Quando la scienza lavora per la pace
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Sono ufficialmente aperte le iscrizioni alla nuova edizione del Contest Play Music Stop Violence, Cambia il Mondo con la tua Musica 2015! Le band under 25 hanno tempo fino al 31 gennaio per comporre un inedito e inviarlo al sito http://www.playmusicstopviolence.com/it/concorso Gli artisti potranno prendere ispirazione dai temi di attualità o da eventi passati per cercare di esprimere il loro desiderio di pace, solidarietà e convivenza tra culture e generazioni diverse. I finalisti suoneranno in concerto al PALA ATLANTICO di Roma. Leggi il regolamenti e partecipa con la tua band!
Abbiamo ricevuto un comunicato scritto dai ragazzi del Centro di Tor Sapienza, che è bene diffondere come risposta pacifica.
Jama’tu Ahlis Sunna Lidda’awati wal-Jihad, it’s the official name of Boko Haram, meaning “people who are committed to the teachings of prophet and Jihads”in Arabic. They propagate a motto through the Islamic words “Boko”, which means Westhern, and “Haram”, which means forbidden. Simply “boko haram” together mean “Western Development is forbidden” by Islamic teachings. Therefor as the name implies, they believe that western development has corrupted the moral values of muslims, especially girls, which led to several attacks in girls’ boarding-schools. Like for example the attack at Chibok in April where over two hundred girls were abducted by the same Islamic sect which at the same time is threatening to enslave all of them permanently by marrying them. At this juncture the Nigeria government terrified and with no choice, has sought the international assistance to fight the war against terrorism in the country. After which about 80 U.S. soldiers were deployed in Nigeria to help into whereabouts of the missing girls and as well reinforce the country’s security system. Despite of the effort been made by the Government to restore normality in the country diverse attacks still persist, proving that Boko Haram does not only have a fighting force of thousand of men, but also, of bombing, paradoxically. Moreover,majority of the fighters are made up of Kanuri’s ethnic group and to follow Chadians,Somalians and Sudanese rebels whose bases are in the Sambisa forest along the border between Nigeria and Cameroon. Will be there ever peace in Nigeria? Will never change Nigeria without violence? Yes there will, if the Government will understand that protection of lives and property are the first priority of any existing Government; if the government will learn to put the interest of its citizens far above every other thing; reducing poverty rate by facilitating an educational program that enhances the participation of both richs and poors, urbans and rurals citizens of the country. Without those, life will always be threaten in the country. By Jonathan Chijioke Many thanks to Gulia Giunta for the cooperation Jama’tu Ahlis Sunna wal-Jihad Lidda’awati, è il nome ufficiale di Boko Haram, che significa “le persone che si impegnano per gli insegnamenti del Profeta e della Jihad” in arabo. Propagano un motto attraverso le parole islamiche “Boko”, che significa Occidentale, e “Haram”, che significa proibito. Semplicemente “Boko Haram”, insieme, significa “lo sviluppo occidentale è proibito” dagli insegnamenti islamici. Quindi, come suggerisce il nome, gli esponenti di questo gruppo credono che lo sviluppo occidentale abbia corrotto i valori morali dei musulmani, in particolare delle ragazze e ciò ha portato a diversi attacchi nei collegi femminili. Come per esempio l’attacco a Chibok nel mese di aprile, dove oltre duecento ragazze sono state rapite dalla stessa setta islamica che allo stesso tempo minaccia di ridurle tutte in schiavitù permanentemente sposandole. Per questo il governo della Nigeria, terrorizzato e senza scelta, ha cercato gli aiuti internazionali sono stati dispiegati in Nigeria per aiutare nella località delle ragazze scomparse e rafforzare il sistema di sicurezza del Paese....
