«Come un gatto in tangenziale»: quando “borgatari” e “ricchi” si incontrano

«Come un gatto in tangenziale»: quando “borgatari” e “ricchi” si incontrano

Il film con Paola Cortellesi e Antonio Albanese fa incontrare mondi diversi in momenti esilaranti

Una recensione e una riflessione di Antonio Taranto (GxP Cuneo)

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«Come un gatto in Tangenziale» è il nuovo film di Antonio Albanese e Paola Cortellesi. Sembra una normalissima commedia all’italiana, ma racchiude un senso profondo: attraverso battute e personaggi con atteggiamenti molto marcati si parla in maniera originale delle periferie. Ambientato tra un quartiere della Roma bene e un posto che molti romani nemmeno conoscono: il complesso residenziale di Bastogi (Torrevecchia). Nei quartieri alti abita la famiglia di Giovanni, intellettuale borghese, divorziato da un ex moglie che crede di essere francese e che vive raccogliendo fiori di lavanda e con una figlia di 13 anni, Agnese. Dalla periferia di Roma, invece, proviene Alessio, giovane fidanzatino di Agnese, che vive con la mamma Monica, tipica coatta romana la quale si è rassegnata allo squallore del posto in cui vive, ma cerca comunque di tenere fuori il figlio dalla vita di galera del padre e dallo shopping compulsivo «a gratis» delle sue due zie Pamela e Sue Ellen. Giovanni è un intellettuale che lavora per una agenzia di «TIC TANG» come direbbe Monica, viene pagato per pensare e per andare all’Unione Europea e chiedere i fondi per le periferie senza però aver mai conosciuto le periferie (ndr, le agenzie di think thank, ossia gruppi di esperti). Giovanni da buon intellettuale ha sempre insegnato alla figlia Agnese a non giudicare mai un libro dalla copertina e lei così ha fatto: si è trovata il fidanzatino in una delle periferie “peggiori” di Italia – e a detta di uno dei collaboratori di Giovanni, in confronto a Torrevecchia, Scampia è un paradiso. Solo in quel momento Giovanni ha incontrato veramente le periferie.

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In una sala gremita del cinema nella quale abbondavano risate a crepapelle, a tratti riflettevo sul significato del film, ovvero l’incontro tra due mondi all’apparenza opposti. Questo è quell’incontro che noi Giovani per la Pace facciamo tutte i giorni nelle diverse città d’Italia e del mondo. Perché alle periferie poche persone rivolgono la dovuta attenzione, pur vivendo in un secolo caratterizzato dall’espansione delle città. Nel complesso residenziale di Bastogi ho rivisto i palazzoni rossi di Cerialdo a Cuneo, le vele di Scampia e la diga di Begato a Genova (ndr, Antonio è un volontario alla Scuola della Pace di Cuneo). In Alessio ho visto i tanti ragazzini che vengono alla scuola della Pace, sfrontati, spensierati e purtroppo convinti della loro inadeguatezza per questo mondo. Perché chi viene dalle periferie spesso è convinto di non poter essere adatto a fare nulla, è convinto di diventare un poco di buono; spesso mi sono sentito dire da tanti bambini che tanto loro sarebbero diventati come i padri, alcolizzati, tossicodipendenti, carcerati o incapaci a mantenere la propria famiglia. In Monica invece ho rivisto tante mamme che spesso si fanno carico dell’intera famiglia e rassegnate alla loro condizione tentano di andare avanti a volte vergognandosi perché magari non riescono a dare tutto ciò che i figli desiderano.

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È una realtà della quale dobbiamo ammettere l’esistenza, perché seriamente le periferie stanno diventando dei pozzi, quasi dei ghetti, dove si creano micro-comunità multietniche lasciate a loro stesse, dove non esiste giustizia e singoli e criminalità si fanno «giustizia da sé»; dove spesso non ci sono negozi, punti di incontro e dove tutti hanno paura di tutto e di tutti. Perché accade tutto ciò? Chi vive in periferia impara a  pensare solo a se stesso per sopravvivere; vige la legge del più forte. Il film fa emergere bene il contrasto tra due mondi che purtroppo non si incontrano mai: è un mondo a parte quello delle periferie poiché la politica ci entra solo in campagna elettorale e la «borghesia» raramente entra in questo mondo. Il film ci dimostra di come la «borghesia» e i «periferici» stessi possono cambiare questo mondo e possono abbattere questi muri. Credo che noi Giovani per la Pace con la Comunità di Sant’Egidio possiamo essere quella porta aperta sulle periferie; noi giovani possiamo essere il Giovanni che ha spiegato a Monica come aprire la propria attività con i fondi europei e che ha fatto sì che si mettesse in società con il vicino che veniva dal Bangladesh e che fino a poco prima lo insultava per la cucina troppo profumata. Noi giovani, ma non solo, dobbiamo essere coloro che con l’integrazione, il dialogo e la pace possono dare gli strumenti ai “periferici” per far sì che la periferia sia essa stessa un centro di vita, di cultura e non di sopravvivenza e sopraffazione.

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Qualcuno ci chiamerà idealisti, ma noi Giovani per la Pace crediamo che le periferie si possano cambiare soltanto se le si vive, possiamo cambiarle soltanto se diamo gli strumenti ai loro cittadini.

“Come un gatto in tangenziale” ci fa entrare, comodamente seduti sulle nostre poltrone, in un mondo che spesso non ci appartiene. Il regista Riccardo Milani e gli attori e sceneggiatori Antonio Albanese e Paola Cortellesi, sono stati bravissimi a rappresentare un mondo a noi di Sant’Egidio molto caro e sono stati bravi nel realizzare personaggi in chiave comica senza discreditarli, ma anzi affidando loro un valore e un messaggio morale molto importante.

Mi immagino che uno spettatore che abita al quartiere Parioli a Roma, o Posillipo a Napoli o che vivono in Piazza Duomo a Milano oppure sul Viale degli Angeli a Cuneo, o ad Albaro a Genova (quanti quartieri-bene potremmo elencare!) possano sentirsi chiamati ad uscire dai centri cittadini e venire a conoscere le periferie, troppo ghettizzate e a conoscere chi le abita per provare a cambiarle e renderle più “centrali”. Consiglio il film per le riflessioni che stimola … e anche perché ridere allunga la vita.

Il trailer

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