La mancia è un premio, un riconoscimento per ciò che si è fatto e come lo si è fatto. Infatti le mance vengono lasciate dopo aver ricevuto un servizio, non prima. Sono un invito a “fare sempre così, anzi, meglio”. In ogni paese ci sono consuetudini, e in certi casi addirittura regole diverse: http://it.wikipedia.org/wiki/Mancia. Nel dubbio sono sempre validi il galateo ed il buon senso. Persino Batman ha ricevuto una mancia! (Dal min. 2:35 al min. 2:50) L’entità delle mance, come riportato nella puntata di Ballarò del 18 febbraio scorso è un termometro indicativo della crisi economica. Come dichiara un cameriere “ai tempi della dolce vita ci si viveva con le mance”. Come osserva la iena Mr Pink, nel film “Le Iene” di Quentin Tarantino: “le cameriere al bar non fanno altro che il loro lavoro. Allora perché lasciare una mancia? E soprattutto perché ci sono dei fortunati che la società considera degni di mancia?” Il quesito sollevato da Mr. Pink, condivisibile, o no che sia, spiana la strada per molte considerazioni: ad esempio io non sono affatto contrario alle mance, ma non capisco perché nella nostra società si lascia una mancia ai tassisti, ma non agli ambulanzieri! Forse perché si percepisce il valore della gratuità. Esiste per caso qualcosa di più appagante di un GRAZIE sincero scandito ad alta voce e accompagnato da un bel sorriso? Per alcuni forse si, potrà sembrare addirittura un ossimoro parlare di “valore” della “gratuità”, ma si tratta di una realtà ben radicata nella nostra società: si vedano le onlus, le fondazioni, le associazioni, le comunità, i movimenti e tutte le iniziative che orbitano attorno al mondo del volontariato. È bello ricordare che gratuito e gratitudine derivano dalla stessa radice. Em.Me.
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L’economia influenza sempre di più le vite di tutti noi. I Giovani per la pace in questo blog vorrebbero offrire qualche piccola indicazione per muoversi in questo mondo a volte complicato e sfuggente. Iniziamo con questo contributo. Restate collegati… Helga è la proprietaria di un bar, di quelli dove si beve forte. Rendendosi conto che quasi tutti i suoi clienti sono disoccupati e che quindi dovranno ridurre le consumazioni e frequentazioni, escogita un geniale piano di marketing, consentendo loro di bere subito e pagare in seguito. Segna quindi le bevute su un libro che diventa il libro dei crediti (cioè dei debiti dei clienti). La formula “bevi ora, paga dopo” è un successone: la voce si sparge, gli affari aumentano e il bar di Helga diventa il più importante della città. Lei ogni tanto rialza i prezzi delle bevande e naturalmente nessuno protesta, visto che nessuno paga: è un rialzo virtuale. Così il volume delle vendite aumenta ancora. La banca di Helga, rassicurata dal giro d’affari, le aumenta il fido. In fondo, dicono i risk manager, il fido è garantito da tutti i crediti che il bar vanta verso i clienti. Intanto l’Ufficio Investimenti & Alchimie Finanziarie della banca ha una pensata geniale. Prendono i crediti del bar di Helga e li usano come garanzia per emettere un’obbligazione nuova fiammante e collocarla sui mercati internazionali: gli Sbornia Bond. I bond ottengono subito un rating di AA+ come quello della banca che li emette, e gli investitori non si accorgono che i titoli sono di fatto garantiti da debiti di ubriaconi disoccupati. Così, dato che rendono bene, tutti li comprano. Conseguentemente il prezzo sale, quindi arrivano anche i gestori dei Fondi pensione a comprare, attirati dall’irresistibile combinazione di un bond con alto rating, che rende tanto e il cui prezzo sale sempre. E i portafogli, in giro per il mondo, si riempiono di Sbornia Bond. Un giorno però, alla banca di Helga arriva un nuovo direttore che, visto che in giro c’è aria di crisi, tanto per non rischiare le riduce il fido e le chiede di rientrare per la parte in eccesso al nuovo limite. A questo punto Helga, per trovare i soldi, comincia a chiedere ai clienti di pagare i loro debiti. Il che è ovviamente impossibile essendo loro dei disoccupati che si sono anche bevuti tutti i risparmi. Helga non è quindi in grado di ripagare il fido e la banca le taglia i fondi. Il bar fallisce e tutti gli impiegati si trovano per strada. Il prezzo degli Sbornia Bond crolla del 90%. La banca che li ha emessi entra in crisi di liquidità e congela immediatamente l’attività: niente più prestiti alle aziende. L’attività economica locale si paralizza. Intanto i fornitori di Helga, che in virtù del suo successo, le avevano fornito gli alcolici con grandi dilazioni di pagamento, si ritrovano ora pieni di crediti inesigibili visto che lei non può più pagare. Purtroppo avevano anche investito negli Sbornia Bond, sui quali ora perdono il 90%. Il fornitore di birra inizia...
