Oggi Padova è spesso considerata una città che non accoglie e che abbandona a loro stessi i migranti che “sbarcano” nel nostro paese. Siamo continuamente bombardati da notizie, leggi, eventi che ci riconducono ad un disprezzo verso i nuovi arrivati; vietare agli adulti non accompagnati da bambini di accedere al parco Cavalleggeri che si trova accanto ad una casa di accoglienza di 500 migranti è quasi una violenza. Ma noi Giovani per la Pace della Comunità di Sant’Egidio vogliamo dire no! Poco più di un mese fa abbiamo avuto il piacere di conoscere il volto di una città accogliente, che aiuta, ama e protegge tutti, soprattutto i più poveri. Quest’estate, infatti, abbiamo partecipato alla #3giornisenzafrontiere di Catania, esperienza che ci ha permesso di imparare cosa vuol dire conoscere le persone sconfiggendo i pregiudizi! Ecco allora che abbiamo deciso di lanciare una proposta senza confini: Games4peace! In una giornata molto importante, il 4 ottobre, vogliamo divertirci, cancellare gli stereotipi, abbattere le barriere…o almeno provarci. Ci troveremo alle 11 alla Chiesa dell’Immacolata per la Messa e poi tutti insieme, giovani italiani e giovani migranti per un pomeriggio di giochi e divertimento ai campi sportivi di Ognissanti. Non è un caso che la nostra iniziativa si collochi il 4 ottobre. In questo giorno infatti ricordiamo San Francesco d’Assisi, un giovane che ha abbandonato tutto per stare con i poveri, un giovane che non aveva paura di andare controcorrente, un giovane da cui il grande Papa Bergoglio ha preso il nome. Ma questa data è significativa anche perchè il 3 ottobre 2013 sono morte più di 350 persone durante il naufragio di Lampedusa. Davanti a questo fatto rimaniamo sempre a bocca aperta e non sappiamo cosa fare, come aiutare o, addirittura, non vogliamo farlo. Noi abbiamo pensato ad una giornata speciale durante la quale ricordare le vittime e dare speranza a chi è arrivato fino a qui. Noi abbiamo un sogno e lo stiamo inseguendo! Rimbocchiamoci le maniche, adesso tocca a noi!
Mese: September, 2015
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Domenica è stata una giornata di festa per noi gxp di Trieste. Abbiamo organizzato un pranzo con gli amici della scuola di italiano, in occasione di alcuni compleanni e di due belle novità. In sede c’era un’atmosfera magica tipica del pranzo in famiglia: il buon profumo del cibo cucinato in una grande pentola, una tavola lunga per farci stare tutti, le sorprese nascoste per i festeggiati, noi che correvano per le scale il più veloce possibile per riabbracciarci. A tavola ci siamo raccontati le cose successe nelle ultime settimane, brindato e festeggiato la vita, ci siamo commossi della grande fortuna che abbiamo avuto nel conoscerci. Al momento dei regali Cosimo, uno dei maestri della scuola di lingua e cultura italiana, nel ringraziare per l’inaspettata festa di compleanno a sorpresa, si è emozionato e ci ha detto:”Alla scuola non insegno solo, ma ho trovato in voi degli amici, nei miei studenti delle persone speciali che non dimenticherò mai!”. Sony e Muhammad, due nuovi europei, hanno voluto comunicare alla loro famiglia italiana il buon esito della loro richiesta di asilo. (Davvero avevamo degli ottimi motivi per far festa!) Con gli occhi pieni di gioia ci hanno raccontato del momento in cui hanno ricevuto la notizia che potevano rimanere in Italia; hanno ballato e abbracciato un poliziotto in questura. Sony al termine del pranzo ci ha detto: “sono molto contento, oggi è come se stessi ballando dentro. Voi amici mi avete aiutato tantissimo, oggi qui mi sento in famiglia”. Per tutti noi questo pranzo è stato un grande dono, si vedeva sui nostri volti la gioia di stare insieme, di condividere sentimenti e felicità, le emozioni provate, non solo un pasto.Noi gxp facciamo parte di una grande famiglia formata da persone di età diverse, provenienti da paesi diversi che aiutano i loro fratelli nei momenti difficili e festeggiano le belle notizie tutti insieme. Andiamo oltre il colore della pelle, non abbiamo paura di amare.#changeyourcity è anche questo! fare festa insieme. Gli amici pachistani, prima di andare via, hanno scritto sulla lavagna ”thanks italian people”, questo è stato il regalo più bello, la dimostrazione che stiamo costruendo un’amicizia, abbattendo barriere e lottando tutti insieme per cambiare la società. #changeyourcity non è solo uno slogan, ma quanto facciamo insieme, nuovi europei ed italiani, volendoci bene e vivendo ogni giorno piccoli ma importanti momenti come un pranzo domenicale in famiglia! Che cos’è la felicità? La felicità è qualcosa che costruiamo giorno dopo giorno, attraverso i sorrisi dei nostri amici aiutando le persone quando hanno bisogno, volendo il bene delle persone che amiamo. Per essere felici non servono oggetti preziosi ma le persone speciali che incontriamo nella nostra vita.