Puglia, San Vito dei Normanni. A dieci chilometri da questo piccolo paesino del Salento i Giovani Per la Pace della Comunità di Sant’Egidio incontrano i rifugiati politici ospitati nell’ex villaggio turistico Green Garden. Ragazzi come tutti, ma con un passato travagliato. Vengono dalla Nigeria, dal Pakistan, dal Mali; da tutti quei paesi che, anche se meravigliosi, a causa di guerre e povertà non hanno più la possibilità di regalare un futuro sicuro ai loro giovani. Ed è in questa piccola oasi lontana dal centro abitato che i Giovani Per la Pace hanno incominciato un’amicizia con quei ragazzi che portano le ferite della guerra e del disprezzo.Questi si presentano con allegria, talvolta con il loro abito più bello, talvolta indossando semplicemente l’unico che hanno. Una volta instaurato un rapporto di confidenza e complicità con loro, alcuni profughi si sentono anche di condividere la loro tragica esperienza del viaggio della speranza verso l’Italia. Troppo spesso, quando si pensa agli immigrati, l’immagine che viene automaticamente trasmessa è quella di uomini o donne che vendono oggetti per la strada o per la spiaggia. Si evitano, si allontanano e a volte li si schernisce. Ma non si riflette mai su quello che è stato il loro viaggio, il dramma che li ha spinti a lasciare il loro paese, la loro famiglia, i loro affetti. E ancora meno si riflette su ciò che hanno dovuto passare per raggiungere l’Italia. È il caso di un giovane del Mali, Mandila, che ha voluto condividere con alcuni Giovani Per la Pace la storia del suo viaggio. “Per imbarcarmi per l’Italia ho dovuto raggiungere la Libia” spiega Mandila, “ma dal Mali alla Libia ho viaggiato in un pullman. Eravamo in trenta”. Per pullman, Mandila intende un furgoncino da undici posti massimo; e questo viaggio, da quanto racconta, è stato un inaspettato colpo di fortuna. “Molti miei amici che non hanno trovato posto sul pullman hanno dovuto viaggiare sotto i camion” dice. Poi la barca con cui lascia la Libia, l’ultima tappa del viaggio; anche lì la fortuna ha voluto assistere Mandila che, ci confida, non ha visto nessuno dei suoi compagni di viaggio perdere la vita in mare. Ma spesso i pericoli non sono nemmeno in mare. Ce lo racconta Austin, un ragazzo nigeriano di ventiquattro anni: “Il mio viaggio è durato sette mesi, di cui tre passati da prigioniero in Libia”. Contrabbandieri, trafficanti di organi, il valore della merce umana sembra oltrepassare quello della vita. Ma il timore di venire uccisi non ferma questi giovani coraggiosi; coraggiosi di sognare, pronti a costruirsi un futuro. Ce lo dimostra Austin, la cui aspirazione è quella di fare il meccanico: “Nel mio paese facevo il meccanico. Voglio continuare a farlo anche qui. È il mio lavoro, quello che so e che mi piace fare”. Ed è in questo clima di amicizia e solidarietà che i Giovani Per la Pace pregano insieme ai loro fratelli stranieri; in questo frangente cristiani, musulmani ed ebrei si ritrovano a pregare per la prima volta insieme...
Nell’atmosfera del castello Normanno Svevo, Mesagne ha ospitato il Festival della Pace, organizzato dai giovani della Comunità di Sant’Egidio; uno spettacolo all’insegna della cultura, musica e solidarietà. Ma tra le note delle varie band che si sono esibite, parte saliente della prima tappa del Festival sono state le testimonianze e le storie degli ospiti della serata. Molto interessante è stato l’intervento del professor Alessandro Distante, presidente dell’ISBEM, che ci ha comunicato la ricchezza che la comunità ha portato nel Salento. Come ha specificato il professore, la cultura del dono è un valore che i Giovani Per la Pace hanno regalato a questa terra, e che si ha la necessità di trasmettere a tutti. In particolare la serata si è svolta concentrandosi sull’importanza di un’amicizia tra giovani e anziani, una rarità che con la cultura dello scarto, promossa dalla nostra società di oggi, è andata perduta. La seconda serata del festival a Porto Cesareo ha dato la parola ai più piccoli: dopo il saggio dei bambini del gruppo SaMi e le esibizioni musicali delle band, le testimonianze di Sara, Giovane Per la Pace di Roma, e Mbaye (collegato da Catania) hanno introdotto al pubblico il meraviglioso mondo delle Scuole della Pace. Durante la terza tappa del Festival, a San Vito dei Normanni, si è parlato dei disabili; in particolare degli Amici della Comunità di Sant’Egidio, che tramite l’arte e la cucina esprimono il loro estro creativo. dopo lo spettacolo di ginnastica artistica delle bambine e ragazze della Maran Sport e l’esibizione della cantante Carola, Vito, Antonello e Michele ci hanno parlato dell’amicizia dei Giovani per la Pace con i poveri di Lecce, e della loro forte identità pugliese. L’esibizione finale del nostro amico Hunza, conosciuto durante la prima edizione del Festival, è riuscito a coinvolgere con grande entusiasmo i nostri amici africani, sbarcati il giorno stesso sulle coste pugliesi, che hanno ballato insieme a noi animando la festa. Oggi pomeriggio, con la festa degli aquiloni, con i ragazzi africani ospiti del Green Garden, inizierà l’ultima tappa del festival a Torre Santa Sabina. Il tema della serata sarà proprio quello del legame che unisce il continente africani con la Comunità di Sant’Egidio e attraverso le testimonianze di alcuni Giovani per la Pace, ripercorreremo i viaggi in Africa, che hanno rafforzato questa profonda amicizia. Giovani per la Pace di Roma e della Puglia
