Il nuovo progetto artistico dell’artista cinese Liu Bolin (prodotto dalla galleria di Verona Box Art) che ha voluto lanciare un messaggio di accoglienza e integrazione, ha coinvolto la Comunità di Sant’Egidio e i giovani per la Pace di Mineo, dando vita ad un insieme bellissimo di arte e integrazione! Si può dire che i Giovani per la pace che hanno posato per gli scatti dell’artista cinese siano diventati una vera e propria opera d’arte! Ecco un articolo di Francesca Pini su SETTE, settimanale del Corriere della Sera, che racconta le emozionanti giornate passate nei luoghi simbolo dell’accoglienza in Sicilia tra vernice, sorrisi e amicizia. LEGGI QUI A Breve sul nostro blog le emozionanti foto!
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Andrea Riccardi commenta le parole del Segretario Generale Ban Ki Moon: “Ho visto il popolo della speranza. [VIDEO]
RedazioneAndrea Riccardi: Io sono rimasto molto colpito dall’umanità del Segretario Generale. Questa parola molto bella che ha detto: “Ho visto il popolo della speranza”. Ma qual era il popolo della speranza? Un popolo di rifugiati, un popolo di persone che hanno traversato il Mediterraneo, che hanno avuto delle storie molto dure. Questo, secondo me, è stato molto interessante, la capacità del Segretario Generale di ascoltare le storie e di dire che non bisogna fermarsi.
“Quando inviti a cena un amico, lo fai sedere nel salotto buono, no?”. Roberta sorride, mentre risponde alla curiosità dei giornalisti che le chiedono il perché di una location tanto prestigiosa, ma in fondo lo sa che la presenza dei giovani rifugiati negli spazi più chic della città sembra stridente, in un tempo che cerca di nascondere la diversità. Eppure sembrava naturale, lo scorso venerdì sera, vedere seduti a tavola gli universitari genovesi e i ragazzi africani ed asiatici in attesa di asilo politico: i giovani di Università Solidale – il movimento che a Genova raccoglie studenti di ogni facoltà, e che fa capo alla Comunità di Sant’Egidio – hanno scelto di realizzare la cena “Welcome refugees” tra i marmi e i velluti del foyer del teatro d’opera Carlo Felice, in piazza De Ferrari, di fronte al palazzo della Regione, accanto alla Prefettura, al Palazzo Ducale, alla Cattedrale. Circa cento giovani rifugiati – che abitano nelle strutture di accoglienza situate dentro un ospedale, su una collina in periferia e nell’ex istituto psichiatrico – sono stati accolti da 150 studenti universitari che hanno cucinato, allestito la tavola, servito la cena. Seduti insieme a tavola, hanno chiacchierato, scherzato e poi ballato scatenati sulle note dei Free Shots, una delle più popolari band swing della città. “È così bello che mi sembra Natale” ha detto con le lacrime agli occhi Franklin, 19 anni, nigeriano, prima di scattare un selfie da far arrivare alla famiglia lontana. “E poi – ha aggiunto – per noi non è scontato stare in mezzo a tanta gente e non sentirci disprezzati da nessuno”. Giulia, che studia Scienze della Formazione ha portato i piatti – un riso con stufato di carne e verdure, speziato “per farlo apprezzare sia dagli africani sia dai bengalesi” – e poi si scatena nella danza. Spiega com’è nata l’iniziativa: “sui social network abbiamo letto tanta volgarità e paura nei confronti dei profughi, per questo ci siamo detti che, noi che ci consideriamo loro amici, non potevamo stare zitti: questa cena è il nostro modo, mite, ma convinto, per dire che non accettiamo una città dura ed inospitale e che non c’è futuro senza l’incontro e l’accoglienza”. Per questo, i ragazzi di Università Solidale moltiplicheranno le occasioni di incontro con i rifugiati e saranno presenti in tutte le facoltà per raccogliere firme per l’appello #savemigrantsaveeurope, a sostegno delle proposte della Comunità di Sant’Egidio sull’accoglienza dei profughi e le politiche di asilo
DA PARMA! Cambiare le nostre città è possibile partendo da chi è più solo e in difficoltà! #changeyourcity è il motto di noi giovani per la Pace. Per questo abbiamo promosso i GAMES4PEACE: una mattinata di sport per abbattere gli stereotipi e i pregiudizi, superando le barriere linguistiche e culturali. Ieri mattina, ai GAMES4PEACE, le classi IV A e IV B del Liceo Scientifico Sportivo e Musicale Attilio Bertolucci, e i rifugiati ospitati in Seminario Maggiore dalla Caritas, si sono incontrati in un campo da calcio ed hanno giocato la partita dell’amicizia! Prima del fischio di inizio, gli studenti hanno fatto un saluto in tre lingue parlando di accoglienza, speranza ed amicizia. I migranti hanno lanciato un invito: ritrovarsi nuovamente, per continuare a conoscersi.
