Il film, ambientato nel 1841, racconta la storia vera di Solomon Northup, uomo libero di Saratoga (New York), rapito, privato della sua identità e trasformato in uno schiavo per dodici anni, passati per la maggior parte nella piantagione del “padrone Epps” (Michael Fassbender – Bastardi senza gloria, X-Men – l’inizio, Prometheus, The counselor) Vincitore di tre premi Oscar, meritatissimi, come miglior film, miglior sceneggiatura non originale (John Ridley) e miglior attrice non protagonista (Lupita Nyong’o alias Patsey), il film è uscito nelle sale a fine febbraio e si è inserito in un filone di film americani che hanno trattato in modo molto diverso lo stesso tema: la schiavitù. Gli indimenticabili predecessori – davvero se non li avete visti rimediate immediatamente! – sono Lincoln (2012 – Steven Spielberg), che racconta le ultime fasi della guerra di secessione americana e particolarmente della lotta per l’approvazione del XIII emendamento della Costituzione (che abolì definitivamente la schiavitù), e Django Unchained (2012 – Quentin Tarantino), omaggio all’omonimo del 1966 di Sergio Corbucci, che racconta invece la storia di Django, schiavo liberato da un cacciatore di taglie (il Dr. Schulz) per riconoscere i fratelli Brittle (ricercati), che diventa cacciatore di taglie al fianco del suo liberatore, con l’obiettivo ultimo di ritrovare la moglie, Broomhilda. I tre film sono profondamente diversi, ma il confronto viene naturale. 12 anni schiavo condivide con Lincoln la storicità e veridicità della storia narrata, tratta dalle stesse memorie di Solomon Northup, ma il collegamento con Django Unchained è più diretto e il paragone è più immediato. Entrambi narrano la storia di due uomini – due nigger – eccezionali: nel film di Tarantino, Django viene definito “un negro come ce ne sono uno su un milione” e Solomon Northup si fa notare dai propri padroni – sempre con conseguenze infauste – proprio grazie alle sue capacità, frutto di una vita come lavoratore libero, prima, e artista, poi. Entrambe le pellicole raccontano di due uomini che non accettano la loro condizione di schiavi, ma nei due casi le reazioni sono diverse: Solomon prova subito su di sé le conseguenze del cercare di dire la verità, quindi si rassegna a imbracciare le armi della pazienza; al contrario, Django imbraccia armi affatto metaforiche per salvare la sua Broomhilda. La differenza fondamentale tra i due film sta nel tipo di pellicola che i due registi hanno voluto produrre: le violenze del film di Tarantino, per quanto maggiori da un punto di vista quantitativo, sono così splatter da non riuscire mai a impressionarmi, la finzione in Django viene sbattuta e agitata davanti allo spettatore, tanto che è impossibile dimenticarsi che si sta guardando un film; quando si guarda 12 anni schiavo, invece, è impossibile dimenticarsi che quella rappresentata è una storia vera e la violenza quantitativamente minore, meno spettacolarizzata e più spoglia, giunge allo spettatore come uno schiaffo, di quelli dati bene. Steve McQueen non si preoccupa che il suo spettatore si ricordi che sta guardando un film, una fiction: ti sbatte in faccia la Storia a...
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La mancia è un premio, un riconoscimento per ciò che si è fatto e come lo si è fatto. Infatti le mance vengono lasciate dopo aver ricevuto un servizio, non prima. Sono un invito a “fare sempre così, anzi, meglio”. In ogni paese ci sono consuetudini, e in certi casi addirittura regole diverse: http://it.wikipedia.org/wiki/Mancia. Nel dubbio sono sempre validi il galateo ed il buon senso. Persino Batman ha ricevuto una mancia! (Dal min. 2:35 al min. 2:50) L’entità delle mance, come riportato nella puntata di Ballarò del 18 febbraio scorso è un termometro indicativo della crisi economica. Come dichiara un cameriere “ai tempi della dolce vita ci si viveva con le mance”. Come osserva la iena Mr Pink, nel film “Le Iene” di Quentin Tarantino: “le cameriere al bar non fanno altro che il loro lavoro. Allora perché lasciare una mancia? E soprattutto perché ci sono dei fortunati che la società considera degni di mancia?” Il quesito sollevato da Mr. Pink, condivisibile, o no che sia, spiana la strada per molte considerazioni: ad esempio io non sono affatto contrario alle mance, ma non capisco perché nella nostra società si lascia una mancia ai tassisti, ma non agli ambulanzieri! Forse perché si percepisce il valore della gratuità. Esiste per caso qualcosa di più appagante di un GRAZIE sincero scandito ad alta voce e accompagnato da un bel sorriso? Per alcuni forse si, potrà sembrare addirittura un ossimoro parlare di “valore” della “gratuità”, ma si tratta di una realtà ben radicata nella nostra società: si vedano le onlus, le fondazioni, le associazioni, le comunità, i movimenti e tutte le iniziative che orbitano attorno al mondo del volontariato. È bello ricordare che gratuito e gratitudine derivano dalla stessa radice. Em.Me.
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