28 settembre 2009. Sono passati 6 anni dalla morte di William Quijiano, un ragazzo di ventuno anni come tanti, ma che ha vissuto con coraggio, realizzando opere che qualunque altro ventunenne definirebbe “impossibili”. Il Salvador era la sua terra. E come in gran parte del Salvador, anche nella sua città, nel suo quartiere, erano presenti piccole organizzazioni criminali: le Maaras. L’ingegno di William sta aiutando il suo quartiere a sbarazzarsi da questo cancro che infetta il Salvador. Aveva avuto l’intuizione di cominciare a educare i bambini, togliendoli dalle Maaras e dalla strada, per poter dare vita a uomini migliori. E la sua intuizione lo ha portato a fondare la Scuola della Pace nel suo quartiere. In questo modo, William ha iniziato a combattere la violenza con la cultura dell’amicizia, che ha saputo tramandare ai suoi bambini di Scuola della Pace come un padre affettuoso, desideroso che i suoi figli – un domani- portassero avanti il suo compito di ribellarsi alla violenza di quella città. Non era un eroe, era un uomo di pace. E Purtroppo sono state proprio le sue parole di pace a procurare a William alcuni nemici, nemici che non hanno esitato ad ucciderlo, sperando che così, morto William, sarebbero morti anche la scuola della Pace e il cambiamento che in quel momento stava rinnovando la sua città. Ma questo non è successo. William vive attraverso la scuola della Pace , vive attraverso i suoi bambini che ora sono diventati dei punti di riferimento nel quartiere, vive ogni volta che un bambino viene strappato dalle Maaras. Ed è così che a noi della Comunità di Sant’Egidio piace ricordarlo: come un uomo di pace che ha avuto il coraggio di ribellarsi e di rimboccarsi le maniche, con la speranza che la sua città potesse cambiare. Laura Vesprini
Il mondo cambia a partire dalle periferie, quelle urbane, umane, quelle esistenziali che toccano tanti giovani oggi che sognano il cambiamento e non sanno da dove iniziare! Vienici a trovare! Il mondo cambia a partire dalle nostre città che hanno diritto ad un pensiero nuovo che nasca dall’amicizia con i poveri, con la preghiera, con tanti anziani dimenticati negli istituiti, dai bambini che vivono i quartieri periferici e che hanno il diritto al cambiamento, ad avere un giovane per amico che lo accompagni nell’avventura della vita che insieme diventa meno complicata. I bambini hanno diritto alla Scuola della Pace. Il mondo cambia a partire dall’accoglienza dei rifugiati nelle nostre città, nei porti e nelle stazioni, luoghi di passione e di incontro, luoghi dove i Giovani per la Pace hanno trovato grandi alleati per costruire la globalizzazione della solidarietà e per sconfiggere la globalizzazione dell’indifferenza di cui parla Papa Francesco. Infatti molti rifugiati incontrati in tutta Italia oggi aiutano gli italiani in difficoltà! Il mondo cambia se costruiremo città più umane che devono tornare a guardare con compassione chi vive in strada. Possiamo scegliere se costruire la città del filo spinato o la civiltà del convivere. I giovani per la Pace da anni hanno legato la propria vita a quella dei poveri ed hanno scoperto che solo così il volto delle città può cambiare, concretamente: sono infatti migliaia i poveri che già ora andiamo a trovare con fedeltà e da anni in tutta Italia, perché l’amicizia con i poveri è un’amicizia fedele. Puoi farlo anche tu! #ChangeYourCity con i giovani per la pace! Partecipa anche tu alle attività di solidarietà con i più poveri, vienici a trovare alla sede dei giovani per la pace più vicina e scopri anche tu che insieme il mondo può cambiare. Non esitare #ChangeyourCity Partecipa su Twitter scrivendoci le tue idee taggando i @gxlapace con l’hashtag #ChangeYourCity
