Nelle colorate città europee, si cominciarono a togliere i colori, ad uno ad uno. Viene in mente ...
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Giovani per la pace Genova: Ieri sera abbiamo ricordato con una marcia silenziosa la deportazione degli ebrei genovesi, iniziata il 3 novembre 1943. Catturati con l’inganno, gli oltre duecento ebrei furono portati nei giorni seguenti nel carcere di Marassi e poi nei campi di concentramento. Ritornarono solamente in venti. Ogni anno la marcia diventa sempre più bella, tantissime le persone che ieri si sono unite a noi nel ricordo della deportazione: bambini delle Scuole della pace, ragazzi, famiglie, anziani che ricordano ancora lucidamente quei tragici eventi. Accanto ai testimoni di allora, i pochi sopravvissuti che portano ancora con urgenza il ricordo della tragedia che li ha colpiti, c’erano i rifugiati accolti in questi mesi nella nostra città, testimoni silenziosi della violenza e della guerra di oggi. Ci siamo uniti alla marcia perché convinti che non possa esserci futuro senza memoria, senza il ricordo della Shoah, ma soprattutto per non dimenticare a quali tragiche conseguenze può portare l’indifferenza. Lo sterminio degli ebrei è stato reso possibile anche da chi è rimasto nella “zona grigia”, dall’indifferenza delle persone, da chi si è voltato dall’altra parte mentre i vicini di casa e i colleghi venivano portati via. Solamente il ricordo e la memoria di quello che è accaduto possono farci aprire gli occhi su chi oggi è perseguitato e cerca rifugio nel nostro paese. Grazie alle testimonianze di chi ha vissuto la deportazione e all’esempio dei “giusti”, che hanno rischiato la vita per porre un argine al male, possiamo essere più consapevoli e trovare la forza per combattere l’indifferenza del mondo.
I Gxp di Lecce ci segnalano questo bellissimo post
“Si alla pace, No alla guerra” è il titolo dell’iniziativa che gli Universitari Solidali della Comunità di Sant’Egidio hanno promosso ieri alla Sapienza a Roma. Tanti gli Studenti che si sono radunati, nel cuore dell’università, per riflettere insieme sul tema della pace. Hanno accompagnato la riflessione le storie di quanti nel mondo soffrono a causa della guerra e del terrorismo e alcune testimonianze su coloro che con la loro vita sono stati per primi operatori e costruttori di pace. Infine si sono ricordati gli uomini e le donne che in queste ore hanno perso la vita nel Canale di Sicilia con la speranza di raggiungere le nostre coste. Un alternarsi di musica e parole per non rimanere indifferenti dinanzi ai dolori del mondo ed affermare con forza che la pace è possibile e dipende anche dall’impegno di ciascuno.
Di fronte al dolore così forte per la tragedia di sabato notte nel Canale di Sicilia con oltre 700 morti nel naufragio del mercantile, gli Universitari Solidali della Comuntà di Sant’Egidio hanno deciso di invitare tutti i cittadini romani, specialmente i giovani e gli studenti, a due veglie che si terranno MARTEDI, 20 APRILE alle 20.00 Momento di preghiera presso la Basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina MERCOLEDI 22 APRILE alle 19.45 Fiaccolata a Piazzale del Verano di fronte la Basilica di San Lorenzo a pochi metri dall’Università La Sapienza. Insieme per pregare per tutte le vittime del Naufragio degli immigrati avvenuto nella notte tra sabato e domenica; tragedia che si è consumata nel Canale di Sicilia con circa 700 vittime. Una fiaccolata in cui unire tanti per pregare per persone che “cercavano la felicità”, ma hanno trovato la morte e chiedere la mobilitazione della comunità internazionale. Un momento in cui le tante fiamme delle candele che verranno accese accompagneranno il dolore di tanti. Mercoledì Al termine dell’incontro, come gesto concreto a servizio dei più bisognosi, verrà organizzata la distribuzione itinerante di strada di coperte e pasti ai senza tetto di Roma.
