Un passo dietro l’altro, racconti e preghiere per far conoscere la Storia, e che storia! I bambini delle Scuole della Pace di Padova e Verona hanno trascorso momenti intensi alla Colonia perchè hanno conosciuto quello che li ha preceduti. A pochi chilometri dalla casa, un cimitero inglese della prima guerra mondiale che ci ha colpiti ed emozionati. I bambini hanno ascoltato increduli e attenti le storie dei soldati e hanno seguito il percorso come un pellegrinaggio, uniti nella preghiera e attenti ad ogni nome di ogni lapide. I bambini, con la loro innocenza erano dei fiori che sbocciavano in quel campo così triste e che sospiravano in coro: “Mi dispiace, io non volevo” I bambini che chiedono scusa per colpe che loro non hanno, sono quelli che ci danno speranza per il futuro. Parliamo ai nostri ragazzi, parliamo a tutti perchè costruire un mondo di pace è possibile e loro sono il cuore dei nostri sogni!
Mese: July, 2016
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I Giovani per la Pace si stringono alle famiglie colpite dal tragico attentato che ha colpito Monaco ieri 22 Luglio 2016. Siamo particolarmente commossi, perché i giovani, nostri coetanei, sono stati il primo bersaglio di questo gesto folle. È sempre più evidente che il clima di violenza che soffia nelle periferie umane ed esistenziali, che produce orrori come quello di ieri sera, vada fermato con un’azione pacifica di persone che in quelle periferie si impegnino per cancellare le disuguaglianze e le differenze. Questa tragedia mette tanti davanti ad una verità: è la violenza che crea questi drammi, non la religione, e ai tanti che continuano ad additare l’islam come colpevole, anche in un contesto in cui non c’entra nulla come quello dell’attentato di Monaco, noi vogliamo dire che questo è solo un modo populista per dividere ancora di più la società: attenzione, in una società divisa la violenza si insinua più forte. E l’Islam, non è un problema, ma ha un problema, quello di tanti di cattivi maestri che sfruttano questa religione per reclutare soldati per la loro causa tra i i giovani. Noi Giovani per la pace continuiamo ad invitare alla preghiera e ad unire la gente attraverso il nostro lavoro dove sono presenti le cicatrici del mondo e delle nostre città per costruire città vivibili, meno violente e dove la società sia finalmente la società del convivere, l’unica società possibile per sconfiggere la violenza
Troppo spesso leggiamo che l’accoglienza è un male, che l’integrazione è impossibile, che “non si possono accogliere tutti”. Noi abbiamo scelto per l’accoglienza e per l’integrazione, di coinvolgere i migranti che vogliono diventare nuovi europei nei nostri servizi, nella nostra vita, ed abbiamo scoperto una domanda di futuro e di pace a cui bisogna rispondere tutti insieme! Siamo giovani per la pace, ma siamo diventati un po’ più grandi ascoltando le parole dei migranti che ci ricordano che il male esiste, è dietro la porta, e noi da giovani per la pace, da Europei, da gente comune dobbiamo lottare, lavorare, pregare per fermarlo. A Catania ci sarà la #tregiornisenzafrontiere, dove europei e nuovi europei staranno insieme e creeranno un mondo unito. Segiuiremo sul blog e su facebook questo evento se non potrete venire a Catania il 9- 10 e 11 Agosto! Potete sostenerci anche dal mare, twittando con noi! In tutta Italia il lavoro dei gxp sta dimostrando che non è vero che l’integrazione è impossibile, ma bisogna sognare più forte della cattiveria che gira sul web e costruire il sorriso di queste immagini! Buona visione! PS: Per vivere queste immagini puoi iscriverti a “Tre Giorni Senza Frontiere“
Nell’ultimo anno abbiamo vissuto l’attacco feroce a Parigi, Bruxelles, Orlando, la morte di migliaia di migranti in mare, il risultato del referendum in Gran Bretagna. Siamo di fronte ad un’ Europa inerme, sempre più fragile, paralizzata dagli avvenimenti, incapace di restare unita. A Nizza sono stati uccisi molti bambini, nel Mediterraneo hanno perso i lori genitori e dalla Siria sono dovuti scappare perché la loro casa non era più un luogo sicuro. Minorenni innocenti che non hanno colpa di questa violenza e che sono stati sottratti alla spensieratezza della loro età. La violenza sta dilagando nelle nostre città, la libertà delle persone è messa a rischio e così abbiamo paura a viaggiare in aereo, ad utilizzare i mezzi pubblici, ad andare ad una festa in piazza. Cerchiamo di costruire barriere e muri per proteggerci, di allontanare lo straniero o meglio ancora di non farlo entrare nei nostri paesi. Ma è questa la soluzione al problema? l’Ignoto ci