Oggi Padova è spesso considerata una città che non accoglie e che abbandona a loro stessi i migranti che “sbarcano” nel nostro paese. Siamo continuamente bombardati da notizie, leggi, eventi che ci riconducono ad un disprezzo verso i nuovi arrivati; vietare agli adulti non accompagnati da bambini di accedere al parco Cavalleggeri che si trova accanto ad una casa di accoglienza di 500 migranti è quasi una violenza. Ma noi Giovani per la Pace della Comunità di Sant’Egidio vogliamo dire no! Poco più di un mese fa abbiamo avuto il piacere di conoscere il volto di una città accogliente, che aiuta, ama e protegge tutti, soprattutto i più poveri. Quest’estate, infatti, abbiamo partecipato alla #3giornisenzafrontiere di Catania, esperienza che ci ha permesso di imparare cosa vuol dire conoscere le persone sconfiggendo i pregiudizi! Ecco allora che abbiamo deciso di lanciare una proposta senza confini: Games4peace! In una giornata molto importante, il 4 ottobre, vogliamo divertirci, cancellare gli stereotipi, abbattere le barriere…o almeno provarci. Ci troveremo alle 11 alla Chiesa dell’Immacolata per la Messa e poi tutti insieme, giovani italiani e giovani migranti per un pomeriggio di giochi e divertimento ai campi sportivi di Ognissanti. Non è un caso che la nostra iniziativa si collochi il 4 ottobre. In questo giorno infatti ricordiamo San Francesco d’Assisi, un giovane che ha abbandonato tutto per stare con i poveri, un giovane che non aveva paura di andare controcorrente, un giovane da cui il grande Papa Bergoglio ha preso il nome. Ma questa data è significativa anche perchè il 3 ottobre 2013 sono morte più di 350 persone durante il naufragio di Lampedusa. Davanti a questo fatto rimaniamo sempre a bocca aperta e non sappiamo cosa fare, come aiutare o, addirittura, non vogliamo farlo. Noi abbiamo pensato ad una giornata speciale durante la quale ricordare le vittime e dare speranza a chi è arrivato fino a qui. Noi abbiamo un sogno e lo stiamo inseguendo! Rimbocchiamoci le maniche, adesso tocca a noi!
Domenica è stata una giornata di festa per noi gxp di Trieste. Abbiamo organizzato un pranzo con gli amici della scuola di italiano, in occasione di alcuni compleanni e di due belle novità. In sede c’era un’atmosfera magica tipica del pranzo in famiglia: il buon profumo del cibo cucinato in una grande pentola, una tavola lunga per farci stare tutti, le sorprese nascoste per i festeggiati, noi che correvano per le scale il più veloce possibile per riabbracciarci. A tavola ci siamo raccontati le cose successe nelle ultime settimane, brindato e festeggiato la vita, ci siamo commossi della grande fortuna che abbiamo avuto nel conoscerci. Al momento dei regali Cosimo, uno dei maestri della scuola di lingua e cultura italiana, nel ringraziare per l’inaspettata festa di compleanno a sorpresa, si è emozionato e ci ha detto:”Alla scuola non insegno solo, ma ho trovato in voi degli amici, nei miei studenti delle persone speciali che non dimenticherò mai!”. Sony e Muhammad, due nuovi europei, hanno voluto comunicare alla loro famiglia italiana il buon esito della loro richiesta di asilo. (Davvero avevamo degli ottimi motivi per far festa!) Con gli occhi pieni di gioia ci hanno raccontato del momento in cui hanno ricevuto la notizia che potevano rimanere in Italia; hanno ballato e abbracciato un poliziotto in questura. Sony al termine del pranzo ci ha detto: “sono molto contento, oggi è come se stessi ballando dentro. Voi amici mi avete aiutato tantissimo, oggi qui mi sento in famiglia”. Per tutti noi questo pranzo è stato un grande dono, si vedeva sui nostri volti la gioia di stare insieme, di condividere sentimenti e felicità, le emozioni provate, non solo un pasto.Noi gxp facciamo parte di una grande famiglia formata da persone di età diverse, provenienti da paesi diversi che aiutano i loro fratelli nei momenti difficili e festeggiano le belle notizie tutti insieme. Andiamo oltre il colore della pelle, non abbiamo paura di amare.#changeyourcity è anche questo! fare festa insieme. Gli amici pachistani, prima di andare via, hanno scritto sulla lavagna ”thanks italian people”, questo è stato il regalo più bello, la dimostrazione che stiamo costruendo un’amicizia, abbattendo barriere e lottando tutti insieme per cambiare la società. #changeyourcity non è solo uno slogan, ma quanto facciamo insieme, nuovi europei ed italiani, volendoci bene e vivendo ogni giorno piccoli ma importanti momenti come un pranzo domenicale in famiglia! Che cos’è la felicità? La felicità è qualcosa che costruiamo giorno dopo giorno, attraverso i sorrisi dei nostri amici aiutando le persone quando hanno bisogno, volendo il bene delle persone che amiamo. Per essere felici non servono oggetti preziosi ma le persone speciali che incontriamo nella nostra vita.
