Puglia, San Vito dei Normanni. A dieci chilometri da questo piccolo paesino del Salento i Giovani Per la Pace della Comunità di Sant’Egidio incontrano i rifugiati politici ospitati nell’ex villaggio turistico Green Garden. Ragazzi come tutti, ma con un passato travagliato. Vengono dalla Nigeria, dal Pakistan, dal Mali; da tutti quei paesi che, anche se meravigliosi, a causa di guerre e povertà non hanno più la possibilità di regalare un futuro sicuro ai loro giovani. Ed è in questa piccola oasi lontana dal centro abitato che i Giovani Per la Pace hanno incominciato un’amicizia con quei ragazzi che portano le ferite della guerra e del disprezzo.Questi si presentano con allegria, talvolta con il loro abito più bello, talvolta indossando semplicemente l’unico che hanno. Una volta instaurato un rapporto di confidenza e complicità con loro, alcuni profughi si sentono anche di condividere la loro tragica esperienza del viaggio della speranza verso l’Italia. Troppo spesso, quando si pensa agli immigrati, l’immagine che viene automaticamente trasmessa è quella di uomini o donne che vendono oggetti per la strada o per la spiaggia. Si evitano, si allontanano e a volte li si schernisce. Ma non si riflette mai su quello che è stato il loro viaggio, il dramma che li ha spinti a lasciare il loro paese, la loro famiglia, i loro affetti. E ancora meno si riflette su ciò che hanno dovuto passare per raggiungere l’Italia. È il caso di un giovane del Mali, Mandila, che ha voluto condividere con alcuni Giovani Per la Pace la storia del suo viaggio. “Per imbarcarmi per l’Italia ho dovuto raggiungere la Libia” spiega Mandila, “ma dal Mali alla Libia ho viaggiato in un pullman. Eravamo in trenta”. Per pullman, Mandila intende un furgoncino da undici posti massimo; e questo viaggio, da quanto racconta, è stato un inaspettato colpo di fortuna. “Molti miei amici che non hanno trovato posto sul pullman hanno dovuto viaggiare sotto i camion” dice. Poi la barca con cui lascia la Libia, l’ultima tappa del viaggio; anche lì la fortuna ha voluto assistere Mandila che, ci confida, non ha visto nessuno dei suoi compagni di viaggio perdere la vita in mare. Ma spesso i pericoli non sono nemmeno in mare. Ce lo racconta Austin, un ragazzo nigeriano di ventiquattro anni: “Il mio viaggio è durato sette mesi, di cui tre passati da prigioniero in Libia”. Contrabbandieri, trafficanti di organi, il valore della merce umana sembra oltrepassare quello della vita. Ma il timore di venire uccisi non ferma questi giovani coraggiosi; coraggiosi di sognare, pronti a costruirsi un futuro. Ce lo dimostra Austin, la cui aspirazione è quella di fare il meccanico: “Nel mio paese facevo il meccanico. Voglio continuare a farlo anche qui. È il mio lavoro, quello che so e che mi piace fare”. Ed è in questo clima di amicizia e solidarietà che i Giovani Per la Pace pregano insieme ai loro fratelli stranieri; in questo frangente cristiani, musulmani ed ebrei si ritrovano a pregare per la prima volta insieme...
