I giovani non trovano lavoro, non hanno opportunità, né vale la pena per loro darsi da fare, in tempi di crisi. La crisi impoverisce i giovani, in tutti i sensi. Oppure, c’è una speranza e la realtà, a partire da quella giovanile, non è così tragica. Il pessimismo, in verità, è una profezia che si avvera da sola. Avvertite anche voi che i giovani sono la speranza del futuro? Riportiamo una breve lettera al Corriere della Sera del nostro amico Massimiliano, pubblicata il 25 novembre, per cercare di dare insieme una risposta. Oltre la crisi Non più bamboccioni Condivido l’articolo di Giovanni Belardelli (Corriere, 23 novembre) che osservava che la crisi ‘ormai è dentro di noi’ e invitava a ‘rompere la spirale di un pessimismo che rischia, inevitabilmente, di autoavverarsi’. Sono dottore di ricerca e ricercatore (precario) in un’università romana. Conosco un po’ l’ambiente universitario, anche perché coordino le attività della Comunità di Sant’Egidio tra i giovani di Roma. Mi capita sempre più di vedere ragazzi pronti a imparare e faticare, ben diversi dallo stereotipo dei bamboccioni di qualche anno fa. Riscontro un fermento, che è come la spia del loro desiderio di mettersi in gioco, di aiutare e di rischiare. Anche la recente inchiesta del Censis indicava una ripresa della voglia di impegno civile e di adesione a iniziative di solidarietà, nonostante la crisi. Percepisco insomma quelle ‘energie vitali’, evocate da Belardelli sulla falsariga di Chateaubriand. Mi pare che queste energie, poco visibili, se non oscurate da tanti altri fenomeni negativi, ci permetteranno di guardare con speranza il futuro. Massimiliano Signifredi Roma
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La crisi / Le crisi, installazioni, dipinti, video-opere e testi di persone con disabilità. Mostra promossa dai Laboratori d’arte della Comunità di Sant’Egidio. Si è inaugurata oggi la mostra La crisi / Le crisi, che sarà ospitata per l’intera settimana presso la facoltà di Giurisprudenza di Roma Tre. Cercheremo in quest’articolo di riprendere le parole di chi è intervenuto. Potete scaricare l’audio dell’evento dal link in fondo all’articolo. La mostra è il risultato di una accurata documentazione su argomenti del nostro tempo con una particolarità: nessun artista si è qui abbandonato al pessimismo, proprio perché l’arte permette di alzare lo sguardo. La crisi / Le crisi, mostra promossa dalla Comunità di Sant’Egidio, ha visto la partecipazione di tante associazioni e cooperative. L’ateneo Roma Tre, oltre ad essere un luogo di cultura in quanto sede universitaria, ha sempre dimostrato una sensibilità nei confronti della disabilità, iniziando dall’abolizione delle barriere architettoniche. La mostra in questo luogo è più che mai significativa. È peraltro un onore per l’ateneo ospitare un segmento di un ciclo di esposizioni che sono state ospitate alla Biennale di Venezia e alle Scuderie del Quirinale. L’arte come espressione personale, di ricchezza interiore, fa emergere qui un mondo di sentimenti e aspettative, altrimenti sacrificato nelle nostre società. Si scorge una profondità di pensiero sorprendente, in cui si danno letture originali della crisi. Parlar troppo della crisi porta spesso a conclusioni banali, ma non parlarne potrebbe sortire effetti ancor più pericolosi. Si scoprono diverse dimensioni dell’uomo: ecco che La prima crisi, titolo di un’opera, diventa la discordia tra Adamo ed Eva. Si scopre la sofferenza dell’altro, in un mondo diviso: La casa al centro reclama i diritti del popolo rom. La questione centrale risiede nel non perdere l’umanità in tempi di crisi. L’etimologia greca della parola crisi restituisce il significato di giudizio, non a caso. L’artista Maurizio Valentini, della Comunità di Sant’Egidio, esprime il suo pensiero attraverso la fotografia. Del suo percorso artistico si menziona la partecipazione a I/O è un Altro, special project di César Meneghetti. Stay tuned on this blog, visitate questo blog in questi giorni: saranno pubblicate immagini e parole dalla mostra! Si estende l’invito ai lettori di Roma: La crisi / Le crisi Università degli Studi Roma Tre – Facoltà di Giurisprudenza via Ostiense, 161 18-22 novembre 09.30-18.00 Premiazione delle opere scelte dalla giuria popolare Venerdì 22 novembre, ore 11.00 – aula 9 È possibile votare sul luogo o sul gruppo Facebook dei Giovani di Sant’Egidio – Roma Tre (https://www.facebook.com/giovanidisantegidioroma3?fref=ts) a cura di A.