L’ abbiamo attesa come un dono l’Africa, ci siamo preparati il cuore e siamo partiti. In Africa si può andare anche senza una valigia, basta veramente un cuore, che parte povero e torna ricco. Questa Africa ci ha insegnato l’ amore e il valore per la vita di ognuno. In Mozambico ci siamo sentiti a casa, abbiamo incontrato parte della nostra grande famiglia ed era come appartenersi da sempre. Immaginiamo lo stesso mondo. Dream é il luogo più sacro del nostro mondo, dove si rinnova ogni giorno il miracolo della vita, soprattutto nella forza delle attiviste. I giovani per la pace di Matola stanno crescendo, hanno grinta, tenacia, l’ allegria e più di ogni altra cosa ci credono fedelmente con ogni fibra e su questo abbiamo veramente da imparare. Questa nostra Africa ci ha insegnato la cura e l’ attenzione, ma soprattutto ci ha trasmesso passione. La passione per il cambiamento, per quella rivoluzione dei cuori e del mondo e ci ha mostrato segni evidenti di quanto tutto questo sia possibile, di quanto è capace di cose grandi la Comunità che prega e che sogna. Le cuoche, i bambini, i bambini che diventano grandi ma restano per aiutare i piccoli dopo di loro, il centro nutrizionale, la fatica che è sempre alllegria, c’ e’ sempre un motivo per abbracciarsi e per sorridere insieme al centro di Matola, anche quando ci sono più di 500 bocche da sfamare ogni giorno. Torniamo a Napoli cosapevoli che quella.terra adesso ci appartiene più di prima. Torniamo con la forza e l’ entusiasmo che ci spingono a fare di più per quell’ “Africa” che ritroviamo ogni giorno nella nostra città, soprattutto nelle periferie dove più nessuno volge lo sguardo, ai bordi delle strade che si fanno case, negli istituti, nei giovani. In noi. L’ Africa insegna a guardare. Ad amare. Questo é il dono. Di Francesca Sepe
DREAM oggi rappresenta un modello di contrasto all’HIV/AIDS, alla malnutrizione, ma anche ad altre malattie infettive e a molte patologie croniche che, a partire dai migliori protocolli diagnostico- terapeutici del mondo ricco, ha trovato una sua forma adeguata in Africa. In questo senso il Programma è in grado di offrire un consistente contributo al continente, che non può sostanziarsi solo nella replicazione di numerosi centri di cura dell’HIV in tanti paesi africani, ma anche può rappresentare un modello di contrasto a molte altre patologie infettive e croniche. Particolarmente importante per DREAM è la ricerca continua dell’eccellenza per mettere a disposizione di tali patologie ciò che di più avanzato offre il mondo sviluppato, per arrivare alla liberazione da molte malattie in Africa. Proprio per porre l’accento sull’allargamento già avvenuto in questi anni ci siamo proposti un significato più largo dell’acronimo DREAM. Non solo “Drug Resource Enhancement Against AIDS and Malnutrition” ma “Disease Relief through Excellent and Advanced Means” cioè “Liberazione dalle malattie attraverso mezzi avanzati ed eccellenti ”. Il sogno cresce. Questo DREAM, che potremmo definire DREAM 2.0, affronta questa nuova sfida. La lunga esperienza di questi anni, il modello prodotto e il sostegno fattivo e concreto di molti professionisti europei e africani ci hanno permesso di compiere tale salto. Visita il sito di Dream Qui
“Non c’è posto” è una frase antica, è una frase estremamente popolare. Da duemila anni a questa parte è il modo di chiamarsi fuori, sentendosi anche un po’ giustificati: perché mica è colpa mia se non c’è abbastanza spazio, perché non ci posso fare niente se non c’è posto per te, perché abbiamo accolto tanti ma tu e la tua famiglia siete fuori quota, quindi restate pure dall’altra parte del confine. Non c’è posto è il modo di chiudere il cancelletto del proprio giardino, guardare alla propria erba curata (o meno) e credere che il mondo sia tutto lì. Non c’è posto è la paura di confrontarsi con le difficoltà che accompagnano sempre l’incontro con l’altro, ma che rinunciano alla bellezza che esso porta. Con i Giovani per la Pace invece abbiamo scoperto che accogliere chi bussa alle nostre porte non è solo necessario ma è bello! È bello perché arricchisce, allarga lo sguardo ma soprattutto è bello perché è bello stare insieme. È per questo che noi vogliamo dire che c’è posto, c’è posto anche per te! E vogliamo dirlo insieme italiani e stranieri, nati in Italia e non, vogliamo dire che c’è posto per la diversità, c’è posto per l’amicizia, c’è posto per chi scappa dalla guerra. Partecipa anche tu alla campagna usando l’hashtag #cepostoancheperte!