Tag Archive for: immigrazione
Contattaci con un WhatsApp o un SMS +39 351 972 5555
“Oggi sono contento che sei venuta!”. Mi accoglie così Modou. Le parole più belle del mondo, dette da un ragazzo alla festa di fine Ramadan che i Giovani per la Pace di Messina hanno organizzato per i minori, ospiti dell’istituto Spirito Santo. Abbiamo portato cibo, bibite, musica e tanta compagnia. Noi arriviamo, chi in macchina chi a piedi. Eccoli lì, sul muretto: loro ci aspettano, come sempre. Sono 14 ragazzi, con le loro storie, il loro passato. In Gambia, in Mali, hanno lasciato mamma e papà oltre che gli orrori della guerra, della miseria e della fame; qui in Italia sono arrivati denutriti, tristi, malati, e noi Giovani per la Pace di Messina eravamo lì ad accoglierli all’ospedale e alleviare quello che i medici non posso curare: la solitudine e i ricordi terribili del loro “viaggio della speranza”. Dopo due mesi, stanno bene e sorridono, sorridono tanto. “Lussia, Ramadan finito!!” mi dice Bakari. Sono contenti e sorridenti, mettiamo la musica ad alto volume, il cibo sul tavolo grande al centro, si inizia a chiacchierare. Ibrahima prende la macchina fotografica e si finge fotografo, chiedendoci di metterci in posa; qualcuno balla ma soprattutto si ride e si parla tanto, accentando anche le prese in giro sul nostro inglese inadeguato. E così mi viene in mente che quando si invitano gli amici a casa, è così che si fa, no? Posso dire che all’ inizio è stata Accoglienza, ma adesso è Amicizia, e per gli amici si fa qualunque cosa. Lucia Florio , Giovani Per La Pace
Domenica 20 luglio a Messina è arrivata una petroliera che ha soccorso in mare circa 600 migranti che sono stati accolti nella scuola media “Giovanni Pascoli”. Erano provenienti dalla Siria, Pakistan, Gaza, Eritrea e molti paesi del Centro-Africa. Noi, giovani per la pace di Messina e Barcellona, insieme a tutta la Comunità di Sant’Egidio, abbiamo da subito dato loro aiuto accogliendo gli immigrati e fornendo generi di prima necessità come vestiti e scarpe. Nei giorni seguenti abbiamo distribuito il pranzo creando un clima di amicizia e di familiarità. Abbiamo aiutato gli stranieri a comunicare, perché molti parlano inglese, abbiamo ascoltato le loro storie e abbiamo raccontato le nostre. Alcuni uomini siriani ci hanno raccontato le terribili situazioni vissute in mare e alcuni di loro purtroppo ci hanno chiesto notizie delle loro mogli che purtroppo erano morte durante la traversata. Nei prossimi giorni i migranti verranno trasferiti in un centro più attrezzato, molto probabilmente sempre a Messina, speriamo di cuore di poter continuare l’amicizia nata con molti di loro. Giuliana Lo Presti, Giovani per la Pace Messina
Il 28 Maggio, alla presenza delle autorità civili e religiose, a Catania, si sono svolti i funerali delle 17 vittime del naufragio a largo di Lampedusa. Una cerimonia sobria, intensa e accompagnata dalla presenza di chi da quella barca è sopravvissuto. Sì erano presenti parenti, amici, “compagni di speranza” di quella barca, di quel legno, che approda sulla città di Catania il 13 maggio provocando un terremoto delle coscienze. Una preghiera, delle preghiere, delle bare e un rito interreligioso perché degna sepoltura fosse assicurata a tutti. Come detto dall’Imam della Moschea della Misericordia di Catania: “carità di fronte alle tragedie provenienti da oppressioni e guerre: oggi si sta dando dignità a chi non ha potuto averla da vivo”. Le parole dell’Imam Keith Abdelhafid, sono le parole dell’uomo spirituale che guarda oltre e coglie nella tragedia l’essenza dei fatti. Sì, perché forse riusciamo a comprendere quelle parole di Papa Francesco che a Lampedusa ci diceva che “Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere”. Cos’è l’esperienza del piangere se non la reale commozione dell’uomo davanti al dramma umano ? Si potrebbe quasi dire che con la commozione degli uomini e delle donne di oggi l’umanità si è salvata. Come accennato prima, a piangere erano anche i sopravvissuti e questa, al di fuori da uno sguardo banale e approssimativo, è la dimostrazione che qualcosa cambia. Sì, il cuore dell’uomo, anche del nuovo europeo che giunge nelle nostre coste, è un cuore intriso di mistero e bisognoso di conversione, cioè di “volgere lo sguardo verso”. Volgere lo sguardo verso quel passato pieno di sofferenze che diventa “palestra del dolore”, e commuoversi per non rimanere freddi come se ormai il dramma dell’olocausto del mediterraneo sia un fatto scontato:una scia di morte per cui nessuno potrà mai fare nulla. E’ la loro commozione, quella dei nuovi europei, e la commozione dei vecchi europei insieme che dona a noi la possibilità di ribaltare il paradigma di un’assenza di visione. E’ un terremoto delle coscienze che porta alla ricostruzione di un pensiero euro-mediterraneo: Europa terra di tutti, Europa terra dei popoli che soffrono. Non a caso Ghoete, citando lo stesso passaggio ripreso all’inizio della cerimonia di commemorazione dal Sindaco di Catania Enzo Bianco, definisce l’Europa come “Centro meraviglioso di tanti raggi della storia universale”. Sono tanti i raggi che si incastrano in questa nostra storia europea, sono raggi di storia universale di popoli e di singoli che nelle coste, nei luoghi di accoglienza, nelle chiese, nei luoghi di incontro ma anche nelle isole stanno plasmando questo centro che li raccoglie. Ghoete, un europeo del 700, lo definisce un centro meraviglioso, adesso gli europei del XXI secolo hanno il compito di definirlo. Ma questa affermazione non vuole essere una frase ben scritta o un’espressione ridondante e vuota. Un principio di definizione c’è, la storia di questo centro comincia a prender forma. Lo fa in quel Santo incontro – santo perché gradito a Dio – tra le domande dei giovani della sponda Nord del mediterraneo e quelli della...