Papa Francesco: “La pace è un bene che supera ogni barriera”. Preghiera e digiuno per la Siria, 7 Settembre 2013
Alessandro IannamorelliRiportiamo l’Angelus di Papa Francesco del 1° settembre 2013. “Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Quest’oggi, cari fratelli e sorelle, vorrei farmi interprete del grido che sale da ogni parte della terra, da ogni popolo, dal cuore di ognuno, dall’unica grande famiglia che è l’umanità, con angoscia crescente: è il grido della pace! E’ il grido che dice con forza: vogliamo un mondo di pace, vogliamo essere uomini e donne di pace, vogliamo che in questa nostra società, dilaniata da divisioni e da conflitti, scoppi la pace; mai più la guerra! Mai più la guerra! La pace è un dono troppo prezioso, che deve essere promosso e tutelato. Vivo con particolare sofferenza e preoccupazione le tante situazioni di conflitto che ci sono in questa nostra terra, ma, in questi giorni, il mio cuore è profondamente ferito da quello che sta accadendo in Siria e angosciato per i drammatici sviluppi che si prospettano. Rivolgo un forte Appello per la pace, un Appello che nasce dall’intimo di me stesso! Quanta sofferenza, quanta devastazione, quanto dolore ha portato e porta l’uso delle armi in quel martoriato Paese, specialmente tra la popolazione civile e inerme! Pensiamo: quanti bambini non potranno vedere la luce del futuro! Con particolare fermezza condanno l’uso delle armi chimiche! Vi dico che ho ancora fisse nella mente e nel cuore le terribili immagini dei giorni scorsi! C’è un giudizio di Dio e anche un giudizio della storia sulle nostre azioni a cui non si può sfuggire! Non è mai l’uso della violenza che porta alla pace. Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza! Con tutta la mia forza, chiedo alle parti in conflitto di ascoltare la voce della propria coscienza, di non chiudersi nei propri interessi, ma di guardare all’altro come ad un fratello e di intraprendere con coraggio e con decisione la via dell’incontro e del negoziato, superando la cieca contrapposizione. Con altrettanta forza esorto anche la Comunità Internazionale a fare ogni sforzo per promuovere, senza ulteriore indugio, iniziative chiare per la pace in quella Nazione, basate sul dialogo e sul negoziato, per il bene dell’intera popolazione siriana. Non sia risparmiato alcuno sforzo per garantire assistenza umanitaria a chi è colpito da questo terribile conflitto, in particolare agli sfollati nel Paese e ai numerosi profughi nei Paesi vicini. Agli operatori umanitari, impegnati ad alleviare le sofferenze della popolazione, sia assicurata la possibilità di prestare il necessario aiuto. Che cosa possiamo fare noi per la pace nel mondo? Come diceva Papa Giovanni: a tutti spetta il compito di ricomporre i rapporti di convivenza nella giustizia e nell’amore (cfr Lett. enc.Pacem in terris : AAS 55 , 301-302). Una catena di impegno per la pace unisca tutti gli uomini e le donne di buona volontà! E’ un forte e pressante invito che rivolgo all’intera Chiesa Cattolica, ma che estendo a tutti i cristiani di altre Confessioni, agli uomini e donne di ogni Religione e anche a quei fratelli e sorelle che non credono: la pace è un bene che supera ogni
L’immagine che vedete è un titolo del Corriere della Sera online. Sotto la firma dell’autore c’è una barra ‘social’: vale a dire che questo giornale facilita l’interazione del lettore, che può dunque commentare e condividere la notizia con un click. Il dato preoccupante si registra alla prima funzione, dove si legge ‘soddisfatto 47%’. Ai tempi dei social network si può esprimere velocemente un’opinione, semplificata, plebiscitare, pseudo-statistica. Più o meno con la stessa civiltà di chi tirasse fuori la testa dal finestrino di un’auto in corsa e gridasse tutta la propria frustrazione. ‘Mi piaceeeeee’, ‘sono contrariatoooooo’ e così via. Ebbene, sul Corriere.it si può esprimere il proprio sentiment sulle notizie, per dire che quanto letto ci lascia: indignati, tristi, preoccupati, divertiti o soddisfatti. Tra le cinque emozioni, di cui due positive, i lettori (registrati) del Corriere così si sono espressi. Per netiquette, forse, dovrebbero limitarsi le opzioni per certe notizie. Ma il problema è ben altro. A.
