Da più trent’anni, il 31 Gennaio, la Comunità di Sant’Egidio ricorda le vittime della vita in strada a partire dalla morte di Modesta Valenti, una donna senza fissa dimora, di 71 anni, che viveva nei pressi della Stazione Termini, dove si rifugiava la notte per dormire. Proprio oggi pubblichiamo l’intervista a Lucia LUCCHINI, responsabile della Comunità di Sant’Egidio per il servizio ai senza fissa dimora di Roma.
Mese: January, 2014
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Verona, Piazza Brà, l’Arena. Migliaia e migliaia di persone ogni anno accorrono nella città di Romeo e Giulietta per assistere all’Opera. Il Rigoletto, l’Aida, la Traviata… le voci di meravigliosi cantanti lirici risuonano nell’antico anfiteatro romano e affascinano gli spettatori che da decenni affollano le gradinate dell’Arena. A pochi passi dalla piazza, un vecchio istituto di riposo dall’aspetto un po’ fatiscente si confonde in mezzo alle case. Lì vivono da qualche anno alcune di quelle meravigliose voci che entusiasmavano gli appassionati dell’Opera e, insieme a loro, professoresse in pensione, umili ferrovieri, operai… È un mondo variegato di uomini e donne anziani, che in modo malinconico, senza più essere chiamati per nome da nessuno, trascorrono gli ultimi anni della loro vita. Assunta, ad esempio, rimaneva per ore affacciata sulla strada, nella speranza che qualcuno venisse a trovarla; trascorreva così le sue giornate senza però ricevere visite da nessuno. In questo luogo di solitudine, da circa un anno, vengono in visita i Giovani per la Pace. Forse Assunta, quando ci ha visti arrivare per la prima volta, avrà pensato che la sua attesa, finalmente, era stata esaudita… Non aveva pensato, forse, che non si sarebbe più liberata di noi! Pubblichiamo qui i pensieri e le emozioni di Silvia, dei Giovani per la Pace, che racconta la straordinaria amicizia che, insieme ai suoi compagni, vive da quasi un anno con gli anziani. “Ciao, ti va di andare a fare un giro insieme questo pomeriggio?” “No scusa mi dispiace…i miei amici anziani mi aspettano!” È quasi un anno che frequento i Giovani per la Pace e dialoghi come questi, con i miei amici, si verificano settimanalmente e in molti si chiedono dove io trovi la forza e la voglia di andare in istituto… sinceramente non lo so nemmeno io! C’è qualcosa di magico nel viso di questi miei nonni adottivi, qualcosa di cosi grande da non poter essere spiegato con le parole. Solo chi lo prova può capire l’amore che si nasconde dietro questi anziani che spesso non si ricordano quello che hanno fatto la mattina ma non si dimenticano mai dell’amicizia nata fra noi! Ho provato a mettermi nei panni di un estraneo che vede questi giovani che passano i loro pomeriggi in un istituto fra un bastone e una carrozzella e mi rendo conto quanto sia difficile comprendere… ma a me non interessa, a me interessa amare questi anziani e cercare di farli uscire, anche solo per poche ore alla settimana, dalla loro prigione di solitudine! Poi lo so… ciò che io faccio per loro non sarà mai gran de quanto quello che loro donano a me, e per questo non finirò mai di ringraziarli!! GRAZIE ANZIANI! Silvia, dei Giovani per la Pace di Verona
Una nostra lettrice, dopo aver letto il post di Simone dei Pieri, ha voluto inviarci questi suoi pensieri. Li pubblichiamo volentieri. Il Razzismo continua ad essere un grande problema anche ai nostri giorni; un problema purtroppo diffuso anche tra i giovani. Ma perché esiste il razzismo? Forse in molti ci siamo posti questa domanda a cui non è semplice rispondere. Sono certa che riflettendo in maniera lucida e serena, anche quelli con più pregiudizi, non troverebbero nessun motivo razionale che lo giustifichi. Il vero problema è la mancanza di accettazione verso le diversità, che siano il sesso, il colore o ”la razza”. La mia ipotesi è che spesso le diversità ci spaventano e la paura ci paralizza il cuore. Perché fondamentalmente siamo deboli e non sappiamo confrontarci con gli altri. Io da poco tempo ho iniziato a frequentare i Giovani per la Pace; sono molto contenta di questo perché ho trovato un luogo dove ci sono ragazzi che, come me, non vogliono far vincere la paura. Allora v’invito a non aver timore e non ascoltare più le leggende metropolitane che girano su chi sembra essere diverso da noi. Piuttosto riflettiamo e