Il 31 gennaio 1983 alla stazione Termini moriva Modesta Valenti di fronte agli occhi di chi non volle caricarla sull’ambulanza a causa dei pidocchi. Durante tutto il mese di febbraio, la memoria di Modesta e di quanti sono morti per le strade della nostra città, capitale d’Italia, ha attraversato le chiese di Roma, che si sono illuminate della luce di quelle candele accese in memoria di ciascuno dei nostri amici senza fissa dimora. Oggi – 1 marzo – la memoria è arrivata all’istituto San Michele ed è stata celebrata, con nostra grande gioia, da Monsignor Konrad Krajewski. La chiesa si è riempita di una molteplicità di volti differenti e, al contrario di come qualcuno vorrebbe farci credere, la molteplicità di storie, culture e lingue insieme non ha generato chiasso, discordia o confusione. La memoria di quanti hanno perso la vita per strada, i primi scartati da una società con il culto dell’autosufficienza, ha unito persone diversissime concordi nel voler rimettere al centro i più fragili, i più deboli. Dopo la liturgia, la moltitudine diversità unite nella gioia e nel sogno di una società che metta al centro i più deboli non si è dispersa, bensì raccolta a pranzo, durante il quale abbiamo conosciuto i giovani rifugiati ospiti della SPRAR San Michele, che hanno arricchito la nostra festa di lingue, racconti e gioia.
Conosco poco il Talmud e ancor meno l’ebraismo; mi professo un ignorante cosciente di ciò che ignora e della bellezza contenuta nei libri sacri delle grandi religioni della storia. Negli anni ho sempre avuto davanti agli occhi, per i motivi più svariati, alcuni versi ma se c’è qualcosa che mi ha colpito più di tutti è sempre stato leggere “chi salva un uomo, salva l’umanità intera”. Alla vigilia del 70′ anniversario dall’apertura dei cancelli di Auschwitz, credo che questa frase porti con sé tutto ciò che pagine e pagine non potrebbero spiegare mai. Il 27 Gennaio risveglia dal torpore un po’ tutti. Riporta alla mente immagini che sin da piccoli abbiamo imparato a non dimenticare, con la consapevolezza di un bambino che sa quanto sia sbagliato far del male a qualcun altro. Oggi, a 70 anni da quella data, io sono un po’ diverso dal bambino che ero e in cuor mio spero di essere un po’ migliore, ma mi sento profondamente bugiardo. E a dire il vero, bugiardi siamo un po’ tutti. Non fraintendetemi, non voglio essere polemico. O meglio, voglio esserlo ma come lo è un bambino, chiedendo il ‘perché?’ di tutte le cose fin quando non è sazio di risposte, fino al nuovo slancio di domande verso ciò che lo circonda. Perché siamo tutti un po’ bugiardi? Perché ogni anno ci troviamo a ripetere che “ricordiamo per far sì che tutto ciò non accada mai più”, non vi siano uomini, donne e bambini che debbano temere per la propria vita, nascondendosi per paura di ciò che sono, si tratti di un credo religioso, del colore della pelle o di un accento diverso. Siamo bugiardi perché sono cambiati i luoghi, le persone, i bersagli e gli aguzzini, ma trasuda ancora violenza dalle mani di questo mondo ‘nuovo e civilizzato’ che stiamo contribuendo a costruire. 27 Gennaio. Villaggi rasi al suolo, donne e bambini sgozzati, omicidi di massa. Trascorse circa tre settimane dalle elezioni in Nigeria, i fondamentalisti islamici Boko Haram hanno “intensificato l’offensiva contro città e villaggi nel nord-est, abitati a grandissima maggioranza da musulmani.” Attualmente nessun civile può entrare o uscire dalla metropoli e le organizzazioni umanitarie lanciano un grido, temendo per la vita di centinaia di migliaia di civili. Uomini, donne e bambini. 27 Gennaio. Riesplode la violenza in Ucraina. Gli scontri si sono riaperti lungo tutto il fronte, mentre Donetsk, le città e i villaggi circostanti vengono martellati dai mortai. Ogni giorno si apre con le notizie di nuove vittime, civili e non. Una nuova ondata di violenza che è culminata negli attacchi contro i mezzi pubblici, non ultimo quello di qualche giorno fa che ha fatto registrare nove morti ad una fermata di filobus. Uomini, donne e bambini. 27 Gennaio. Non si è ancora chiusa la ‘questione CharlieHebdo’ che ha svegliato tutto il mondo, puntando i riflettori su Parigi e fermando il calendario al 7 Gennaio. I giornali titolano “Il terrore insaguina Parigi e la Francia”, “Assalto alla redazione del giornale satirico, 12...
