Oggi all’università Roma Tre, il papa ha risposto alle domande di quattro giovani universitari, tra cui una giovane rifugiata siriana giunta in Italia insieme al Santo Padre dopo la sua visita a Lesbo, ed ha indicato alcuni concetti fondamentali per il raggiungimento della pace nel mondo ma anche nella vita di tutti i giorni.
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Una nostra lettrice, dopo aver letto il post di Simone dei Pieri, ha voluto inviarci questi suoi pensieri. Li pubblichiamo volentieri. Il Razzismo continua ad essere un grande problema anche ai nostri giorni; un problema purtroppo diffuso anche tra i giovani. Ma perché esiste il razzismo? Forse in molti ci siamo posti questa domanda a cui non è semplice rispondere. Sono certa che riflettendo in maniera lucida e serena, anche quelli con più pregiudizi, non troverebbero nessun motivo razionale che lo giustifichi. Il vero problema è la mancanza di accettazione verso le diversità, che siano il sesso, il colore o ”la razza”. La mia ipotesi è che spesso le diversità ci spaventano e la paura ci paralizza il cuore. Perché fondamentalmente siamo deboli e non sappiamo confrontarci con gli altri. Io da poco tempo ho iniziato a frequentare i Giovani per la Pace; sono molto contenta di questo perché ho trovato un luogo dove ci sono ragazzi che, come me, non vogliono far vincere la paura. Allora v’invito a non aver timore e non ascoltare più le leggende metropolitane che girano su chi sembra essere diverso da noi. Piuttosto riflettiamo e informiamoci sulle diverse realtà, confrontiamoci con il prossimo e cogliamo tutte le occasioni per accrescere la nostra cultura e per iniziare a ragionare con la nostra testa senza essere conformisti. Vedremo la realtà con altri occhi e impareremo a metterci nei panni degli altri. Ad esempio scopriremo che quelle bancarelle di uomini provenienti da altri paesi, che vendono bracciali, anelli, cinte, cappelli, borse, ecc… (E tutto a prezzi bassissimi!), non sono il vero problema della nostra città! Ho conosciuto un uomo che proviene dal Bangladesh e vende cover per cellulari che in base alle decorazioni costano dai 3 ai 7 euro. Lui sta tutti i giorni dalla mattina alla sera – tranne la domenica – con la sua bancarella su un marciapiede di periferia a cercar di vendere i suoi prodotti, per tornar a casa dalla sua famiglia potendo portare qualcosa da mangiare. Se poi nella vostra nazione scoppiasse una guerra e doveste migrare in un paese dove vi discriminano e non vi accettano cosa fareste? Come vi sentireste? Io in questa situazione mi sentirei perduta e triste perché non saprei su cosa o su chi fare affidamento. Sento l’urgenza di iniziare a fare alcuni passi. Ad, esempio cambiare il modo di parlare. Perché le parole sono importanti. Spesso si sente parlare del fenomeno migratorio come la “TRAGICA ESPERIENZA DELL’EMIGRAZIONE”. Credo sia necessario fare un piccolo sforzo mentale per capire quando associare più l’aggettivo ”TRAGICA” all’esperienza di essere immigrati; dove è scritto che andare in un altro paese per salvarsi la vita, trovare un futuro migliore e da mangiare per sé e per i propri figli debba essere “TRAGICO”? La tragedia sta nella non-accoglienza, nella non-accettazione, nel pregiudizio e nella discriminazione. Sono tragiche le guerre e la povertà da cui si fugge. Non è tragica l’immigrazione di per sé. Nel senso che forse la tragedia è per chi...
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