La Scuola della Pace a Napoli è a Scampia, Sanità, Quartieri Spagnoli, Centro storico, Aversa, San Giovanni, Ponticelli. Abbiamo ricominciato con la Scuola della Pace, continueremo ogni sabato! Nella Napoli dell’incanto del mare e il Vesuvio, c’è una parte ferita, la Scuola della Pace nasce lì. Nasce con un sogno, il sogno di mostrare ai bambini la bellezza di una vita di pace possibile, nasce come un ‘utopia nei quartieri più violenti e disagiati, nasce dalla forza di chi ama Napoli i bambini e quindi il futuro di ognuno. “La scuola della pace è un posto bello, dove ti insegnano a non fare la guerra” dicono i nostri bambini, è il luogo degli amici, è il posto in cui puoi non aver paura, dove ci sono i “grandi” su cui puoi sempre contare. E’ la strada alternativa alla violenza, al destino di chi nasce nel posto sbagliato. E’ il tentativo di rendere giusto quel posto sbagliato. E’ la voglia rendere Napoli tutta un incanto. E l’incanto parte dai bambini! La scuola della pace è la prova che l’amore può cambiare le cose. Giovani Per la Pace Napoli
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L’ abbiamo attesa come un dono l’Africa, ci siamo preparati il cuore e siamo partiti. In Africa si può andare anche senza una valigia, basta veramente un cuore, che parte povero e torna ricco. Questa Africa ci ha insegnato l’ amore e il valore per la vita di ognuno. In Mozambico ci siamo sentiti a casa, abbiamo incontrato parte della nostra grande famiglia ed era come appartenersi da sempre. Immaginiamo lo stesso mondo. Dream é il luogo più sacro del nostro mondo, dove si rinnova ogni giorno il miracolo della vita, soprattutto nella forza delle attiviste. I giovani per la pace di Matola stanno crescendo, hanno grinta, tenacia, l’ allegria e più di ogni altra cosa ci credono fedelmente con ogni fibra e su questo abbiamo veramente da imparare. Questa nostra Africa ci ha insegnato la cura e l’ attenzione, ma soprattutto ci ha trasmesso passione. La passione per il cambiamento, per quella rivoluzione dei cuori e del mondo e ci ha mostrato segni evidenti di quanto tutto questo sia possibile, di quanto è capace di cose grandi la Comunità che prega e che sogna. Le cuoche, i bambini, i bambini che diventano grandi ma restano per aiutare i piccoli dopo di loro, il centro nutrizionale, la fatica che è sempre alllegria, c’ e’ sempre un motivo per abbracciarsi e per sorridere insieme al centro di Matola, anche quando ci sono più di 500 bocche da sfamare ogni giorno. Torniamo a Napoli cosapevoli che quella.terra adesso ci appartiene più di prima. Torniamo con la forza e l’ entusiasmo che ci spingono a fare di più per quell’ “Africa” che ritroviamo ogni giorno nella nostra città, soprattutto nelle periferie dove più nessuno volge lo sguardo, ai bordi delle strade che si fanno case, negli istituti, nei giovani. In noi. L’ Africa insegna a guardare. Ad amare. Questo é il dono. Di Francesca Sepe
Voglio condividere con voi le parole che buttai giù due anni fa, sull’aereo di ritorno dal Mozambico, con la certezza che la nostra Africa, neanche quest’anno, ci deluderà. Ma soprattutto, con la consapevolezza che scopriremo altri aspetti della Comunità che ci faranno appassionare, regalandoci ancora una volta la speranza che il mondo può cambiare “Mi ero persa nella mia insicurezza, nella paura di fallire, in quella del confronto. Non mi riconoscevo piú nelle cose e nelle persone che mi circondavano e mi sentivo fuori luogo a parlare di quello che volevo fare nella vita e per la mia pretesa di cambiare il mondo. Qui mi sono ricongiunta con la mia interioritá: in ogni attimo mi sono sentita me stessa, in ogni attimo mi ripetevo che quello era il posto in cui volevo stare, mi ripetevo che quello era il MIO posto. Qui abbiamo conosciuto persone che pur non essendo ricche si sentono tali, pur essendo nullatenenti ritengono la propria vita piena di senso, la ritengono un capolavoro. Pensando all’Africa adesso la prima parola che mi viene in mente è: speranza. Una speranza dettata dalla voglia di vivere, dall’incondizionato attaccamento alla vita. Una speranza e una forza così travolgenti da arrivare nel cuore di chi le sfiora soltanto. Ma dove la trovano questa forza, la fiducia in un domani che sanno essere povero quanto loro? Nella fede, che non è solo la fede in Dio, ma la fiducia nel fatto che le cose possono cambiare, che l’Africa può cambiare se con impegno e dedizione si lavora per questo. La cosa che più mi ha colpito é il modo di approcciare la vita degli africani: vivono la vita come un dono che va difeso a tutti i costi, ma allo stesso tempo prendono le cose come vengono, senza troppe aspettative. Il dolore, le gioie, le malattie sono solo insegnamenti: con le loro saggezza mitigano le delusioni. Ho scoperto gente incredibile: li osservo e mi chiedo da quali ceneri siano rinati. La loro forza probabilmente sta tutta in quella mentalitá straordinaria e primigenia, forgiata dallo stesso magma di cui è composta la nostra buona e vecchia terra. Una mentalitá antica come il primo vagito, sopravvissuta con disinvoltura attraverso le ere barbariche e le derive della modernitá. Nel profondo di questa gente brucia una fiamma eterna che li rischiara e gli ridá vita ogni volta che le tenebre cercano di inghiottirli. Queste persone sono un grande esempio. Ridono dei loro fallimenti come di una farsa mal riuscita. Sono qui, felici di essere insieme, solidali e complici. Li invidio, invidio la loro maturitá temprata da infinite sofferenza e terribili prove, il distacco filosofico con cui vivono i drammi e le sventure, e infine i il loro senso dell’umorismo, che sembra tenere spavaldamente testa a una sorte iniqua e traditrice di cui sono riusciti a decrittare il funzionamento. Parlo di tutti loro: a cominciare dagli attivisti del centro Dream per finire alle cuoche del centro nutrizionale, passando per i Giovani per la Pace di Matola....