“Non c’è posto” è una frase antica, è una frase estremamente popolare. Da duemila anni a questa parte è il modo di chiamarsi fuori, sentendosi anche un po’ giustificati: perché mica è colpa mia se non c’è abbastanza spazio, perché non ci posso fare niente se non c’è posto per te, perché abbiamo accolto tanti ma tu e la tua famiglia siete fuori quota, quindi restate pure dall’altra parte del confine. Non c’è posto è il modo di chiudere il cancelletto del proprio giardino, guardare alla propria erba curata (o meno) e credere che il mondo sia tutto lì. Non c’è posto è la paura di confrontarsi con le difficoltà che accompagnano sempre l’incontro con l’altro, ma che rinunciano alla bellezza che esso porta. Con i Giovani per la Pace invece abbiamo scoperto che accogliere chi bussa alle nostre porte non è solo necessario ma è bello! È bello perché arricchisce, allarga lo sguardo ma soprattutto è bello perché è bello stare insieme. È per questo che noi vogliamo dire che c’è posto, c’è posto anche per te! E vogliamo dirlo insieme italiani e stranieri, nati in Italia e non, vogliamo dire che c’è posto per la diversità, c’è posto per l’amicizia, c’è posto per chi scappa dalla guerra. Partecipa anche tu alla campagna usando l’hashtag #cepostoancheperte!
La foto di Aylan, bambino di Kobane sta sempre più diventando l’immagine del risveglio dei cuori dell’Europa. Sembra quasi volerci comunicare “in guerra si muore e si muore anche fuggendo dalla guerra” muoiono anche i bambini. Ci stiamo chiedendo guardando l’immagine come fermare le guerre? Come accogliere senza morte? E’ fresca nei ricordi l’immagine delle bare arrivate a Catania: Oggi è il momento in cui c’è bisogno di uno sforzo comune, collettivo, personale che si tramuti in sforzo internazionale. Un’immagine è di per sé statica se la gente non si muove attorno ai sentimenti che suscita: un bambino, la sabbia, la morte ed è facile creare resistenze anche alla commozione, all’indignazione, tornare ad abituarci alla morte di tanti Aylan nel mondo, non provare quel sussulto di impegno, quell’orgoglio di essere rifugio! Perchè un rifugiato senza rifugio è un uomo morto, è un bambino senza asilo, è una donna spenta ed il rifugio deve essere come un ventre materno e non cadere in balia delle ondate sociali di simpatia e antipatia. Pensiamoci: All’occhio sociale e mediatico si rincorrono queste due immagini sul migrtante: poco prima il migrante è il problema, poco dopo è risorsa: questa è schizofrenia che va superata. Oggi l’Europa può veramente essere quel rifugio, quella culla che si era immaginata al tramonto della seconda guerra mondiale. Un luogo di serenità per chi scappa dalla guerra che l’Unione è riuscita a cacciare via dai suoi confini. Questo è un merito e al tempo stesso una responsabilità verso il mondo! Tenendo fuori chi scappa dalla guerra, la guerra tornerà dentro i nostri confini e già bussa alla porta con un suono allettante. La nostra responsabilità ce la ricorda il papà di Aylan mentre parla di suo figlio non come un’immagine ma restituendogli carne, rendendolo simbolo e non solo fotografia, parlandone semplicemente come un bambino, che giocava, piangeva, rideva, saltellava e faceva i dispetti. Come un bambino che oggi è vivace nel bussare alle porte dei nostri cuori facendoci riscoprire che ogni tanto è giusto piangere. Bisogna uscire e incontrare, cambiare, protestare, accogliere a mani nude, perchè non fare passare un pensiero aberrante che ci vuole chiusi è la grande battaglia corpo a corpo contro il male di questo tempo. Una battaglia che non si può perdere.
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