Lunedì 26 ottobre, San Pietro. Nell’aula Paolo VI si respira un clima familiare, di festa, nell’attesa di ricevere udienza dal Papa. È in questo giorno che Papa Francesco ha voluto invitare le famiglie Rom e sinti di Roma- in collaborazione con molte associazioni, tra cui la Comunità di Sant’Egidio- insieme a tante altre piccole rappresentanze provenienti da gran parte dell’Europa, per trascorrere insieme una giornata all’insegna dell’amicizia e del dialogo. E il tema del dialogo ricorre spesso nel discorso del Papa, in cui incoraggia la società a non costruire muri di divisione con il popolo Rom, dando vita invece ad un vero e proprio dialogo di amicizia, fondato sull’accettazione e il rispetto dell’altro. Un discorso toccante, la cui veridicità fa riflettere su come la civiltà del nostro mondo si sia imbarbarita nei confronti della popolazione Rom, e di come noi tutti siamo stati complici in un vero e proprio omicidio dei diritti inviolabili dell’uomo. “Ho voluto vedere le condizioni precarie in cui vivete: l’ordine morale e sociale impongono che ogni essere umano possa godere dei diritti fondamentali”. Ed è proprio sui diritti che Papa Francesco insiste, esprimendo il suo sdegno per come alcuni dei diritti fondamentali ( come una casa) vengano sistematicamente violati e ignorati nei confronti dei nomadi. E l’appello del Papa continua invitando ad investire sul futuro dei bambini Rom, che definisce un vero e proprio tesoro, dal momento che saranno non solo il futuro del loro popolo, ma parte integrante della società di domani. Una giornata storica, senza precedenti, e in cui l’augurio e l’impegno che il Papa promuove, è quello di poter vedere, un giorno, il popolo dei Rom e dei Cinti cambiare pagina, cominciare una nuova storia che porti pace al loro popolo e che si incontri con le società che fino ad ora non si sono mai dimostrate capaci di accettare la loro presenza. Laura Vesprini
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Leggiamo in queste ore dell’episodio che ha coinvolto l’insediamento di famiglie rom romene in via Muratori, a Cornigliano: nella notte di martedì un uomo ha sparato alcuni colpi con un fucile ad aria compressa in direzione delle roulotte. Non sappiamo i contorni di questa vicenda: le motivazioni, i particolari. Conosciamo però molto bene le famiglie che abitano accanto a villa Bombrini, che frequentiamo da anni, e in particolare in questi mesi siamo diventati amici dei bambini e dei ragazzi, che incontriamo tre volte la settimana alla Scuola della Pace, un doposcuola gratuito per i bambini di Cornigliano: abbiamo aiutato i genitori ad iscriverli a scuola, li sosteniamo nello studio e lavoriamo per costruire uno spazio di amicizia con gli altri bambini del quartiere. Spesso, il sabato mattina, li aiutiamo a farsi una doccia calda e la settimana scorsa insieme a loro e a tutti gli altri bambini della Scuola della Pace siamo stati in vacanza al mare. Anche noi, come tutti, percepiamo il clima di ostilità che circonda il popolo rom. Come tutti siamo cresciuti immersi nella paura e nel disprezzo verso gli zingari, disprezzo che sembra quasi indiscutibile nel pensiero comune del nostro Paese, che l’istituto americano Pew ha recentemente indicato come uno dei più razzisti in Europa. Ecco, trascorrere quei giorni insieme ai bambini rom ci ha molto colpito, ed ha come ribaltato tanti timori e tanti pregiudizi: dietro ai corpi magri e ai vestiti poveri, abbiamo scoperto ragazzini simpatici, intelligenti, appassionati allo studio, pieni di curiosità e di desiderio di imparare, innamorati del nostro Paese, entusiasti dell’amicizia con giovani italiani. Quei bambini sui quali si riversa il linguaggio violento e volgare dei blog o delle conversazioni sugli autobus, sono piccoli terribilmente normali nei loro atteggiamenti e nelle loro aspirazioni, del tutto uguali ai nostri fratelli minori. Ma questi bambini hanno anche paura: paura delle macchine che sfrecciano accanto alle loro roulotte, paura di chi gli può fare del male, paura di chi li disprezza o li deride senza sapere niente di loro. Poche ore dopo l’episodio degli spari, abbiamo sentito per telefono alcune famiglie del campo che ci hanno raccontato il terrore dei loro figli. Nelle loro voci, però, abbiamo anche sentito la rassegnazione di chi si è abituato alla violenza e all’umiliazione. Tramite il Secolo XIX noi vorremmo dire che questa città non è di chi spara a gente innocente. Questa città non è di chi vomita odio su qualche sito Internet, sfogando la propria frustrazione dietro la tastiera di un computer. Questa città non è nemmeno di chi ha responsabilità politiche ed insegue il consenso indicando in poche decine di povere persone la causa del degrado e della povertà di un quartiere (mentre forse il degrado nasce proprio da questa politica senza spina dorsale). Lo diciamo con umiltà, ma anche con convinzione: questa città è anche un po’ la nostra. Noi siamo cittadini genovesi, studiamo qui e qui vogliamo vivere e non ci possiamo rassegnare a vivere in un luogo in cui si permette...
