Tenerezza, strano come una sola parola possa racchiudere al suo interno mille emozioni, che affiorano quando guardi qualcuno che nonostante le mille differenze, età per prima, crede in te e ti dimostra tutto il suo affetto con un semplice sguardo, generato da un dono semplice ma preziosissimo: il tempo. Quel tempo che noi dedichiamo a loro nei piccoli gesti di tutti i giorni…una passeggiata, un abbraccio, due parole, un sorriso. Quel tempo che a noi sembra così poco, in confronto a tutto quello che pensiamo di avere, ma che in realtà è davvero tanto per chi è consapevole di averne poco. Vivere alla giornata potrebbe essere la soluzione…ma perché invece non condividere il nostro tempo liberandoci dall’egoismo di tutti i giorni, presi dalle nostre faccende di routine?! E’ quello che ho provato ad Asolo, alla vacanza che noi Giovani per la Pace del Veneto abbiamo organizzato per gli anziani degli istituti, strappati per quattro giorni alla monotonia della vita, racchiusa entro quattro mura. E’ ormai il quinto anno che organizziamo questa vacanza e mi sorprendo sempre nel vedere la gioia dipinta nei volti degli anziani. E’ la mia stessa gioia di condividere il tempo con loro, di imparare dalla loro saggezza, nel vivere momenti carichi di amore che mi hanno fatto sentire a casa. Ricorderò sempre le parole di un’anziana, scritte sotto forma anonima in un foglietto che abbiamo letto durante la festa finale: “Io non conosco il dono di Dio che avete ricevuto, conosco da oggi come viene distribuito, con tanto amore, disponibilità, gioia di vivere contagiosa. Vi ringrazio tutti per la speranza che ci date per il futuro, finché c’è questa gioventù, il mondo non può finire”. Queste parole mi hanno fatto commuovere e capire che non importa quanto grande sarò, ma avrò sempre 5 anni quando riceverò una bella notizia, 10 quando mi preparerò a partire facendo la valigia, 18 quando mi prenderò qualche libertà tra le mille responsabilità, 20 quando crederò di poter cambiare il mondo, 40 anni quando mi stupirò di qualcosa a cui non prestavo più attenzione, 70 quando mi sentirò sola e vorrei tutti al mio fianco, 80 quando mi racconteranno qualcosa che non sapevo o ricordavo, 100 quando raggiungerò un traguardo che sembrava impossibile… e continuerò a vivere altre 1000 vite ogni volta che vivrò esperienze uniche come Asolo assieme a persone di tutte le età che stanno assieme come una famiglia felice ed unita. Vittoria Benfatto (Giovani per la Pace di Padova)
Mese: July, 2015
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Dopo i momenti di xenofobia e violenza che abbiamo vissuto ieri, dopo i disordini a Roma e gli attacchi da ‘Mississippi Burning’ a Treviso, mi sono sentita abbattuta e sconfitta: umiliata per essere così idealista e ingenua da pensare che vivere insieme è possibile. Allora per combattere quella sensazione oggi avevo tutta l’intenzione di scrivere qualche riga infuocata,sciorinare dati e percentuali, dimostrare con ragionamenti rigorosi da che parte sta il torto e perché. Poi ho capito che non era questo il modo giusto, che anche io avrei così alzato la voce, provato a imporre con la violenza il mio pensiero. Il problema è che per quanto possa urlare non riuscirò mai a far cambiare idea a una persona così convinta della ragionevolezza della propria causa da brandire un’arma per difenderla. Il problema è che dati, percentuali e ragionamenti suonano giusti e perfetti alle mie orecchie perché io so: io vedo l’integrazione quasi ogni giorno e ho imparato ad associare agli sterili numeri dei nomi