«Quel giovane potevo essere io», in questo modo il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha criticato la sentenza di assoluzione di George Zimmerman, la guardia volontaria che uccise un anno fa Trayvon Martin, diciassettenne afroamericano. Nel quartiere recintato e multietnico di Sanford (Florida), Trayvon risiedeva presso la nuova famiglia del padre. Non aveva nulla a che fare con le irruzioni registrate negli ultimi tempi che erano motivo di tensione nella comunità. In una serata piovosa del febbraio 2012, un atteggiamento sospetto del giovane preoccupò Zimmerman, il quale prese a seguirlo. Dopo una violenta colluttazione sparò al ragazzo disarmato. Zimmerman è stato accusato di essere spinto da razzismo o dall’aver comunque tracciato un profilo razzista del soggetto nella telefonata alla stazione di polizia. Un’ipotesi alimentata dal solito caso mediatico: l’emittente NBC ha trasmesso un montaggio fuorviante, per il quale ha posto in seguito pubbliche scuse. Nelle registrazioni è possibile ascoltare che è esplicitamente richiesta l’origine etnica del ragazzo a fini identificativi. La risposta pubblica è stata confusa: disordini a Los Angeles, bandiere bruciate, una petizione su Change.org con oltre 2,2 milioni di firme a sostegno dell’arresto di Zimmerman, minacce di morte a quest’ultimo. Col senno del poi, la sentenza di assoluzione è sconvolgente solo per l’affermazione di un assoluto diritto di legittima difesa e non per una scongiurabile, terribile attenuante di razzismo. La congettura sulla matrice razzista dell’episodio sembra solo un grande errore politico. L’episodio è significativo delle resistenze culturali attivabili per non far bruciare il delicato circuito delle società democratiche. La lotta al razzismo non finisce con la proclamazione di Convenzioni e costituzioni pluraliste. Anzi, forse proprio queste rappresentano il punto di inizio. L’allarmismo e lo sguardo paranoico sulla realtà non aiutano. Il razzismo si combatte attraverso due canali: la concretezza e l’educazione. Innanzitutto bisogna rimuovere le barriere che non permettono l’integrazione e lo sviluppo dei diversi gruppi etnici: in sostanza, la segregazione razziale seppur espunta giuridicamente, si può sedimentare in forme sociali ed economiche, per cui è essenziale che, in nome della cittadinanza, tutti abbiano le stesse opportunità. In secondo luogo, l’osservanza di un siffatto modello sociale non può affermarsi senza una concordanza degli animi. È a dir poco criminale che proprio ‘i cittadini a cui sono affidate funzioni pubbliche’ si abbandonino a motteggi razzisti e a deteriori atrocità verbali. No, in un Paese civile non si può augurare a un ministro di colore, madre di due figlie, una violenza sessuale. E non la si può paragonare a un animale. (Perché viene dal Congo). La risposta dei più impuniti è: ”Se si confrontasse un bianco a qualsiasi animale, non accadrebbe lo stesso”. Nel merito dell’infelice battuta del (dis)onorevole Calderoli, basta galleggiare sulla superficie per cogliere il sofisticato improperio razzista. In ogni modo, il razzismo è un movente che spinge sempre a infrangere lo schermo della persona umana. Svincolare da certe oscene parole, quando financo la motivazione è evidente, è un doppio oltraggio. Ma è necessario più che mai giustamente indignarsi e quotidianamente impegnarsi per tessere un solido...