Il primo maggio 2014, a San Giovanni Gemini, nell’Agrigentino si è tenuta la manifestazione “Giovaninfesta” dal tema “Don’t pass over” ovvero “Non passare oltre”. La manifestazione ha visto coinvolti più di quattromila giovani, che hanno impiegato un giorno di vacanza per ascoltare diverse testimonianze. La prima, da parte del signor Costantino Baratta, un uomo comune che con tanto coraggio è riuscito a salvare la vita di undici migranti sbarcati sulle coste dell’isola di Lampedusa. L’uomo ha raccontato di essersi accorto di alcune persone in mare, bisognose disoccorso e con grande prontezza, ha offerto loro un efficace aiuto e, dopo averli salvati, li ha accolti nella sua casa, aiutandoli a mettersi in contatto con le loro famiglie. E’ stata messa in risalto la determinazione dell’uomo a “non passare oltre” ma invece, a preoccuparsi di salvare le persone in pericolo. Un’altra significativa testimonianza sull’immigrazione è quella di Felix, Giovane per la pace di Mineo, che ha raccontato il suo passato di sofferenze e pericoli prima di giungere sulla nostra terra, condividendo con il numeroso pubblico, le emozioni di paura, di sconforto provate durante il suo pericoloso viaggio dove ha più volte rischiato la vita. E’ stato arrestato in Libia ingiustamente, perchè scambiato per un sostenitore del dittatore Gheddafi: lì ha subito molte ingiustizie e torture durante i mesi di reclusione e, ormai libero, è riuscito a raggiungere le coste della nostra isola. Alla fine della testimonianza ha esclamato con gioia di aver finalmente trovato la pace e l’ospitalità presso la Comunità di Sant’Egidio – Sono molto felice di essere qui- ha affermato sorridendo. Tra divertenti coreografie e coinvolgenti canzoni, quello della “mafia” diventa l’argomento trattato attraverso la testimonianza dell’ imprenditrice Valentina Ferraro che con ammirevole coraggio ha denunciato Mario Messina Denaro, fratello del boss mafioso Matteo Messina Denaro. Forte infatti e a più riprese, è stata la presa di posizione contro la Mafia del Vescovo di Agrigento, Francesco Montenegro. La manifestazione si è conclusa con il brano “ We want peace” eseguito da Felix e da altri due Giovani per la Pace di Mineo, realtà composta da giovani richiedenti asilo politico, che hanno voluto dedicare il loro pensiero alla pace nel mondo. Nelle ore del pomeriggio, vari stand sono stati aperti al pubblico, compreso quello dei “Giovani per la pace” di Catania. Abbiamo lanciato una raccolta firme, rivolta alla pubblica amministrazione catanese per ottenere una targa commemorativa per le vittime dello sbarco a Catania del 10 agosto 2013. Firma on line la petizione dei Giovani per la Pace Incontrando i giovani dell’agrigentino abbiamo illustrato i servizi dei “Giovani per la Pace”, rivolti ai più poveri e invitato i passanti incuriositi a conoscere in modo più approfondito la Comunità di Sant’Egidio e soprattutto a farne parte. Con alcuni di loro, provenienti da tutte le parti della Sicilia, si prospetta di aprire delle nuove sedi laddove ce ne sia bisogno. Qualche ora dopo, gli stand vengono chiusi e la giornata si conclude con la felicità di aver passato un
Una nostra lettrice, dopo aver letto il post di Simone dei Pieri, ha voluto inviarci questi suoi pensieri. Li pubblichiamo volentieri. Il Razzismo continua ad essere un grande problema anche ai nostri giorni; un problema purtroppo diffuso anche tra i giovani. Ma perché esiste il razzismo? Forse in molti ci siamo posti questa domanda a cui non è semplice rispondere. Sono certa che riflettendo in maniera lucida e serena, anche quelli con più pregiudizi, non troverebbero nessun motivo razionale che lo giustifichi. Il vero problema è la mancanza di accettazione verso le diversità, che siano il sesso, il colore o ”la razza”. La mia ipotesi è che spesso le diversità ci spaventano e la paura ci paralizza il cuore. Perché fondamentalmente siamo deboli e non sappiamo confrontarci con gli altri. Io da poco tempo ho iniziato a frequentare i Giovani per la Pace; sono molto contenta di questo perché ho trovato un luogo dove ci sono ragazzi che, come me, non vogliono far vincere la paura. Allora v’invito a non aver timore e non ascoltare più le leggende