La foto di Aylan, bambino di Kobane sta sempre più diventando l’immagine del risveglio dei cuori dell’Europa. Sembra quasi volerci comunicare “in guerra si muore e si muore anche fuggendo dalla guerra” muoiono anche i bambini. Ci stiamo chiedendo guardando l’immagine come fermare le guerre? Come accogliere senza morte? E’ fresca nei ricordi l’immagine delle bare arrivate a Catania: Oggi è il momento in cui c’è bisogno di uno sforzo comune, collettivo, personale che si tramuti in sforzo internazionale. Un’immagine è di per sé statica se la gente non si muove attorno ai sentimenti che suscita: un bambino, la sabbia, la morte ed è facile creare resistenze anche alla commozione, all’indignazione, tornare ad abituarci alla morte di tanti Aylan nel mondo, non provare quel sussulto di impegno, quell’orgoglio di essere rifugio! Perchè un rifugiato senza rifugio è un uomo morto, è un bambino senza asilo, è una donna spenta ed il rifugio deve essere come un ventre materno e non cadere in balia delle ondate sociali di simpatia e antipatia. Pensiamoci: All’occhio sociale e mediatico si rincorrono queste due immagini sul migrtante: poco prima il migrante è il problema, poco dopo è risorsa: questa è schizofrenia che va superata. Oggi l’Europa può veramente essere quel rifugio, quella culla che si era immaginata al tramonto della seconda guerra mondiale. Un luogo di serenità per chi scappa dalla guerra che l’Unione è riuscita a cacciare via dai suoi confini. Questo è un merito e al tempo stesso una responsabilità verso il mondo! Tenendo fuori chi scappa dalla guerra, la guerra tornerà dentro i nostri confini e già bussa alla porta con un suono allettante. La nostra responsabilità ce la ricorda il papà di Aylan mentre parla di suo figlio non come un’immagine ma restituendogli carne, rendendolo simbolo e non solo fotografia, parlandone semplicemente come un bambino, che giocava, piangeva, rideva, saltellava e faceva i dispetti. Come un bambino che oggi è vivace nel bussare alle porte dei nostri cuori facendoci riscoprire che ogni tanto è giusto piangere. Bisogna uscire e incontrare, cambiare, protestare, accogliere a mani nude, perchè non fare passare un pensiero aberrante che ci vuole chiusi è la grande battaglia corpo a corpo contro il male di questo tempo. Una battaglia che non si può perdere.