Alla casa della Comunità di Sant’Egidio a Tor Bella Monaca, periferia est di Roma, si è fatto un viaggio nel continente degli anziani; nel continente occidentale, in cui il progresso tecnologico ha allungato i tempi della vita. Anni in più che rischiano di esser svuotati di senso, se vissuti nella solitudine, alla periferia della vita, in cui ci si sente inutili. Con parole umane, dal tono letterario-scientifico a quello del racconto di vita, il libro La forza degli anni (maggio 2013), della collana I libri di Sant’Egidio, dona a giovani e famiglie lezioni di vecchiaia. Un libro che può cogliere le diverse sfumature di questa nuova stagione della vita; è scritto a più mani ed è il risultato di quarant’anni di alleanza con gli anziani. Nel pomeriggio del primo giugno, alla casa di Tor Bella Monaca, sempre più voci hanno indagato il segreto di quegli anni che, per mezzo dell’amicizia, possono rinnovarsi di novità e di fede, impreviste. Moderatrice dell’incontro Paola Cottatellucci, autrice del contributo “L’anziano, la famiglia e altre relazioni”. Ha fatto risuonare le parole di Maria, ultracentenaria: ‘I vecchi senza amore, muoiono’. Il viaggio nel continente anziano è iniziato attraverso le parole di don Francesco Tedeschi, Professore alla Pontificia Università Urbaniana, per il quale il dono di questo libro consiste nel ‘liberarci dalla paura con la coscienza di una forza che può far rinascere e guarire la nostra società, a partire dal legame tra anziani e giovani’. Legami in una famiglia senza confini, come la Chiesa di tutte le generazioni, della gratuità e dell’amore. Dopodiché, Laura Spazzacampagna, assistente sociale al municipio VII (ex X), nonché appassionata di antropologia, ha dato delle immagini della cultura del rispetto nei confronti dell’anziano in altre società: la vecchiaia, intesa come processo continuo e ininterrotto dalla nascita, ci avvicina a un patrimonio di sapienza, ereditato dagli avi. Ha in seguito rilevato le criticità dell’assistenza istituzionale agli anziani e di come questa possa essere rinvigorita dallo spirito e dalla creatività della Comunità. Segue l’intervento del Prof. Leonardo Palombi (Tor Vergata), attivo nel programma DREAM. Attraverso la lettura di alcune storie tratte dal libro, ha mostrato come ‘La forza degli anni’ capovolga la prospettiva di alcuni problemi. Dalla questione del burn-out degli operatori, ossia del logoramento di chi per mestiere si approccia ogni giorno alla sofferenza, alla questione del cuore, della domanda personale, da cui scoprire la potenza terapeutica, guaritrice, bilaterale dell’amicizia che ravviva una scintilla di umanità mai spenta del tutto. Prende, dunque, la parola il dirigente scolastico Fabio Cannatà (liceo Amaldi). In qualità di operatore della scuola, ha sottolineato come la mancanza di scolarizzazione minacci l’autosufficienza e di come la scuola, in diverse vesti, possa rappresentare un ponte tra giovani e anziani, tra scuola e territorio. Pertanto ha lanciato ai giovani l’idea di fare un corso di uso del computer per gli anziani. Non tanto per il c.d. digital divide, quanto per dare occasione ai giovani di dialogare con gli anziani. Si forma così un rapporto non facilmente definibile secondo i soliti schemi. Chi...
