Sul Blog dei Giovani per la Pace le prime due foto dei sei scatti che l’artista cinese Liu Bolin, prodotto dalla galleria veronese Boxart, ha realizzato a Catania coinvolgendo la Comunità di Sant’Egidio e i giovani per la pace di Mineo, nuovi europei che da anni, nella città di Catania servono i più poveri, gli anziani, i bambini e le persone che vivono in strada. Questi due scatti assumono un significato fortemente simbolico perché sia la barca che la spiaggia ci ricordano una data storica e tragica per la città di Catania, quella del 10 Agosto 2013 che vide arenarsi un barcone poco distante dal lido verde vedendo morire sei giovani egiziani. Sia il Barcone che la spiaggia della foto sono proprio quelle del 10 Agosto 2013, data che ha segnato la propensione della città di Catania all’accoglienza con tantissimi giovani che pregarono per chi morì di speranza e fecero nascere una catena di solidarietà per i sopravvissuti. Quando l’accoglienza incontra l’arte non può che nascere un capolavoro! Liu Bolin, Migrants n°1, stampa a getto di inchiostro su carta 100% cotone, 2015. (©Liu Bolin 2015. Courtesy Boxart, Verona) Sul molo di Mezzogiorno, al Porto di Catania, è ricoverata in secca la prima barca che nel 2013 ha trasportato dei migranti dall’Africa alle coste catanesi. Tra essi, sei bambini egiziani che, stremati dal viaggio su quel peschereccio, sono annegati tragicamente cercando di guadagnare la riva, a pochi metri dalla spiaggia del Lido Verde. L’artista ha scelto di fondersi con il relitto e la storia di cui esso è testimone silente per il suo primo scatto del progetto Migrants. Liu Bolin, Migrants n°2, stampa a getto di inchiostro su carta 100% cotone, 2015. (©Liu Bolin 2015. Courtesy Boxart, Verona) Lo scenario della tragedia evocata dall’opera iniziale, ovvero il Lido Verde, offre il secondo sfondo al progetto. «Essendo i migranti sdraiati sulla sabbia – commenta l’artista -, per qualcuno possono sembrare cadaveri; invece il mio intento è di descrivere il loro arrivo e l’inizio del loro futuro». Rispetto alla più nota e longeva serie Hiding in the city (Nascondendosi nella città), in cui Liu Bolin è al centro del soggetto fotografico, l’evoluzione dei suoi scatti di performance denominata Target (Bersaglio) prevede la sparizione mimetica di più persone nel contesto, coerentemente con il contenuto. Il Video tratto da Petrolio “Effettoeffe” che racconta il tragico sbarco del 10 Agosto e dell’impegno dei GXP :
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Gabrielle è una bambina della Costa d’Avorio sbarcata a Catania con la madre insieme a tanti altri migranti. Al porto La piccola Gabrielle ha giocato, era viva nel gioco. Per fortuna a lei non è toccata in sorte, tra i deboli di cui a pieno titolo lei fa parte, la fine degli altri quarantanove compagni di viaggio morti asfissiati. Vedere Grabrielle fa comprendere cosa vuol dire che tra quelle salme alcune erano di bambini. Il gioco che ha ridato a tutti i presenti, lì, al porto di Catania, la conferma potente, prepotente e imponente della vitalità di Gabrielle sono state le bolle di sapone. Ed è strano perché le bolle di sapone sono l’immagine che Papa Francesco a Lampedusa ha utilizzato ricordando a tutti di quella crudeltà “trasparente” – fintamente perbenista ma estremamente cinica e disumana – in cui tanti hanno trovato rifugio. Nell’isola a Nord della Tunisia il Papa diceva La una cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio… Una bolla che scoppia è il gioco di una bambina in un porto ma forse, prima di questo, è la realtà di ciò che accade, di ciò che siamo e di ciò che operiamo restituitaci nel modo più semplice. Gabrielle fa scoppiare con forza quei finti perbenismi che ci rendono follemente disumani restituendoci la realtà di ciò che siamo non per volontà ma per operato e pensiero: insensibili e concentrati sui noi stessi. “Il grido, il pianto, il grande lamento”: è questa stagione che viviamo – sono ancora parole dell’omelia di Bergoglio a Lampedusa. Ma il Papa continuava dicendo: “«Rachele piange i suoi figli… perché non sono più». Erode ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone”. Le bolle con cui Gabrielle gioca e che ci ridanno la realtà sono un forte discrimine tra l’essere Rachele o Erode. Rachele che cade disperata per la morte dei figli che negli sbarchi diventano fratelli e sorelle: figli di un’umanità dolente che in preda ai dolori tenta di non soffocare il gemito della vita. Erode invece cade dalla bolla che Gabrielle, i figli di Rachele e figli senza nome inghiottiti dal mare scoppiano. Erode è colui che cade dalla sua onnipotente cultura del benessere che lo porta a pensare a sé. Erode è smascherato dalle bolle di sapone. Ed Erode non è smascherato in quanto mentitore ma come assassino. La bolla di sapone non è il rifugio dei bugiardi ma di colore che accecati nella difesa del proprio benessere (della propria bolla) seminano morte. La descrizione più dura ma più vera di quanto sta accadendo. I moli dei nostri porti dovrebbero accogliere più bambini e insieme a loro i loro genitori e cari. Le bolle di sapone solo i bambini sono in grado di farle scoppiare con delicatezza. In una salma è impossibile.