Vi racconto una storia. Stamattina sono andata al mercatino. Tra la bancarella dei costumi e quella del pesce ho conosciuto Chico, 27 anni, nigeriano. Abbiamo cominciato a parlare e una delle prime domande che mi ha fatto è stata “dove vai in vacanza quest’estate?”. Gli ho risposto che andrò in Africa, in Mozambico, con i Giovani per la pace, per aiutare. A quel punto è stato come se ci conoscessimo da sempre. Mi ha raccontato di come quattro anni fa anni fa, grazie ai pochi spicci che aveva messo da parte a fatica, ha lasciato il suo la paese. Mi ha raccontato della traversata del deserto del barcone che ha preso per raggiungere l’Italia. Voleva arrivare qui, trovare un lavoro essere integrato e aiutare a casa. Facile. Mi ha raccontato che però ben presto ha capito che trovare un lavoro non sarebbe stato facile. Era in un paese straniero, da solo e non sapeva da dove cominciare. Ma soprattutto, non conosceva la lingua e nessuno si sforzava a capirlo. Fino a che un giorno ha conosciuto altri stranieri alla stazione. Questi gli hanno parlato della scuola di italiano della Comunità di Sant’Egidio, completamente gratuita. Chico oggi è un piccolo commerciante, ha trovato degli amici e un suo posto nella nostra società. Cos’altro devo aggiungere per dirvi che un po’ di solidarietà cambia il mondo? Ma soprattutto, che altro ci serve per capire che uno come Chico è un essere umano e non un extra comunitario venuto qui per rubarci il lavoro? Mariangela gxp Napoli
I bambini ci sanno portare indietro nel tempo, sanno mostrare la parte spensierata e genuina della vita, ma sanno anche essere grandi, ci sanno insegnare quanto valga la memoria. Proprio ieri i bambini delle scuole della pace di Napoli hanno partecipato anche quest’ anno alla preghiera in memoria di Violetta e Cristina, due bambine rom, morte in spiaggia qualche anno fa nell’ indifferenza totale dei bagnanti, mentre cercavano di guadagnare qualche soldo per mangiare, il caldo le spinse in mare, un mare che non conoscevano e non sapevano affrontare. Violetta e Cristina sono annegate, ma per tutti fu un giorno normale. Ecco, i bambini non sanno essere indifferenti, infatti non hanno trascorso il loro pomeriggio in spiaggia, nonostante il caldo, ma hanno ricordato due bambine come loro, che non vanno dimenticate, perché i bambini non vogliano essere dimenticati mai, proprio come i grandi che a volte dimenticano. Ieri é stato un giorno di giochi e memoria. Ieri è stato uno di quei giorni che fanno la differenza rispetto al resto. I bambini della scuola della pace fanno diverso il mondo di tutti! di Francesca Sepe
La primavera a Napoli é arrivata con un’ alba bellissima. É giunta come ogni volta donando speranza agli alberi che torneranno a rifiorire dopo un lungo inverno. Ma la speranza stavolta si è fatta luce con più di un segno, insieme all’ alba di questa nuova primavera é arrivato a Napoli Papa Francesco. Una lunga attesa che e’ diventata realtà proprio in un giorno di sole. É entrato nella città del mandolino subito con un messaggio e con un grande desiderio, che ci fosse posto per tutti a partire dalle periferie. Oggi a napoli c’ era posto per tutti. E non a caso Scampia la prima tappa dopo pompei. Con lo sguardo rivolto verso “le vele” ha incontrato bambini e disabili, li ha invitati ad avvicinarsi, affinché non ci fosse nessuna distanza. Ha pronunciato parole che non nascondevano paure nè retorica, “la vita a Napoli non é mai stata facile, ma non é mai stata triste”, ha detto con la stessa sincerità e lo stesso impeto con cui ha affrontato il tema del lavoro, per quelli che chiama “portatori di speranza”, i giovani. Oggi a Napoli c’ era posto per tutti. Non solo nelle piazze. Oggi Papa Francesco ha dimostrato a grandi e piccoli quanto basterebbe poco per fare spazio ad ognuno senza lasciarsi prendere la mano dalla “cultura dello scarto” come ha più volte ribadito a proposito di bambini e anziani, definiti con molta commozione “custodi di saggezza” di cui il mondo ha tanto bisogno. Per le strade si respirava un’ aria emozionata, si incrociavano tanti occhi umidi, di chi ha sentito vicine al cuore le parole e la presenza di un importante uomo di fede, ma soprattutto di chi ha sete di quella speranza che Papa Francesco anche in questa