Ora un luogo trasformato dall'accoglienza dal quale i Giovani per la Pace lanciano il loro appello
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La cultura cinese a Milano, insieme agli amici dell'Istituto Confucio dell'Università Cattolica del Sacro Cuore
In questi giorni di grande gelo, molti di noi sono stati a casa sotto le coperte, ma molte sono le persone che invece, vivendo per strada, senza casa né coperte, stanno soffrendo il freddo e rischiando la vita
Questa installazione ha creato non poche critiche. I cittadini sono divisi: c'è chi dice che l'installazione di verde pubblico può aiutare a respirare la città italiana con il più alto tasso di inquinamento, altri invece che sostengono che quel tipo di piante vada a rovinare lo stile gotico della piazza.
A Milano c’è stata una serata speciale: l’Iftar tra musulmani, cristiani ed ebrei, invitati dalla Comunità di Sant’ Egidio. L’Iftar è la cena che i musulmani consumano dopo il tramonto durante il mese di Ramadan. Il Ramadan è un mese importante in cui i seguaci dell’Islam si astengono da bere e mangiare dall’alba al tramonto. Dopo la preghiera serale, si rompe il digiuno bevendo latte e mangiando un dattero; infine si consuma la cena. Questa volta, però, i musulmani non hanno pregato da soli: nella chiesa a fianco i cristiani delle diverse chiese hanno fatto in contemporanea la loro preghiera. Ha commentato Mahmoud Asfa della Casa della cultura islamica di via Padova: “Quant’è bello pregare con gli amici! È un’esperienza straordinaria che ci fa crescere, per questo ringrazio i fratelli cristiani che ci invitano a rompere il digiuno a casa loro». È stata per tutti un momento familiare: si è pregato gli uni accanto agli altri, ognuno secondo la propria tradizione. Poi tutti a cena, da amici. Chi c’era? I rappresentanti delle diverse comunità islamiche di Milano ma anche singoli: da Sami, giovane kosovaro che aveva appena finito il suo lavoro come giardiniere, ai giovani ragazzi curdi; hanno portato la loro testimonianza anche alcuni profughi siriani e alcuni giovani musulmani di seconda generazione. C’erano anche alcuni rappresentanti della Comunità ebraica di Milano. In fondo è questo il nostro sogno: una città dove cadano le barriere e si possa dire che convivere è possibile! Di Elisabetta D’Agostino
La storia dei rom di via Rubattino è stata l’avventura di incontro, solidarietà e amicizia che nasce dai bambini rom, alunni come tanti altri, e dagli sforzi dei loro genitori per mandarli a scuola. Rubattino è uno stradone alla periferia est di Milano, piena di fabbriche abbandonate. Qui, tra il 2008 e il 2009, si forma un campo di enormi dimensioni (più di 350 persone). I giovani della Comunità iscrivono 36 bambini rom nelle scuole del quartiere: all’inizio la diffidenza è tanta. Poi grazie al lavoro culturale che la Comunità ha svolto nel quartiere, per tanti residenti i rom non sono più “gli zingari”, una categoria infida e minacciosa, ma sono diventati “il mio alunno”, “il compagno di classe di mia figlia”. I rom sono Vadar, Flora, Madalina, Garofita: per la prima volta avevano un nome.Nel 2009 c’è l’ennesimo sgombero senza grandi alternative ma il quartiere reagisce in maniera inaspettata: insegnanti e genitori dei compagni di classe protestano per l’assenza di alternative e l’interruzione della scuola. Molte persone aprono le porte di casa per dare ospitalità alle famiglie rom, centinaia di cittadini si mobilitano per raccogliere coperte e pasti caldi. Dopo 6 anni questo “contagio di solidarietà” ha portato più di 200 rom a trovare una casa, un contratto di lavoro e a mandare con regolarità i figli a scuola. La storia più bella è quella della famiglia di Georgel, 11 anni, con tanti sgomberi alle spalle: hanno accolto in casa la signora Anna, la loro vicina anziana, quando è stata sfrattata. Georgel ha spiegato così: “È come una catena: noi rom di Sant’Egidio siamo stati aiutati dalla Comunità ad andare a scuola, conoscere il mondo, vivere in casa e non per strada. Adesso anche noi possiamo aiutare altri”. di Elisabetta D’Agostino
A partire da inizio settembre a Milano hanno iniziato ad arrivare consistenti gruppi di profughi in fuga dal conflitto che infuria attualmente in Siria. Milano, tuttavia, non sembrava essere la destinazione finale, ma solo una città di passaggio per raggiungere la vera meta: l’ Europa del Nord. Poiché le autorità inizialmente non si erano accorte dell’urgenza della situazione e non avevano adottato alcuna misura, gruppi di giovani con la Comunità di Sant’Egidio si sono recati in stazione centrale. L’allarme era arrivato dall’associazione dei “Giovani Musulmani”, ragazzi e ragazze di seconda generazione che già da settembre incontravano i profughi in stazione e li proteggevano da coloro che tentavano di approfittarsi della loro disperazione. Le famiglie dormivano per terra sui mezzanini della stazione e il loro bisogno di partire li portava persino a risparmiare sul cibo. Studenti del liceo classico Carducci venuti a conoscenza della grave situazione, si sono mobilitati per prestare aiuto, alcuni raccogliendo coperte e vestiti pesanti a scuola durante il giorno, altri di sera recandosi in stazione per distribuire beni di prima necessità, e ascoltare le loro storie! Dopo alcune settimane il comune ha allestito per i profughi centri di accoglienza dove possono soggiornare prima di ripartire. Noi siamo andati due domeniche di seguito a trovarli per capire meglio che cosa avevano passato in Siria e per farli sentire un po’ meno soli e dimenticati in un paese straniero. Ci ha molto colpito la storia di Alì, un giovane siro-palestinese di 17 anni, scappato da Damasco. Ci ha raccontato che nella capitale il suo quartiere era stato assediato, la sua scuola bombardata ed era impossibile viverci. Tuttavia, come tutti, Alì non avrebbe mai voluto lasciare il suo paese, ma si è trovato costretto a causa della situazione. Molti, come lui, sono doppiamente profughi: scappano, infatti, dai campi profughi palestinesi sorti in Siria dal 1948. Noi ci auguriamo che Alì e tutti gli altri profughi riescano a raggiungere la meta che desiderano senza correre il rischio di essere bloccati alle frontiere!
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