Alla premiazione del concorso della Comunità di Sant'Egidio immagini di un mondo diverso, in cui dire no alla guerra e alla solitudine degli anziani
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Majid Alshakarji ha 17 anni e viene dalla Siria. La guerra in Siria perdura ormai da sette lunghi anni. Majid racconta a Giovani per la Pace il suo arrivo in Italia con papa Francesco, i suoi sogni e il film che lo ha visto come protagonista.
Nella clip inedita da "L'Amore senza Motivo", regia di Paolo Mancinelli, un testimone dello sterminio nazista della Shoah incontra Majid, giovane fuggito dalla guerra in Siria
Oggi all’università Roma Tre, il papa ha risposto alle domande di quattro giovani universitari, tra cui una giovane rifugiata siriana giunta in Italia insieme al Santo Padre dopo la sua visita a Lesbo, ed ha indicato alcuni concetti fondamentali per il raggiungimento della pace nel mondo ma anche nella vita di tutti i giorni.
FIRMA QUI Il 22 giugno 2014 Andrea Riccardi ha lanciato un appello alla comunità internazionale per la salvezza della città di Aleppo, in Siria, chiedendo di predisporre corridoi umanitari e rifornimenti per i civili, di trattare a oltranza la fine dei combattimenti e di creare una forza d’interposizione Onu, una sorta di “Aleppo città aperta”. Faccio un appello per Aleppo. Accade qualcosa di terribile. Ma viene ignorato. Oppure si assiste rassegnati. Sono due anni che si combatte ad Aleppo. Nel luglio 2012 è iniziata la battaglia nella città più popolosa della Siria. Eppure i suoi due milioni di abitanti sono rimasti, preservando la millenaria coabitazione fra musulmani e cristiani. La città è segmentata: la maggior parte dei quartieri in mano lealista, ma anche zone controllate dai ribelli, pur arretrati dall’occupazione dell’estate 2012. A loro volta i ribelli sono incalzati da sudovest dalle forze governative. La gente non può uscire dalla città accerchiata dall’opposizione, tra cui fondamentalisti intransigenti e sanguinari. Per i cristiani, uscire dalla zona governativa significa rischiare la vita. Lo sanno bene i due vescovi aleppini, Gregorios Ibrahim e Paul Yazigi, da più di un anno sequestrati. Aleppo è la terza città “cristiana” del mondo arabo, dopo Il Cairo e Beirut: c’erano 300 mila cristiani! Morte da ogni parte. La popolazione soffre. L’aviazione di Assad colpisce con missili e bidoni esplosivi le zone in mano ai ribelli; questi bombardano gli altri quartieri con mortai e razzi artigianali. Si soffre la fame e la mancanza di medicinali. C’è l’orribile ricatto dell’acqua che i gruppi jihadisti tolgono alla città.È una guerra terribile e la morte viene da ogni parte. Passando per tunnel sotterranei, si fanno esplodere palazzi “nemici”. Come sopravvivere? Si deve fermare una strage che dura da due anni. Occorre un intervento internazionale per liberare Aleppo dall’assedio. Ci vuole un soprassalto di responsabilità da parte dei Governi coinvolti: dalla Turchia, schierata con i ribelli, alla Russia, autorevole presso Assad. Salvare Aleppo val più che un’affermazione di parte sul campo! Si debbono predisporre corridoi umanitari e rifornimenti per i civili. E poi si deve trattare a oltranza la fine dei combattimenti. Una forza d’interposizione Onu sarebbe opportuna. Certo richiede tempo per essere realizzata e collaborazione da parte di Damasco. Intanto la gente di Aleppo muore. Bisogna imporre la pace in nome di chi soffre. Una sorta di “Aleppo città aperta”. In tanti, da ogni parte del mondo, di diverse culture e religioni, si stanno unendo alla sua voce. LISTA DEI PRIMI FIRMATARI Aderisci anche tu: Desidero sottoscrivere l’appello “Salviamo Aleppo” FIRMA QUI
La storia siamo noi” cantava De Gregori. E aggiungeva “nessuno si senta escluso!”. Ogni piccolo passo, ogni piccolo segno, ogni piccola azione contribuisce a creare effetti molto più grandi di quelli che crediamo possibili realizzare. La storia siamo noi non perché tutti siano chiamati a compiere grandi imprese, ma perché ogni piccola azione è essa stessa una grande impresa. Al netto della filosofia, noi non siamo ciò che ci capita, siamo esclusivamente ciò che scegliamo di diventare. Con fatica e coraggio. E ciò che abbiamo scelto di diventare è, tristemente, una massa di persone scarsamente informate, saccenti e supponenti, che ignorano ciò che accade al di là delle proprie mura di casa. Voglio portare un esempio concreto. Giorni fa è stato decapitato Khaled al-Asaad, direttore e custode delle rovine di Palmira. Ciò che è rimasto sono un paio di lenti quadrate, cerchiate di nero. Gli occhiali di Khaled. Gli occhiali sono tutto, hanno un significato immenso. Sono lo studio di un uomo, la