I Giovani della Pace sono felici per la notizia proveniente dagli Stati Uniti. Il Maryland ha abolito la pena di morte, divenendo così il sesto stato americano ad abolire la pena capitale dal 2007 ad oggi. http://www.santegidio.org/pageID/3/langID/it/itemID/6799/Il_Maryland_abolisce_la_pena_di_morte.html
“La vita è come un lungo viaggio in macchina, soggetto a imprevisti. Un giorno, la macchina su cui viaggiavo si è rotta all’improvviso. Nel buio della notte. In una strada deserta. Davanti a una linea rossa. Ma proprio quando avevo cominciato a rassegnarmi qualcuno è venuto in mio soccorso. Si è sporcato le mani e mi ha permesso di riprendere il viaggio. La linea rossa non era più il termine, ma un punto di partenza. Da quel momento non sarei più stata sola.” Pacem Kawonga, Un domani per i miei bambini P. Kawonga, Un domani per i miei bambini Piemme, aprile 2013 La vita di Pacem è segnata. È una condannata a morte, ma il suo boia è paziente: non la viene a prendere subito, forse la lascerà tranquilla a lungo, ma prima o poi la verrà a prendere, lo sa. Il suo boia ha già cominciato a stuzzicare Melinda, la sua secondogenita, sempre malaticcia e piccola, e suo marito, James, un uomo manesco e infedele nel quale Pacem cerca disperatamente di ritrovare colui di cui si era innamorata. Il boia di Pacem si chiama AIDS, una malattia che in Malawi, come in tutta l’Africa, equivale a una condanna a morte, anzitutto sociale. Pacem, però, ascolta la radio, ascolta le storie dei malati, scopre che una speranza c’è, che forse può allontanarsi dal burrone verso il quale sembra si stia dirigendo. Si chiama DREAM ed è un sogno per ogni malato di AIDS. DREAM, Drug Resource Enhancement against AIDS and Malnutrion, è il programma di cura dell’AIDS e prevenzione materno-infantile della Comunità di Sant’Egidio, è il sogno di dare agli Africani le cure Occidentali e permettere a madri malate di far nascere figli sani a costo zero. È un sogno che ha esordito nel 2002 in Mozambico, riuscendo a raggiungere nel 2012 dieci paesi (Mozambico, Malawi, Tanzania, Kenya, Repubblica di Guinea, Guinea Bissau, Camerun, Congo RDC, Angola e Nigeria), dopo essersi scontrato con il pregiudizio di tanti. Pacem ha incontrato questo sogno quando era appena approdato in Malawi e si è fidata di medici, infermieri, operatori di quell’ambulatorio un po’ strano dove nessuno sembrava aver fretta e in cui il paziente diventava il centro delle attenzioni del personale. Oggi, Pacem è un’attivista del progetto DREAM, parla per le piazze, per le strade e i quartieri, racconta la sua storia, come in Un domani per i miei bambini, edito per Piemme, che consigliamo di leggere; parla al cuore di uomini e donne che ancora il test non l’hanno fatto, dona loro una nuova speranza: l’AIDS si può vincere! Non è una condanna a morte. È proprio la Speranza la grande coprotagonista di questo libro e non è solo la speranza di Pacem, che fa il test e va alla ricerca delle cure per lei e per il marito anzitutto per paura di lasciare orfani i suoi bambini come a lei stessa era successo. È la speranza di quanti si sono affidati al Programma DREAM e hanno scoperto che ciascuno di...