Riceviamo dall’Albania e volentieri pubblichiamo: La Comunità di Sant’Egidio in Albania (nella capitale, a Tirana) svolge un servizio con gli anziani. Lo facciamo una volta a settimana – di solito la Domenica pomeriggio – andandoli a visitare nell’Istituto dove sono ospiti (n.d.r.: Casa delle Suore di Madre Teresa di Calcutta), restando con loro circa un’ora fino al momento della cena. Ogni volta che gli anziani ci vedono arrivare, ci accolgono con gioia, come se ci avessero conosciuto fin da piccoli, come se noi fossimo i loro figli. Noi parliamo con loro, organizziamo giochi con la palla o il domino; a volte cantiamo, balliamo e quando viene l’ora della cena li aiutiamo a mangiare. Alcuni di loro non sono in grado di alimentarsi da soli e noi gli vogliamo ancora più bene per questo. Gli anziani ci raccontano la loro storia, quella della loro famiglia e nelle parole che escono dalla loro bocca ce n’è sempre una di gratitudine: ci ringraziano per quel poco che facciamo, per l’amicizia e la sincerità che ci unisce. Per molto tempo siamo stati in 15, tutti universitari, che partecipavamo a questo servizio, ma ora il numero è in crescita, soprattutto in queste ultime settimane grazie alle presentazioni della comunità che abbiamo fatto per i giovani, organizzando cinque incontri, all’università e in un liceo. Abbiamo poi fatto una grande festa per gli anziani, alla quale hanno partecipato molti giovani (universitari e liceali) che hanno visto quello che facciamo. Speriamo di aver lasciato loro una buona impressione in modo che si appassionino e tornino nel futuro! Ma noi non vogliamo fermarci qui. Faremo altri incontri, al fine di coinvolgere un numero molto maggiore di persone che vogliono aprire il loro cuore ai più poveri. Noi vogliamo essere sempre di più e ogni giorno vogliamo imparare a donare sempre più amore verso le persone che hanno bisogno. Vogliamo trasmettere a tutti questo ideale: l’amore è l’unica cosa che ci potrà salvare dai problemi e dal vuoto di questo mondo! Testo originale in albanese Komuniteti Sant’Egidio I Shqiperise meret me sherbimin tek te moshuarit. Kete sherbim ne e bejme nje here ne jave zakonisht te dielen dhe qendrojme me ta rreth nje ore e gjysem. Qe ne momentin qe te moshuarit na shikojne duke hyre ne deren e qendres ku jetojne tek ta shfaqet nje byzeqeshje e jashtezakinshme ,na takojne sikur te kishin vite qe na njohin sikur te ishin femijet e tyre. Ne bisedojme me ta, organizojme lojra me top,domino,nganjehere kenge, valle dhe kur vjen ora e darkes ne I ndihmojme duke shperndare ushqimin tek ta, disa prej tyre qe sjane te afte te ushqehen vete dhe ne I ushqejme me shume kenaqesi. Ata na tregojne per familjen e jeten e tyre madje dhe ne fjalet qe dalin nga goja e tyre eshte gjithmone nje falemderim ,ata na falemderfojme per dherbimin qe ne I bejme dhe per miqesine dhe sinqeritetin qe ne I trasmetojme dhe mbi te gjitha DASHURINE qe ne I japim atyre. Deri tani kemi...