e dei volti. Delle persone. Ho imparato, per esempio, che l’integrazione inizia da noi, dal basso. Non possiamo aspettare che sia la società ad assestarsi, ma dobbiamo essere noi i motori del cambiamento. Per questo invece di chiedere documenti per prima cosa bisognerebbe tendere una mano e presentarsi, sperando che l’altro la stringa. Ho imparato nomi. Tanti. Tutti diversi dalla mia lingua madre. Perché imparare il nome di una persona è una forma di rispetto dovuta. È il primo passo per la conoscenza ed è quello fondamentale per iniziare un dialogo. Ho imparato a non fidarmi dei titoli sensazionalistici dei giornali, a non ripetere passivamente gli slogan dei politici, a non credere a tutti i numeri della televisione. E così ho letto. E leggendo ho imparato che il fanatismo non ha religione, che la ‘tendenza alla criminalità’ non è qualcosa che puoi rintracciare in un ceppo genetico, che la cattiva intenzione non è un fatto di cultura, che la malvivenza non è qualcosa che individui su una cartina geografica. Ho imparato che ‘straniero’ è una parola relativa e non determina uno stato, un modo di essere intrinseco della persona. Tutti sono stranieri per tutti in ogni luogo tranne che a casa propria. E se tutti si sforzassero di far sentire l’altro un po’ più a casa allora non esisterebbero più stranieri. Ho imparato che l’integrazione è un processo lungo e faticoso, che richiede impegno, ma che in cambio regala le più grosse soddisfazioni. L’ho imparato a Scuola della Pace, accanto a ogni bambino che ho visto sforzarsi su una pagina piena di parole di cui non conosceva il significato. Allora penso ai nostri bambini di Scuola della Pace, al loro modo di vivere insieme, e mi chiedo come questo sia possibile. Bambini di dieci nazionalità diverse che fanno i compiti spalla a spalla sullo stesso tavolo, giocano a palla nello stesso cortile, dividono la stessa merenda. Loro non sanno nulla di cifre e percentuali. Nessuno di loro si occupa di politica o si è mai fermato...
L’interesse incontrando il tafferuglio si mise d’accordo e guardò al diverso, l’uomo solo ed arrabbiato per i fatti suoi, così venne adescato. -Un nemico!- gli dissero- fa sempre comodo e gli spinsero in bocca un’orrida canzone che dalla gola echeggiava per le vie portando a sé timpani, sogni e speranza. Il simposio del no, canta una canzone stonatissima che fa male alle orecchie di chi ha capito che l’Europa non può prescindere dalla musica di gioia di chi arriva, ma che soprattutto infrange i cuori di chi vuole in fondo, dopo un lungo viaggio, solo trovare la pace, un valore che dimentichiamo spesso e che dovremmo generosamente offrire a chi la ama. Negare la pace è come negare la vita. Come si vive senza la pace? Gli europei non lo sanno più se non da antichi ricordi sbiaditi, i più non l’hanno sperimentato, ed i migranti non lo vogliono più sapere perché deve essere davvero tremendo. I migranti oggi ci spiegano come la pace è un valore da coltivare, ed il suo seme è l’accoglienza. Non disperdiamolo nel suono di una brutta canzone piena di “no” . Il rumore dei no è una brutta canzone, stonata, che spesso supera il suono delle parole di chi ha scelto per farsi plasmare e accarezzare il cuore dall’incontro. Ma qualcosa che si sente più forte significa forse che sia più bella? è solo più arrogante! Quanto è distante la musica dal rumore? Sogno un’Italia dove si ascolti lo djembe e la polka, e mentre la tarantella echeggia, ed il marranzano vibra una danza tribale ci fa sognare. Come uno stornello romano, come un canto maliano.