I bambini ci sanno portare indietro nel tempo, sanno mostrare la parte spensierata e genuina della vita, ma sanno anche essere grandi, ci sanno insegnare quanto valga la memoria. Proprio ieri i bambini delle scuole della pace di Napoli hanno partecipato anche quest’ anno alla preghiera in memoria di Violetta e Cristina, due bambine rom, morte in spiaggia qualche anno fa nell’ indifferenza totale dei bagnanti, mentre cercavano di guadagnare qualche soldo per mangiare, il caldo le spinse in mare, un mare che non conoscevano e non sapevano affrontare. Violetta e Cristina sono annegate, ma per tutti fu un giorno normale. Ecco, i bambini non sanno essere indifferenti, infatti non hanno trascorso il loro pomeriggio in spiaggia, nonostante il caldo, ma hanno ricordato due bambine come loro, che non vanno dimenticate, perché i bambini non vogliano essere dimenticati mai, proprio come i grandi che a volte dimenticano. Ieri é stato un giorno di giochi e memoria. Ieri è stato uno di quei giorni che fanno la differenza rispetto al resto. I bambini della scuola della pace fanno diverso il mondo di tutti! di Francesca Sepe
La storia dei rom di via Rubattino è stata l’avventura di incontro, solidarietà e amicizia che nasce dai bambini rom, alunni come tanti altri, e dagli sforzi dei loro genitori per mandarli a scuola. Rubattino è uno stradone alla periferia est di Milano, piena di fabbriche abbandonate. Qui, tra il 2008 e il 2009, si forma un campo di enormi dimensioni (più di 350 persone). I giovani della Comunità iscrivono 36 bambini rom nelle scuole del quartiere: all’inizio la diffidenza è tanta. Poi grazie al lavoro culturale che la Comunità ha svolto nel quartiere, per tanti residenti i rom non sono più “gli zingari”, una categoria infida e minacciosa, ma sono diventati “il mio alunno”, “il compagno di classe di mia figlia”. I rom sono Vadar, Flora, Madalina, Garofita: per la prima volta avevano un nome.Nel 2009 c’è l’ennesimo sgombero senza grandi alternative ma il quartiere reagisce in maniera inaspettata: insegnanti e genitori dei compagni di classe protestano per l’assenza di alternative e l’interruzione della scuola. Molte persone aprono le porte di casa per dare ospitalità alle famiglie rom, centinaia di cittadini si mobilitano per raccogliere coperte e pasti caldi. Dopo 6 anni questo “contagio di solidarietà” ha portato più di 200 rom a trovare una casa, un contratto di lavoro e a mandare con regolarità i figli a scuola. La storia più bella è quella della famiglia di Georgel, 11 anni, con tanti sgomberi alle spalle: hanno accolto in casa la signora Anna, la loro vicina anziana, quando è stata sfrattata. Georgel ha spiegato così: “È come una catena: noi rom di Sant’Egidio siamo stati aiutati dalla Comunità ad andare a scuola, conoscere il mondo, vivere in casa e non per strada. Adesso anche noi possiamo aiutare altri”. di Elisabetta D’Agostino
