L’Isis è alle porte dell’Italia, o almeno così vogliono far credere i guerriglieri. Ma si sa che questi signori sono bravi a far credere quello che vogliono. Sanno usare i social network, youtube, e la propaganda è forse la loro arma principale. Ma purtroppo non è l’unica. E come sempre chi paga sono i più deboli, coloro che non hanno fatto nulla, colpevoli solo di esistere. Che dolore per i 21 cristiani copti uccisi così barbaramente, morti con il nome di Gesù sulle labbra, privando gli assassini la vittoria più grande, quella di togliere loro la speranza. C’è che dice che a tanta violenza non si può che rispondere con la violenza. La guerra è l’unica soluzione, e chi non la fa è solo perché spaventato. Ma siamo sicuri? Non si tratta di essere pacifisti, basta guardarsi indietro. L’Isis non è nato forse da una guerra, quell’invasione dell’Iraq che ha gettato il medio oriente nel caos? E poi è stato aiutato da un’altra guerra, quella in Siria. Le armi che usano i terroristi sono degli americani, che li hanno armati per combattere una guerra per procura contro Assad (si può leggere il bel libro di Loretta Napoleoni per capire meglio questa storia intricata). Certo bisogna rispondere, ma siamo sicuri che una risposta forte significhi mostrare i muscoli? Andrea Riccardi ci spiega che non è così. Speriamo che venga ascoltato. Magari una soluzione ragionevole potrebbe essere quella proposta da Papa Francesco. Smettiamo di vendere le armi ai paesi in guerra! E voi che ne pensate?
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Può essere il carnevale un segno di pace? Per i bambini delle Scuole della Pace pare proprio che tutto può esserlo, anche il carnevale. Le maschere, i sorrisi lanciati a tutti, più dei coriandoli, le bandiere con la parola Pace in tante lingue diverse, i volantini per invitare a una preghiera per ricordare i paesi in guerra, la gente per strada che inizia a cantare e che applaude. E’ quello che sta accadendo in molti quartieri di Roma dove i colori del carnevale per la pace ci aiutano a vedere il futuro con più speranza. Nella nostra gallery le prime foto che ci sono arrivate. Mandateci le vostre.
Ho mai pensato che avrei potuto iniziare la mia giornata leggendo le notizie dal fronte? Potevo mai immaginarmi di leggere ogni giorno nuovi nomi di soldati caduti del mio Paese? Mi è mai passato per la mente che avrei potuto perdere qualcuno in guerra?
Un’immagine. Una fotografia semplice a fine giornata. E’ una foto di un bambino, in bianco e nero. Sembra essere ferito. Sotto una frase. “Lo dirò a Dio”. Altri blog e giornali riportano la frase per intero: “Dirò cosa mi hanno fatto a Dio, Gli dirò tutto”. Commentando con un amico dicevo che non è facile. Spesso “scorri” tra tante immagini e notizie, brutte, orribili, strazianti. Ma scorri. Continui a passare oltre perché lo scorrere del pollice dal basso verso l’alto elimina dalla visuale una notizia e ne mette un’altra che non si sa qual è ma è pur sempre diversa. Questa volta però, è una frase. Non è un’altra immagine, non è la comunicazione per immagini che mi colpisce. E’ la frase, chi l’ha pronunciata, dove è stata detta questa frase e perché. La frase, e la ripropongo nuovamente è: “Dirò cosa mi hanno fatto a Dio, Gli dirò tutto”. La dice una bambino, secondo blog e agenzie, di 3 o 4 anni – voglio scusarmi in anticipo ma nell’oceano di notizie è difficile ricostruire la verità. La dice in Siria un bambino prima di morire dopo aver subito delle atrocità – e che sia vero o no un bambino che subisce una guerra, subisce un’atrocità. Un bambino, in un paese in guerra, solo, promette di dire a Dio che il Male egli uomini gli ha fatto qualcosa di brutto; che la guerra gli ha fatto qualcosa di ingiusto; che la violenza gli ha tolto tutto, finanche la vita. Quante volte la stessa identica successione di parole, diverse solo per l’autorità (Papà/Mamma/maestro/insegnante/fratello maggiore) a cui ci si rivolge, abbiamo ripetuto tutti noi. Quante volte ci ha consolati l’idea non di un vendicatore ma di un uomo o una donna saggi, che vedono dall’alto, in nostro soccorso e capaci non di offrirci la vittoria ma di ristabilire la giustizia ? Quante volte ci ha consolati questa idea, possibilità, soluzione ? I bambini ovunque vi è la guerra non hanno questa possibilità di speranza in un adulto, in un’autorità in grado d ristabilire la giustizia. L’Onu oggi denuncia gli orrori subiti dai bambini per mano dell’Is. Non scriverò su questo, basterà leggere quanto si dice per restare sgomenti. Vorrei trasmettere l’inquietudine che provo davanti a questa affermazione: “dirò tutto a Dio”. Forse non sarà vera questa notizia. Non c’è certezza sulla veridicità della notizia, risalente ad agosto dello scorso anno, ma è un pensiero sicuramente passato per la mente di un qualsiasi bambino in Siria, fosse anche per un secondo. Posto questo allora io spero. Io spero che quel bambino; quei bambini; quelle preghiere di quanti tornano a sentirsi bambini davanti all’orrore di un male così abominevole possano vedere o raggiungere Dio e dirgli cosa è stato fatto loro. E’ una preghiera, è una richiesta, è una supplica davanti ad un male che sfinisce. “Lo dirò a Dio”, questo basta a non rendere preghiera e speranza inutili. A qualcuno ancora in un mondo silente e sordo davanti alla guerra, è possibile...