Succede a Siracusa pochi giorni fa: alcuni giovani Nigeriani raccontano di compagni di viaggio gettati in Libia dal quarto piano di un edificio perché non in grado di poter pagare il necessario per la tratta della salvezza; per attraversare quel fazzoletto di mare che segna il discrimine tra la morte e la speranza della vita. Emmanuel – nome e personaggio di fantasia – vola. E’ gettato nel vuoto. Sulla soglia della finestra pensa al traffico impressionante tra il residence in cui dormiva e il politecnico. Andare a lezione ? Un inferno. L’Africa non è facile di suo: con gli esami e le classi affollatissime ancora di più. Ogni mattina è la stessa routine: si legge qualche salmo, esci dalla stanza con Jacob (che sogna di progettare il marchio d’auto che farà concorrenza a quelli europei e americani), ti aggrappi sul pulmino (un balzo) e sei dentro. Chiedi la fermata e scendi – dopo aver pagato per l’ennesima volta per Jacob. Entri a lezione, un mare di gente: Innocent, Lucky, Princess e tutti gli amici sono lì. Su: al quarto piano. Il professore si asciuga la fronte, parla a voce alta, butta fuori qualcuno. E’ una lezione. Il giorno dopo stessa routine. Però succede che il cellulare squilla e a Maiduguri (o Yerwa in lingua kanuri) capitale dello stato federale di Borno 15 persone perdono la vita in un attentato. Emmanuel non entra a lezione, non vede un mare di gente: Innocent, Lucky, Princess e tutti gli amici non li vede. Jacob sta zitto perché l’unica cosa vera che vorrebbe progettare è la pace. Il professore si asciuga la fronte, parla a voce alta, butta fuori qualcuno ma non Emmanuel. E’ rimasto solo per un attentato. Torna a casa, nella sua casetta che sta giù: al terzo piano. Sulla soglia della porta di casa Emmanuel pensa a Boko Aram: impressionante. Andare a Maiduguri ? Un inferno. Impossibile se non si vuole morire. La Nigeria ultimamente non è facile: con gli attentati e i rapimenti ancora di più. Ogni mattina è la stessa routine: si legge qualche salmo in qualche Chiesa per invocare la protezione dalle violenza; si sente qualche giornale; ti aggrappi alla speranza che gli attentati finiscono e inviti i cugini rimasti a stare dentro. Questa volta però hai perso il pulmino. Chiedi della fermata a quello dopo e scendi – con la fortuna di non aver pagato per Jacob. Non entri a lezione, un mare di sangue: Innocent, Lucky, Princess e tutti gli amici saranno lì. Il poliziotto si asciuga la fronte, grida a voce alta, butta fuori tutti. Emmanuel è rimasto solo per il secondo attentato. “Degli spari – gli raccontano – venivano da dentro il politecnico esattamente dall’aula al piano di sotto”. Innocent, Lucky, Princess e tutti gli amici erano lì e Jacob insieme a loro sta zitto, per sempre, giù: al secondo piano. Sulla soglia della porta dell’autobus Emmanuel pensa a quando era piccolo: impressionante. Andare a Maiduguri ? Un gioco. Beccare una festa in famigli lì era facile:...
A Ramacca, i giovani per la Pace, stanno trasformando positivamente i pensieri e i pregiudizi della comunità ramacchese sui poveri, sugli anziani e sugli immigrati. Siamo giovani liceali che hanno preso l’impegno, promettendo di condividere alcuni momenti della loro vita con persone definite “emarginate” dalla comunità ramacchese. Ma entriamo nel merito. Chi sono queste persone? Sono gli anziani, ospiti di una casa di riposo di Ramacca, dove non fanno nulla l’intera giornata oltre a dialogare tra di loro. In tal modo, fanno crescere in loro la voglia di abbandonare quel luogo o nel peggiore dei casi la voglia di andare via da questo mondo. L’amicizia con gli anziani è un’amicizia destinata a durare in eterno, poiché fondate sull’aiuto reciproco. Ogni sabato pomeriggio, fedelmente, alle ore 16.30, i Giovani per la Pace si danno appuntamento davanti l’entrata di Casa Serena, ovvero l’istituto dove alloggiano gli anziani, per far loro visita. Gli anziani (che all’incirca sono una ventina), all’arrivo, sono strafelici di vedere i Giovani per la Pace andare da loro, mentre alla fine dell’incontro, che avviene poco prima di cena, ci fanno capire che non possiamo lasciarci. Durante la visita, gli anziani, danno sfogo a tutti i loro pensieri raccontando le loro vite, ciò che hanno fatto da giovani, come hanno vissuto il periodo della guerra, raccontandoci per intero la storia da chi l’ha vissuta in prima persona. Evento che ha segnato l’azione e la vita dei GXP,è stato quando il 23 Maggio 2015, in ricordo della strage di Capaci, nella quale persero la vita il giudice Falcone insieme alla moglie ed alla loro scorta, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha consegnato ai GXP di Sicilia il “Commentario Breve al Codice Penale”, usato da Giovanni Falcone durante i processi a Cosa Nostra, per conservarlo e custodirlo fino al prossimo 23 Maggio.