informiamoci sulle diverse realtà, confrontiamoci con il prossimo e cogliamo tutte le occasioni per accrescere la nostra cultura e per iniziare a ragionare con la nostra testa senza essere conformisti. Vedremo la realtà con altri occhi e impareremo a metterci nei panni degli altri. Ad esempio scopriremo che quelle bancarelle di uomini provenienti da altri paesi, che vendono bracciali, anelli, cinte, cappelli, borse, ecc… (E tutto a prezzi bassissimi!), non sono il vero problema della nostra città! Ho conosciuto un uomo che proviene dal Bangladesh e vende cover per cellulari che in base alle decorazioni costano dai 3 ai 7 euro. Lui sta tutti i giorni dalla mattina alla sera – tranne la domenica – con la sua bancarella su un marciapiede di periferia a cercar di vendere i suoi prodotti, per tornar a casa dalla sua famiglia potendo portare qualcosa da mangiare. Se poi nella vostra nazione scoppiasse una guerra e doveste migrare in un paese dove vi discriminano e non vi accettano cosa fareste? Come vi sentireste? Io in questa situazione mi sentirei perduta e triste perché non saprei su cosa o su chi fare affidamento. Sento l’urgenza di iniziare a fare alcuni passi. Ad, esempio cambiare il modo di parlare. Perché le parole sono importanti. Spesso si sente parlare del fenomeno migratorio come la “TRAGICA ESPERIENZA DELL’EMIGRAZIONE”. Credo sia necessario fare un piccolo sforzo mentale per capire quando associare più l’aggettivo ”TRAGICA” all’esperienza di essere immigrati; dove è scritto che andare in un altro paese per salvarsi la vita, trovare un futuro migliore e da mangiare per sé e per i propri figli debba essere “TRAGICO”? La tragedia sta nella non-accoglienza, nella non-accettazione, nel pregiudizio e nella discriminazione. Sono tragiche le guerre e la povertà da cui si fugge. Non è tragica l’immigrazione di per sé. Nel senso che forse la tragedia è per chi...
“Ma che cosa posso fare io?”, “Faccia il ladro, è molto più onesto!” Visita a Fossoli per la Giornata della Memoria
RedazioneI Giovani per la Pace di Parma hanno deciso di visitare il Campo di Prigionia di Fossoli, in provincia di Modena, luogo di transito, nel 1944, di circa cinquemila deportati, di cui la metà ebrei, verso i campi di sterminio nazisti. Hanno preparato un reportage che volentieri pubblichiamo. E’ il campo in cui sono transitati Primo Levi e Nedo Fiano due scrittori le cui pagine ci hanno riportato indietro in quegli anni, in cui tante storie di uomini e di donne venivano segnate tragicamente dalla deportazione e dalla morte. Il freddo intenso di oggi ci ha fatto capire come deve essere stato duro dormire in quelle baracche, dotate sì di una stufa, ma senza legna, perché cominciava a scarseggiare. Poco cibo, freddo, umidità; soprattutto lo spettro della partenza nei convogli ferroviari verso la Germania con pochissime speranze di tornare indietro: era questa la vita degli uomini e delle donne passati da Fossoli. E’ stato particolarmente toccante leggere, durante la visita, la descrizione dell’ultima notte di Primo Levi a Fossoli: «Il 21 febbraio 1944 gli ebrei di Fossoli sanno: domani saranno tutti deportati. Dove non è chiaro, però il consiglio che ricevono è di prepararsi a quindici giorni di viaggio. Non c’è niente da fare, né da discutere: per ognuno che fosse mancato all’appello ne sarebbero stati fucilati dieci, gli ordini sono ordini. Nelle baracche, quella notte trascorre in un collettivo, allucinante, addio alla vita. Chi invoca il Kadòsh Baruch hu, il Signore Benedetto Egli sia, chi si ubriaca e si abbrutisce, chi si lascia andare preda della disperazione, chi cerca nell’oblio della passione l’ultimo conforto. Le madri vegliano fino all’alba, frenetiche e premurose, mettendo insieme il necessario per la partenza: preparano le valigie, lavano accuratamente i bambini, fanno il bucato, cucinano focacce, raccolgono fasce, giocattoli, cuscini. Stanno perdendo se stessi, stanno abbandonando l’esistenza terrena; qualcuno si dedica al lutto secondo la tradizione ebraica. Scalzi, le donne con i capelli sciolti, le candele dei morti accese e sparse per terra un poco ovunque, pregano e piangono. Il campo si riempie di fantasmi folli. La mattina del 22, dopo un interminabile elenco, nome per nome, quando la lista della morte è stata controllata nei dettagli e i circa seicento «pezzi» sono