Le strade dei poveri sono segnate da storie, storie nascoste, umiliate, celate dall’indifferenza, storie umili storie appassionanti, storie sorprendenti, storie di incontri che altrimenti si sarebbero perse nell’oblio. L’oblio, la mancanza di memoria segna le strade dei poveri, degli ultimi, degli emarginati, dei periferici. La memoria è un valore che disegna una società più umana, ma è anche un esercizio faticoso, un esercizio che i giovani per la pace fanno e che regalano generosamente agli altri con la testimonianza degli incontri nelle periferie. In fondo oggi anche i giovani sono periferici, schiacciati da un mondo che si mostra potente e crede di poter far subire la propria potenza ai giovani, invecchiandoci nell’abitudine al compromesso, ingannandoci con il falso idolo “dell’uomo solo di successo”, di una competitività che chiede di pensare solo a sè stessi. La memoria, il ricordare è uno strumento ancora più potente di un mondo che abbandona i suoi poveri: abbiamo appena ricordato anche su questo blog Floribert, giovane per la Pace, innamorato del Vangelo, che ha trovato la propria libertà dalla mentalità egoista della Repubblica democratica del Congo dedicandosi agli altri, fino alla fine, con coraggio, generosità, sentimenti che coltivati possono fare rinascere le nostre periferie. Ma la memoria è anche quella che esercitiamo quando ricordiamo i nomi dei bambini, i nomi dei nuovi europei (a volte davvero complicati da pronunciare bene). La memoria si fa preghiera quando ricordiamo i nomi dei nostri amici defunti, è quella che si manifesta nella sua potenza durante la preghiera per la pace, quando decliniamo in maniera precisa accompagnati dal canto del Kyrie eleison, i nomi dei paesi in guerra, in un mondo in cui hanno fatto entrare nelle abitudini l’espressione “guerre dimenticate”. Non ci si può abituare alla guerra, che Andrea Riccardi definisce “madre di tutte le povertà”; aver dimenticato le guerre dovrebbe far ricordare un altro sentimento: la vergogna. “Guerre dimenticate” è un atto d’accusa ad un mondo che si gira dall’altro lato, ad un mondo che preso dai suoi piccoli problemi ha dimenticato chi soffre e muore “altrove”. In un mondo dimentico, questo “altrove” si espande e si contrae a seconda dell’indifferenza e si dimenticano i poveri sulla strada che rischiano la vita per il freddo, i bambini che finiscono nelle mani dei violenti, i quartieri a rischio, gli anziani, simbolo della memoria sociale, che vengono abbandonati negli istituti senza che questo desti sgomento o scandalo, i migranti che muoiono a migliaia nel mare dove andiamo a villeggiare. La mancanza di memoria produce così un olocausto silenzioso, con numeri che atterriscono ma che non appassionano perché si vive in maniera auto riferita. Siamo nella settimana della giornata della memoria, e ricordare lo sterminio scientifico di milioni tra ebrei, Rom, omosessuali, disabili e dissidenti politici è necessario perché ricordando l’olocausto ci ricordiamo che anche l’uomo più evoluto scientificamente può essere scientificamente disumano, mentre l’uomo spirituale che si ferma, che riflette che si commuove, che depone un fiore, che prega e che non dimentica, è chiamato a lavorare affinché...
Pubblichiamo una poesia di Antuane E. Davila Mazzetti, giovane per la pace, che esprime in versi essenziali la memoria del 16 ottobre 1943, giorno in cui furono deportati gli ebrei romani nei campi di sterminio nazisti. La poesia nasce dall'incontro dei Giovani per la Pace con Enzo Camerino, sopravvissuto alla deportazione e custode di una fondamentale testimonianza.