Ogni città nasconde segreti e meraviglie che molto spesso nemmeno le persone che le abitano conoscono. Non è difficile trovarle, a volte basta cercarle e guardare oltre le apparenze. Si trovano in zone trafficate dove le persone passano continuamente ma sono immerse nei loro pensieri, poco curiose di scoprirle o meglio impaurite da quello che possono rivelare. A volte è più facile non sapere; il diverso destabilizza. Voglio raccontarvi alcune storie per farvi scoprire luoghi nascosti, persone poco conosciute della mia città che hanno un passato, un presente e un futuro da condividere con noi. Le stazioni sono luoghi di transito, ove persone ogni giorno circolano con le loro valigie, corrono ,hanno paura di perdere il treno e non si rendono conto di quello che li circonda. Ecco, il primo luogo della nostra storia, la stazione. La stazione nasconde molti segreti, è un luogo conosciuto da tutti dove gli sguardi si incrociano per poi perdersi nei diversi vagoni ma aldilà dei binari, del rumore del treno che sta partendo possiamo intravvedere un edificio apparentemente abbandonato. Non è così, ci vivono persone, ragazzi con una propria meravigliosa storia. Faisal, il ragazzo degli occhiali fashion , ha diciannove anni, sguardo penetrante, è arrivato in Italia da poco dopo un viaggio estenuante, non vuole niente soltanto un ombrello per ripararsi dalla pioggia che neanche il tetto di un palazzo riesce a bloccare e un paio di occhiali Fashion. Vuole poter essere un ragazzo della sua età, vivere la spensieratezza di un ventenne e dimenticare per qualche istante le difficoltà della vita. Romi, il più rumoroso del gruppo pensa che alzare la voce sia il modo migliore per sembrare forte ma in realtà è soltanto un modo per nascondere le paure, le malinconie. desidera amici, vuole una vita normale, quella vita che molti ragazzi come noi sprecano senza capire la fortuna che hanno. Ad un altro ragazzo mancavano due mesi per finire l’università nel suo paese ma è dovuto scappare, lasciare i suoi affetti i suoi luoghi… Queste sono alcune storie di ragazzi come noi, che hanno dovuto abbandonare la loro città in cerca di qualcosa di migliore. Cerco un luogo dove custodire i loro ricordi, le emozioni delle ultime settimane. Le persone speciali di queste storie sono riuscite con uno sguardo, con poche parole a rispondere ad alcuni dubbi/domande che i grandi e i giornali non sempre riescono a darmi. Ho condiviso con loro momenti importanti, costruito un’amicizia, abbattuto barriere e sconfitto la paura collegata all’ignoto. Ho capito che le mie paure derivano dal fatto di non conoscere una cultura, un popolo, delle abitudini diverse dalle mie. La cronaca ci informa solamente di episodi negativi senza mostrarci che anche loro vogliono far parte della nostra comunità, aiutando il prossimo. Ieri uno dei nostri amici richiedenti asilo ha aperto la propria casa per festeggiare il compleanno di una bambina rumena perché avessimo un posto più grande dove poter stare tutti. Un altro giovane per la pace nuovo europeo ha voluto comprare personalmente un...
C’è un mondo di giovani in Europa che non vuole sottomettersi alla cultura dello scarto, che non vuole accettare di vedere nell’altro (nel povero) un nemico. Un mondo di giovani che ha ascoltato le parole di Papa Francesco sulla globalizzazione dell’indifferenza e vuole costruire una globalizzazione della solidarietà. In Europa quest’estate, hanno detto in tanti modi “Non ci sto!” a chi lascia i poveri ai margini. Hanno riscoperto in tanti modi la solidarietà, la bellezza di incontrare i poveri… Un esempio? Solo a Roma quest’estate sono venuti a trovarci 2500 giovani provenienti da diverse parti d’Italia e d’Europa, per conoscere ciò che facciamo, per scoprire la bellezza della gratuità in risposta a un mondo sempre con la calcolatrice alla mano. Durante l’anno, inoltre, incontriamo sempre più ragazzi che vogliono fare qualcosa per gli altri, per gli ultimi: sono una parte di quell’Europa che vuole reagire alla globalizzazione dell’indifferenza e che scopre nell’altro un amico invece di un nemico. I giovani vogliono costruire un’Europa che cambia. L’Europa cambia dall’incontro con i poveri.