fa paura, il diverso ci destabilizza, ci stiamo chiudendo sempre di più in noi stessi. In questo momento storico, forse come non mai, è importante essere uniti, combattere contro i sentimenti di odio, aiutare le persone più deboli, quelle che hanno difficoltà ad arrivare a fine mese, le persone che non hanno un tetto, coloro che sono malati, senza pensare, ancora una volta, che non sono un nostro problema. Dobbiamo cercare di aprire i cuori, non avere paura di chi bussa alla nostra porta; porterà solamente più valore nelle nostre vite. Stiamo diventando una società sempre più multietnica, abbiamo bisogno che le nostre città siano pronte ad insegnare il vero significato della convivenza pacifica e dell’accoglienza. Noi giovani della comunità di Sant’Egidio siamo convinti che la pace sia possibile, entriamo nelle periferie delle nostre città poiché crediamo che l’integrazione sia una delle armi più efficaci contro la violenza che sta sconvolgendo i nostri paesi. Nel nostro piccolo stiamo cercando di far comprendere l’importanza della libertà e della fraternità. Martedì 19 luglio in via S. Anastasio presso la chiesa dell’Immacolato Cuore di Maria alle ore 19 abbiamo pregato insieme per ricordare tutte le vittime di questi attentati e per trasmettere un messaggio di solidarietà a tutti i paesi del mondo colpiti dalla guerra e oggetto di violenza. Come giovani non vogliamo perdere la speranza di poter ricucire le ferite che la violenza e la paura hanno creato nei nostri cuori, siamo consapevoli che sarà un percorso lungo ma soltanto insieme possiamo rendere la pace possibile. Giovani per la pace di Trieste
Poco meno di due anni fa, a Messina, iniziava il servizio per le persone che vivono in strada dei Giovani per la pace. Fra le tante persone che incontravamo girando la città ogni venerdì non mancavano mai due indiani, Gindar e S. Li trovavamo sempre davanti al tribunale, dormivano sdraiati su dei cartoni dentro un’aiuola, sotto gli occhi di una città intera, erano quasi sempre ubriachi, parlare con loro era veramente difficile, Gindar poi era malato, e peggiorava di settimana in settimana. Ricordo che di tanto in tanto, qualcuno che lavorava al tribunale portava loro qualcosa da mangiare e parlava anche con noi, altre volte invece li andavamo a trovare e le loro coperte non c’erano più perché gliele avevano rubate. La città però non era del tutto indifferente, non poteva esserlo. Percepivo un certo fervore nei loro confronti: una volta ci fu persino una protesta, per loro, di fronte al tribunale di cui non ricordo precisamente nemmeno il motivo. Ero perplesso dal fatto che tutto questo interesse fosse vuoto e passeggero, si parlava della vita di due persone come si potrebbe parlare di politica seduti al tavolino di un bar, in maniera un po’ campata in aria, giusto per parlare di qualcosa, mentre la vita di Gindar e di S. era appesa ad un filo. Infatti la batosta ci colpì all’improvviso, in una sera schifosa di un venerdì schifoso, eravamo al distributore di benzina sopra il tribunale, S. era lì, Gindar no: era morto, l’avevano portato in ospedale e non era più tornato. Eravamo tutti scioccati, S. era distrutto, da un giorno all’altro un nostro amico se ne era andato e noi non potevamo farci nulla. Non riuscivo ad accettare una cosa del genere, e mi faceva rabbia pensare che la morte di una persona passasse del tutto inosservata. Abbiamo pregato per Gindar, e da quel giorno abbiamo iniziato ad impegnarci tutti di più per S., che nel frattempo era dimagrito moltissimo e sembrava irriconoscibile: preparavamo dei panini solo per lui, gli facevamo visita sempre, anche fuori dal servizio, lo aiutavamo portandogli vestiti e coperte, rafforzammo quell’amicizia perché non volevamo che facesse la fine di Gindar, la fine più scontata secondo tutti. C’era comunque da fare un passo in più, lui stava male e andava portato in ospedale, convincerlo era quasi impossibile per mille motivi, ma alla fine accettò, aveva capito che era la scelta migliore. Così poco più di un mese fa, grazie all’aiuto di tanti lo portammo in ospedale, andavamo quasi sempre a fargli visita e lui intanto si curava e migliorava. Ha continuato a curarsi anche dopo essere stato dimesso, e adesso è stato accolto in una casa-famiglia dove potrà rimettersi in piedi. Se un anno fa mi avessero chiesto quale sarebbe stato il destino di S., non avrei saputo o voluto rispondere. Se ripenso a tutto quello che abbiamo passato insieme a lui, alle persone che ci hanno aiutato, ai progressi che ha fatto, rimango esterrefatto. Se penso che qualche mese fa quella persona...