Sono circa le 20 a Messina, davanti la Chiesa di San Giuseppe è appena finita la preghiera dei giovani per la pace, siamo tutti pronti per partire, ci dividiamo in due gruppi, io salgo in macchina con Pietro, insieme ad Andrea, Francesca e Beatrice, l’altro gruppo si dirige verso la stazione, ci incontreremo tutti là più tardi. In due minuti arriviamo davanti al tribunale, sdraiato in una aiuola c’è Singh, mentre in piedi ad aspettarci c’è Giridhar. Insieme a loro ci sono anche Vadim e Achille, li salutiamo, diamo loro un panino e un bicchiere d’acqua e ci fermiamo a parlare un po’ con loro. Achille ci canta qualche canzone di Vasco Rossi, mentre Vadim scherza un po’ con noi, parliamo anche con Giridhar che ci racconta che qualche giorno prima qualcuno è venuto e si è portato via la sua coperta e quella di Singh, Pietro allora torna in sede per vedere se ne abbiamo qualcuna da dare loro. Nel frattempo ascoltiamo la storia di Vadim, lui è Ucraino ed è venuto in Italia per lavorare, è un macchinista e per un po’ di tempo ha lavorato a Reggio Calabria, dopo qualche tempo ha perso il lavoro ed ha iniziato a fare piccoli lavori come giardiniere e operaio. Non ha più alcun alcun impiego e da qualche anno vive in strada. Gli chiediamo: “Perchè non torni a casa, dalla tua famiglia, in Ucraina?”. Lui ci risponde:: “E cosa dovrei raccontargli, che sono andato via per finire a vivere in strada?”. La sua è una storia triste, ed è simile a quella di tante altre persone che, avendo perso il lavoro, sono finite a vivere in strada. Pietro è appena tornato, e per fortuna è riuscito a trovare delle coperte per i nostri amici, loro sorridono e ci ringraziano, non dovranno passare una notte al freddo. Si è fatto tardi , allora salutiamo tutti e ci diamo il consueto appuntamento al prossimo venerdì. Io vado a salutare Vadim: “Ciao Vadim, stammi bene, ci vediamo al più presto”, lui mi stringe la mano e poi mi abbraccia dicendo: “Grazie, io ti voglio bene perchè tu mi chiami col mio nome, ormai quasi nessuno lo fa, stammi bene anche tu, dottore.”. Risaliamo tutti in macchina e andiamo alla stazione per incontrarci con gli altri. Hanno già iniziato a distribuire i panini e noi ci uniamo per dare una mano. Alla stazione ci sono molti migranti, alcuni stanno al nei centri di accoglienza, altri a Messina, c’è chi è arrivato in Italia da qualche mese, chi da qualche anno, quasi tutti in attesa di risposta alla richiesta di asilo. Facciamo la conoscenza di molti ragazzi del Niger, dell’Etiopia, del Mali, parliamo con loro tranquillamente, scherziamo un po’ e ci facciamo raccontare le loro storie. Sono le 21:30 e per concludere scattiamo una foto-ricordo con i nostri nuovi amici, siamo stanchi ma sorridiamo tutti, è stata una bella giornata, ci salutiamo e ci diamo appuntamento alla prossima settimana. Sono quasi le 10 e io...