occasione ha saputo dare. Ha girato la città intera, dalla periferia al centro, nelle carceri, tra i malati. È arrivato qui con tante parole, ma anche umili silenzi, davanti a quelle domande che non trovano risposta, “perché i bambini sono malati, ha detto, é uno dei grandi silenzi di Dio. Il nostro é il Dio delle parole, dei gesti e dei silenzi.” La stanchezza della giornata non ha mai smorzato la serenità e l’ entusiasmo mostrato per la visita nella città partenopea che tornerà a visitare prima o poi. “Dio ci ha creato per essere felici” per questo Francesco ha ribadito tre segreti che possono curare le piccole e grandi croci del mondo “la vicinanza, l’ amicizia e la tenerezza”. Sullo sfondo Napoli ha mostrato i suoi colori più belli, quasi a volerne condividere la gioia, oggi non si respirava solo il profumo del mare, ma era in circolo una forza che dava sì, speranza! L’ eco delle parole del Papa é arrivato all’ anima di tutti i cittadini napoletani, e si é fatto più forte per arrivare all’ orecchio e al cuore di chi sa che si può cambiare e che alla fine di ogni giorno Napoli possa fare la Pace con il male e le...
Napoli, patria di grandi cantautori, musicisti, poeti e scrittori, ha perso un artista che era tutte queste cose insieme. 50.000 persone il giorno della morte di Pino Daniele hanno riempito Piazza Plebiscito, per ricordare e salutare un uomo che è diventato icona della napoletanitá. Non è un caso se in così tanti abbiano avvertito forte questa grande perdita: i napoletani hanno amato e stimato Pino Daniele perchè nelle sue parole ognuno di loro si è identificato. Era un artista che ha saputo valorizzare Napoli non attraverso le sue maschere, ma partendo dalla poesia, dalla realtà, portandola nella modernità senza perderci in cultura e in umanità. Non la idolatrava perchè ci sta il sole e il mare, la pizza e il mandolino, ma usava la sua musica per mostrarci la nostra città sotto una luce diversa. Con una dolcezza che ti squarciava l’anima, parlava dell’amarezza che si prova guardando una città magnifica che si distrugge quotidianamente con le sue stesse mani. Colpiva il cuore di quelli che sono stanchi della Napoli omaggiata per i suoi paesaggi o diffamata per la camorra. Insomma, ne respingeva i luoghi comuni, liberandola dagli stereotipi. Ha avuto il coraggio di condannarla, questa cittá scugnizza che ha tanto amato. Ha rimproverato la Napoli che si autocommisera perchè “è nu sol amaro”, ma pure quella che si compiace perchè tanto è così bella che “a sap tutt o munno”. Eppure, l’enorme affluenza di quella notte ha portato alla luce l’ennesima contraddizione di Napoli e del suo popolo: se da un lato lascia senza fiato la capacità di rendere onore a qualcuno che ha dato voce alle piccole e grandi frustrazioni dei suoi concittadini, la modalità di elaborare il lutto stringendosi in un abbraccio collettivo in cui nessuno è estraneo, dall’altro delude che solo così raramente emergano le potenzialità di questo popolo di abbattere barriere di qualsiasi genere: culturali, sociali e generazionali. Barriere che, purtroppo, sono presenti ed evidenti nella quotidianità napoletana. Barriere che impoveriscono e isolano una cittá potenzialmente ricca di valori. Barriere che marginalizzano più che altrove chi è povero, chi è straniero, chi è anziano, chi è meno fortunato. Se Pino fosse oggi qui, con la sua dolcezza e tenacia ci direbbe che non possiamo limitarci ad autocompiacerci per quello che è stato quella sera, ma che dobbiamo trarne spunto per “darci una mossa”. Quindi, se tanti napoletani nel suo amore dolceamaro per Napoli si riconoscevano, e l’hanno dimostrato cantandolo quella notte, tutti noi oggi abbiamo la responsabilità di rispondere alla richiesta di uomini come Pino Daniele che la città si riscatti. Probabilmente lui intonando “Terra mia”, ci avrebbe ricordato “comm’è triste e comm’è amaro st’assettato e guarda tutt’è cose, tutt’e parole ca niente pònno fa” e quanto invece “nun è overo nun è sempre ‘o stesso tutt’e journe po’ cagnà”. Perché il riscatto, in sostanza, dipende solo da chi questa città la vive tutti i giorni. Da chi è stanco di tirare a campare, “aspettann a ciort”. Dai giovani che non vogliono più...
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