metropolitane che girano su chi sembra essere diverso da noi. Piuttosto riflettiamo e informiamoci sulle diverse realtà, confrontiamoci con il prossimo e cogliamo tutte le occasioni per accrescere la nostra cultura e per iniziare a ragionare con la nostra testa senza essere conformisti. Vedremo la realtà con altri occhi e impareremo a metterci nei panni degli altri. Ad esempio scopriremo che quelle bancarelle di uomini provenienti da altri paesi, che vendono bracciali, anelli, cinte, cappelli, borse, ecc… (E tutto a prezzi bassissimi!), non sono il vero problema della nostra città! Ho conosciuto un uomo che proviene dal Bangladesh e vende cover per cellulari che in base alle decorazioni costano dai 3 ai 7 euro. Lui sta tutti i giorni dalla mattina alla sera – tranne la domenica – con la sua bancarella su un marciapiede di periferia a cercar di vendere i suoi prodotti, per tornar a casa dalla sua famiglia potendo portare qualcosa da mangiare. Se poi nella vostra nazione scoppiasse una guerra e doveste migrare in un paese dove vi discriminano e non vi accettano cosa fareste? Come vi sentireste? Io in questa situazione mi sentirei perduta e triste perché non saprei su cosa o su chi fare affidamento. Sento l’urgenza di iniziare a fare alcuni passi. Ad, esempio cambiare il modo di parlare. Perché le parole sono importanti. Spesso si sente parlare del fenomeno migratorio come la “TRAGICA ESPERIENZA DELL’EMIGRAZIONE”. Credo sia necessario fare un piccolo sforzo mentale per capire quando associare più l’aggettivo ”TRAGICA” all’esperienza di essere immigrati; dove è scritto che andare in un altro paese per salvarsi la vita, trovare un futuro migliore e da mangiare per sé e per i propri figli debba essere “TRAGICO”? La tragedia sta nella non-accoglienza, nella non-accettazione, nel pregiudizio e nella discriminazione. Sono tragiche le guerre e la povertà da cui si fugge. Non è tragica l’immigrazione di per sé. Nel senso che forse la tragedia è per chi...
La nostra risposta all'editoriale: "Troppe ipocrisie sugli immigrati" di Angelo Panebianco. Corriere della Sera. 13 Gennaio 2014
A partire da inizio settembre a Milano hanno iniziato ad arrivare consistenti gruppi di profughi in fuga dal conflitto che infuria attualmente in Siria. Milano, tuttavia, non sembrava essere la destinazione finale, ma solo una città di passaggio per raggiungere la vera meta: l’ Europa del Nord. Poiché le autorità inizialmente non si erano accorte dell’urgenza della situazione e non avevano adottato alcuna misura, gruppi di giovani con la Comunità di Sant’Egidio si sono recati in stazione centrale. L’allarme era arrivato dall’associazione dei “Giovani Musulmani”, ragazzi e ragazze di seconda generazione che già da settembre incontravano i profughi in stazione e li proteggevano da coloro che tentavano di approfittarsi della loro disperazione. Le famiglie dormivano per terra sui mezzanini della stazione e il loro bisogno di partire li portava persino a risparmiare sul cibo. Studenti del liceo classico Carducci venuti a conoscenza della grave situazione, si sono mobilitati per prestare aiuto, alcuni raccogliendo coperte e vestiti pesanti a scuola durante il giorno, altri di sera recandosi in stazione per distribuire beni di prima necessità, e ascoltare le loro storie! Dopo alcune settimane il comune ha allestito per i profughi centri di accoglienza dove possono soggiornare prima di ripartire. Noi siamo andati due domeniche di seguito a trovarli per capire meglio che cosa avevano passato in Siria e per farli sentire un po’ meno soli e dimenticati in un paese straniero. Ci ha molto colpito la storia di Alì, un giovane siro-palestinese di 17 anni, scappato da Damasco. Ci ha raccontato che nella capitale il suo quartiere era stato assediato, la sua scuola bombardata ed era impossibile viverci. Tuttavia, come tutti, Alì non avrebbe mai voluto lasciare il suo paese, ma si è trovato costretto a causa della situazione. Molti, come lui, sono doppiamente profughi: scappano, infatti, dai campi profughi palestinesi sorti in Siria dal 1948. Noi ci auguriamo che Alì e tutti gli altri profughi riescano a raggiungere la meta che desiderano senza correre il rischio di essere bloccati alle frontiere!