Amici, ma ci pensate? Qui nascono grandi amicizie tra anziani e nuovi Europei. Entrambi hanno un’ambizione: diventare amici. E da questa ambizione, nasce qualcosa di speciale proprio dalle due categorie più emarginate dalla nostra società! Non si tratta forse di una bella e grande Rivoluzione? E non immaginate quante meravigliose conseguenze ne derivano; l’anziano viene reso partecipe di ciò che sta accadendo, oggi, nel nostro paese: sbarchi, accoglienza, solidarietà (abbandonando così la sua condizione di precarietà esistenziale e di scarto); Questo è un grande segnale per tutti noi: ogni Rivoluzione è possibile solo se la si vuole fare davvero. Solo se si ha la forza di cambiare questo mondo. Siamo ambiziosi anche noi, perché la bella e grande Rivoluzione è certamente possibile. Di Myriam Magno
Ieri bambini di alcune Scuole della Pace di Roma hanno scoperto un nuovo modo per combattere l’afa che sta tenendo romani (e non) rintanati all’interno di luoghi climatizzati. Gli anziani della Comunità di S. Egidio, in vacanza a S. Marinella, ci hanno invitato a trascorrere una giornata di mare e vacanza insieme a loro, che tra tuffi e cocomeri, si è conclusa in una bellissima festa e nella consegna dei lavoretti che i bambini hanno preparato i giorni scorsi per loro. Al termine della giornata, bambini e anziani si sono salutati con il sorriso e la gioia di una giornata passata insieme in amicizia.
La storia dei rom di via Rubattino è stata l’avventura di incontro, solidarietà e amicizia che nasce dai bambini rom, alunni come tanti altri, e dagli sforzi dei loro genitori per mandarli a scuola. Rubattino è uno stradone alla periferia est di Milano, piena di fabbriche abbandonate. Qui, tra il 2008 e il 2009, si forma un campo di enormi dimensioni (più di 350 persone). I giovani della Comunità iscrivono 36 bambini rom nelle scuole del quartiere: all’inizio la diffidenza è tanta. Poi grazie al lavoro culturale che la Comunità ha svolto nel quartiere, per tanti residenti i rom non sono più “gli zingari”, una categoria infida e minacciosa, ma sono diventati “il mio alunno”, “il compagno di classe di mia figlia”. I rom sono Vadar, Flora, Madalina, Garofita: per la prima volta avevano un nome.Nel 2009 c’è l’ennesimo sgombero senza grandi alternative ma il quartiere reagisce in maniera inaspettata: insegnanti e genitori dei compagni di classe protestano per l’assenza di alternative e l’interruzione della scuola. Molte persone aprono le porte di casa per dare ospitalità alle famiglie rom, centinaia di cittadini si mobilitano per raccogliere coperte e pasti caldi. Dopo 6 anni questo “contagio di solidarietà” ha portato più di 200 rom a trovare una casa, un contratto di lavoro e a mandare con regolarità i figli a scuola. La storia più bella è quella della famiglia di Georgel, 11 anni, con tanti sgomberi alle spalle: hanno accolto in casa la signora Anna, la loro vicina anziana, quando è stata sfrattata. Georgel ha spiegato così: “È come una catena: noi rom di Sant’Egidio siamo stati aiutati dalla Comunità ad andare a scuola, conoscere il mondo, vivere in casa e non per strada. Adesso anche noi possiamo aiutare altri”. di Elisabetta D’Agostino
Diciamoci la verità non è facile farsi un’idea sulla questione della crisi greca, a volte indicata dalla parola grexit. Anche volendo capirci qualcosa, andando a cercare in rete, leggendo i giornali, non si sa bene cosa pensare. Chi ha ragione? La seria Europa, impersonata dal compassato ministro delle finanze tedesco Schauble, o la povera Grecia, senza una lira (una dracma? Un euro?) ma rappresentata da leader allegri e originali, come l’ex-ministro Varoufakis, che si presenta in maglietta attillata alle conferenze stampa. E poi, anche se non facesse così caldo, non è facile districarsi tra tutte queste questioni di debiti, accordi, riforme, fondo monetario, ristrutturazione del debito, referendum etc. Lasciamo un attimo da parte queste questioni, e proviamo a spiegare, o a interpretare, quello che sta succedendo in tre parole comprensibili a tutti. Fiducia. La Grecia deve dei soldi a molta gente in Europa. Il fatto che si faccia fatica a