Rom. Una parola, ed è già polemica. Popolo di ladri, delinquenti e – laddove la fantasia trova libero sfogo – rapitori di bambini. Una popolazione di criminali che, a sentire dai media e dai numerosi commenti dei Social Network, ha invaso il nostro paese. Viene però da chiedersi da dove viene tutto questo odio nei confronti della popolazione Rom e Sinti, tra i quali spicca anche un discreto numero di italiani. O forse sarebbe più corretto chiedersi come mai la società italiana ha sviluppato una paura così contorta nei confronti di questa popolazione “nomade” con cui convive da svariati decenni ( se non addirittura secoli)? La paura dopotutto è figlia dell’ignoranza (impressionante come le parole di un filosofo come Seneca siano capaci di raggiungerci a distanza di duemila anni), e questa constatazione ci porta purtroppo davanti a una dura e triste verità. Quello italiano,sebbene sia un popolo dotato di grandi potenzialità, è al tempo stesso un popolo colpito da una brutale ignoranza. E’ inutile dire che i media hanno giocato un ruolo fondamentale, per quanto riguarda la disinformazione sui Rom e sugli atti di cronache che li “coinvolgono”, accumulando così una non indifferente audience per i loro programmi malati e inducendo di conseguenza la gente a farsi un’opinione del tutto sbagliata su questa etnia ponendola ai margini della società e costringendola ad alienarsi. E i politici non sono da meno (basti ricordarsi delle cordiali parole dell’onorevole Salvini, menzionando ad un eventuale “ preavviso di sfratto” a cui conseguirebbe l’azione di “radere tutto al suolo”, riferendosi ai campi dove la popolazione Rom vive); la loro parola di battaglia contro il Rom, il nemico comune della nazione, sembra essere la loro unica arma in grado di garantire una percentuale cospicua di voti. E di fronte a questa immagine di un’Italia unita contro un nemico comune, sembra che il tempo non sia mai scorso, ma si sia fermato su un’Italia fascista proiettata e riproposta ai giorni nostri. Stupefacente come l’ideologia, l’azione politica e la propaganda di alcuni partiti (a maggioranza di quelli di estrema destra) rasenti l’esatto modo di agire di alcuni regimi autoritari e totalitari comparsi circa novant’anni fa in Europa. Da qui si deduce che forse la forma mentis Italiana non sia mai cambiata, e che spetta alle nuove generazioni il compito di rinnovare la società. Chi ha detto, infatti, che i Rom non sono in grado di uscire dalla loro condizione? Affermare che quella di rubare e vivere in roulotte con l’intera famiglia (spesso molto numerosa) sia “la loro cultura”, non è che un vano tentativo di giustificarsi ed evitare che l’enorme responsabilità – che noi come popolo italiano abbiamo nei confronti dei più poveri – ci tocchi e stravolga la nostra vita. Ciononostante, le scuole della Pace della Comunità di Sant’Egidio sono la prova vivente che il cambiamento della società è possibile, ed è possibile partendo proprio dai bambini e dalle loro famiglie. Ed è con le Scuole della Pace, infatti, che molti bambini Rom sono cresciuti...