“Mamma, oggi vado in biblioteca a studiare”. “Ma sei sicuro?”, dice la madre con gli occhi lucidi. “Sì, la fine dell’anno è alle porte. Il dovere mi chiama”. Luigi, sì, il nostro protagonista si chiama Luigi, raggiunge la biblioteca. Nel bus strapieno al nostro studente è difficile nascondere il leggero e pratico pranzo preparato dalla madre: una teglia di peperoni gratinati. Macchiandosi di sudore (altrui) per via del poco spazio, Luigi pensa al capitolo di fisica sui fluidi e si chiede come sia possibile che l’acqua non sia comprimibile quando il corpo umano ne contiene almeno il 70%. Si rassegna all’idea che quella compressione gli provocherà come minimo la perdita di qualche arto. Giunge finalmente in biblioteca. Un solo armadietto libero. Serve una moneta da un euro per attivare il meccanismo che permette di estrarre la chiave per chiudere l’armadietto. Quel congegno è sicuramente opera del male. Rovista, rovista nelle tasche e non trova la moneta. Neanche a dirlo, nessuno può ‘spicciargli’ la banconota da cinque. Luigi corre all’edicola, si compra un giornale a caso e finalmente ha la moneta! Occupa l’armadietto. Poggia i libri sul tavolo e inizia a studiare fisica. Non basta la voce gracchiante della prof. e l’immagine del suo prominente neo peloso che l’accompagna sempre quando studia fisica; la biblioteca è un concerto di rumori. Cosa non si fa per sfuggire dall’insidia di facebook e trovarsi un posto ‘neutro’ con poche distrazioni, e quei tanto cinematografici rumori di sottofondo che stimolano la concentrazione. Neanche per sogno: stavolta i colleghi topi di biblioteca vogliono vincere la gara in rumorismo. Uno starnuto da una parte – con tutto il timore che un getto provetto impiastri tutto il libro di matematica, incollando le pagine – una pernacchia dall’altra e alla fine arriva lei, sì, proprio lei, la diva della biblioteca. Ce n’è sempre una che cattura lo sguardo sognante di tutti. Ha un piccolo problema: i tacchi. E il pavimento della biblioteca si presta bene ad amplificarne il suono. Immancabile l’amica (brutta, ma con i tacchi), che l’accompagna. Ovviamente quel giorno non vogliono studiare, ma cercare un libro da una parte all’altra. Sembra un rodeo, anzi un maneggio, in cui i cavalli vanno al galoppo. To tlòc, to tlòc, to tlòc. In effetti la mascella dell’amica è molto sporgente. “Diamine!”, pensa Luigi che voleva studiare. Ma arriva anche il momento perfetto, tranquillo, in cui pensi di poter studiare tutto il capitolo e… passa il bibliotecario per dire: “Tra quindici minuti la biblioteca chiude”. A voi è mai capitato di voler studiare e di trovarvi nel posto più rumoroso del pianeta? I. A.
Quando Giorgio Napolitano è stato rieletto Presidente della Repubblica, vuoi per la sua abilità nel far dialogare le parti politiche, vuoi per la continuità ritenuta necessaria da taluni, in pochi hanno pensato a un tratto rilevante del pensiero politico del Presidente rieletto: nel messaggio di fine anno trasmesso a reti unificate, infatti, Napolitano ha ribadito l’importanza di riconoscere la cittadinanza italiana come diritto a chi nasce e cresce in Italia. Appello simile è giunto dalla Presidente della Camera, Laura Boldrini, nel suo discorso di insediamento. Il riconoscimento di questo diritto speriamo giunga a compimento dopo una lunga storia. Nella scorsa legislatura (2008-2013) sono stati presentati 48 disegni di legge per cambiare la normativa in tema di cittadinanza. Nemmeno uno convinse una maggioranza. In questo nuovo Parlamento si contano già una ventina di nuove proposte. Un tema che sembra poter essere caro solo al centrosinistra; quando, invece, è una lotta per i diritti che può trovare tutti d’accordo. Di fronte al paradosso del bambino nato da genitori stranieri, che ha compiuto i suoi studi in Italia, e forse nemmeno ricorda il Paese di provenienza, tantomeno sa parlare la lingua dei genitori con la stessa scioltezza con cui comunica in italiano, e per giunta tifa la Roma, cosa deve fare il legislatore? Sebbene per alcuni la caratteristica del tifo calcistico (sbagliato) sarebbe giusto motivo di sospensione di tutti i diritti civili e politici, ben s’intende che è l’uomo che fa la cultura e non la cultura a fare l’uomo. Cambiare la legge sulla cittadinanza non significa propiziare l’arrivo di barconi dall’Africa – peraltro problema spesso trascurato, quello dei morti nel Mediterraneo, per via delle serpeggianti pulsioni razziste. Non significa riconoscere uno ius soli puro. Mi spiego: