Riceviamo e pubblichiamo l’articolo di Agnese Crivaro, 14 anni, di Roma, sul toccante incontro con Enzo Camerino, sopravvissuto alla deportazione degli ebrei romani avvenuta il 16 Ottobre 1943 Il 16 ottobre del 1943 è avvenuto un fatto che può apparire estraneo alla nostra vita di tutti i giorni. In quel giorno, che pareva essere come tutti gli altri, vennero presi con la forza circa 1200 ebrei che successivamente dovettero combattere la mostruosa agonia dei campi di concentramento. La maggior parte di loro non ce l’ha fatta; altri sopravvissuti oggi non ci sono più, altri ancora sono vivi e hanno avuto il coraggio di testimoniare, come Enzo Camerino. Sabato 18 ottobre noi Giovani per la Pace abbiamo avuto la grande fortuna di poter conoscere questo grande uomo che ha avuto la forza di aprire la bocca e sfruttare le parole per fare del bene, per far sì che il passato non si ripeta. Enzo ci ha raccontato la sua storia, ci ha mostrato il numero sul braccio che sostituì il suo nome durante quel tormento, ma soprattutto, ci ha fatto aprire gli occhi. Ci ha mostrato quanto la semplice quotidianità possa fare la differenza e anche quanto questa siamo fortunati. Enzo viveva a Monza insieme alla sua famiglia formata da sua madre, suo padre e sua sorella. Successivamente si è trasferito a Roma poiché il padre non aveva più lavoro così cominciò a vendere dolciumi, tant’è che quando giocavano a carte si giocavano la cioccolata! Prima della deportazione, i nazisti pretesero 50kg d’oro dalla comunità ebraica che fu costretta a raccoglierlo entro 36 ore. “Oggi si prendono i soldi, domani le persone”, furono queste le parole sincere e franche del cognato di Enzo. Quel 16 ottobre i tedeschi fecero irruzione nella loro casa verso le cinque di mattina ed Enzo e la famiglia furono costretti a seguirli. Dissero loro di prendere denaro, gioielli e vestiti perché avrebbero dovuto fare un viaggio di otto giorni. Tutti dovevano andare: dai neonati ai malati. “Tanto c’è l’infermeria” dicevano le SS agli anziani. Un camion arrivò e li portò al collegio militare dove rimasero per due giorni, dormirono per terra all’aperto, sotto il porticato. Consegnarono i documenti, i gioielli e il denaro e vennero portati nei vagoni “bestiame” del treno che li avrebbe condotti ad un tragico destino. Molte di quelle 1200 persone morirono durante il viaggio poiché non era previsto nessun pasto, erano ammassati, faceva caldo e le condizioni igieniche erano terribili. Una volta arrivati al campo di concentramento di Auschwitz li divisero in uomini, donne, anziani e bambini. Li spogliarono nudi e assegnarono loro i tipici vestiti “da lavoro”, tatuarono loro il numero sul braccio, numero che noi Giovani per la Pace abbiamo visto impresso sul braccio di Enzo, numero che sostituiva il loro stesso nome. Lì non dovevano più avere un’identità. Chiesero a tutti cosa sapessero fare. “Il barbiere”, rispose Enzo, che aveva solo 14 anni. I giorni passavano e loro lavoravano molto, portavano sulle spalle chili e chili di cemento...
Data: October 20th, 2014
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