Noi giovani europei, provenienti da Italia, Belgio, Spagna, Portogallo, Germania, Francia, Olanda, Svizzera e Gran Bretagna, ci siamo ritrovati qui a Parigi con la Comunità di Sant’Egidio, un anno dopo i terribili attentati terroristici che hanno colpito questa città e dopo l’attentato a Nizza. La nostra presenza qui rappresenta il rifiuto di lasciar vincere la paura e la chiusura in noi stessi, perché nessuno possa rubarci il nostro sogno, il sogno di cambiare le nostre città per cambiare l’Europa. Tutti diciamo con forza “change your city, change Europe”. Il nostro sogno è di riscoprire il sogno europeo. Lo stesso che ha creato l’unione tra i nostri paesi che ci ha permesso di vivere in pace in Europa occidentale sin dalla fine della seconda guerra mondiale. Ma questo sogno fallisce quando ci sono guerre e conflitti in Oriente, quando il razzismo è onnipresente, quando persistono le divisioni tra ricchi e poveri, giovani e anziani, tra chi viene dall’Europa e chi dall’Africa, Asia o Sudamerica. Si, questo sogno è fallito quando ci si rifiuta di accogliere rifugiati che scappano da regimi tirannici e dalla guerra, perché non è questa l’Europa che i suoi fondatori hanno sognato. L’ Europa che ci piace è quella che segue la chiamata di Papa Francesco, quando va ad accogliere i rifugiati, come in Germania dove ci sono migliaia di loro. l’Europa che ci piace è quella che si apre all’umanità come in Italia, quando costruisce corridoi o ponti per unire i paesi. Tutto questo ci fa credere che l’Europa possa diventare quella che noi sogniamo. Sogniamo un’Europa di amore e unità, forte nella solidarietà con i continenti più poveri e specialmente con l’Africa. Sogniamo un’Europa in cui non ci siano guerre, discriminazione, razzismo, un posto di accoglienza, di dialogo tra culture e di integrazione. Durante questo incontro a Parigi abbiamo meditato sui luoghi degli attentati terroristici e ascoltato la testimonianza di una persona che ha avuto il coraggio di affrontare questa violenza. Pertanto vogliamo rinnovare il nostro impegno a non cedere al ricatto del male e della divisione e invece a cercare sempre l’incontro con l’altro, con più determinazione a costruire ponti tra le persone. Ponti costruiti nell’amicizia e nella fiducia. Siamo la generazione che vivrà il futuro, per questo siamo la generazione che deve costruire questa Europa e noi pensiamo che possiamo cambiare quest’Europa, ma prima dobbiamo cambiare le nostre città a partire dall’amicizia con i poveri. E insieme potremmo dire “Change your city, Change Europe!”. Parigi 16 luglio 2016
“Sogno è l’unica parola che in questo momento mi viene in mente. I sogni di me e molti altri ragazzi che vogliono vivere e, molto spesso, vengono infranti. I sogni di un ragazzo che stamattina, dopo un anno in Giappone con in Intercultura, ha perso la vita sul treno Andria Corato con altre 20 persone, soprattutto ragazzi. Universitari e adolescenti pieni di sogni, pieni di ideali, pieni di qualcosa da lasciare al mondo. Noi come comunità di Sant’Egidio abbiamo una missione: portare pace e amore nel mondo. Noi siamo ragazzi che vogliono e hanno diritto di vivere e cambiare il mondo. Stop