chi nasce sul suolo italiano, sarebbe italiano, senza se e senza ma. Essere cittadini italiani però significa avere diritti e doveri costituzionali: collaborare al progresso materiale e spirituale della nazione, essendo posti nella condizione di farlo. La mobilità delle persone influisce sul welfare e, per motivi di ordine pubblico, è rassicurante evitare la ‘spesa dei diritti’. L’unico limite è l’ordine pubblico, non però quello dettato dall’ossessione per la sicurezza e dai pregiudizi per cui l’immigrato è una ‘persona illegale’. Bisogna cambiare i termini del dibattito. Non è più tempo di contrapporre il diritto del sangue (ius sanguinis), vale a dire la cittadinanza se si discende da cittadini italiani, al diritto del suolo (ius soli), ossia essere cittadini per il semplice dato fisico di esser nati su suolo italiano. Ma non si può nemmeno andare avanti con le sevizie burocratiche per cui, chi nasce e cresce in Italia a diciotto anni (e non oltre!) deve inviare la richiesta per il riconoscimento della cittadinanza e, se non s’appresta, è costretto a rivolgersi al Ministero dell’Interno, con una trafila ancora più lunga. Se è un diritto, va riconosciuto all’istante. Parliamo dunque di uno ius soli temperato – nasci sul suolo italiano, vi risiedi, studi o lavori – e di uno ius culturae (diritto della cultura) – se...
Il sangue è un tessuto come la pelle. Come nessuno oggi, reputandosi onesto, discriminerebbe un uomo dal colore della pelle, così un cittadino non dovrebbe più esprimersi con questa categoria superata: il diritto del sangue. Hai sangue italiano? Sei italiano. Anche se alle ultime analisi del sangue, quando ho chiesto al medico di controllare se il mio sangue fosse italiano – riconoscibile dal tipico rosso con sfumature bianco-verdi – ha strabuzzato gli occhi. Un po’ di storia: è il 1912, l’Italia sognava di conquistare la Libia, e il Parlamento del Regno approvava una legge sulla cittadinanza: ha cittadinanza italiana chi nasce da padre italiano, non importa dove; non la ha chi nasce da genitori stranieri in Italia, almeno che il neonato non abbia la fortuna di essere di padre ignoto o apolide o, se per qualche motivo, non possa seguire la cittadinanza del padre. Nel frattempo in Italia sorge la Repubblica (1946), entra in vigore la Costituzione (1948), eppure la legge sulla cittadinanza è affrontata di nuovo come materia organica solo ottanta anni dopo, nel 1992. Qualche assurdità1 era già stata corretta, tuttavia la legge del 1992 ribadisce il diritto del sangue (ius sanguinis, in latino) contro il diritto del suolo (ius soli), ammesso solo in pochi casi fortunati – come si diceva prima, genitori ignoti o apolidi2 e quindi conta il suolo sul quale sei nato. Alcuni contesteranno l’uso poco metaforico qui fatto della parola ‘sangue’. Il legislatore per ‘sangue’ intendeva quella trasmissione di principi e valori italiani che solo genitori italiani possono offrire! Non intendeva certo il liquido che ci scorre nelle vene! Il sangue è una metafora della cultura. E questa è una gran baggianata storica. Quando la cittadinanza veniva concessa al popolo italiano, il popolo italiano non esisteva. Pochi avevano ricevuto un’istruzione, pochi sapevano parlare o almeno comprendere quella lingua ‘calata dall’alto’, l’italiano. Una vera lingua comune, un “italiano standard”, si forma a partire dagli anni Cinquanta, anche grazie alla diffusione della televisione (si legga quest’interessante articolo). Insomma, guardando alla storia ci si accorge che la categoria (politica) della cittadinanza è sempre servita a unire, a costruire un popolo, e non banalmente a ribadire legami già esistenti. Si pensi alla cittadinanza dell’Unione Europea e a quegli ‘invisibili’ benefici che se ne traggono. Non è un caso che i Paesi delle primavere arabe abbiano posto al centro del dibattito la questione della cittadinanza, per costruire democrazie più forti. La cittadinanza è uno strumento della coesione. È espansiva per sua natura, perché deve allargare i suoi confini quando si trasforma in privilegio, da diritto che fu. I Giovani per la Pace sostengono dal 2010 la campagna per il diritto alla cittadinanza ‘Made in Italy’ per affermare un diritto della cultura: chi cresce e studia in Italia è italiano! La lunghezza del post mi invita a concludere: seguirà un articolo a breve sul dibattito di questi giorni in Italia sul tema della cittadinanza. A. —— 1. come la disuguaglianza giuridica e morale tra i coniugi: si noti che per...
