro, per quelli che chiama “portatori di speranza”, i giovani. Oggi a Napoli c’ era posto per tutti. Non solo nelle piazze. Oggi Papa Francesco ha dimostrato a grandi e piccoli quanto basterebbe poco per fare spazio ad ognuno senza lasciarsi prendere la mano dalla “cultura dello scarto” come ha più volte ribadito a proposito di bambini e anziani, definiti con molta commozione “custodi di saggezza” di cui il mondo ha tanto bisogno. Per le strade si respirava un’ aria emozionata, si incrociavano tanti occhi umidi, di chi ha sentito vicine al cuore le parole e la presenza di un importante uomo di fede, ma soprattutto di chi ha sete di quella speranza che Papa Francesco anche in questa occasione ha saputo dare. Ha girato la città intera, dalla periferia al centro, nelle carceri, tra i malati. È arrivato qui con tante parole, ma anche umili silenzi, davanti a quelle domande che non trovano risposta, “perché i bambini sono malati, ha detto, é uno dei grandi silenzi di Dio. Il nostro é il Dio delle parole, dei gesti e dei silenzi.” La stanchezza della giornata non ha mai smorzato la serenità e l’ entusiasmo mostrato per la visita nella città partenopea che tornerà a visitare prima o poi. “Dio ci ha creato per essere felici” per questo Francesco ha ribadito tre segreti che possono curare le piccole e grandi croci del mondo “la vicinanza, l’ amicizia e la tenerezza”. Sullo sfondo Napoli ha mostrato i suoi colori più belli, quasi a volerne condividere la gioia, oggi non si respirava solo il profumo del mare, ma era in circolo una forza che dava sì, speranza! L’ eco delle parole del Papa é arrivato all’ anima di tutti i cittadini napoletani, e si é fatto più forte per arrivare all’ orecchio e al cuore di chi sa che si può cambiare e che alla fine di ogni giorno Napoli possa fare la Pace con il male e le...
Papa Francesco è un Papa che piace a molti. Piace per quello che pensa, fa e dice. E’ un po’ una specie di eroe moderno per alcuni e per altri un riferimento in un tempo in cui questi mancano. E sappiamo bene che oggi quando c’è un personaggio, una figura di grande spicco o un vento storico da ricordare lo troviamo raffigurato in un murales o graffito. Il writing (o graffitismo) è forse l’espressione artistica che più rappresenta e simboleggia i nostri anni. Dalla East Side Gallery a Berlinoa a Bansky a Londra la Street Art ha raccontato in modo originle e strabiliante personaggi e grandi avvenimenti. Questa volta il soggetto rappresentato è Jorge Mario Bergoglio, il Papa venuto dalla fine del mondo e che nella bella opera di Vincenzo “Lécrivain” (così su Facebook) è veramente la fine del mondo. All’inizio del suo pontificato e con i primi gesti avevamo visto un Super Papa Francesco raffigurato nei muri di Roma, lui rispose poco tempo dopo: «Dipingere il Papa come una sorta di superman, una specie di star, mi pare offensivo. Il Papa è un uomo che ride, piange, dorme tranquillo e ha amici come tutti. Una persona normale». «Mi piace stare tra la gente, insieme a chi soffre, andare nelle parrocchie – spiega – non mi piacciono le interpretazioni ideologiche, una certa mitologia di papa Francesco. Quando si dice per esempio che esce di notte dal Vaticano per andare a dar da mangiare ai barboni in via Ottaviano. Non mi è mai venuto in mente. Sigmund Freud diceva, se non sbaglio, che in ogni idealizzazione c’è un’aggressione». Vincenzo è un ragazzo catanese e writer di grandissimo talento che ha stupito tutti con questo suo capolavoro – insieme a tanti altri che potete trovare sulla sua pagina facebook. Il Papa raffigurato da Vincenzo non è ideologizzato o mitizzato ma è quell’uomo buono e dalla faccia buona, amico dei poveri che abbiamo imparato a conoscere. ”Il Signore ci vuole pastori e non pettinatori di pecorelle”. Sembrano passare apposta le pecore e sul suo profilo facebook, Vincenzo, riprende subito le parole di Francesco. Ma adesso non ci dilunghiamo troppo. A voi il video – breve – con la realizzazione dell’opera che tanto ha colpito per l’originalità del soggetto raffigurato e la sua bellezza: “Pope Francis on the wall“, parafrasando i Pink Floyd.