alla violenza, alla crudeltà, al male. Stop a ciò che ci rende impotenti. Abbiamo il mondo nelle nostre mani e dobbiamo cambiarlo, proprio come Francesco, fino a ieri, ha cercato di fare. Quasi impensabile perdere la vita così presto, con una famiglia che ti aspettava da un anno. Ed è proprio per loro che in questo momento prego. Perché loro, come me e molti altri, hanno sempre creduto in lui e continueranno a farlo. Ho un consiglio per tutti per quanto sia piccolo e ancora alle prese con il mondo: sognate. E voi grandi non smettete di credere in noi. Francesco aveva avuto il coraggio di intraprendere un’esperienza all’estero di un anno grazie a tutte le persone, partendo dai genitori, che hanno creduto in lui. Cerchiamo di creare un mondo pieno di amore e non smettiamo di credere nei nostri ideali e valori, partendo dai nostri bambini che sono il nostro futuro, il nostro mondo.” Marco Baracchia GXP Trieste PS: Venerdì 15 pregheremo per la Puglia a Bari alle 20.15 presso la Chiesa di San Giovani Crisostomo
Incontrarsi a Parigi nel tempo della Brexit e dell’Isis? E’ questo che faranno oltre 400 giovani della Comunità di Sant’Egidio da tutta Europa dal 15 al 18 Luglio per partecipare alla manifestazione “Change Your City, Change Europe” . Durante questi giorni i giovani per la Pace della comunità di Sant’Egidio parteciperanno a numerosi incontri per testimoniare la necessità di unità e pace, a partire dal cuore dell’Europa ferita dal terrorismo. Così nel tempo della Brexit, di un’Europa sempre meno interconnessa, di un pensiero che rischia di minare il dialogo tra le religioni a causa della follia terrorista, i giovani per la pace si propongono come giovani europei che vogliono cambiare il Vecchio continente a partire dalle sue periferie, dai suoi quartieri abbandonati, dal dialogo tra religioni. Periferie, quartieri e dialogo, è lì che troppi giovani soffrono l’esclusione e finiscono per fare scelte sbagliate, è da lì che bisogna partire. I giovani per la pace vogliono essere figli del pensiero che ha dato vita all’Europa grazie ai padri fondatori. E’ così che giovani italiani, inglesi, francesi, tedeschi impegnati nel cambiamento delle proprie città con la prossimità ai più poveri, si ritroveranno a pregare insieme al Bataclan teatro di un sanguinoso attacco terroristico, a partecipare a incontri pubblici sull’accoglienza e l’integrazione dei rifugiati, focus group sullo stato delle periferie europee, porteranno la loro esperienza di giovani impegnati in prima line e la condivideranno con tutti per trovare spunti e soluzioni. Sabato 16 luglio in un incontro pubblico in piazza i Giovani per la pace si ritroveranno tutti insieme per leggere un appello di pace. In un’Europa che si divide i giovani per la pace hanno scelto per l’unità, hanno scelto di non abbandonare nessuno e di costruire un’Europa dei popoli che nasca dall’attenzione ai più poveri. Se l’obbiettivo dei terroristi è spaventare per dividere e portare guerra, i giovani per la pace hanno deciso di unirsi per portare una cultura di pace, perché se la pace è sempre possibile, cambiare l’Europa è persino necessario. Seguici con l’hastag #ChangeYourEurope!