È tempo di ripensare la democrazia e il sistema politico italiano cerca (?) nuovi assetti e soluzioni. Proprio in questo stallo democratico riemergono i temi vivi della cittadinanza, di solito considerati di minore importanza. In questi giorni le primarie del Pd – le elezioni dei candidati Pd per Roma Capitale e per alcuni municipi – sono al centro di un’accesa polemica: alcuni sospettano il voto di scambio per via delle ‘solite file di Rom che tutt’a un tratto si scoprono appassionati di politica’. Per voto di scambio si intende l’azione di convincere qualcuno a votare non per interesse politico ma per tornaconto personale. Lo ‘sfruttamento’ dei Rom avrebbe compromesso il risultato elettorale. Si è sul confine tra il razzismo e il sospetto fondato. L’associazione 21 Luglio ha diffidato un candidato di altra formazione politica per la strumentalizzazione della polemica, espressa in termini tali da ‘fornire una visione distorta e … d’incitare alla discriminazione, all’odio e all’intolleranza’. Ironia della sorte, il giorno dopo le primarie, l’8 aprile, si celebrava la Giornata internazionale delle comunità rom, in cui si rinnova l’interesse nei confronti della maggiore minoranza europea. Molti rom, in quanto cittadini dell’Unione Europea, possono votare, come è ben noto, per le elezioni amministrative (municipio e Comune) e per il Parlamento Europeo. Insomma, l’esercizio di un diritto riconosciuto è un fatto positivo in sé. Non è nemmeno surreale pensare che un rom possa votare per libera scelta politica. La verifica delle irregolarità, sulla quale qui non si vuole esprimere giudizio, spetta agli organi di competenza. Questo post vuole sottolineare la triste facilità con cui si denigra il popolo Rom. Un popolo spesso sottoposto a forme di razzismo istituzionale, attraverso mancati riconoscimenti culturali o tramite ripetute azioni distruttive della serenità delle famiglie rom, come i frequenti (e inefficienti dal punto di vista economico!) sgomberi. Sicché è di per sé un dato positivo, secondo una certa logica, il puro numero di sgomberi effettuati, senza illustrare le modalità e gli eventuali effetti duraturi! La semplificazione razzista porta a considerare uno spreco di soldi pubblici l’investimento nelle abitazioni per i Rom. Eppure, dal punto di vista economico, sono riparazioni formidabili che mettono fine ad anni di sprechi e sofferenze. Rimane però l’accusa di ‘spreco sociale’: in una sorta di ‘cannibalismo’ si ripete che il posto guadagnato da un ‘non italiano’ o ‘italiano zingaro’ sia un posto sottratto alla generazione di futuri disoccupati italiani. Gli innumerevoli casi di innocenza e i successi di alcune politiche di integrazione ancora non bastano all’immaginario collettivo per abbattare innumerevoli pregiudizi. Per la maggioranza degli Italiani non è un problema avere un immigrato come vicino, ma se si tratta di Rom e Sinti ben il 68,4% non li vorrebbe, a fronte di un 25,6% nei confronti dei Romeni; 18,7% dei Cinesi. Una paura che rende prigioneri e non permette di analizzare criticamente la questione. Per questo i Giovani per la Pace credono fermamente nell’amicizia con il popolo Rom, per costruire una città pacificata, di tutti. A.
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