L’ho imparato dai bambini!

Dopo i momenti di xenofobia e violenza che abbiamo vissuto ieri, dopo i disordini a Roma e gli attacchi da ‘Mississippi Burning’ a Treviso, mi sono sentita abbattuta e sconfitta: umiliata per essere così idealista e ingenua da pensare che vivere insieme è possibile.

Allora per combattere quella sensazione oggi avevo tutta l’intenzione di scrivere qualche riga infuocata,sciorinare dati e percentuali, dimostrare con ragionamenti rigorosi da che parte sta il torto e perché. Poi ho capito che non era questo il modo giusto, che anche io avrei così alzato la voce, provato a imporre con la violenza il mio pensiero.

Il problema è che per quanto possa urlare non riuscirò mai a far cambiare idea a una persona così convinta della ragionevolezza della propria causa da brandire un’arma per difenderla. Il problema è che dati, percentuali e ragionamenti suonano giusti e perfetti alle mie orecchie perché io so: io vedo l’integrazione quasi ogni giorno e ho imparato ad associare agli sterili numeri dei nomi e dei volti. Delle persone. Ho imparato, per esempio, che l’integrazione inizia da noi, dal basso.

Non possiamo aspettare che sia la società ad assestarsi, ma dobbiamo essere noi i motori del cambiamento. Per questo invece di chiedere documenti per prima cosa bisognerebbe tendere una mano e presentarsi, sperando che l’altro la stringa. Ho imparato nomi. Tanti. Tutti diversi dalla mia lingua madre. Perché imparare il nome di una persona è una forma di rispetto dovuta. È il primo passo per la conoscenza ed è quello fondamentale per iniziare un dialogo.

Ho imparato a non fidarmi dei titoli sensazionalistici dei giornali, a non ripetere passivamente gli slogan dei politici, a non credere a tutti i numeri della televisione. E così ho letto. E leggendo ho imparato che il fanatismo non ha religione, che la ‘tendenza alla criminalità’ non è qualcosa che puoi rintracciare in un ceppo genetico, che la cattiva intenzione non è un fatto di cultura, che la malvivenza non è qualcosa che individui su una cartina geografica.

Ho imparato che ‘straniero’ è una parola relativa e non determina uno stato, un modo di essere intrinseco della persona. Tutti sono stranieri per tutti in ogni luogo tranne che a casa propria. E se tutti si sforzassero di far sentire l’altro un po’ più a casa allora non esisterebbero più stranieri. Ho imparato che l’integrazione è un processo lungo e faticoso, che richiede impegno, ma che in cambio regala le più grosse soddisfazioni.

L’ho imparato a Scuola della Pace, accanto a ogni bambino che ho visto sforzarsi su una pagina piena di parole di cui non conosceva il significato. Allora penso ai nostri bambini di Scuola della Pace, al loro modo di vivere insieme, e mi chiedo come questo sia possibile. Bambini di dieci nazionalità diverse che fanno i compiti spalla a spalla sullo stesso tavolo, giocano a palla nello stesso cortile, dividono la stessa merenda. Loro non sanno nulla di cifre e percentuali.

11140115_10206220288041705_6941870850115927058_nNessuno di loro si occupa di politica o si è mai fermato a calcolare i costi dell’accoglienza. Dubito che si siano mai avventurato nella lettura della Convenzione di Ginevra e scommetto che non saprebbero nemmeno indicarmi la differenza tra un profugo e un clandestino. Molto probabilmente, avendo una cartina davanti, avrebbero persino difficoltà a individuare il Paese di origine del bambino che gli sta seduto accanto. Eppure convivono. Forse allora non c’è bisogno di discutere, non c’è bisogno dei ragionamenti e delle cifre per capire qualcosa che i bambini già sanno. Perché è qualcosa di molto semplice in realtà.

Ogni bambino, per esempio, sa che tutti noi siamo nati con un cuore che batte per tutti allo stesso ritmo, un cervello per pensare e una bocca per parlare.

E delle mani, che sono in grado tanto di dare una carezza o arrabbiarsi e che scelgano di fare una o l’altra cosa non ha nulla a che vedere con il colore della pelle di cui sono ricoperte. Ho imparato dai bambini che quando si ha fame si mangia e quando si è tristi si piange. E i bambini lo sanno che tutti sentiamo la fame e la tristezza allo stesso modo. E sanno persino che se viaggi per tutto il Mondo questo sarà uguale ovunque, con la terra sotto i piedi e il cielo sopra la testa. I bambini sanno com’è sentirsi rifiutati e odiati. Per questo finché sono ancora piccoli cerchiamo di dare a tutti lo stesso importante insegnamento: ‘non fare ad altri quello che non vorresti fosse fatto a te’, ‘mettiti nei panni di qualcun altro per capire cosa prova’. Ognuno di noi- nessuno escluso- da bambino è stato educato all’empatia. Come mai crescendo qualcuno questo insegnamento l’abbia dimenticato rimane un mistero per me.

Però io ho imparato questo dai bambini. Che se fossi nata nei Paesi da cui provengono, se fossi stata nei loro panni, venuta al Mondo solo qualche parallelo più in giù o qualche meridiano più in là, allora anche io avrei fatto ciò che per loro hanno fatto i loro genitori: avrei camminato per i deserti e mi sarei imbarcata, avrei affrontato il filo spinato e scavalcato i muri, mi sarei nascosta sotto le ruote dei camion e accucciata nei doppi fondi. E una volta arrivata dall’altra parte avrei lottato per i miei diritti e per quelli dei miei figli. Questa è una cosa che so per certa. Perché è una cosa che sanno anche i bambini.

Anna Gariuolo, giovane per la pace di Trieste

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