Le strade dei poveri sono segnate da storie, storie nascoste, umiliate, celate dall’indifferenza, storie umili storie appassionanti, storie sorprendenti, storie di incontri che altrimenti si sarebbero perse nell’oblio. L’oblio, la mancanza di memoria segna le strade dei poveri, degli ultimi, degli emarginati, dei periferici. La memoria è un valore che disegna una società più umana, ma è anche un esercizio faticoso, un esercizio che i giovani per la pace fanno e che regalano generosamente agli altri con la testimonianza degli incontri nelle periferie. In fondo oggi anche i giovani sono periferici, schiacciati da un mondo che si mostra potente e crede di poter far subire la propria potenza ai giovani, invecchiandoci nell’abitudine al compromesso, ingannandoci con il falso idolo “dell’uomo solo di successo”, di una competitività che chiede di pensare solo a sè stessi. La memoria, il ricordare è uno strumento ancora più potente di un mondo che abbandona i suoi poveri: abbiamo appena ricordato anche su questo blog Floribert, giovane per la Pace, innamorato del Vangelo, che ha trovato la propria libertà dalla mentalità egoista della Repubblica democratica del Congo dedicandosi agli altri, fino alla fine, con coraggio, generosità, sentimenti che coltivati possono fare rinascere le nostre periferie. Ma la memoria è anche quella che esercitiamo quando ricordiamo i nomi dei bambini, i nomi dei nuovi europei (a volte davvero complicati da pronunciare bene). La memoria si fa preghiera quando ricordiamo i nomi dei nostri amici defunti, è quella che si manifesta nella sua potenza durante la preghiera per la pace, quando decliniamo in maniera precisa accompagnati dal canto del Kyrie eleison, i nomi dei paesi in guerra, in un mondo in cui hanno fatto entrare nelle abitudini l’espressione “guerre dimenticate”. Non ci si può abituare alla guerra, che Andrea Riccardi definisce “madre di tutte le povertà”; aver dimenticato le guerre dovrebbe far ricordare un altro sentimento: la vergogna. “Guerre dimenticate” è un atto d’accusa ad un mondo che si gira dall’altro lato, ad un mondo che preso dai suoi piccoli problemi ha dimenticato chi soffre e muore “altrove”. In un mondo dimentico, questo “altrove” si espande e si contrae a seconda dell’indifferenza e si dimenticano i poveri sulla strada che rischiano la vita per il freddo, i bambini che finiscono nelle mani dei violenti, i quartieri a rischio, gli anziani, simbolo della memoria sociale, che vengono abbandonati negli istituti senza che questo desti sgomento o scandalo, i migranti che muoiono a migliaia nel mare dove andiamo a villeggiare. La mancanza di memoria produce così un olocausto silenzioso, con numeri che atterriscono ma che non appassionano perché si vive in maniera auto riferita. Siamo nella settimana della giornata della memoria, e ricordare lo sterminio scientifico di milioni tra ebrei, Rom, omosessuali, disabili e dissidenti politici è necessario perché ricordando l’olocausto ci ricordiamo che anche l’uomo più evoluto scientificamente può essere scientificamente disumano, mentre l’uomo spirituale che si ferma, che riflette che si commuove, che depone un fiore, che prega e che non dimentica, è chiamato a lavorare affinché...
I giovani per la pace hanno ancora voglia di Natale, di quello fatto di cuore, speranza e cambiamento. É per questo che un gruppo di liceali allontanandosi dal centro l’ ha ritrovato alla periferia di una periferia, dove più nessuno cerca, dove più nessuno spera: al campo rom di Scampia. Su uno sfondo di fango e baracche abbiamo pregato insieme, una preghiera che ci ha visti partecipi della stessa emozione, un’ emozione che ci ha convinti di essere nel posto giusto, era Natale negli occhi dei bambini e delle donne rom perché eravamo li, in un luogo che i più disprezzano e attentano, era Natale nei nostri occhi perché eravamo con loro a fare di una periferia il centro del nostro mondo. Questa mattinata al campo ha risposto a molte delle nostre domande, perché ci ha fatto capire cosa c’ é realmente dietro i giudizi sbagliati, ma soprattutto che alle periferia non finisce la vita, ma rinasce e si fa spazio tra mille punte di spine. La strada che porta al campo ha tutte le sembianze di una discarica di rifiuti, ma entrando capisci che é anche una discarica di mani arrese e sguardi indifferenti e che la nostra preghiera e il nostro Natale non potranno di certo finire. Sul balcone di una vela c’ era scritto che “cresce solo chi é sognato”, noi sognamo un cambiamento per Scampia, per i rom, per le periferie tutte, e giornate come questa ci fanno ben sperare!” Articolo scritto da Francesca Sepe
