Sabato 9 ottobre si è svolto a Roma l’incontro Europeans for Peace. 400 giovani da 15 paesi si sono ritrovati, finalmente in presenza, per confrontarsi e riflettere insieme su come costruire il mondo post-pandemia
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Torna il razzismo in Europa: perché rifletterci il 16 Ottobre Sono i bambini ad aprire la commemorazione della deportazione degli ebrei del 16 Ottobre 1943, nella marcia di Comunità di Sant’Egidio e Comunità Ebraica di Roma Sono i bambini della Scuola della Pace in prima fila nella marcia e poi ad ascoltare il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, che li saluta, mentre parla della “nostra Europa” dove si risvegliano fantasmi che credevamo sepolti. “Oltre al terrorismo” dice “dobbiamo chiamarli con molta precisione: nazismo, fascismo, antisemitismo“. Anche i Giovani per la Pace hanno partecipato alla marcia, dopo un intenso incontro con Nando Tagliacozzo, che ha raccontato loro la sua esperienza e ha risposto alle loro domande. Il suo racconto è stato ripreso in una recente e intensa clip inedita. “Non pensi che il razzismo contro gli ebrei possa ritornare anche oggi? Per esempio con gli stranieri?” gli ha chiesto una giovane per la pace. “Se mi guardo intorno ho paura che non se ne sia mai andato” risponde lui, “ma sono felice di venire a parlare con i giovani per la pace, di venire a trovare la Comunità di Sant’Egidio, perché voi siete ottimisti, non perdete la speranza”. Ed è vero, non perdiamo la speranza e pensiamo che sia possibile un futuro bello e di pace, per l’Europa e per il mondo. Alla marcia era presente anche Sami Modiano, a cui abbiamo scritto una lettera, per ringraziarlo della sua amicizia con noi. Non c’è futuro senza memoria! I Giovani per la Pace ne sono convinti, e tu? Condividi il post con il messaggio di Andrea Riccardi
Da Giovedì 21 a Sabato 23 Settembre saremo oltre 500 gxp dalla Russia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Romania per il convegno “Giovani Europei per un mondo senza violenza”. Andremo in pellegrinaggio ad Auschwitz, campo di concentramento e teatro dell’orrore nazista. Andremo in quel luogo carico di memoria per ascoltare le parole di Rita Prigmore, donna Sinti tedesca sopravvissuta agli esperimenti medici nazisti. Andare ad Auschwitz significa porgere il nostro omaggio e le nostre lacrime in quel posto toccato dal più grande dei mali del secolo passato. Essere giovani da tutti Europa ed andare ad Auschwitz significa ricordare che il cuore dell’Europa che verrà è la memoria che dobbiamo conservare e che non possiamo perdere. La pace è la nostra responsabilità: Coltivare la memoria significa garantire la pace.
Incontrarsi a Parigi nel tempo della Brexit e dell’Isis? E’ questo che faranno oltre 400 giovani della Comunità di Sant’Egidio da tutta Europa dal 15 al 18 Luglio per partecipare alla manifestazione “Change Your City, Change Europe” . Durante questi giorni i giovani per la Pace della comunità di Sant’Egidio parteciperanno a numerosi incontri per testimoniare la necessità di unità e pace, a partire dal cuore dell’Europa ferita dal terrorismo. Così nel tempo della Brexit, di un’Europa sempre meno interconnessa, di un pensiero che rischia di minare il dialogo tra le religioni a causa della follia terrorista, i giovani per la pace si propongono come giovani europei che vogliono cambiare il Vecchio continente a partire dalle sue periferie, dai suoi quartieri abbandonati, dal dialogo tra religioni. Periferie, quartieri e dialogo, è lì che troppi giovani soffrono l’esclusione e finiscono per fare scelte sbagliate, è da lì che bisogna partire. I giovani per la pace vogliono essere figli del pensiero che ha dato vita all’Europa grazie ai padri fondatori. E’ così che giovani italiani, inglesi, francesi, tedeschi impegnati nel cambiamento delle proprie città con la prossimità ai più poveri, si ritroveranno a pregare insieme al Bataclan teatro di un sanguinoso attacco terroristico, a partecipare a incontri pubblici sull’accoglienza e l’integrazione dei rifugiati, focus group sullo stato delle periferie europee, porteranno la loro esperienza di giovani impegnati in prima line e la condivideranno con tutti per trovare spunti e soluzioni. Sabato 16 luglio in un incontro pubblico in piazza i Giovani per la pace si ritroveranno tutti insieme per leggere un appello di pace. In un’Europa che si divide i giovani per la pace hanno scelto per l’unità, hanno scelto di non abbandonare nessuno e di costruire un’Europa dei popoli che nasca dall’attenzione ai più poveri. Se l’obbiettivo dei terroristi è spaventare per dividere e portare guerra, i giovani per la pace hanno deciso di unirsi per portare una cultura di pace, perché se la pace è sempre possibile, cambiare l’Europa è persino necessario. Seguici con l’hastag #ChangeYourEurope!