tutti presenti e regolarmente registrati, Primo Levi e gli altri vengono spinti dai fascisti su alcuni camion delle SS che li devono trasportare da Fossoli alla stazione ferroviaria di Carpi. I tedeschi fanno da scorta, bastonanno col calcio del fucile quelli che si attardano, che camminano lenti, che si fermano ad aspettare un parente o un amico. Lo shock delle percosse è immenso. Allora è proprio vero, è come ai tempi dei pogrom zaristi, delle persecuzioni papaline, dei roghi dell’Inquisizione. La memoria corre alle umiliazioni millenarie subìte dal Popolo di Dio. Il prigioniero Levi guarda uno dei gendarmi, un emiliano dai lineamenti regolari, e gli dice: “Si ricordi di quello che sta vedendo, si ricordi che lei ne è complice, e si comporti di conseguenza”. L’uomo, con l’espressione del viso impietrita dal terrore, lo accompagna a prendere un po’ d’acqua, preziosa, alla fontanella che sta all’inizio dei binari. “Ma che cosa posso fare io?” chiede con voce...
In occasione della giornata della memoria riceviamo questa poesia di Paolo della Latta che volentieri pubblichiamo:
Piazza Maidan. Questa piazza forse sconosciuta a molti, oggi è il “campo” (questo termine ci servirà successivamente) in cui l’Ucraina gioca la sua sfida per un futuro stabile, un futuro di pace. Sì, pace. Una questione che a noi europei dell’Unione suona forse un po’ strana se non addirittura carica di un certo sentimentalismo forviante e approssimativo ma che, parlando con chi vive in Ucraina, assume tutta la sua pregnante attualità. I fatti che avvengono in Ucraina possono apparire lontani, una questione meramente interna, tuttavia – ed è opinione di chi scrive – gli scontri della “Piazza dell’Indipendenza” sono qualcosa che ci riguarda da vicino. Sono le otto di sera, dalla nostra sede una video-chiamata mette in contatto un giovane studente e una giovane laureata in giornalismo di una città a cinquecento chilometri da Kiev. “Con il blog vogliamo diffondere una cultura nuova, la violenza in Ucraina ci stupisce…”: così ha inizio una conversazione che porterà a comprendere che la “voglia di violenza si sente nell’aria” in Ucraina. Procediamo con ordine. Tutto ha inizio con “L’accordo di associazione Ucraina e Unione Europea“. Un accordo, nato da un negoziato intrapreso nel 2008, che avrebbe dovuto portare a tre obbiettivi riassumibili in: vantaggi di natura economica con l’integrazione dell’economia ucraina nel mercato unico libero europeo; un “allineamento” agli standard europei in materia di libertà e diritti (alla luce soprattutto del caso Tymosenko e delle leggi liberticide emanate dal Governo di Kiev); ed infine, nell’ottica delle politiche europee di vicinato (PEV) con gli stati europei orientali, la creazione di un esempio importante di “integrazione” tra Ue e paesi terzi. Un accordo che avrebbe aperto una prospettiva europea per Kiev. Una prospettiva. Non la certezza di entrare in tempi brevi in Europa ma quantomeno l’avvicinarsi a questa possibilità: una “long walk to Europe” che per gli ucraini è diventata una battaglia, “una scelta tra bianco e nero”. Sì, una “previsione” di lungo percorso che è diventata uno slogan che non tiene conto di metafore, perifrasi e altre figure retoriche necessarie al fine di costruire un discorso. Uno slogan in fondo si presenta così, con la sua forza mistificante che, unita al malcontento, sfocia nell’impazienza e nella violenza come antidoto all’impossibilità di raggiungere un risultato immediatamente tangibile. A Kiev e nell’Ucraina occidentale – libera dall’influenza russa, a differenza di quella orientale – la mancata sigla dell’accordo, tanto promessa dalla classe politica quanto attesa dalle persone, ha tradito le aspettative su un cammino che avrebbe portato in Europa nei dieci anni successivi. La data in cui la speranza degli ucraini viene tradita definitivamente è quella del 29 novembre 2013, a Vilnius, in Lituania. La sede è quella del Summit del Partenariato Orientale Europeo, dove il presidente Viktor Yanukovych non firma il documento di associazione, senza destare sorpresa tra osservatori e cittadini ucraini. Gli interessi di Mosca su uno snodo geopolitico di grande importanza, quale è l’Ucraina, avevano già da tempo segnato l’esito negativo della vicenda. Continuano così le manifestazioni che se prima del 29 novembre,...
