Un domani per i miei bambini

 
“La vita è come un lungo viaggio in macchina, soggetto a imprevisti. Un giorno, la macchina su cui viaggiavo si è rotta all’improvviso. Nel buio della notte. In una strada deserta. Davanti a una linea rossa. Ma proprio quando avevo cominciato a rassegnarmi qualcuno è venuto in mio soccorso. Si è sporcato le mani e mi ha permesso di riprendere il viaggio. La linea rossa non era più il termine, ma un punto di partenza. Da quel momento non sarei più stata sola.”

Pacem Kawonga, Un domani per i miei bambini
 
P. Kawonga, Un domani per i miei bambini
Piemme, aprile 2013
La vita di Pacem è segnata. È una condannata a morte, ma il suo boia è paziente: non la viene a prendere subito, forse la lascerà tranquilla a lungo, ma prima o poi la verrà a prendere, lo sa. Il suo boia ha già cominciato a stuzzicare Melinda, la sua secondogenita, sempre malaticcia e piccola, e suo marito, James, un uomo manesco e infedele nel quale Pacem cerca disperatamente di ritrovare colui di cui si era innamorata. Il boia di Pacem si chiama AIDS, una malattia che in Malawi, come in tutta l’Africa, equivale a una condanna a morte, anzitutto sociale. Pacem, però, ascolta la radio, ascolta le storie dei malati, scopre che una speranza c’è, che forse può allontanarsi dal burrone verso il quale sembra si stia dirigendo. Si chiama DREAM ed è un sogno per ogni malato di AIDS. DREAM, Drug Resource Enhancement against AIDS and Malnutrion, è il programma di cura dell’AIDS e prevenzione materno-infantile della Comunità di Sant’Egidio, è il sogno di dare agli Africani le cure Occidentali e permettere a madri malate di far nascere figli sani a costo zero.
È un sogno che ha esordito nel 2002 in Mozambico, riuscendo a raggiungere nel 2012 dieci paesi (Mozambico, Malawi, Tanzania, Kenya, Repubblica di Guinea, Guinea Bissau, Camerun, Congo RDC, Angola e Nigeria), dopo essersi scontrato con il pregiudizio di tanti. Pacem ha incontrato questo sogno quando era appena approdato in Malawi e si è fidata di medici, infermieri, operatori di quell’ambulatorio un po’ strano dove nessuno sembrava aver fretta e in cui il paziente diventava il centro delle attenzioni del personale.
Oggi, Pacem è un’attivista del progetto DREAM, parla per le piazze, per le strade e i quartieri, racconta la sua storia, come in Un domani per i miei bambini, edito per Piemme, che consigliamo di leggere; parla al cuore di uomini e donne che ancora il test non l’hanno fatto, dona loro una nuova speranza: l’AIDS si può vincere! Non è una condanna a morte.
È proprio la Speranza la grande coprotagonista di questo libro e non è solo la speranza di Pacem, che fa il test e va alla ricerca delle cure per lei e per il marito anzitutto per paura di lasciare orfani i suoi bambini come a lei stessa era successo. È la speranza di quanti si sono affidati al Programma DREAM e hanno scoperto che ciascuno di loro era tanto importante che se mancava un appuntamento riceveva telefonate e visite a casa dagli operatori del Centro preoccupati per lui o lei. È la speranza di tante mamme malate che hanno dato alla luce figli sani o di tante mamme che hanno visto ‘risorgere’ i propri bambini. È la speranza di tanti adolescenti, che, nel momento della loro vita in cui dovrebbe essere tanto forti da potersi pensare invincibili, scoprono di essere fragili, malati, ma che- grazie alle cure – possono ricominciare a immaginare il proprio futuro. È la speranza di quanti si sono visti emarginati, scansati a causa della malattia, che stavano così male che sembrava non potessero salvarsi.
È il grido di un’Africa viva, che con professionalità, amore e unione, risorge a partire dalle altre grandi protagoniste di questo romanzo: le donne.
Un domani per i miei bambini è quindi una storia vera che parla di speranza, amore e di un sogno che ha permesso a Pacem e a tanti di allontanare il burrone e rendere la linea rossa non un capolinea, ma un punto di partenza.
 
Elena Liotta
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