Riceviamo e pubblichiamo l’articolo di Agnese Crivaro, 14 anni, di Roma, sul toccante incontro con Enzo Camerino, sopravvissuto alla deportazione degli ebrei romani avvenuta il 16 Ottobre 1943 Il 16 ottobre del 1943 è avvenuto un fatto che può apparire estraneo alla nostra vita di tutti i giorni. In quel giorno, che pareva essere come tutti gli altri, vennero presi con la forza circa 1200 ebrei che successivamente dovettero combattere la mostruosa agonia dei campi di concentramento. La maggior parte di loro non ce l’ha fatta; altri sopravvissuti oggi non ci sono più, altri ancora sono vivi e hanno avuto il coraggio di testimoniare, come Enzo Camerino. Sabato 18 ottobre noi Giovani per la Pace abbiamo avuto la grande fortuna di poter conoscere questo grande uomo che ha avuto la forza di aprire la bocca e sfruttare le parole per fare del bene, per far sì che il passato non si ripeta. Enzo ci ha raccontato la sua storia, ci ha mostrato il numero sul braccio che sostituì il suo nome durante quel tormento, ma soprattutto, ci ha fatto aprire gli occhi. Ci ha mostrato quanto la semplice quotidianità possa fare la differenza e anche quanto questa siamo fortunati. Enzo viveva a Monza insieme alla sua famiglia formata da sua madre, suo padre e sua sorella. Successivamente si è trasferito a Roma poiché il padre non aveva più lavoro così cominciò a vendere dolciumi, tant’è che quando giocavano a carte si giocavano la cioccolata! Prima della deportazione, i nazisti pretesero 50kg d’oro dalla comunità ebraica che fu costretta a raccoglierlo entro 36 ore. “Oggi si prendono i soldi, domani le persone”, furono queste le parole sincere e franche del cognato di Enzo. Quel 16 ottobre i tedeschi fecero irruzione nella loro casa verso le cinque di mattina ed Enzo e la famiglia furono costretti a seguirli. Dissero loro di prendere denaro, gioielli e vestiti perché avrebbero dovuto fare un viaggio di otto giorni. Tutti dovevano andare: dai neonati ai malati. “Tanto c’è l’infermeria” dicevano le SS agli anziani. Un camion arrivò e li portò al collegio militare dove rimasero per due giorni, dormirono per terra all’aperto, sotto il porticato. Consegnarono i documenti, i gioielli e il denaro e vennero portati nei vagoni “bestiame” del treno che li avrebbe condotti ad un tragico destino. Molte di quelle 1200 persone morirono durante il viaggio poiché non era previsto nessun pasto, erano ammassati, faceva caldo e le condizioni igieniche erano terribili. Una volta arrivati al campo di concentramento di Auschwitz li divisero in uomini, donne, anziani e bambini. Li spogliarono nudi e assegnarono loro i tipici vestiti “da lavoro”, tatuarono loro il numero sul braccio, numero che noi Giovani per la Pace abbiamo visto impresso sul braccio di Enzo, numero che sostituiva il loro stesso nome. Lì non dovevano più avere un’identità. Chiesero a tutti cosa sapessero fare. “Il barbiere”, rispose Enzo, che aveva solo 14 anni. I giorni passavano e loro lavoravano molto, portavano sulle spalle chili e chili di cemento...
Oggi i Giovani per la Pace di Brindisi e di San Vito dei Normanni si sono riuniti nel cortile della scuola Morvillo Falcone per pregare insieme in ricordo di Melissa Bassi, uccisa nell’attentato del 19 Maggio di due anni fa, davanti alla scuola. Ci siamo riuniti per ricordare, per onorare, una ragazza che ha perso la vita senza aver fatto nulla di male. Una ragazza dolcissima, sempre disponibile, buona dentro. Innocente.Dopo ci siamo recati al cimitero di Mesagne per posare dei fiori sulla sua tomba.Bisogna ricordare a quanto può arrivare la cattiveria umana, per porre un freno ad ogni violenza, perché nessuno perda più la vita in maniera così assurda, e noi oggi l’abbiamo fatto. I Giovani per la Pace di Brindisi
In occasione della giornata della memoria riceviamo questa poesia di Paolo della Latta che volentieri pubblichiamo:
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