Proprio pochi giorni fa la Comunità di S. Egidio e i Giovani per la Pace della Germania hanno commemorato i Rom e i Sinti deportati ad Auschwitz durante il regime nazista. Alla cerimonia è intervenuta Rita Prigmore, tedesca di etnia sinti, vittima degli esperimenti genetici dei medici nazisti sui gemelli. Come lei, gli oramai purtroppo pochi sopravvissuti al genocidio di Ebrei, Rom, Sinti (a cui si uniscono omosessuali, oppositori al regime nazista, prigionieri di guerra, malati di mente, Testimoni di Geova, Russi, Slavidi varie nazionalità) spesso viaggiano in tutto il mondo per fornire la propria testimonianza diretta su ciò che è accaduto in quegli anni. Le loro voci riportano alla memoria collettiva l’aberrazione a cui è potuta giungere l’umanità quando ha smarrito il senso della dignità e dei diritti della persona umana. Quando intervengono nelle scuole, i ragazzi si rendono conto pienamente dell’importanza e dell’ unicità di questi incontri. Sentir raccontare in prima persona i soprusi subiti nei campi di concentramento e sterminio, oppure nelle strutture correlate, rappresenta infatti un momento molto intenso e si fa strada la necessità di confrontarsi, di capire. Ognuno di loro riporta, tradotta nella propria esperienza, la Storia d’interi popoli. Moltiplichiamo queste storie per i milioni di vittime innocenti. Pensiamo ai recenti studi secondo cui ci sarebbe la probabilità che le vittime dei campi di concentramento nazisti siano molte più di quanto non si creda. Consideriamo che i genocidi nel mondo sono stati numerosi. Nonostante ciò il negazionismo e nuove forme di razzismo dilagano pericolosamente. Gli studenti, che rischierebbero di percepire determinati fatti come lontani e astratti, si ritrovano ad affrontare improvvisamente il dolore e la forza psicologica delle persone che certe cose le hanno vissute sulla propria pelle. Nell’ascoltare i testimoni, ragazzi dalle idee eterogenee sono accomunati dalla stessa commozione: diviene forte la consapevolezza di essere fortunati e di dover trasmettere ciò che si è ascoltato agli altri. Bisogna contribuire ad irrobustire, nella nostra società, gli anticorpi al razzismo e alla violenza, per impedire che tutto ciò si ripeta. Noi giovani abbiamo la responsabilità di raccogliere il testimone della memoria. Sta a noi far sì che arrivi a destinazione, fondando una società migliore con l’impegno concreto. Non solo nelle giornate commemorative. Chen Laura Sarno
Sito dell’Auditorium Parco della Musica di Roma Sabato 25/05/2013 Sala Sinopoli, ore 17 Comunità di Sant’Egidio, Fondazione Musica per Roma, con il sostegno di Camera di Commercio presentano Play Music Stop Violence Cambia il mondo con la tua musica Biglietti: Ingresso gratuito Ritiro voucher dal 16 maggio presso l’info point dell’Auditorium Parco della Musica info 3669733898 [email protected] Alla presenza di numerosi ospiti del mondo della musica e dello spettacolo, le band finaliste del music contest Play Music Stop Violence – cambia il mondo con la tua musica, cercheranno in tutti i modi di aggiudicarsi il primo premio del contest, di fronte ad una giuria che avrà un difficile compito da svolgere. Il contest musicale Play Music Stop Violence, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio e da Fondazione Musica per Roma, con il sostegno di Camera di Commercio di Roma, ha offerto la possibilità a giovani musicisti di confrontarsi su temi importanti ed attuali. I giovani musicisti sono stati chiamati, infatti, a comporre brani che possano lanciare un messaggio positivo: contro la violenza, la guerra, il razzismo, la povertà; per la pace, il rispetto dell’altro, la solidarietà, la musica che unisce oltre ogni barriera. Anche il pubblico farà la sua parte, assegnando attraverso un sistema di voto, il “Premio Popolare”. La musica ha una grande forza e può fare molto per cambiare il mondo. Non mancate!