“Sono italiano! Sono africano! E, come vedete, sono nero! E sono fiero di essere quello che sono. Ma soprattutto sono un essere umano!” Cosi apre la sua testimonianza Maurice, ventiseienne della Costa d’Avorio, sopravvissuto alla traversata del deserto del Sahara, ad un naufragio e giunto a Lampedusa; sorte fortunata, o oseremmo dire, benedetta , rispetto ai tanti immigrati che purtroppo in questi giorni ci hanno lasciato. Con queste parole sincere e coraggiose si apre il secondo appuntamento di “Parole di uomini, Parola di Dio”, organizzato dalla comunità di Sant’Egidio, che ogni mese si incontra per discutere sul valore di alcuni temi secondo le scritture e la nostra esistenza da uomini. Oggi vedremo come alla parola ODIO/INIMICIZIA si possa rispondere “ Facendo il bene” e “Riconoscendoci tutti fratelli, perché figli di uno stesso padre”. “Noi stranieri dobbiamo ringraziare l’Italia perché ci ha accolti” – ribadisce Maurice, ricordando quei 3 lunghi giorni di interminabile cammino nel deserto, mentre era costretto a lasciare sulla sabbia, stremati, tanti compagni di viaggio – “Molti non ce la fanno. Durante il viaggio vedi ai tuoi lati corpi umani, ma non puoi fermarti, devi andare avanti se vuoi sopravvivere”. Racconta ancora di come, dopo 2000 km, si sia visto proporre per la grande traversata una piccola barchetta trasandata di circa 250 posti, mentre lui e i suoi compagni di viaggio, erano più del doppio: “Quando arrivi lì devi per forza salire! Sono armati!”. Conclude sobriamente e umilmente il suo “esodo” raccontando dell’arrivo a Lampedusa e della felice accoglienza che ha ricevuto dalla Caritas di Frosinone.“Dio mi ha fatto conoscere molte persone buone!” – cosi risponde ai tanti amici che gli domandano come faccia a vivere con delle persone che “lo insultano, lo picchiano, lo discriminano” (gli italiani). “Mi piace l’Italia perché non posso lamentarmi! Però è ancora dietro al razzismo!” – Inizia, allora, un accorato appello ai tanti universitari operanti nella comunità presenti in aula, perché è dai giovani che le cose devono cambiare – “Non sono sporco, sono nero! Sono una creatura di Dio! Se dici cosi allora anche Dio deve essere sporco!” – “Tu credi in Dio? E non ami suo figlio perché è nero?” – “Se io vi dessi per un solo giorno la mia pelle, non ve lo scordereste mai per quello che vivreste!”.La sua testimonianza è sincera, umile e si estende anche al tema dell’interculturalità e all’apertura alle altre culture, viste come ricchezza: “Dovete togliervi dalla testa che siete superiori ai neri e che gli altri non possono insegnarvi niente!” – afferma con rammarico, lui che ora è allenatore di calcio ai bambini di Strangolagalli, la cittadina in cui ora vive felicemente. “Dovete approfittare delle altre culture; solo cosi potete accrescere le vostre conoscenze” – “Rispetto e un po’ di affetto! Solo questo chiediamo noi stranieri! Devi dirci che tu sarai la nostra famiglia!”.La sua è una fede forte, e ce lo dimostra rispondendo al tema ODIO, con la parola PERDONO: “Ho imparato a perdonare, ho imparato a pregare, ma non imparerò mai a fare finta di essere ciò...