Enza Basile, anziana testimone della Seconda Guerra Mondiale, incontra i giovani di Fiumicino
Dopo l’attentato di Parigi, la Comunità di Sant’Egidio e la Comunità Islamica di Sicilia hanno invitato la cittadinanza a riflettere sul dialogo tra Cristiani e Musulmani nella costruzione della società del convivere, a partire dalla vita comune nella città di Catania. Sono state organizzate infatti una serie di iniziative che hanno avuto luogo a partire da Venerdì 16 a Sabato 18 Gennaio 2015, che hanno compreso momenti di preghiera per la pace, una preghiera interreligiosa e, nella Domenica 18 Gennaio 2015, una giornata di giochi per i bambini, all’interno della suggestiva cornice del monastero dei Benedettini. La “tre giorni”, nata con l’intento di porre un argine ad un clima d’odio che sarebbe potuto nascere dalla lettura miope della tragica cronaca degli ultimi giorni, ha avuto il merito di riempire gli occhi dei cittadini di Catania dell’immagine emozionante della bellezza di una città dell’integrazione in cui cristiani e musulmani pregano, vivono e giocano insieme. Ci siamo riscoperti amanti appassionati della pace, costruttori pazienti di una città del convivere, necessaria per superare la difficoltà dei nostri tempi. -L’attentato di Parigi- come suggerisce Emiliano Abramo della Comunità di Sant’Egidio,- infatti è un campanello d’allarme che dimostra che le periferie sono vuote di proposte. Chi arriva con un’idea forte le conquista. Se a Parigi attecchisce il fondamentalismo, nelle periferie siciliane i ragazzi trovano la mafia. Ma non per questo pensiamo che tutti i cristiani sono mafiosi. Insieme, tutte le comunità religiose, devono contribuire a una città basata sulla convivenza pacifica-. E’ inaccettabile che ci si possa perdere in semplificazioni infauste sui musulmani, creando assiomi che fanno molto male a persone presenti in maniera assolutamente positiva nella vita della città di Catania e in particolare nel sostegno ai più poveri ed ai migranti durante la stagione degli sbarchi. I bambini musulmani sono nati in Italia, sono le seconde generazioni, si sentono italiani, frequentano le scuole italiane. Bisogna proteggerli da una demagogia indecente pronta ad additarli come “piccoli terroristi” o “figli di terroristi” creando una cultura d’insieme. La moschea è un luogo aperto a tutti dove si costruisce la pace e si aiutano i poveri, stranieri ed italiani, cristiani e musulmani. Il mondo in cui viviamo ci è solo dato in prestito ed abbiamo il dovere di consegnarlo ai più piccoli, migliore di come ce lo hanno lasciato, l’integrazione, anche attraverso il linguaggio universale del gioco, porta i più piccoli, di tutte le religioni, ad assimilare una cultura della solidarietà. In una società sempre più colorata stare insieme diventa cultura, e la cultura è un argine importante alla violenza. Allora perché non condividere insieme questa tensione per la pace ? Perchè non lanciare una proposta a tutta la dimensione cittadina per dare un’anima a quest’Europa delle semplificazioni e della fazioni. Perché non dimostrare che non solo è possibile ma che lo stiamo già facendo! La “tre giorni” ha visto il suo esordio Venerdì 16 Gennaio alle ore 14:00, nella Moschea della misericordia, dove centinaia di persone hanno pregato per la pace, orientati verso La Mecca,...
