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I corridoi umanitari: un viaggio con una meta sicura per un’accoglienza umana e rispettosa

I corridoi umanitari: un viaggio con una meta sicura per un’accoglienza umana e rispettosa

Il viaggio di tutti ha una meta e chi arriva merita rispetto, dignità e ascolto: è questa l’accoglienza che si fa “più umana”. Perché l’incontro ci rende capaci di una narrazione giusta, che non faccia sconti alla ricchezza di ogni storia di sofferenza che, nel bagaglio, chi arriva porta con sé. È la festa di un’accoglienza calorosa di molti bambini, donne e uomini che possono finalmente iniziare a vivere una nuova vita piena di felicità in Italia. Un augurio di benvenuto a tutti loro! Sono atterrati nella mattina di giovedì 30 marzo, all’Aeroporto di Fiumicino, 58 rifugiati siriani che hanno vissuto a lungo nei campi profughi del Libano o in alloggi precari nella periferia di Beirut e 15 richiedenti asilo dai campi della Grecia provenienti da Iraq, Somalia e Congo. Si chiamano corridoi umanitari e la via dell’accoglienza si fa realtà. Sì, perché lo sfondo di questa accoglienza ha molto a che fare con noi. Per questo, ci riguarda. È una via (più) umana, più rispettosa, più giusta. Per questo anche legale, per i tanti che abbandonano la vita lasciandosi alle spalle un “bagaglio” di sofferenze dovute ai traumi della guerra e delle violenze, alla disperazione di fronte alla povertà e alla rassegnazione nei campi profughi, dentro o ai margini dell’Europa, quasi si volesse distaccare il destino di migliaia di vite umane da quelle che sono le sorti del nostro intero continente. Dal 2016, quando si è trovato l’accordo con il ministero degli Esteri e degli Interni, grazie alla collaborazione della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e della Tavola Valdese, complessivamente in Europa con i corridoi umanitari sono giunti oltre 6 mila rifugiati. Il 18 marzo Papa Francesco ha incontrato le famiglie “ospiti”, nel vero senso doppio della parola: i tanti cittadini che hanno offerto la loro casa a coloro che sono giunti in Italia, in Francia, in Belgio e in Andorra, e anche “i nuovi Europei”, come sono stati definiti da Marco Impagliazzo, il Presidente della Comunità di Sant’Egidio, i migranti e i rifugiati che arrivano nel nostro continente. Tantissimi i bambini, i giovani, le donne e gli uomini ricevuti in udienza dal Papa, che si è detto colpito ed entusiasta per la “creatività generosa” degli amici di Sant’Egidio che, di fronte alle tragedie delle numerose, troppe, morti di speranza nel Mediterraneo, hanno trovato una via possibile di accoglienza.   È un esempio reale che ha salvato le vite di molte persone, è un segno lungimirante di un’umanità che è ancora possibile e non è “naufragata” in quelle onde che ci incutono tanta paura. Spesso, di fronte alle tragedie in mare, ci chiediamo che cosa spinge i migranti ad abbandonare la loro terra. Le motivazioni ci aiutano a pensare un mondo complesso, per il quale troppo frequentemente si cercano soluzioni ad effetto immediato e rapido, ma così non è e proprio perché le questioni sono complicate, meritano di essere affrontate cercando soluzioni con un impegno comune e un

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I giovani hanno un ruolo fondamentale nel costruire la pace – L’incontro internazionale “Il grido della pace” raccontato dai GxP