Voci da Lampedusa: “In quel viaggio terribile, sono stato trattato come una bestia. Ma sono africano, immigrato. Un essere umano!” Ciao a tutti! Nell’ultimo mese l’isola di Lampedusa è tornata tristemente alla ribalta per le stragi al largo delle sue coste: stragi di uomini e donne che, come tutti, cercano un futuro migliore per le proprie famiglie, sfuggono dalla guerra e dalla miseria, cercano un’alternativa – in alcuni casi – all’uccidere o all’essere uccisi. Partono prevalentemente dall’Africa subsahariana, e ultimamente da Siria ed Egitto (per ovvi motivi); attraversano il Sahara, stipati su pick-up o a piedi; trascorrono un periodo più o meno lungo in Libia, perché rinchiusi in una prigione o perché devono guadagnarsi i soldi per pagarsi la traversata del Mediterraneo, che avviene sulle “carrette del mare”: pescherecci piccoli e stipati di gente fino a scoppiare (o affondare). Infine arrivano in Italia e cosa trovano? Due centri di accoglienza e pratiche lunghissime, con dei funzionari italiani che devono decidere se era abbastanza grande la sofferenza da cui scappavano, se era abbastanza reale il rischio di essere uccisi o dover uccidere, per dargli lo status di rifugiato. Se non hai sofferto abbastanza, puoi tornare a casa. Quelli che arrivano, però, sono già dei sopravvissuti. Non solo, per i paesi da cui fuggono, ma perché sopravvivono a un viaggio tra i cimiteri: il cimitero del Sahara e il cimitero del Mediterraneo; solo nel secondo, dal 1988 sono morte almeno 19.372 persone. Perché parlo di tutto questo? Perché martedì 12 novembrealle ore 19:15 nella Basilica di San Bartolomeo all’isola Tiberina avremo la possibilità di ascolta Maurice, uno di questi uomini coraggiosi e fortunati, un ragazzo della Costa D’Avorio che ha guardato in faccia la sete, la sofferenza, i maltrattamenti insieme a tanti suoi coetanei, dei quali molti non ce l’hanno fatta. A seguire ricorderemo le tante vittime dell’inaccoglienza e dell’indifferenza. E rifletteremo insieme sull’odio e sull’inimicizia, come radici della sofferenza di tanti. Perché non è giusto guardare dall’altra parte, quando tanti muoiono e soffrono. Elena
L’immagine che vedete è un titolo del Corriere della Sera online. Sotto la firma dell’autore c’è una barra ‘social’: vale a dire che questo giornale facilita l’interazione del lettore, che può dunque commentare e condividere la notizia con un click. Il dato preoccupante si registra alla prima funzione, dove si legge ‘soddisfatto 47%’. Ai tempi dei social network si può esprimere velocemente un’opinione, semplificata, plebiscitare, pseudo-statistica. Più o meno con la stessa civiltà di chi tirasse fuori la testa dal finestrino di un’auto in corsa e gridasse tutta la propria frustrazione. ‘Mi piaceeeeee’, ‘sono contrariatoooooo’ e così via. Ebbene, sul Corriere.it si può esprimere il proprio sentiment sulle notizie, per dire che quanto letto ci lascia: indignati, tristi, preoccupati, divertiti o soddisfatti. Tra le cinque emozioni, di cui due positive, i lettori (registrati) del Corriere così si sono espressi. Per netiquette, forse, dovrebbero limitarsi le opzioni per certe notizie. Ma il problema è ben altro. A.
Altri articoli
-
Dall’ECO LAB di Pace un carico di aiuti umanitari con materiale scolastico per le bambine e i bambini in Ucraina
14/02/2024 -
Eco Lab di Pace, lo spazio dove l’ecologia e la solidarietà si incontrano e si trasformano in aiuto concreto
14/02/2024 -
L’amicizia che si rivela benedizione: dalla strada al Buon Pastore
26/01/2024 -
I corridoi umanitari: un viaggio con una meta sicura per un’accoglienza umana e rispettosa
02/04/2023