LA REDAZIONE DEL BLOG ESPRIME DOLORE E SDEGNO PER IL GRAVE ATTENTATO ALLA MARATONA DI BOSTON NEGLI STATI UNITI
RedazioneDal Corriere della Sera (www.corriere.it): “Terrore e sangue sulla maratona di Boston. La prima bomba è esplosa a poche centinaia di metri dal traguardo, alle 15 di lunedì (15 aprile), ora locale. I runner che stavano per raggiungere l’arrivo sono stati travolti dall’onda d’urto, quelli che avevano appena oltrepassato la linea bianca si sono fermati e voltati di scatto, pietrificati dalla terribile esplosione. Il tempo di realizzare di essere nel bel mezzo di un’emergenza, e una seconda bomba è esplosa più giù, lungola strada. Una terza esplosione, forse causata dall’incendio sviluppato in strada, si è verificata nella vicina biblioteca John Fitzgerald Kennedy. In totale cisarebbero almeno tre morti: una delle vittime è un bambino di 8 anni, attendevail papà nelle vicinanze del traguardo. Un primo bilancio parla anche di 141 feriti. Tra questi molti (almeno 17) sono gravissimi, e almeno 10 avrebbero subito amputazioni. La gara podistica più antica al mondo dopo quella di Atene è terminata così, nel panico generale, tra sirene impazzite e atleti che si aggiravano per l’area del traguardo gravemente feriti, alcuni mutilati, altri stesi al suolo, esanimi”. La violenza continua a mietere vittime innocenti, questa volta nell’ ambito di una manifestazione sportiva che avrebbe dovuto essere un momento di festa e di condivisione. La redazione del blog, assieme a tutti i Giovani per la Pace, esprime la propria solidarietà alle vittime dell’attentato e alle loro famiglie. Al tempo stesso condanna ogni forma di violenza, soprattutto quella che si accanisce sui più deboli ed indifesi, come i bambini.
La musica sembra alleviare il dolore, sembra motivare il cervello.(Pink Floyd) Continua il nostro viaggio nel mondo di “Play Music Stop Violence. La seconda fase si è svolta domenica 14 aprile con le audizioni di ben 13 delle 37 band partecipanti al concorso in uno dei più grandi locali della capitale, l’ Alpheus di Roma, che già negli anni scorsi ha ospitato la finale delle precedenti edizioni di PMSV. Dall’ energia dirompente dei “Piano A”, alle atmosfere esotiche della World Music degli “Highway of Time”, sino ai meandri del Pop Punk dei “Dry Skunk”. Dopo le esecuzione di ogni pezzo la giuria, composta da importanti personalità del mondo della musica e non, ha posto varie domande a ciascun gruppo. Emozioni e sentimenti sono sprizzati dal palco. E’ emersa, con forza, la convinzione che attraverso l’energia della musica è possibile far conoscere con chiarezza il sogno di un mondo migliore, libero dalla violenza. Lo sforzo (riuscito) di tutti i partecipanti è stato quello di legare note e parole, in un’armonia non fine a se stessa, ma legata concretamente alla realtà: dalla quotidianità dei nostri gesti alla violenza nuda che i nostri occhi incrociano. A breve sul blog verranno postate le interviste rilasciate da alcune delle band partecipanti. Ora non possiamo che aspettare il secondo turno di audizioni che si svolgerà domenica 21 aprile, sempre all’ Alpheus, con le altre band, tra cui gli “Aigherai”, i “Radio Aut e i “Redfi eld Street”. PAOLO MASCI
Intervista a Cacilda Isabelle Massango, attivista del progetto di cura dell’ AIDS(DREAM) in Mozambico