La guerra non è mai santa” dice l’appello di #peaceispossible e ripensando all’11 settembre di quattordici anni fa queste parole risuonano nelle mie orecchie. Non esiste una guerra santa, non è mai santo togliere la vita a un altro uomo e non esiste modo di giustificare un assassinio o una strage. Il Signore chiede di porre la nostra vita al suo servizio, non di macchiare il suo altare con il sangue dei suoi figli. Il sacrificio di Isacco ce lo ricorda: il Signore non permise ad Abramo, padre di tutti i credenti, di uccidere suo figlio, bloccò la sua mano. Neanche Dio permise ad Abramo di offrirgli sacrificio con il sangue del proprio figlio, quindi come possiamo pensare che uccidere altri esseri umani sia santo? La violenza in nome di Dio è un sacrilegio, uccidere in nome di Dio è un sacrilegio. Non c’era nulla di santo negli attentati dell’11 settembre 2001, non c’era nulla di Santo nelle guerre che dopo ne sono scaturite. Dopo quattordici anni ci si apre la domanda di come onorare l’11 settembre, di come chiudere questo periodo di violenze e attentati contro i deboli, contro gli innocenti in nome di un Dio che è amore e misericordia, non certo violento e crudele. La guerra, è sotto gli occhi di tutti, ha miseramente fallito dimostrando che la violenza non può essere risposta perché genera solo altro dolore e altro odio. Deve finire il tempo della guerra, il tempo in cui si può prendere la vita degli innocenti e trovare giustificazione (che sia religiosa o laica). Questo mondo ha bisogno di pace. La pace è l’unica strada possibile per uscire dalla spirale del dolore. Non esiste guerra santa, solo la pace è santa.
Lunedì 7 Settembre alle 17:00 i giovani migranti del CARA di Mineo si sono ritrovati al container C a pregare per i coniugi Solano, uccisi lo scorso 30 agosto a Palagonia. In un clima di grande commozione circa un centinaio di cristiani cattolici, protestanti, pentecostali provenienti da Ghana, Nigeria, Gambia Mali ed altri paesi si sono ritrovati con i giovani migranti da tempo parte della Comunità di Sant’Egidio. Una preghiera a cui hanno partecipato anche alcuni degli impiegati della struttura e la direzione al completo. Molti dei lavoratori, in turno, hanno voluto ringraziare gli ospiti che hanno promosso la preghiera per l’appuntamento che hanno voluto con forza. “Abbiamo vissuto la solidarietà, l’amore e la vicinanza” non possiamo non mostrarle a nostra volta a chi è stato colpito dalla violenza dei fatti di Palagonia”. Una preghiera voluta con forza perché troppo forte l’impatto con la notizia diffusasi nelle ore successive all’uccisione dentro il CARA, uno shock hanno detto alcuni. “La violenza si è abbattuta anche su di noi, sappiamo cosa vuol dire esserne vittime”. Durante la preghiera ognuno ha tenuto in mano una piccola candela in ricordo dei coniugi Solano. “Il nome di Dio è la Pace. Preghiamo perché non si alzi più la mano di un uomo su un altro uomo, perché nessuno soffra per la violenza, per i coniugi Solano e perché ognuno di noi viva come custode di suo fratello” queste le parole finali affidate alla predicazione sul brano di Genesi 4, 1-16. Alla conclusione della preghiera, un gruppo di musulmani che avevano assistito hanno voluto fare una piccola preghiera per unirsi al clima di cordoglio. Enoch Babajide pastore protestante, membro della Comunità di Sant’Egidio, che ha presieduto la preghiera di oggi dice: “con tutta la nostra vicinanza e le condoglianze sincere, in modo importante e commovente abbiamo visto amati fratelli e sorelle a Mineo uniti per mostrare la loro solidarietà e la pace con la famiglia dei signori Solano e la gente di Palagonia. “Chi è tuo fratello?” ci siamo chiesti ed in silenzio abbiamo salutato i coniugi Solano ora nel paradiso celeste dove non vi è dolore. Auguriamo alle loro anime di riposare in pace e a noi che siamo su questa terra di vivere vivere in pace, amore ed unità, senza vendetta, senza più uccisioni tra fratelli”. Spiega Emiliano Abramo della Comunità di Sant’Egidio: “i giovani del CARA pregano per i due anziani uccisi a Palagonia mentre alcuni continuano a speculare sulla morte. Questa è la risposta spirituale di chi agli occhi di Dio non ha colore o passaporto, ma solo un cuore di carne che soffre spesso per il male del mondo e anche, banalmente, per i giudizi degli uomini. Noi italiani dobbiamo essere orgogliosi della nostra accoglienza e di appartenere a questa storia di uomini buoni e semplici, migranti, capaci di pregare e di commuoversi”
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