Dopo il successo dell’anno scorso sta per partire il Festival della Pace 2.0: una settimana nel Salento all’insegna della musica in collaborazione con il movimento di band Sounds for Peace, ma anche della pace e della solidarietà! Un programma ricco di appuntamenti tra serate a tema e feste nelle piazze più belle dei paesi del salentino; ma non può mancare la solidarietà! Il tour sarà impreziosito dalla visita agli anziani di alcuni istituti della zona, l’incontro con i poveri di Lecce e la festa degli aquiloni con i nostri amici africani al faro di Santa Sabina. Dopo l’attentato alla scuola “Morvillo Falcone” nel maggio 2012, che causò la morte di Melissa Bassi, i Giovani per la Pace hanno voluto portare un messaggio di speranza ai ragazzi di Brindisi e San Vito dei Normanni per rispondere alla violenza con l’amicizia. Da questo incontro è nato anche in Salento un movimento di giovani che vuole cambiare il mondo a partire dai poveri. Il programma delle serate: 28 luglio – “Gli anni non ci separano” : Mesagne – Atrio Castello Normanno Svevo29 luglio – “La parola ai bambini”: Porto Cesareo -piazza Nazario Sauro – 30 luglio – “Efficiente?Abile? No, Amico!”: San Vito dei Normanni – Arena Villa Comunale31 luglio – “Un sogno chiamato Africa”: Santa Sabina – Faro Per conoscere ulteriori dettagli consultate la pagina Facebook dell’evento!
Il 28 Maggio, alla presenza delle autorità civili e religiose, a Catania, si sono svolti i funerali delle 17 vittime del naufragio a largo di Lampedusa. Una cerimonia sobria, intensa e accompagnata dalla presenza di chi da quella barca è sopravvissuto. Sì erano presenti parenti, amici, “compagni di speranza” di quella barca, di quel legno, che approda sulla città di Catania il 13 maggio provocando un terremoto delle coscienze. Una preghiera, delle preghiere, delle bare e un rito interreligioso perché degna sepoltura fosse assicurata a tutti. Come detto dall’Imam della Moschea della Misericordia di Catania: “carità di fronte alle tragedie provenienti da oppressioni e guerre: oggi si sta dando dignità a chi non ha potuto averla da vivo”. Le parole dell’Imam Keith Abdelhafid, sono le parole dell’uomo spirituale che guarda oltre e coglie nella tragedia l’essenza dei fatti. Sì, perché forse riusciamo a comprendere quelle parole di Papa Francesco che a Lampedusa ci diceva che “Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere”. Cos’è l’esperienza del piangere se non la reale commozione dell’uomo davanti al dramma umano ? Si potrebbe quasi dire che con la commozione degli uomini e delle donne di oggi l’umanità si è salvata. Come accennato prima, a piangere erano anche i sopravvissuti e questa, al di fuori da uno sguardo banale e approssimativo, è la dimostrazione che qualcosa cambia. Sì, il cuore dell’uomo, anche del nuovo europeo che giunge nelle nostre coste, è un cuore intriso di mistero e bisognoso di conversione, cioè di “volgere lo sguardo verso”. Volgere lo sguardo verso quel passato pieno di sofferenze che diventa “palestra del dolore”, e commuoversi per non rimanere freddi come se ormai il dramma dell’olocausto del mediterraneo sia un fatto scontato:una scia di morte per cui nessuno potrà mai fare nulla. E’ la loro commozione, quella dei nuovi europei, e la commozione dei vecchi europei insieme che dona a noi la possibilità di ribaltare il paradigma di un’assenza di visione. E’ un terremoto delle coscienze che porta alla ricostruzione di un pensiero euro-mediterraneo: Europa terra di tutti, Europa terra dei popoli che soffrono. Non a caso Ghoete, citando lo stesso passaggio ripreso all’inizio della cerimonia di commemorazione dal Sindaco di Catania Enzo Bianco, definisce l’Europa come “Centro meraviglioso di tanti raggi della storia universale”. Sono tanti i raggi che si incastrano in questa nostra storia europea, sono raggi di storia universale di popoli e di singoli che nelle coste, nei luoghi di accoglienza, nelle chiese, nei luoghi di incontro ma anche nelle isole stanno plasmando questo centro che li raccoglie. Ghoete, un europeo del 700, lo definisce un centro meraviglioso, adesso gli europei del XXI secolo hanno il compito di definirlo. Ma questa affermazione non vuole essere una frase ben scritta o un’espressione ridondante e vuota. Un principio di definizione c’è, la storia di questo centro comincia a prender forma. Lo fa in quel Santo incontro – santo perché gradito a Dio – tra le domande dei giovani della sponda Nord del mediterraneo e quelli della...