La foto di Aylan, bambino di Kobane sta sempre più diventando l’immagine del risveglio dei cuori dell’Europa. Sembra quasi volerci comunicare “in guerra si muore e si muore anche fuggendo dalla guerra” muoiono anche i bambini. Ci stiamo chiedendo guardando l’immagine come fermare le guerre? Come accogliere senza morte? E’ fresca nei ricordi l’immagine delle bare arrivate a Catania: Oggi è il momento in cui c’è bisogno di uno sforzo comune, collettivo, personale che si tramuti in sforzo internazionale. Un’immagine è di per sé statica se la gente non si muove attorno ai sentimenti che suscita: un bambino, la sabbia, la morte ed è facile creare resistenze anche alla commozione, all’indignazione, tornare ad abituarci alla morte di tanti Aylan nel mondo, non provare quel sussulto di impegno, quell’orgoglio di essere rifugio! Perchè un rifugiato senza rifugio è un uomo morto, è un bambino senza asilo, è una donna spenta ed il rifugio deve essere come un ventre materno e non cadere in balia delle ondate sociali di simpatia e antipatia. Pensiamoci: All’occhio sociale e mediatico si rincorrono queste due immagini sul migrtante: poco prima il migrante è il problema, poco dopo è risorsa: questa è schizofrenia che va superata. Oggi l’Europa può veramente essere quel rifugio, quella culla che si era immaginata al tramonto della seconda guerra mondiale. Un luogo di serenità per chi scappa dalla guerra che l’Unione è riuscita a cacciare via dai suoi confini. Questo è un merito e al tempo stesso una responsabilità verso il mondo! Tenendo fuori chi scappa dalla guerra, la guerra tornerà dentro i nostri confini e già bussa alla porta con un suono allettante. La nostra responsabilità ce la ricorda il papà di Aylan mentre parla di suo figlio non come un’immagine ma restituendogli carne, rendendolo simbolo e non solo fotografia, parlandone semplicemente come un bambino, che giocava, piangeva, rideva, saltellava e faceva i dispetti. Come un bambino che oggi è vivace nel bussare alle porte dei nostri cuori facendoci riscoprire che ogni tanto è giusto piangere. Bisogna uscire e incontrare, cambiare, protestare, accogliere a mani nude, perchè non fare passare un pensiero aberrante che ci vuole chiusi è la grande battaglia corpo a corpo contro il male di questo tempo. Una battaglia che non si può perdere.
Basterebbe la testimonianza di Alì, giovane del Mali sopravvissuto ad una delle tante stragi del Mediterraneo, per esprimere il senso della fiaccolata di ieri. Le ingiustizie subite durante il viaggio nel deserto, in Libia e nell’estremo tentativo di raggiungere l’Italia..si estremo perché lui non voleva partire, sperava ancora di trovare un futuro sereno in Africa. Ma la guerra, la povertà e la barbara uccisione di un suo caro amico in Libia l’hanno convinto che l’unico modo per ricominciare a sperare era raggiungere l’Europa. Il racconto di Alì e di tanti altri che sono stati costretti ad abbandonare la propria terra deve far riflettere ognuno di noi per tutti i giorni che ci lamentiamo delle nostre condizioni, dei problemi( se pur veri) che attanagliano la nostra città e non la fanno respirare,pensare che una soluzione è possibile se cominciamo a voltarci verso l’altro invece di guardare solo all’ abisso del nostro Io.
I Giovani per la Pace esprimono la loro costernazione per quanto sta avvenendo nel canale di Sicilia. Non si può accettare che centinaia di giovani perdano la loro vita in questo modo orribile. Chiediamo all’Italia e all’Europa di ripristinare l’operazione Mare Nostrum perché nessuno perda più la vita in cerca di pace e di un futuro migliore.
di Simone Dei Pieri e Michele Caruso KIEV (UCRAINA) – Durante l’ultimo anno si è delineato il profilo politico dell’Ucraina, martoriata dalle rivolte e divisa tra da una pericolosa diatriba tra l’Unione Europea e la Russia. Le informazioni, le immagini e le notizie che arrivano da qui -Kiev in testa- sono ogni settimana più tetre.
Floribert era un giovane che voleva vivere appieno e fare cose grandi: era “fissato” con la giustizia e perciò donava la sua vita a coloro che vivevano ai margini e sempre voleva costruire la pace dove c’era un conflitto, una guerra o un semplice diverbio. Voler cambiare la realtà, diventare protagonisti del proprio tempo poteva essere forse una cosa da europei, non certo per congolesi: in Congo è pericoloso.