L’ignoranza, la chiusura in se stessi, la miopia e la sordità al diverso da sé, la paura incontrollata del diverso così profonda e dilagante. Questo è il fascismo del nostro tempo, questo è l’omicidio di Emmanuel a Fermo: cresce una cultura apertamente razzista, come mostrano una quantità di commenti, che uccide con le persone anche la dignità di essere umani. Alla radice, l’egoismo di alcune voci del nostro mondo, dilaganti, che urlano nascoste, sussurrando consigli come “salvati da solo: se non pensi a te stesso finirai male”. Il diverso, anche per effetto dell’intensa propaganda politica, diventa sempre più il nemico: colui che invade e procura chissà quale danno alle nostre vite. Noi siamo i Giovani per la Pace, un movimento di giovani legato alla Comunità di Sant’Egidio e crediamo che di fronte a violenze di questo genere non si possa semplicemente allargare le braccia come a dire “Noi che ci possiamo fare?” oppure “Non mi riguarda, non mi importa”. Noi stiamo dalla parte di chi accoglie: anzi, accogliere è l’atto più rivoluzionario e anticonformista degli ultimi tempi! E lo possiamo fare tutti! Per questo, crediamo possa partire un vento di cambiamento per le nostre città e il nostro mondo, anche per i cuori più irrigiditi dalla paura. Crediamo fermamente nella Pace e non abbiamo paura di affermarlo: possiamo invece donarla come possiamo a chi non ne ha. Vogliamo ricordare nella preghiera Emmanuel Chidi Namdi e sua moglie, ora vedova, Chiniery. Non meritavano di essere divisi dall’odio razzista, dopo essere fuggiti da Boko Haram in Nigeria ed essere arrivati in Italia, agognata meta di Pace. Come Giovani per la Pace, come italiani, e prima di tutto come umani, non vogliamo tradire la speranza del mondo, così affamato e assetato di Pace. Mattia, Giovani per la pace di Padova
Fonte: La Provincia Il mese santo dei musulmani, il Ramadan, si è appena concluso. E’ un periodo -mobile secondo il nostro calendario, in quanto segue le fasi lunari- dedicato alla fede e alla lotta interiore tramite il digiuno. Così viene descritto da un antico teologo islamico siriano, Al-Nawawi: “Il digiuno è un’armatura: ognuno di voi non nutra pensieri cattivi né pettegolezzi. Chi digiuna ha due motivi di cui rallegrarsi: si rallegra quando lo rompe, e si rallegrerà del digiuno fatto quando incontrerà il suo Signore”. E’ stato particolarmente duro quest’anno, essendo capitato d’estate: i fedeli si devono astenere non solo dal cibo ma anche dall’acqua, dall’alba fino al tramonto, anche con il caldo e le lunghe ore di luce. Il movimento “Giovani per la Pace” ha voluto invitare i rifugiati ospitati dalla Caritas a Ferentino a celebrare l’Iftar, cioè la cena notturna, presso l’oratorio della parrocchia di San Valentino. Si tratta di uomini, donne e bambini provenienti dalla Somalia, dalla Costa d’Avorio, dal Mali, dal Gambia, dall’Eritrea: Paesi dell’Africa in cui guerre dimenticate e povertà rendono la vita un inferno. Sono arrivati sulle nostre coste dopo viaggi lunghi quasi un anno, attraversando anche a piedi deserti, confini, zone di conflitto, in mano a trafficanti senza scrupoli. La festa di ieri dedicata a loro è stata preparata con cura: alcuni volontari hanno preparato il couscous marocchino e i datteri, altri hanno cucinato specialità italiane e dolci, tanti studenti del vicino liceo classico e scientifico hanno abbellito la sala e apparecchiato per il banchetto. La preghiera in arabo in direzione della Mecca ha preceduto la cena ricca e festosa. E’ stata un’occasione per incontrarsi e approfondire l’amicizia ed il rispetto reciproco, nella conoscenza di culture differenti. I ragazzi e le ragazze di Ferentino hanno potuto allargare i propri orizzonti, sperimentando che l’Islam non è una fede minacciosa o aggressiva, come le tristi notizie di attacchi terroristici porterebbero a credere. Al contrario, nel nome stesso di questa fede è contenuta la parola pace (salaàm) e i volti, i sorrisi, le storie concrete di questa gente testimoniano mitezza e rifiuto dell’intolleranza. Nello stesso tempo, i rifugiati sono incoraggiati a compiere un serio ed impegnativo percorso di integrazione, che passa dallo studio della lingua italiana, dalla formazione professionale e, per i minori, dalla frequenza scolastica. Quando Camila, il piccolo Mohammed o altri incontrano in giro i volontari che danno loro lezione sempre all’oratorio in piazza Matteotti, si illuminano e corrono a salutarli. Così si vincono tante paure: non c’è nessuna invasione, nessuna minaccia, nessuna perdita quando si accoglie chi viene da lontano. Ha scritto Martin Luther King: “La frase che si trovava spesso appesa al muro in casa dei devoti dovrebbe essere impressa nei nostri cuori: la paura bussò alla porta. La fede andò ad aprire. Non c’era nessuno!” Conoscersi, rispettarsi, dialogare, festeggiare insieme sono gli ingredienti della ricetta che può sconfiggere il terrorismo e portare la pace. A partire dalla piazza della nostra città. Eid mubarik!
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