“Quando inviti a cena un amico, lo fai sedere nel salotto buono, no?”. Roberta sorride, mentre risponde alla curiosità dei giornalisti che le chiedono il perché di una location tanto prestigiosa, ma in fondo lo sa che la presenza dei giovani rifugiati negli spazi più chic della città sembra stridente, in un tempo che cerca di nascondere la diversità. Eppure sembrava naturale, lo scorso venerdì sera, vedere seduti a tavola gli universitari genovesi e i ragazzi africani ed asiatici in attesa di asilo politico: i giovani di Università Solidale – il movimento che a Genova raccoglie studenti di ogni facoltà, e che fa capo alla Comunità di Sant’Egidio – hanno scelto di realizzare la cena “Welcome refugees” tra i marmi e i velluti del foyer del teatro d’opera Carlo Felice, in piazza De Ferrari, di fronte al palazzo della Regione, accanto alla Prefettura, al Palazzo Ducale, alla Cattedrale. Circa cento giovani rifugiati – che abitano nelle strutture di accoglienza situate dentro un ospedale, su una collina in periferia e nell’ex istituto psichiatrico – sono stati accolti da 150 studenti universitari che hanno cucinato, allestito la tavola, servito la cena. Seduti insieme a tavola, hanno chiacchierato, scherzato e poi ballato scatenati sulle note dei Free Shots, una delle più popolari band swing della città. “È così bello che mi sembra Natale” ha detto con le lacrime agli occhi Franklin, 19 anni, nigeriano, prima di scattare un selfie da far arrivare alla famiglia lontana. “E poi – ha aggiunto – per noi non è scontato stare in mezzo a tanta gente e non sentirci disprezzati da nessuno”. Giulia, che studia Scienze della Formazione ha portato i piatti – un riso con stufato di carne e verdure, speziato “per farlo apprezzare sia dagli africani sia dai bengalesi” – e poi si scatena nella danza. Spiega com’è nata l’iniziativa: “sui social network abbiamo letto tanta volgarità e paura nei confronti dei profughi, per questo ci siamo detti che, noi che ci consideriamo loro amici, non potevamo stare zitti: questa cena è il nostro modo, mite, ma convinto, per dire che non accettiamo una città dura ed inospitale e che non c’è futuro senza l’incontro e l’accoglienza”. Per questo, i ragazzi di Università Solidale moltiplicheranno le occasioni di incontro con i rifugiati e saranno presenti in tutte le facoltà per raccogliere firme per l’appello #savemigrantsaveeurope, a sostegno delle proposte della Comunità di Sant’Egidio sull’accoglienza dei profughi e le politiche di asilo
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DA PARMA! Cambiare le nostre città è possibile partendo da chi è più solo e in difficoltà! #changeyourcity è il motto di noi giovani per la Pace. Per questo abbiamo promosso i GAMES4PEACE: una mattinata di sport per abbattere gli stereotipi e i pregiudizi, superando le barriere linguistiche e culturali. Ieri mattina, ai GAMES4PEACE, le classi IV A e IV B del Liceo Scientifico Sportivo e Musicale Attilio Bertolucci, e i rifugiati ospitati in Seminario Maggiore dalla Caritas, si sono incontrati in un campo da calcio ed hanno giocato la partita dell’amicizia! Prima del fischio di inizio, gli studenti hanno fatto un saluto in tre lingue parlando di accoglienza, speranza ed amicizia. I migranti hanno lanciato un invito: ritrovarsi nuovamente, per continuare a conoscersi.
La foto di Aylan, bambino di Kobane sta sempre più diventando l’immagine del risveglio dei cuori dell’Europa. Sembra quasi volerci comunicare “in guerra si muore e si muore anche fuggendo dalla guerra” muoiono anche i bambini. Ci stiamo chiedendo guardando l’immagine come fermare le guerre? Come accogliere senza morte? E’ fresca nei ricordi l’immagine delle bare arrivate a Catania: Oggi è il momento in cui c’è bisogno di uno sforzo comune, collettivo, personale che si tramuti in sforzo internazionale. Un’immagine è di per sé statica se la gente non si muove attorno ai sentimenti che suscita: un bambino, la sabbia, la morte ed è facile creare resistenze anche alla commozione, all’indignazione, tornare ad abituarci alla morte di tanti Aylan nel mondo, non provare quel sussulto di impegno, quell’orgoglio di essere rifugio! Perchè un rifugiato senza rifugio è un uomo morto, è un bambino senza asilo, è una donna spenta ed il rifugio deve essere come un ventre materno e non cadere in balia delle ondate sociali di simpatia e antipatia. Pensiamoci: All’occhio sociale e mediatico si rincorrono queste due immagini sul migrtante: poco prima il migrante è il problema, poco dopo è risorsa: questa è schizofrenia che va superata. Oggi l’Europa può veramente essere quel rifugio, quella culla che si era immaginata al tramonto della seconda guerra mondiale. Un luogo di serenità per chi scappa dalla guerra che l’Unione è riuscita a cacciare via dai suoi confini. Questo è un merito e al tempo stesso una responsabilità verso il mondo! Tenendo fuori chi scappa dalla guerra, la guerra tornerà dentro i nostri confini e già bussa alla porta con un suono allettante. La nostra responsabilità ce la ricorda il papà di Aylan mentre parla di suo figlio non come un’immagine ma restituendogli carne, rendendolo simbolo e non solo fotografia, parlandone semplicemente come un bambino, che giocava, piangeva, rideva, saltellava e faceva i dispetti. Come un bambino che oggi è vivace nel bussare alle porte dei nostri cuori facendoci riscoprire che ogni tanto è giusto piangere. Bisogna uscire e incontrare, cambiare, protestare, accogliere a mani nude, perchè non fare passare un pensiero aberrante che ci vuole chiusi è la grande battaglia corpo a corpo contro il male di questo tempo. Una battaglia che non si può perdere.
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