Domenica 14 Dicembre, nel corso della visita alla parrocchia di S.Giuseppe all’Aurelio, Papa Francesco ha voluto ricevere una famiglia rom che la parrocchia conosce e aiuta da molti anni, e una delegazione dei bambini della Scuola della Pace di Val Cannuta e dei Giovani per la Pace. Il Papa ha concluso l’incontro con delle parole che ci rendono felici e orgogliosi: “Ringrazio quelli che fanno la scuola della pace. È un seme molto importante che darà i suoi frutti nel tempo. Quello che voi fate in tutto il mondo è molto importante perché seminate nella vita dei bambini un seme che darà frutto. Dovete lavorare con speranza e pazienza. Ci vuole pazienza. Ma il vostro è un grande lavoro” Per saperne di più è possibile leggere la news sul sito della Comunità di S.Egidio. Intanto potete vedere qui il video del servizio che TV2000 ha realizzato sul lavoro dei GxP a Val Cannuta. Buona visione
“Università, i rom assediano i wc per lavarsi e radersi: furti e caos”. Questo è ciò che si legge all’apertura della pagina di cronaca di una testata romana che ogni giorno circola gratuitamente in tutte le metro della città e altrove. “Grido di allarme degli studenti di Ingegneria: i bagno sono impraticabili e nelle sedi regna il degrado”. Certo è che alla vista di tale annuncio si direbbe una vera e propria invasione. E la cosa non finisce qui, perché facendo una rapida consultazione dei social network maggiormente frequentati si possono avvistare le parole di studenti vittoriosi e festanti che, all’uscita della notizia, reclamano la paternità dell’avvenuta diffusione dell’episodio. A questo punto però, scorrendo meglio le pagine del web, sollecitati dalla curiosità della vicenda un po’ anomala, si scopre che in realtà l’ipotetico fatto non sia altro che la testimonianza di alcuni ignoti ragazzi che hanno portato altri universitari alla conoscenza della vicenda attraverso una pagina social chiamata Insulted Roma Tre. Il che la dice già lunga sulla serietà della questione: su questa pagina gli studenti si divertono infatti a pubblicare insulti e inveire in modo più o meno scherzoso contro comportamenti fastidiosi di colleghi e situazioni spiacevoli di vita universitaria. Ed è proprio in mezzo a questo clima goliardico che sorge anche la notizia della fantomatica invasione di rom alla facoltà di ingegneria dell’università di Roma tre. Con tanto di foto scattata sul luogo dell’accaduto: l’immagine di un senza tetto che impropriamente utilizza il bagno dell’università per lavarsi e radersi. Comportamento sbagliato, non c’è che dire. Ma anche tanto sbagliato quanto la reazione di chi, arrogantemente, si è appropriato del diritto di farne una battaglia ideologica vera e propria, diffondendo la notizia persino tra le pagine di una testata cittadina. Quando avrebbe tranquillamente potuto spiegarlo alla persona stessa,chiedendogli con grazia di avvicinarsi alla porta di uscita perché quello non era il luogo adatto per lavarsi. E magari, preso da slancio caritatevole e comprensivo avrebbe potuto consigliargli di andare con lui, accompagnandolo quindi verso un qualsiasi luogo più adatto – come per esempio la segreteria dell’istituto – dove forse avrebbero potuto trovargli una soluzione alternativa. Magari il segretario trovatosi in mezzo alla vicenda gli avrebbe volontariamente offerto la possibilità di utilizzare la toilette del personale. O in caso contrario, avrebbe potuto metterlo in contatto con le associazioni presenti sul territorio romano, che tempestivamente avrebbero trovato per lui una reale soluzione, anche di tipo duraturo. Ma questo stranamente non accade mai, perché la cultura nazionalista di cui spesso ci facciamo vanto, altrettanto spesso si dimentica di atteggiamenti di questo tipo. La via più facile sembra sempre quella di rimuovere le situazioni di disagio piuttosto che spendersi per prendersene cura e cercare di cambiarle definitivamente. Ma è davvero questa la risposta più efficace al “degrado”? È vero, non molto distanti da quell’università vi sono terreni dove spesso vivono individui di origini Rom. Tanto vituperati perché a dire di tutti “la loro cultura li spinge alla delinquenza”. Anche se a ben...
Con la sua testimonianza, il Prof. Zuccari ci insegna come l'ignoranza -che spesso può sfociare in razzismo- possa essere evitata. AMICIZIA e CULTURA sono gli ingredienti di un mondo migliore! "Noi possiamo cambiare il mondo, perché tutto può cambiare!"
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