fatica sulle carte, sui documenti, sui reperti. Una metafora, se vogliamo. La lente della cultura che ci consente di vedere meglio dentro l’anima del mondo, dentro la sua storia, dentro le sue tracce. Il resto è solo dolore. Il corpo decapitato, appeso a un palo della luce in una piazza della città siriana conquistata lo scorso Maggio dalle bande nere dell’ISIS. La testa riposta nella polvere, ai piedi del corpo, con gli occhiali ancora indosso. Per sfregio? Per caso? Come se quella cultura, quella forza e quella fatica sia voluta rimanere attaccata all’uomo che era e non è più. O forse solo perché Asaad dopo 50 anni trascorsi ad accudire, custodire, proteggere, elevare la bellezza della storia, dell’arte, della cultura di Palmira, è un martire di una guerra molto più grande di lui, come uomo. La distruzione dell’arte, della storia, della cultura è solo la negazione di tutto ciò che l’uomo ha potuto costruire quando ha tentato di elevarsi. Non ha nulla di nobile. Non ha nulla di religioso. Di ispirato. Di giusto. Così come i terroristi che hanno compiuto ciò. Che riposi in pace un altro uomo e la sua storia sia d’esempio per tutti noi. Di Simone dei Pieri
Ogni luogo che trasuda di storia e di preghiera è un luogo sacro. In molte culture anche distruggere ciò che contiene un rimando alla preghiera, alla storia del proprio popolo e di altri popoli, al nome di Dio è gravissimo. Mar Elian ha raccolto lacrime di gioia, di disperazione, preghiere, richieste e invocazioni di chi l’ha eretta, dei suoi pellegrini, di chi ad Homs chiedeva scampo, protezione e salvezza dalla guerra. Un luogo ed un impastato tra storia antica e preghiera contemporanea, quotidiana. E la sacralità della memoria è violentata non solo nei suoi edifici storici ma anche nel monumento per eccellenza, la vita. Genera sgomento insieme a questo anche l’astuzia diabolica di cancellare la memoria là dove essa è forse più al sicuro da colpi di pistola e mortai: nel cuore degli uomini. In particolare nel cuore, nella mente e nella mani di Khaled al-Asaad, ucciso a Palmira tre giorni fa. Questo assalto alla memoria, che viaggia nello spirito, ha qualcosa di diabolico perché è la scelta precisa di recidere ogni legame anche spirituale con la Storia: quella che conosciamo perché presente in noi da racconti lontani, anch’essi sacri. In Siria si continua a morire. Uomini e donne distrutti come monumenti da chi profanatore di vita e sacralità con occhi stolti vede merce e carne da macello, pietre e sabbia. Radere al suolo luoghi sacri come Mar Elian è una bestemmia a Dio e alla Storia e all’uomo. Capire questi luoghi trasudanti storia e preghiera (un po’ come Deir Mar Musa con Paolo Dall’Oglio – per il quale non smettiamo mai di chiedere la liberazione), le storie che hanno attraversato per secoli queste terre nel silenzio, senza mai calpestare arrogantemente, insieme grido, alla lotta e alla preghiera perché in queste terre sia scacciato il demone della guerra è necessario. Correremo altrimenti il rischio di aver riportato la calma – che non ha bisogno di memoria e ricordo – ma non la pace che è salvezza per le vite e della memoria che esse custodiscono.
Un’immagine. Una fotografia semplice a fine giornata. E’ una foto di un bambino, in bianco e nero. Sembra essere ferito. Sotto una frase. “Lo dirò a Dio”. Altri blog e giornali riportano la frase per intero: “Dirò cosa mi hanno fatto a Dio, Gli dirò tutto”. Commentando con un amico dicevo che non è facile. Spesso “scorri” tra tante immagini e notizie, brutte, orribili, strazianti. Ma scorri. Continui a passare oltre perché lo scorrere del pollice dal basso verso l’alto elimina dalla visuale una notizia e ne mette un’altra che non si sa qual è ma è pur sempre diversa. Questa volta però, è una frase. Non è un’altra immagine, non è la comunicazione per immagini che mi colpisce. E’ la frase, chi l’ha pronunciata, dove è stata detta questa frase e perché. La frase, e la ripropongo nuovamente è: “Dirò cosa mi hanno fatto a Dio, Gli dirò tutto”. La dice una bambino, secondo blog e agenzie, di 3 o 4 anni – voglio scusarmi in anticipo ma nell’oceano di notizie è difficile ricostruire la verità. La dice in Siria un bambino prima di morire dopo aver subito delle atrocità – e che sia vero o no un bambino che subisce una guerra, subisce un’atrocità. Un bambino, in un paese in guerra, solo, promette di dire a Dio che il Male egli uomini gli ha fatto qualcosa di brutto; che la guerra gli ha fatto qualcosa di ingiusto; che la violenza gli ha tolto tutto, finanche la vita. Quante volte la stessa identica successione di parole, diverse solo per l’autorità (Papà/Mamma/maestro/insegnante/fratello maggiore) a