Ci sono tanti modi per rendere migliore il mondo, e per costruire la pace. Ci sono tanti modi per contrastare il razzismo, il disprezzo, il terrorismo. Uno di questi è la cultura. Combattere l’ignoranza, le semplificazioni che portano sempre gli uomini a scontrarsi, capire quello che succede, conoscere i problemi, per non reagire sempre guidati dall’istinto, come le bestie. Proprio per questo c’è bisogno di leggere di più. Secondo il rapporto Istat sulla produzione e la lettura di libri in Italia nel 2013 i lettori sono diminuiti rispetto al 2012, passando dal 46 per cento al 43 per cento della popolazione. Chi legge non più di tre libri l’anno è circa la metà dei 24 milioni di lettori. Di questi, coloro che leggono almeno un libro al mese, cioè i cosiddetti lettori forti, sono solo il 13,9 per cento. Dunque, il 57 per cento degli italiani non legge libri. SI CAPISCONO TANTE COSE!!! Per questo i Giovani per la Pace lanciano la campagna #2librialmese per incoraggiare i lettori del nostro blog a divenire anche lettori di libri. Non lettori forti (+ di 1 libro al mese), ma lettori fortissimi. Vi daremo una mano. Ogni domenica, a partire da questa, il nostro blog consiglierà un libro, che ci è piaciuto, che ci aiuti a entrare in un problema, che ci appassioni. Chiaramente ci fa molto piacere ricevere suggerimenti. Quale è il vostro libro preferito? Quello che consigliereste a tutti? Scrivete alla nostra email allegando una breve recensione. Potrebbe essere il libro consigliato domenica prossima. Iniziamo dal primo consiglio. Papa Francesco ha parlato molto, ultimamente, delle Scuole della Pace, anche il primo gennaio dalla finestra di San Pietro, dicendo di continuare ad educare alla pace i bambini. Per questo consigliamo a tutti la lettura di “Lettera a una professoressa” scritto dagli alunni della scuola di Barbiana, sotto la guida del grande educatore Don Lorenzo Milani. Perché non è giusto bocciare? Perché la scuola non dovrebbe “fare parti uguali tra disuguali”. Perché lo studio è considerato una noia, quando è l’opportunità principale per una vita migliore? Come si fa ad educare alla pace? La risposta a queste e altre domande in poche pagine, ma molto avvincenti, scritte da dei poveri ragazzi, ma piene di sapienza. Buona lettura!
Ci sono volte in cui la follia inganna la fantasia. Te la ruba e la distrugge.E in una guerra c’é follia sì, nella sua massima espressione. La guerra é folle.Ma stasera vorrei trovare una parola che non ho, che va oltre la follia e che mi spieghi questi giorni in Nigeria. Non é follia se prendi due occhi di bambina ci guardi dentro e non ti fermano.Non ti disarmano l’ anima. Non ti fanno pensare un’ altra volta. Ma ne guardi un’ altra e un’ altra ancora. E non ti fermi. Gli frughi nelle tasche e gli rapini la vita. E riduci in macerie quell’innocenza piena di sogni ma da sempre senza speranze. Gli metti nelle tasche e sotto i vestiti il contrario di una nascita. E li rendi alba senza fine.Non può essere follia. É di certo qualcosa di più. É una storia che la ragione non si spiega. É una scena che il pensiero non si immagina. La Nigeria é lontana da qui. Dall’ America. Da una gran parte del mondo. Ma ad avere addosso le bombe erano tre bambine. E i bambini sono un’ altra cosa. Devono essere un’ altra cosa.I bambini sono quasi il contrario della guerra. Di una violenza inarrestabile. Hanno gambe fragili ma futuri immensi.Li strappano via come fiori di campo. E li fermano lì alle luci dell’ alba. La Nigeria è lontana da qui, ma certe fini pesano sul cuore di molti mondi.É un buio che pesa sul cielo di tutti.Per questo una parola probabilmente non troverò. E neanche una spiegazione per chi pensa che le bambine ci sono andate piene di coscienza. La Nigeria é lontana, ma ritorna tutte le volte che due occhi di bambina incontrano i miei.”#prayforNigeria di Francesca Sepe
Negli ultimi giorni ben tre bambini sono stati fatti esplodere “imbottiti” di esplosivo come terroristi qualsiasi. Ma non possiamo illuderci che si tratti di un attentato come ogni altro avvenuto in passato. Questa volta è diverso. I terroristi hanno veramente oltrepassato ogni limite! È di per sé intollerabile il fatto che degli innocenti bambini debbano quotidianamente assistere alla violenza della guerra, ma non si può tollerare nella maniera più assoluta che vengano utilizzati come protagonisti di questa folle guerra, mascherata da scontro religioso, ma che nasconde la volontà di controllare le ricchezze del paese, in primis il petrolio. I bambini devono giocare, studiare e divertirsi. Chi fa loro del male, colpisce prima di tutto se stesso! I bambini sono IL patrimonio dell’umanità. Custodiscono il bene più importante e prezioso che c’è: il futuro di tutti noi!