La lettura politica coglie solo degli aspetti della preghiera e potrebbero esserci dei fraintendimenti, ma è bene cogliere anche questo legame. È chiaro che il papa nella questione è per il partito della pace e non dei filorussi o dei filoeuropei.
Da un po’ di tempo, attraverso esperienze e viaggi di diverso tipo, ho la possibilità di incontrare e di interfacciarmi con giovani provenienti da diverse parti d’Europa. Ed ogni volta che è capitato di affrontare il tema del sogno di un’Europa veramente unita, sono emersi sentimenti di rassegnazione, di sconforto, di impossibilità e, ancor peggio, di indifferenza. Credo tuttavia che il sogno di un’Europa unita sia un sogno possibile! Anche se è doveroso ammettere che noi giovani ci sentiamo europei fino ad un certo punto, che manca in noi una coscienza veramente europea. Non sentiamo il bisogno di lottare con le armi della cultura, della solidarietà, dei valori spirituali, per fare l’Europa. Non proviamo, più precisamente, il desiderio completo di volerci integrare, di essere in corsa per un’Europa dove « i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici» siano spalancati, aperti! Forse dovremmo recuperare, in chiave moderna, lo spirito dei Clerici vagantes e desiderare di iniziare i nostri studi a Parigi per poi proseguirli a Londra, e concluderli a Roma piuttosto che a Madrid. Sicuramente non è facile avere questa flessibilità, non è facile – devo ammetterlo – abbandonare le consuete abitudini, allontanarsi dalle persone amate, dagli amici, la famiglia. Ma è forse questa la piccola sofferenza necessaria per fare dell’Europa la nostra patria. E spetta a noi giovani di pace, a noi giovani per la pace, che saremo gli adulti di domani, fare di questo sogno un seme piantato nell’anima e che a suo tempo porterà il suo frutto. Perché è possibile aprirci al futuro, modellare il futuro e costruire un popolo europeo; perché è possibile avere gambe capaci di superare le distanze geografiche, e idee che superino quelle mentali. Dobbiamo sforzarci di fuoriuscire dal limitato orizzonte in cui ci costringiamo a vivere e, come ha affermato Papa Francesco nella Evangelii Gaudium, «aprirci ad una cultura dell’incontro in una pluriforme armonia». Solo in questo modo, passo dopo passo, mano nella mano, l’Europa potrà diventare la culla della pace, della democrazia, della libertà e della speranza, per il mondo intero e per tutti i Paesi che desiderino farne parte. Solo se noi giovani condivideremo i sogni che si innalzano e brillano come stelle nella notte dalle diversi parti d’Europa, solo allora potremo realizzare questa visione, potremo costruire questo sogno. E se si può sognare, allora si può fare!
Oggi più che mai, pur nella straordinaria confusione che la crisi internazionale ha creato nelle nostre coscienze, non deve mai venire meno lo slancio verso il progresso, l’insaziabile desiderio di cambiare rotta. È giunto il tempo di destarsi, di mostrar vigore, di lasciare un segno nell’Universo #AbbiamoVogliadiFuturo
In occasione della giornata della memoria riceviamo questa poesia di Paolo della Latta che volentieri pubblichiamo:
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