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“Uniamo le nostre voci perché il grido della pace che si alza da tante parti del mondo possa sovrastare il rumore delle armi e della guerra” è stato l’invito del Presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo pochi giorni prima dell’incontro interreligioso “Il grido della Pace” che si è svolto dal 23 al 25 ottobre presso il Centro congressi La Nuvola e il Colosseo di Roma. Un invito che è stato trasformato in monito dai relatori che, durante i tre giorni, hanno parlato di pace in ogni sua sfaccettatura, coinvolgendo popoli, religioni e culture differenti, ricordando quei luoghi dove ancora le persone sperimentano violenze e guerre e invocando una collaborazione mondiale per un futuro più speranzoso. L’idea del grido della pace è stata al centro di questo incontro: un’immagine forte, ripetuta in lingue diverse, rivolta a tutto il mondo e che possa arrivare alle persone con forza ancora maggiore dell’idea della guerra e della violenza. Un appello di pace che trova sostegno nella religione: “La preghiera è sorella del grido di dolore di chi soffre guerra e povertà” ha affermato Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio; la religione può essere, infatti, tanto un mezzo per aiutare il dialogo e le persone quanto per giustificare la violenza se mal interpretata. Mai come quest’anno, poi, l’incontro ha avuto tanto rilievo: l’incombente presenza della guerra in Ucraina e delle continue violenze generate risuonava nei discorsi dei leader politici, dei leader religiosi, dei sopravvissuti e degli studiosi senza però mai dimenticare le crudeltà nel resto del mondo contro cui è impossibile combattere se non uniti gli uni con gli altri, come hanno unanimemente affermato tutti i relatori. Cooperazione, pace, futuro: sono dunque state queste, quindi, le parole chiave della conferenza che ha avuto un impatto mondiale e che si è conclusa davanti al Colosseo proprio con centinaia di cartelli bianchi con scritto “pace”, alzati da bambini, adulti e anziani, un gesto simbolico ma che certamente ha riassunto lo spirito di questi tre giorni. È stato, poi, ricordato come noi giovani abbiamo un ruolo fondamentale in questa lotta per la pace: non siamo solo le donne e gli uomini che un domani dovranno impegnarsi, ma possiamo iniziare a fare la differenza già oggi; possiamo infatti far sentire la nostra voce tanto quanto quella degli adulti e lo possiamo fare con ancora più forza e dedizione. Iniziamo da un gesto semplice che, però, ha una potenza incredibile: fare scuola della pace. Di esempio sono state le parole di Olya Makar, testimone ucraina della guerra e membro di Sant’Egidio, che ha riferito “Abbiamo riaperto la scuola della pace. È stato il primo luogo dove i bambini sono tornati a ridere”  e ci fanno capire quanto noi possiamo essere importanti: se un bambino che ha vissuto orrori e violenze che si porterà dentro per tutta la vita riesce ad avere un attimo di spensieratezza mentre gioca o fa un disegno con noi, allora significa che possiamo davvero costruire la pace. Non dovremmo dunque iniziare a riflettere concretamente su cosa...

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Meno armi, più parole: i Giovani per la Pace danno vita ad un flash mob a Fontana di Trevi

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Cartelli colorati illuminano l’acqua della Fontana di Trevi. A portarli in alto, perché siano visibili a tutti, sono i Giovani per la Pace di Sant’Egidio, in quello che è un vero e proprio “peace mob”, un flash mob organizzato per dire no alla guerra. Sotto gli sguardi incuriositi dei turisti, i giovani volontari hanno voluto, infatti, manifestare il loro dissenso contro un’escalation che rischia di trascinare il mondo verso il buio della guerra. Dai loro cartelloni colorati, invece, i giovani hanno voluto lanciare un messaggio di pace, chiedendo che si investa di più sul dialogo, piuttosto che sugli armamenti: “Meno armi, più parole” e “Stop the war” gli slogan che i passanti hanno potuto leggere sui cartelloni. “Siamo qui per manifestare ancora per la pace, perché la guerra non accenna a fermarsi e ci sembra che pochi si spendano per porvi fine” – afferma Gian, 17 anni. L’iniziativa fa seguito alle tante altre manifestazioni organizzate dai GXP nei luoghi simbolo di Roma come Piazza di Spagna, il Campidoglio e Piazza Vittorio. Continuando a far sentire la loro voce, i Giovani per la Pace vogliono, infatti, continuare a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di spendersi per il dialogo e di evitare una pericolosa polarizzazione del dibattito. Perché anche il coro della pace possa farsi sentire forte.

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