“La Libia era l’inferno, qui in Italia sembra il Paradiso, grazie” sono le parole di R., congolese, arrivato recentemente in Italia insieme alla moglie e ai figli. R. viene dalla Repubblica Democratica del Congo, un Paese che da anni martoriato da violenze e conflitti. R. è fuggito con la sua famiglia perché voleva per lui e per loro un futuro migliore; così ha fatto un lungo viaggio e alla fine è arrivato in Libia, un luogo terribile, dove i migranti sono spesso abusati e torturati dai trafficanti di esseri umani. Per la disperazione, R. avrebbe potuto tentare il viaggio in Italia attraversando il Mediterraneo con un barcone, insieme alla sua famiglia, e sarebbe potuto morire, così come sono morti molti nell’attraversata. Invece, è arrivato in Italia legalmente, e in maniera sicura, grazie ai corridoi umanitari. Insieme a lui, il 25 giugno 2025, sono arrivate altre 71 persone, tutti giovani, molte donne e bambini, provenienti dalle varie zone di conflitto: Afghanistan, Etiopia, Sudan, RDC e altre ancora.
Ma cosa sono i corridoi umanitari? La loro idea nacque dopo il terribile naufragio del 3 ottobre 2013, che vide la morte di oltre 300 migranti, che tentavano disperatamente di giungere a Lampedusa. “Mai più”, questo è ciò che hanno pensato coloro che hanno concepito i corridoi umanitari. Il progetto funziona grazie a un Protocollo d’intesa tra la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, la Tavola Valdese, la Cei-Caritas e il governo italiano. I rifugiati sono fatti arrivare legalmente in Italia, o in altri Paesi europei che aderiscono al programma, sono accolti dalla società civile e da privati, e vengono aiutati nel loro percorso di integrazione: viene loro insegnato l’italiano, gli adulti trovano lavoro, i più piccoli vengono iscritti a scuola. Non solo accoglienza, ma anche integrazione. Tutto questo ha permesso di salvare, dal 2016 ad oggi, oltre 8000 persone.
Molti di coloro che arrivano sono giovani, che come noi desiderano solo una cosa: un futuro di pace, sereno, dove potersi realizzare. Vengono da luoghi che non permettono loro tutto questo, perché c’è la guerra, e/o perché vivono in un sistema che non consente loro di lavorare o studiare, e quest’ultima cosa è vera soprattutto per le ragazze e le donne. L’unica differenza, tra noi e loro, è che noi siamo nati in una parte di mondo, loro in un’altra. E i corridoi permettono, anche a chi è nato in territori martoriati, di poter avere la possibilità di trovare un luogo di pace, di fuggire e rompere la spirale di violenza a cui rischiano di essere condannati. Riferendosi al corridoio umanitario del 25 giugno il Presidente di Sant’Egidio Marco Impagliazzo ha detto: “Questo corridoio è una grande risposta alle guerre che insanguinano il mondo oggi e costringono le persone a lasciare le loro terre, quindi questo corridoio significa pace, volontà di pace, accoglienza a chi ha sofferto, una resistenza al male della guerra”. Perché alla fine, tutti noi esseri umani, vogliamo una sola cosa: un futuro di pace, dove poter vivere in serenità, con le persone che amiamo.
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