trovarli non è un problema solo dei greci (debitori) ma anche degli europei (creditori). Allora bisogna mettersi d’accordo per uscire da questo problema. Mettersi a litigare non conviene a nessuno. Non ai greci: un paese di 11 milioni di abitanti, con un’economia non proprio fortissima, ha un bisogno matto dell’Europa. Ce la vedi da sola a competere con gli USA e la Cina? Ma anche l’Europa come fa a essere Europa senza la Grecia? A parte che la stessa parola Europa viene dalla mitologia greca, a parte le questioni geografiche o geopolitiche, ma ce li vedete i banchieri europei (e non solo loro) che accettano di perdere 330 miliardi di debiti senza batter ciglio? Ma per trovare un accordo, un qualsiasi accordo, anche tra persone, ci vuole una cosa fondamentale: la fiducia. Un accordo si fonda sulla fiducia. Se non ci si fida della persona con cui ci si deve accordare, l’accordo è morto in partenza, prima di nascere. La fiducia è alla base dell’economia e gli economisti ce l’hanno chiaro, solo che le hanno dato un nome meno chiaro: la chiamano capitale sociale, ma sempre di fiducia si tratta. Ma i greci non si fidano dell’Europa (non solo i politici, anche la gente) e l’Europa non si fida dei greci. Certo hanno i loro motivi, da entrambi le parti. Ma se si ha bisogno gli uni degli altri, bisogna imparare a fidarsi gli uni degli altri, anche se il proprio interlocutore ha commesso qualche sbaglio. Misericordia. E qui viene la seconda parola. Una parola divenuta importante, dopo che Papa Francesco ha deciso di dedicargli un intero giubileo. Forse una parola che sembra poco utile, se la compariamo con i paroloni della politica o dell’economia, ma forse è la vera chiave per uscire da questa crisi. E’ vero che la Grecia quache anno fa ha falsificato i conti, e che ora non vuole pagare tutto e subito colpendo la popolazione. E’ anche vero che sono stati un po’ fantasiosi nel condurre le trattative (vedi il referendum tirato fuori dal cappello all’improvviso) ma forse bisognerebbe avere un po’ di misericordia...
Chi pensa che solo il male é contagioso si sbaglia. L’estate dei bambini di Napoli ha smosso un circolo di contagio del bene! Sarà che l’abbiamo chiamato sogno, ma i sognatori non si sono fatti aspettare. #ADreamForChildren é l’ evento che i giovani per la pace di Napoli hanno organizzato per raccogliere i fondi a sostegno della colonia estiva di circa 100 bambini. Abbiamo cominciato a raccontare a tutti che crediamo in Napoli e soprattutto nel cambiamento della nostra città, e lo facciamo a partire dai bambini, e che un piccolo gesto può regalare sorrisi che durano una vita intera. E allora il salumiere e il macellaio hanno cominciato a donarci qualcosa dai loro negozi, la signora della casa di fronte ci ha prestato la sue piante per abbellire, c’è chi ha investito tanto tempo, noi come loro ci abbiamo messo tutto il cuore e abbiamo invitato tutti ad una grande serata fatta di musica dal vivo e momenti da dj. Sembrava a tutti gli effetti una serata normale, ma aveva dietro quel sogno che si faceva realtà: la colonia dei bambini, la loro settimana, la loro gioia. La generosità é arrivata anche da chi non ha partecipato ai nostri eventi, ma si é sentito vicino alla nostra causa. L’ estate a Napoli é cominciata con il contagio del bene, sembrava quasi Natale, o forse era proprio quel Natale che non finisce. #ADreamForChildren ha avuto altre repliche rivolte ad adulti, amici, parenti di ogni età e ci ha lasciato anche un grande insegnamento: in mezzo a tanta rassegnazione c’ é chi aspetta un motivo per donare e donarsi, nonostante i se, nonostante i ma. E che tirar fuori la voce nostra e quella dei più poveri e’ già cambiare! Il nostro grazie va a tutti quelli che ci hanno creduto e che ancora credono. di Francesca Sepe Puoi continuare a sostenere economicamente #ADreamForChildren cliccando qui
In questo video, ricco di testimonianze, i giovani per la pace vi conducono in un bel mondo fatto di amicizia con i più poveri. Ps: Per partecipare durante questa estate alle nostre attività mandaci una mail a [email protected]
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