No, non lo siete e non lo siamo. Non è così perché ancora, in questo come in altri Paesi, è difficile togliersi di dosso il velo d’ignoranza che tira giù tutti coloro che hanno voglia di respirare il fresco profumo di libertà, anziché quel tanfo fatto di uccisioni e censure. Non siamo tutti Charlie perché, in fin dei conti, quasi nessuno si è concentrato sul fatto che esista un altro Islam, fratelli e sorelle (e sono la maggior parte) che condannano a testa alta quanto accaduto a Parigi. Ma esiste, ed è ahimè pressante, un bel trancio di mondo che sta iniziando a giustificare azioni repressive e guerre di vendetta che porteranno altri figli di questa terra a morire per un ideale feticcio, mai giustificato e mai propugnato da alcuna religione. Religione. Quella parola che, almeno a me così hanno insegnato, viene da “religo” ovvero “lego insieme, più forte”. Non certo “divido” o “vendico” o peggio ancora “uccido liberamente”. La libertà, quella vera, è data dal coraggio di scrivere ogni giorno una storia di unione, nonostante quanto accade per dividerci; quando sarà passata l’onda della “notizia choc” che in tanti stanno cavalcando selvaggiamente, come avvoltoi che volteggiano sui corpi delle vittime di ogni strage analoga, spero solo che si possa iniziare a ricostruire un percorso di pace che sia capace di relegare in un angolo simili gesti inumani. La speranza di rinascere e di ricostruire, oggi, è la cosa più importante che dobbiamo conservare nei nostri cuori, poiché -parafrasando Gandhi- “non può stringersi una mano in segno di pace, se si tiene chiuso il pugno!”.
I Giovani per la Pace si uniscono al dolore dei parenti e dei colleghi dei giornalisti francesi, uccisi nel vigliacco attentato terroristico avvenuto ieri mattina presso la redazione del giornale satirico francese “Charlie Ebdo”. La violenza non è mai la soluzione a nessun problema. La pace è sempre possibile. Noi vogliamo aiutare a preservarla, anche se a volte il rumore delle armi sembra essere più forte.
In questa epifania romana non solo la befana! Il 5 e 6 gennaio diversi presepi viventi hanno piantato un piccolo seme di pace nella città di Roma, dove l’attenzione sembra rivolta solo ad eventi meno gioiosi. Il presepe intenerisce il cuore, ci rende bambini, e ci ricorda dei bambini. Quanto abbiamo bisogno di cuori più teneri. Pubblichiamo con piacere le foto dei presepi viventi di Garbatella e Labaro, e un breve racconto dei GxP di Garbatella. Aspettando di ricevere altre foto e racconti! Il 5 gennaio di questo nuovo anno i Giovani per la Pace di Garbatella hanno organizzato un presepe vivente con i bambini della Scuola della Pace del quartiere. L’avventura è iniziata bene: appena partiti dalla sede una signora dalla sua finestra ci ha salutati con grida piena di entusiasmo. Sembrava che passasse la sacra famiglia in persona, quella vera! I bambini hanno ricambiato con altrettanta euforia e uno di loro, Giuseppe, ha confessato di essersi sentito un “supereroe”. Il presepe si è quindi spostato sulla Circonvallazione Ostiense, dove più persone si sono fermate a guardare meravigliati i bambini che sorridenti camminavano seguiti dalle musiche natalizie. In molti hanno chiesto informazioni, ricevendo in cambio volantini e sorrisi fieri. Questa passeggiata ha rimesso i piccoli al centro del quartiere, è stata un segno di pace, e ha anche ridato un po’ di colore ad un quartiere in cui domina troppo il grigio Le foto di Labaro – Primaporta
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