cui ci si rivolge, abbiamo ripetuto tutti noi. Quante volte ci ha consolati l’idea non di un vendicatore ma di un uomo o una donna saggi, che vedono dall’alto, in nostro soccorso e capaci non di offrirci la vittoria ma di ristabilire la giustizia ? Quante volte ci ha consolati questa idea, possibilità, soluzione ? I bambini ovunque vi è la guerra non hanno questa possibilità di speranza in un adulto, in un’autorità in grado d ristabilire la giustizia. L’Onu oggi denuncia gli orrori subiti dai bambini per mano dell’Is. Non scriverò su questo, basterà leggere quanto si dice per restare sgomenti. Vorrei trasmettere l’inquietudine che provo davanti a questa affermazione: “dirò tutto a Dio”. Forse non sarà vera questa notizia. Non c’è certezza sulla veridicità della notizia, risalente ad agosto dello scorso anno, ma è un pensiero sicuramente passato per la mente di un qualsiasi bambino in Siria, fosse anche per un secondo. Posto questo allora io spero. Io spero che quel bambino; quei bambini; quelle preghiere di quanti tornano a sentirsi bambini davanti all’orrore di un male così abominevole possano vedere o raggiungere Dio e dirgli cosa è stato fatto loro. E’ una preghiera, è una richiesta, è una supplica davanti ad un male che sfinisce. “Lo dirò a Dio”, questo basta a non rendere preghiera e speranza inutili. A qualcuno ancora in un mondo silente e sordo davanti alla guerra, è possibile...
Papa Francesco: “La pace è un bene che supera ogni barriera”. Preghiera e digiuno per la Siria, 7 Settembre 2013
Alessandro IannamorelliRiportiamo l’Angelus di Papa Francesco del 1° settembre 2013. “Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Quest’oggi, cari fratelli e sorelle, vorrei farmi interprete del grido che sale da ogni parte della terra, da ogni popolo, dal cuore di ognuno, dall’unica grande famiglia che è l’umanità, con angoscia crescente: è il grido della pace! E’ il grido che dice con forza: vogliamo un mondo di pace, vogliamo essere uomini e donne di pace, vogliamo che in questa nostra società, dilaniata da divisioni e da conflitti, scoppi la pace; mai più la guerra! Mai più la guerra! La pace è un dono troppo prezioso, che deve essere promosso e tutelato. Vivo con particolare sofferenza e preoccupazione le tante situazioni di conflitto che ci sono in questa nostra terra, ma, in questi giorni, il mio cuore è profondamente ferito da quello che sta accadendo in Siria e angosciato per i drammatici sviluppi che si prospettano. Rivolgo un forte Appello per la pace, un Appello che nasce dall’intimo di me stesso! Quanta sofferenza, quanta devastazione, quanto dolore ha portato e porta l’uso delle armi in quel martoriato Paese, specialmente tra la popolazione civile e inerme! Pensiamo: quanti bambini non potranno vedere la luce del futuro! Con particolare fermezza condanno l’uso delle armi chimiche! Vi dico che ho ancora fisse nella mente e nel cuore le terribili immagini dei giorni scorsi! C’è un giudizio di Dio e anche un giudizio della storia sulle nostre azioni a cui non si può sfuggire! Non è mai l’uso della violenza che porta alla pace. Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza! Con tutta la mia forza, chiedo alle parti in conflitto di ascoltare la voce della propria coscienza, di non chiudersi nei propri interessi, ma di guardare all’altro come ad un fratello e di intraprendere con coraggio e con decisione la via dell’incontro e del negoziato, superando la cieca contrapposizione. Con altrettanta forza esorto anche la Comunità Internazionale a fare ogni sforzo per promuovere, senza ulteriore indugio, iniziative chiare per la pace in quella Nazione, basate sul dialogo e sul negoziato, per il bene dell’intera popolazione siriana. Non sia risparmiato alcuno sforzo per garantire assistenza umanitaria a chi è colpito da questo terribile conflitto, in particolare agli sfollati nel Paese e ai numerosi profughi nei Paesi vicini. Agli operatori umanitari, impegnati ad alleviare le sofferenze della popolazione, sia assicurata la possibilità di prestare il necessario aiuto. Che cosa possiamo fare noi per la pace nel mondo? Come diceva Papa Giovanni: a tutti spetta il compito di ricomporre i rapporti di convivenza nella giustizia e nell’amore (cfr Lett. enc.Pacem in terris : AAS 55 , 301-302). Una catena di impegno per la pace unisca tutti gli uomini e le donne di buona volontà! E’ un forte e pressante invito che rivolgo all’intera Chiesa Cattolica, ma che estendo a tutti i cristiani di altre Confessioni, agli uomini e donne di ogni Religione e anche a quei fratelli e sorelle che non credono: la pace è un bene che supera ogni
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