I cristiani sembrano non voler vivere in spirito di unità, pessimisticamente parlando. Le date tornano ad essere significative: cento anni fa esplodeva in Europa il primo conflitto mondiale. "Il cristianesimo ha le sue responsabilità per non essere stato per secoli attento alla pace". Pur "cantando nel nome del Signore" in diverse parti d'Europa fratelli si sono uccisi tra loro - sottolinea Antonio Adamo, pastore della chiesa valdese di piazza Cavour (Roma), amico della Comunità di Sant'Egidio da molto tempo.
Con la sua testimonianza, il Prof. Zuccari ci insegna come l'ignoranza -che spesso può sfociare in razzismo- possa essere evitata. AMICIZIA e CULTURA sono gli ingredienti di un mondo migliore! "Noi possiamo cambiare il mondo, perché tutto può cambiare!"
Contest Play music stop violence 2014. Cambia il Mondo con la Musica Il momento che tutti attendevamo è finalmente arrivato. Ebbene si, perché dopo il successo della scorsa edizione era oltremodo giusto replicare con questa nuova edizione. L’ entusiasmo e il divertimento dell’ anno scorso hanno fatto da cornice ad uno spettacolo fantastico dove musicisti di età diverse hanno espresso le proprie qualità musicali e soprattutto umane. Di fronte a 1200 persone, giovani di molte regioni italiane hanno dimostrato, adottando generi musicali disparati, che un mondo diverso è ancora possibile. Temi come la pace, il razzismo, la solidarietà, la non-violenza sono stati fonte di ispirazione per la costruzione di un mondo più umano. Il contest, promosso dalla comunità di Sant’ Egidio e da Fondazione Musica per Roma, offre perciò la possibilità ai partecipanti di esibirsi all’ Auditorium Parco della Musica e di vivere un’ esperienza senza pari. Le iscrizioni saranno aperte fino al 15 febbraio. Vi aspettiamo Il link del sito: http://www.playmusicstopviolence.com/
L’intervista è stata rilasciata a seguito dell’intervento del professore all’incontro “Per un mondo senza ingiustizia“, tenutosi a Roma lo scorso 11 gennaio. Prof. Alessandro Zuccari, professore ordinario di storia dell’arte presso l’università la Sapienza, uno dei primi membri della Comunità di Sant’Egidio. Domanda: L’incontro di oggi è intitolato “Per un mondo senza ingiustizie”. In che modo possiamo ribellarci a questo “mondo disumano”? Risposta: Il mondo è ingiusto? Allora ribelliamoci davvero! Ma la ribellione non è solo far esplodere le contraddizioni. La ribellione è andare contro corrente rispetto a un mondo conformista che accetta la realtà passivamente o fa solo denunce formali, esteriori. La vera denuncia consiste nel rispondere ai problemi concreti, ad esempio nel da mangiare a chi non ha da mangiare e poi nell’insegnargli ad aiutare gli altri che non hanno da mangiare. Molti di noi hanno aiutato ai pranzi di Natale per i poveri: non è stato solo l’episodio positivo di un anno in un momento di festa, ma il frutto di una ribellione quotidiana contro l’ingiustizia della città. È una ribellione pacifica perché davvero il frutto dell’antica ribellione di Dio contro l’ingiustizia. Dio non è ingiusto, ma accetta di nascere e farsi bambino a Betlemme. “Dio nessuno l’ha mai visto” si legge nel Vangelo di Giovanni, bisogna scoprirlo. Dio va scoperto in una stalla, dove condivide la paglia delle bestie per ribellarsi all’ingiustizia di un mondo conformista che invece chiude le porte e dice “io non posso farci niente”. D: cosa possiamo fare concretamente? R: Dobbiamo imparare a sentirci cittadini, facciamo noi qualcosa perché le cose cambino. Ad esempio dobbiamo