Roberto BarrellaCacilda, attivista del centro Dream in Mozambico, è stata ospite d’onore all’incontro di oggi dei Giovani per la Pace di Roma. Abbiamo deciso di intervistarla per farvi conoscere la sua storia di solidarietà e speranza. -Iniziamo dal nome: come ti chiami? Cacilda. Da dove vieni? Mozambico. -Raccontaci la tua storia e quello che fai in Mozambico con la Comunità di Sant’Egidio. Io lavoro con i giovani conosciuti al Centro nutrizionale: loro venivano fin da piccoli al centro e, quando sono cresciuti, abbiamo voluto creare un gruppo e fare crescere un pò la Comunità. Abbiamo un altro gruppo che viene dal centro Dream di Maputo, hanno iniziato la cura con noi quando erano bambini e adesso sono grandi: fanno gli incontri per Dream e per la Comunità. Molti di loro li abbiamo conosciuti nel barrio(quartiere). -Raccontaci la tua esperienza come attivista di DREAM. Fin dai primi momenti del progetto, dal 2002, sono stata attivista di Dream. Mi sono trovata subito bene e mi sono aggiunta ai miei amici. Dopo che tante persone sono guarite abbiamo avuto la volontà di aiutare gli altri, di fargli vedere che era possibile curarsi bene; raccontando le nostre esperienze è stato possibile coinvolgere molti, sopratutto bambini. -Come hai conosciuto la Comunità di Sant’Egidio? Ho conosciuto la Comunità attraverso Dream: è difficile trovare una sola persona di riferimento perchè Dream è tutta una famiglia! Abbiamo iniziato a fare la preghiera insieme nel 2004 e adesso facciamo colonie con gli adolescenti, servizio con gli anziani in un Istituto a Maputo e andiamo una volta al mese a trovare i bambini disabili in un istituto vicino al Centro Dream. Facciamo anche la preghiera una volta a settimana nel carcere più “rigido” di Maputo, il Pranzo di Natale…tutto quanto! -Si vive la Comunità a pieno insomma? Si, stiamo cercando di fare tutto quello che si fa con la Comunità: è in tutto il mondo…stiamo cerando di fare il massimo. -Il Mozambico è il paese simbolo della Comunità di Sant’Egidio in Africa: dalla Pace in Mozambico sono nate molte delle attività che facciamo nel continente africano: DREAM, il progetto BRAVO…è il centro! è un pò il centro, un punto di riferimento per tutta l’ Africa, un esempio per la pace, il primo paese a implementare il progetto DREAM e tante altre cose: è l’immagine di un’ Africa che rinasce! -Grazie e in bocca al lupo per il Mozambico. Grazie a te. –DREAM – progetto BRAVO Intervista a cura di Roberto Barrella http://dream.santegidio.org/public/news/x__newsreadpubNS.asp?IdNews=1184
Quanti hanno in questi giorni acceso il televisore e sbigottiti hanno scoperto che il mondo si sta preparando ad una guerra nucleare? Non è uno scherzo o semplice retorica perchè la Corea del Nord questa volta fa sul serio e lo testimoniano i provvedimenti adottati dagli Stati minacciati( Giappone, Corea del Sud e persino gli Stati Uniti) . Ovviamente non desidero gettare il lettore nel panico ma è bene che si conosca la realtà dei fatti internazionali. Per comprendere la natura del conflitto dobbiamo riavvolgere il nastro fino al 1950. In quegli anni, durante la guerra fredda, Pyongyang(capitale della Corea del Nord) aveva il supporto economico e diplomatico della Russia comunista mentre a Seul si era insediato un governo nazionalista appoggiato dagli americani. Le tensioni tra le 2 potenze asiatiche iniziarono da allora e celavano un contrasto tra il blocco occidentale statunitense e quello orientale sovietico. Gli scontri militari terminarono col l’armistizio del 1953 che confermò la divisione della Corea al 38° parallelo. Dopo un apparente periodo di pace tra i due popoli, le rivendicazioni territoriali si sono prolungate fino ad oggi e hanno raggiunto il picco massimo quest’ anno. Le ragioni sono diverse e tutte plausibili. Sicuramente in Corea del Nord, dove vige una dittatura totalitaria di stampo stalinista, il Dittatore Kim Jong Un impone una politica interna ed estera fondata sulla logica del terrore, sull’assenza di pluralismo politico e sociale, su un apparato militare potente. Ogni cittadino è tenuto obbligatoriamente, maschio o femmina, a dedicare parte del suo tempo all’ esercito mentre crisi alimentari e forme di violenza sulla popolazione sono fenomeni comuni. Il dittatore nord-coreano ha affermato che gli armamenti nucleari costituiscono la base della pace giustificando così continui finanziamenti all’ industria bellica. In seguito alle