Oggi Catania ha visto la Chiesa di Santa Chiara accendersi ancora una volta per ricordare tutte le vittime del mare. Ha visto tanti cuori all’unisono pregare insieme, ha visto le istituzioni presenti, ha visto partecipare alla veglia di Preghiera “Morire di Speranza” organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio e presieduta dal vicario del Vescovo Mons. Salvatore Genchi , giovani provenienti da tutta Italia che si sono stretti insieme, ha visto gente comune, uomini e donne dei suoi quartieri più periferici, ha visto i migranti commossi ricordare il loro viaggio e i loro amici che non sono più vivi. Morire di speranza è stato un momento altissimo e profondo che si è svolta durante #3giornisenzafrontiere la tre giorni di pace dialogo e integrazione della Comunità di Sant’Egidio, proprio perché la preghiera non ha frontiere, supera i confini fino ad infiggersi dentro l’anima di tutti in tutto il mondo. La preghiera è stata introdotta da Emiliano Abramo della Comunità di Sant’Egidio che ha ricordato le parole di Papa Francesco – respingere è un atto di guerra- proponendo un modello di accoglienza che nascendo dalla preghiera dei migranti su quel mare di paura che diventa il Mediterraneo durante il viaggio della speranza, sia un fatto di pace nelle città: un abbraccio che dà frutto. Durante l’omelia appassionata, Mons. Genchi ha ricordato quanto sia fondamento degli uomini di Dio non respingere chi arriva da lontano e sia necessario stringere quelle braccia bagnate che affiorano da una barca in cerca di speranza e salvezza, braccia bagnate come dovrebbero tornare ad essere i nostri occhi nel riscoprire il pianto di fronte al grido di aiuto di chi scappa dalla guerra, il pianto di chi vuole essere semplicemente umano davanti a Gesù che ci chiede di accoglierlo quando è straniero, sempre, senza nessun giudizio perché la salvezza è per tutti. Il canto del Kyrie eleison ha accompagnato la lettura dei nomi delle persone morte in mare durante il viaggio, cullando come onde quiete la commozione visibile sugli occhi di tanti, della gente che si è alzata in piedi per accendere una candelina, dei migranti presenti che hanno sentito ricordare il nome di un amico, di un parente, di un fratello. Nella Chiesa di Santa Chiara tanti uomini e tante donne hanno voluto dare una casa al ricordo di chi non è arrivato vivo con il corpo, uomini e donne che hanno fatto una scelta netta ed hanno pregato affinché nessuno debba morire di speranza e perché si apra una faglia di amore nel cuore troppo indurito di chi vuole respingere: morire di speranza infatti, è sempre inaccettabile.
La potenza del tifone Haiyan è arrivata a noi con la notizia straziante della lunga scia di morte che si è lasciato dietro. Con la sua furia, il tifone Yolanda (così lo chiamano nelle Filippine ndr) si è abbattuto in Micronesia, Vietnam, Cina e, in modo particolare, sulle Isole Filippine. Dal Sud-est asiatico sogni, speranze, fatica e sacrifici di una vita sono stati spazzati via in un niente: gettando un popolo nell’abisso della disperazione. Genitori che hanno perso i propri figli, bambine e bambini orfani, legami spezzati dalla forza distruttrice del ciclone. Non un semplice fenomeno naturale, nel Pacifico si verifica qualcosa di più particolare: nel Pacifico il male opera nella storia e segna tragicamente il cammino di un popolo. Un fatto, drammatico, che ha subito interrogato i Giovani per la Pace spingendoli a fermarsi per pregare insieme agli amici della comunità filippina a Catania e nei piccoli centri di Riposto e Francofonte. Nella sofferenza nessun popolo, nessuna nazione, nessun uomo può essere lontano dal cuore dei giovani della Comunità di Sant’Egidio. Da qui la necessità di pregare per estendere un abbraccio ai popoli colpiti da Haiyan, lontani geograficamente ma più vicini a noi grazie agli amici filippini che da diversi anni vivono in Sicilia e ancor di più grazie al volto di Dio che abbiamo davanti nella preghiera. La preghiera dei Giovani, è diventata l’occasione per accogliere e incontrare quanti erano spaventati e colpiti dalla tragedia e per alleviare il senso di impotenza che tanti hanno avvertito nel momento della catastrofe. Davanti ad un male così grande e così terrificante si è trovata una risposta nella forza debole della preghiera, dove tutti troviamo sentimenti nuovi e parole di consolazione. L’amicizia, per i Giovani per la Pace è dunque consolazione, l’amicizia è interessamento per le vicende umane, per i drammi vissuti da tanti, anche lontano da noi. Per questo nella preghiera gli amici della comunità filippina hanno trovato conforto. Sono proprio loro a dire “Grazie per questo invito alla preghiera: siamo entrati in questo affetto e in questa generosità”. Le loro parole ci confermano nuovamente come un amore gratuito verso gli altri edifica e costruisce ed è in grado di arrivare là dove le nostre forze incontrano un limite. Un’amicizia disinteressata e orientata all’altro genera stupore e si muove in direzione opposta a quello che normalmente accade, si muove in direzione opposta all’indifferenza: “non ci aspettavamo tutta questa vicinanza” ci hanno detto. Ma la preghiera ha anche liberato energie positive interrogando e spingendo tutti a vivere una dimensione più ampia del noi. Con la preghiera insieme ai giovani amici filippini si è aperta una pagina nuova, allargando l’orizzonte dei Giovani per la Pace e spingendoci a comprendere che è necessario un interessamento di ciascuno alla sofferenza di tanti vicini a noi, nelle nostre città proprio perché tutti hanno diritto ad essere consolati. Allora sulle belle preghiere di Catania, Torre Archirafi e Francofonte si potrebbe concludere dicendo che alleviando il dolore dell’uomo o della donna vicino, migliaia attorno a questi...
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