700 petali di rosa – #700NonSoloUnNumero

Riceviamo e pubblichiamo il racconto di una studentessa del liceo Mamiani di Roma, Agnese Crivaro, sulla tragedia avvenuta nel Canale di Sicilia.

 

700 petali di rosa.

Ne cade uno, cadono tutti gli altri.

Pare quel gioco che fanno i bambini con le margherite: ‘M’ama o non m’ama’.

E insomma? T’ama o non t’ama?

 

Il mare è calmo, piatto. Le persone non hanno il coraggio di spogliarsi e andarsi ad immergere in quelle acque tanto fredde quanto salate.

Ci sta quel bambino che passeggia con i sassolini in mano. Li osserva, se li rigira tra le mani come fossero sentimenti. Con delicatezza struscia le sue piccole dita lungo il dorso liscio dell’oggetto.

Le sue unghie si infilano nei piccoli tagli sul dorso del sasso più grande. Gli viene una voglia mostruosa di spingere la sua unghia più a fondo, giusto per sentire se quel sasso ha un cuore, giusto per percepire il suo battito, giusto per fargli del male e vedere se sanguina.

Ma niente, quel sasso non sanguina.

Deluso, lo riposiziona sul palmo della sua mano e guarda l’infinita distesa di blu che si estende di fronte ai suoi occhi neri.

Apparentemente, senza accorgersene, getta il sasso sulla riva, accanto al suo stesso corpo. Pare quasi che il sasso gli sia scivolato dalla mano, come se i suoi muscoli non avessero la forza di continuare a tenerlo.

Quel mare blu va avanti e indietro, nota dopo nota, sale ogni attimo di un centimetro in più, e ridiscende di due centimetri a volta. Un movimento cauto, lento, ritmico, che si ostina ad oscillare tra vittoria e sconfitta. I suoi occhi profondi vagano tra quelle onde in costante movimento.

Un tempo quel mare era sinonimo di libertà. Di viaggio. Di scoperta. Era il traguardo per tutti coloro che rifiutavano il conformismo e sceglievano di far invadere il loro cuore dalla natura selvaggia. Ora quel mare era solo una sinfonia. Un costante movimento calcolato dal tempo che ormai era dimora solo che di ingiustizia.

E lui, il ragazzino dagli occhi neri e i sassi in mano, lo sapeva.

Lo aveva visto.

 

Un tempo in quel mare vi navigavano migliaia di cuori. Erano innamorati, quei cuori. Le loro anime si avvinghiavano l’una all’altra durante le lunghe traversate e ogni respiro che compivano rendeva più leggero quel loro viaggio. Loro amavano, ma non si limitavano ad innamorarsi l’uno dell’altro, quello sono buoni tutti a farlo. Loro amavano ogni anima presente su quelle barche che attraversavano quel mare. Ogni persona nutriva amore nei confronti dell’altra perchè loro si assaporavano con dolcezza. Loro, con gli sguardi si capivano; nei loro occhi viveva la loro storia.

 

Un tempo in quel mare vivevano milioni di vite. Perchè quel mare era ancora fiducioso nella razza umana. Quel mare ancora credeva nell’uomo. Perció faceva il bravo quando ospitava sul suo dorso tutte quelle persone. Anche quando pioveva, quel mare manteneva la calma e tentava di mantenere stabile il suo equilibrio, giusto per loro. Il mare li amava come loro si amavano l’un l’altro. Erano delle creature splendide e lui amava deliziarsi della loro presenza. Non avrebbe mai voluto far loro del male, mai. Quel mare era troppo piccolo per una cosa così grande.

 

Un tempo, ora, in quel mare ci sono tanti morti.

Il mare non ce l’ha fatta a tenerli in vita. Non è stata colpa sua. Semplicemente, loro, come noi, avevano, abbiamo, smesso di amarci.

L’equilibrio precario del mare era tale solo perchè guidato da una forza maggiore del vento: l’amore.

Ma l’amore non sempre vince. Vi è una nemica  ostile che si diverte a calpestarlo: l’indifferenza.

La gente finchè andava sulla spiaggia e vedeva i suoi bambini giocare sulla sabbia si accontentava: del resto cosa ci puo essere di più bello  che una famiglia felice?

Ma ora, quella stessa gente, che raggiunge quella stessa sabbia, come può evitare di pensare che lì, magari, potevano esserci tutte quelle persone che, invece, ora si ritrovano morte tra le onde?

Finchè i loro bambini giocano con la sabbia va tutto bene, ma ora?

Ora cosa si fa?

Su quella spiaggia magari, accanto al bambino dagli occhi neri e i sassi tra le mani, poteva esserci suo fratello.

Ma invece no, non è cosi. Non c’è stato abbastanza amore per lui. E l’indifferenza l’ha ucciso. Perchè si, non è stato il mare, le condizioni climatiche, il poco spazio, il rischio o altro, è stata l’indifferenza.

L’indifferenza come anche la concezione del ‘diverso’ che il mondo si ostina a preservare.

Erano solo persone che amavano, come chiunque altro. E come chiunque altro meritavano d’essere amate.

 

Erano leggeri, perchè l’amore era troppo poco su quella barca.

Erano leggeri come petali di rosa.

700 petali di rosa.

Ne cade uno, cadono tutti gli altri.

Pare quel gioco che fanno i bambini con le margherite: ‘M’ama o non m’ama’.

E insomma? T’ama o non t’ama?

Non sono stati amati abbastanza, ma ora basta.

Ora amiamo, tutti. Per tutti.

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