Davanti a ciascun delitto, offesa, o problema siamo soliti ormai sentire o leggere sui social media la frase:
“E se fosse stato un immigrato?” come a voler dire che c’è ormai il sentire comune da strada che riserva un trattamento diverso tra chi compie qualcosa di turpe ed è italiano e chi, per esempio, non lo è.
C’è quasi l’attesa di scoprire che l’autore del delitto è uno straniero come a volere assolvere dal male a propria comunità di appartenenza.
Il delitto inoltre sembra persino più delittuoso se è stato compiuto dallo straniero.
Da giovane curioso chiedo semplicemente “Perché?” Perché la nazionalità diventa una discriminante, quasi un aggettivo la differenza tra la gogna, il patibolo e l’assoluzione sociale.
Ma sopratutto ricordiamoci sempre che c’è la vittima che soffre.
Il problema è che ci siamo già abituati a gogne mediatiche, a atti di una tristezza immane (non trovo altro modo per definirli) e purtroppo la parte peggiore è proprio quel termine “abituati”, legato a tutto ciò.
Dobbiamo stare attenti perché la nostra sensibilità non sembra essere suscitata più dalla violenza in sé, ma stiamo andando oltre, sindacando sulle modalità o sulla nazionalità di chi ha compiuto quel dato gesto.
Ancora una volta rischiamo di perdere un’occasione per riflettere su come la violenza non sia mai giustificabile e perderci nella discussione sul nulla, analizzando i dettagli insignificanti e perdendo di vista i dati, le statistiche e perfino l’accaduto e con esso le possibili soluzioni.
E se fosse stato un immigrato?
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