Quanto scalpore ha generato “il pugno” di Papa Francesco. Sembra quasi che la nostra società, d’un tratto, sia diventata repellente alla violenza (verbale). Sembra quasi che l’ex cardinale di Buenos Aires si sia trasformato in un violento teppista che aspetta solo di fare a pugni con tutti. Be’, ma perché scandalizzarci quando è già così ? Prima che su chi vi scrive si scagli l’ira dei difensori di Papa Francesco tengo a precisare una cosa: Bergoglio non è un teppista violento ma sta facendo a pugni con tutti. In fondo le polemiche di un certo mondo politicamente (s)corretto sono la cartina al tornasole di un finto ripudio della violenza. L’offesa, a cui quel pugno risponde, è già censurata per un cristiano – Francesco ha detto molto sulla violenza verbale. Il pugno del Papa non è pugno di vendetta dal momento in cui già l’offesa, da cui scaturisce la reazione, è censurata. Non si discute nemmeno la giustificazione della violenza poiché già se il primo termine, l’offesa dell’insulto – meno grave del pugno – è censurata, quanto è più censurata e proibita la reazione del pugno, fisica, più grave dell’insulto verbale ? Tuttavia, un finto perbenismo si scandalizza per il gusto della polemica. La polemica è un gusto, cattivo, di chi, non sapendo più che dire e come apparire, si appiglia a questioni di lana caprina. Non è un nascondimento. Non è un tentativo di ovviare una questione per non affrontarla. E’ un problema di non-conoscenza. Non si conosce, non si sa, non si è in grado di leggere. Ma leggere cosa ? Il pugno di Papa Francesco Francesco è quella malsana rabbia che nasce dallo stomaco, dalla pancia. E’ quella cattiveria che sale e che “offende” l’altro. E’ quell’istintività perversione di cui tutti facciamo esperienza. E’ quell’atteggiamento che il pastore di anime che Bergoglio è cerca di curare. Francesco parla alla gente e la capisce ma non la compatisce nei suoi “istinti”. Anzi, parla a questi istinti: è inutile riportare le parole spese dal Pontefice dall’inizio del suo pontificato su atteggiamenti concreti che separano dagli altri. Allora il punto qual è ? Semplice: scandalizzarsi della violenza che è in me e della violenza che è sugli altri. Di “pugni” fisici si parla poco, ci si indigna poco (quanti pugni abbiamo dato a Greta e Vanessa con la questione volgare dei soldi spesi per salvarle ?). Nel mondo la gente fa a pugni e non interessa e non interessano le ragioni per cui lo si fa. Si preferisce la cronaca del pugno e non la comprensione delle ragioni che spingono al conflitto (locale-personale, globale-comunitario). Il Papa ha già abbondantemente risposto all’inaccettabilità della violenza. Appigliarsi alla sua descrizione è sviare una questione essenziale: qual è la soglia di rispetto per l’intimo dell’altro ? Questa era la domanda vera. Resta un tema che verrà affrontato. La questione da affrontare è una: il Papa è diventato tutto d’un tratto violento o il nostro ascolto è scarso ? Avevamo un’occasione per affrontare una questione...
Domenica 14 Dicembre, nel corso della visita alla parrocchia di S.Giuseppe all’Aurelio, Papa Francesco ha voluto ricevere una famiglia rom che la parrocchia conosce e aiuta da molti anni, e una delegazione dei bambini della Scuola della Pace di Val Cannuta e dei Giovani per la Pace. Il Papa ha concluso l’incontro con delle parole che ci rendono felici e orgogliosi: “Ringrazio quelli che fanno la scuola della pace. È un seme molto importante che darà i suoi frutti nel tempo. Quello che voi fate in tutto il mondo è molto importante perché seminate nella vita dei bambini un seme che darà frutto. Dovete lavorare con speranza e pazienza. Ci vuole pazienza. Ma il vostro è un grande lavoro” Per saperne di più è possibile leggere la news sul sito della Comunità di S.Egidio. Intanto potete vedere qui il video del servizio che TV2000 ha realizzato sul lavoro dei GxP a Val Cannuta. Buona visione
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