Da un po’ di tempo, attraverso esperienze e viaggi di diverso tipo, ho la possibilità di incontrare e di interfacciarmi con giovani provenienti da diverse parti d’Europa. Ed ogni volta che è capitato di affrontare il tema del sogno di un’Europa veramente unita, sono emersi sentimenti di rassegnazione, di sconforto, di impossibilità e, ancor peggio, di indifferenza. Credo tuttavia che il sogno di un’Europa unita sia un sogno possibile! Anche se è doveroso ammettere che noi giovani ci sentiamo europei fino ad un certo punto, che manca in noi una coscienza veramente europea. Non sentiamo il bisogno di lottare con le armi della cultura, della solidarietà, dei valori spirituali, per fare l’Europa. Non proviamo, più precisamente, il desiderio completo di volerci integrare, di essere in corsa per un’Europa dove « i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici» siano spalancati, aperti! Forse dovremmo recuperare, in chiave moderna, lo spirito dei Clerici vagantes e desiderare di iniziare i nostri studi a Parigi per poi proseguirli a Londra, e concluderli a Roma piuttosto che a Madrid. Sicuramente non è facile avere questa flessibilità, non è facile – devo ammetterlo – abbandonare le consuete abitudini, allontanarsi dalle persone amate, dagli amici, la famiglia. Ma è forse questa la piccola sofferenza necessaria per fare dell’Europa la nostra patria. E spetta a noi giovani di pace, a noi giovani per la pace, che saremo gli adulti di domani, fare di questo sogno un seme piantato nell’anima e che a suo tempo porterà il suo frutto. Perché è possibile aprirci al futuro, modellare il futuro e costruire un popolo europeo; perché è possibile avere gambe capaci di superare le distanze geografiche, e idee che superino quelle mentali. Dobbiamo sforzarci di fuoriuscire dal limitato orizzonte in cui ci costringiamo a vivere e, come ha affermato Papa Francesco nella Evangelii Gaudium, «aprirci ad una cultura dell’incontro in una pluriforme armonia». Solo in questo modo, passo dopo passo, mano nella mano, l’Europa potrà diventare la culla della pace, della democrazia, della libertà e della speranza, per il mondo intero e per tutti i Paesi che desiderino farne parte. Solo se noi giovani condivideremo i sogni che si innalzano e brillano come stelle nella notte dalle diversi parti d’Europa, solo allora potremo realizzare questa visione, potremo costruire questo sogno. E se si può sognare, allora si può fare!
Piazza Maidan. Questa piazza forse sconosciuta a molti, oggi è il “campo” (questo termine ci servirà successivamente) in cui l’Ucraina gioca la sua sfida per un futuro stabile, un futuro di pace. Sì, pace. Una questione che a noi europei dell’Unione suona forse un po’ strana se non addirittura carica di un certo sentimentalismo forviante e approssimativo ma che, parlando con chi vive in Ucraina, assume tutta la sua pregnante attualità. I fatti che avvengono in Ucraina possono apparire lontani, una questione meramente interna, tuttavia – ed è opinione di chi scrive – gli scontri della “Piazza dell’Indipendenza” sono qualcosa che ci riguarda da vicino. Sono le otto di sera, dalla nostra sede una video-chiamata mette in contatto un giovane studente e una giovane laureata in giornalismo di una città a cinquecento chilometri da Kiev. “Con il blog vogliamo diffondere una cultura nuova, la violenza in Ucraina ci stupisce…”: così ha inizio una conversazione che porterà a comprendere che la “voglia di violenza si sente nell’aria” in Ucraina. Procediamo con ordine. Tutto ha inizio con “L’accordo di associazione Ucraina e Unione Europea“. Un accordo, nato da un negoziato intrapreso nel 2008, che avrebbe dovuto portare a tre obbiettivi riassumibili in: vantaggi di natura economica con l’integrazione dell’economia ucraina nel mercato unico libero europeo; un “allineamento” agli standard europei in materia di libertà e diritti (alla luce soprattutto del caso Tymosenko e delle leggi liberticide emanate dal Governo di Kiev); ed infine, nell’ottica delle politiche europee di vicinato (PEV) con gli stati europei orientali, la creazione di un esempio importante di “integrazione” tra Ue e paesi terzi. Un accordo che avrebbe aperto una prospettiva europea per Kiev. Una prospettiva. Non la certezza di entrare in tempi brevi in Europa ma quantomeno l’avvicinarsi a questa possibilità: una “long walk to Europe” che per gli ucraini è diventata una battaglia, “una scelta tra bianco e nero”. Sì, una “previsione” di lungo percorso che è diventata uno slogan che non tiene conto di metafore, perifrasi e altre figure retoriche necessarie al fine di costruire un discorso. Uno slogan in fondo si presenta così, con la sua forza mistificante che, unita al malcontento, sfocia nell’impazienza e nella violenza come antidoto all’impossibilità di raggiungere un risultato immediatamente tangibile. A Kiev e nell’Ucraina occidentale – libera dall’influenza russa, a differenza di quella orientale – la mancata sigla dell’accordo, tanto promessa dalla classe politica quanto attesa dalle persone, ha tradito le aspettative su un cammino che avrebbe portato in Europa nei dieci anni successivi. La data in cui la speranza degli ucraini viene tradita definitivamente è quella del 29 novembre 2013, a Vilnius, in Lituania. La sede è quella del Summit del Partenariato Orientale Europeo, dove il presidente Viktor Yanukovych non firma il documento di associazione, senza destare sorpresa tra osservatori e cittadini ucraini. Gli interessi di Mosca su uno snodo geopolitico di grande importanza, quale è l’Ucraina, avevano già da tempo segnato l’esito negativo della vicenda. Continuano così le manifestazioni che se prima del 29 novembre,...
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