cambiare la cultura delle nostre città, dobbiamo impegnarci a “fare” e nello stesso tempo a “fare cultura”. Possiamo iniziare dagli amici per strada, dagli anziani, dalle scuole per la pace, dagli immigrati, dalle persone malate, dobbiamo far questo al meglio, anche se solo questo non basta. I bambini devono crescere in una città non inquinata. Noi dobbiamo lavorare per un’ecologia della cultura, per un’ecologia della sensibilità umana, per un’ecologia dell’umanesimo. D: Cosa intende per ecologia dell’umanesimo? R: il mondo va cambiato e ciascuno può contribuire a cambiarlo. L’inquinamento causato dall’indifferenza, dalla violenza, dalla contrapposizione e dal culto del denaro, merita l’impegno di tutti noi. Ognuno di noi può essere protagonista una nuova cultura dell’umanesimo per ridare quel respiro necessario non solo alla nostra città e al nostro Paese, ma a tutti i Paesi con cui siamo collegati! Uno dei motivi per cui la nostra città è inquinata e che è fatta di uomini e donne rassegnate che dicono “io non ci posso fare niente”. Certo, da soli non si può fare molto! Mi ha sempre colpito il fatto che i pastori non andarono ad uno ad uno dal Bambino di Betlemme –lo leggiamo nel Vangelo di Luca- ma andarono insieme. Erano una comunità, o comunque lo diventarono nel momento in cui cominciarono ad occuparsi dei poveri andando fino a Betlemme, a vedere quel “segno che il Signore ci ha fatto conoscere”. I pastori...
La nostra risposta all'editoriale: "Troppe ipocrisie sugli immigrati" di Angelo Panebianco. Corriere della Sera. 13 Gennaio 2014
Noi Giovani per la Pace siamo un movimento di giovani legato alla Comunità di Sant’Egidio. Siamo ragazze e ragazzi concretamente impegnati a migliorare le nostre città e scuole diffondendo una cultura della pace e della solidarietà a partire dai poveri, dai bambini, dagli anziani, da chi è solo senza una casa. Avvertivamo da tempo un forte desiderio di costruire un blog dove tutti potessimo idealmente incontrarci e condividere le nostre emozioni. Un luogo dove poter parlare di temi attuali, “impegnati” o “leggeri”, divulgare una notizia, per fornire uno spunto di riflessione o per porre l’accento su argomenti talvolta trascurati, come la povertà, le guerre, la carità, la straordinaria possibilità che ognuno di noi ha di aiutare gli altri. Nell’antica Grecia, le questioni importanti venivano discusse nell’agorà, la piazza. Anche noi dobbiamo fare di questo blog un’agorà, una “Città di tutti”, in cui confrontarci. Un luogo fatto per distribuire ideali, speranze, sogni, raccoglierli tutti in un paniere come offerta alla società, come il pane del futuro e del futuro in mano ai giovani, a noi giovani di pace. Questo blog, ora rinnovato nella sua veste grafica, vuole servire questa causa, vuole parlare al cuore della gente, lasciarsi contagiare, condividere le vite di tutti, tuffarsi nell’umanità. Le idee nuove necessitano di spazio. Il mondo, anche questo sofferente e complicato mondo, ha bisogno di nuove sfide. Ha bisogno di ritrovare la speranza, di capire che si è veramente felici solo quando si ha il coraggio di credere nei propri sogni, solo quando ci si dà da fare ogni giorno nel progetto di un mondo migliore. E questo perché ognuno di noi ha una stella da seguire, e questo perché, citando Gandhi, “Dobbiamo essere il cambiamento che vogliamo vedere avvenire nel mondo. Dobbiamo scoprire il progetto che siamo chiamati ad essere e poi realizzarlo con fatica nella vita.”
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