continue minaccie nucleari, il Giappone è corso ai ripari installando batterie anti-missile presso Tokyo. Kim Jong Un ha addirittura lanciato un messaggio agli stranieri della Corea del Sud di lasciare immediatamente il paese per evitare che vengano colpiti dai loro stessi missili. Non sappiamo con certezza cosà accadrà e quali ripercussioni avrà questo conflitto sulla vita di milioni di persone. C’è veramente il pericolo di una guerra nucleare o si tratta del solito bluff? Come sanno i giocatori di poker, il bluff tanto più funziona quanto più sei ricco. La Corea del Nord però è poverissima. Fabio Lazzari
È tempo di ripensare la democrazia e il sistema politico italiano cerca (?) nuovi assetti e soluzioni. Proprio in questo stallo democratico riemergono i temi vivi della cittadinanza, di solito considerati di minore importanza. In questi giorni le primarie del Pd – le elezioni dei candidati Pd per Roma Capitale e per alcuni municipi – sono al centro di un’accesa polemica: alcuni sospettano il voto di scambio per via delle ‘solite file di Rom che tutt’a un tratto si scoprono appassionati di politica’. Per voto di scambio si intende l’azione di convincere qualcuno a votare non per interesse politico ma per tornaconto personale. Lo ‘sfruttamento’ dei Rom avrebbe compromesso il risultato elettorale. Si è sul confine tra il razzismo e il sospetto fondato. L’associazione 21 Luglio ha diffidato un candidato di altra formazione politica per la strumentalizzazione della polemica, espressa in termini tali da ‘fornire una visione distorta e … d’incitare alla discriminazione, all’odio e all’intolleranza’. Ironia della sorte, il giorno dopo le primarie, l’8 aprile, si celebrava la Giornata internazionale delle comunità rom, in cui si rinnova l’interesse nei confronti della maggiore minoranza europea. Molti rom, in quanto cittadini dell’Unione Europea, possono votare, come è ben noto, per le elezioni amministrative (municipio e Comune) e per il Parlamento Europeo. Insomma, l’esercizio di un diritto riconosciuto è un fatto positivo in sé. Non è nemmeno surreale pensare che un rom possa votare per libera scelta politica. La verifica delle irregolarità, sulla quale qui non si vuole esprimere giudizio, spetta agli organi di competenza. Questo post vuole sottolineare la triste facilità con cui si denigra il popolo Rom. Un popolo spesso sottoposto a forme di razzismo istituzionale, attraverso mancati riconoscimenti culturali o tramite ripetute azioni distruttive della serenità delle famiglie rom, come i frequenti (e inefficienti dal punto di vista economico!) sgomberi. Sicché è di per sé un dato positivo, secondo una certa logica, il puro numero di sgomberi effettuati, senza illustrare le modalità e gli eventuali effetti duraturi! La semplificazione razzista porta a considerare uno spreco di soldi pubblici l’investimento nelle abitazioni per i Rom. Eppure, dal punto di vista economico, sono riparazioni formidabili che mettono fine ad anni di sprechi e sofferenze. Rimane però l’accusa di ‘spreco sociale’: in una sorta di ‘cannibalismo’ si ripete che il posto guadagnato da un ‘non italiano’ o ‘italiano zingaro’ sia un posto sottratto alla generazione di futuri disoccupati italiani. Gli innumerevoli casi di innocenza e i successi di alcune politiche di integrazione ancora non bastano all’immaginario collettivo per abbattare innumerevoli pregiudizi. Per la maggioranza degli Italiani non è un problema avere un immigrato come vicino, ma se si tratta di Rom e Sinti ben il 68,4% non li vorrebbe, a fronte di un 25,6% nei confronti dei Romeni; 18,7% dei Cinesi. Una paura che rende prigioneri e non permette di analizzare criticamente la questione. Per questo i Giovani per la Pace credono fermamente nell’amicizia con il popolo Rom, per costruire una città pacificata, di tutti. A.
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