Non si può cedere agli estremi, che sono l’indifferenza o la totale deresponsabilizzazione. Dire che non si è razzisti, ma anti-immigrazionisti è un’idiozia pari al dire che nel mondo non ci sono le guerre o la povertà.
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Una rappresentanza dei Giovani per la pace di Catania si è recata a Lampedusa, dove ha fatto visita al centro di accoglienza. La visita si inscrive in un periodo difficile poiché vi sono diversi sbarchi ma, cosa ancora più grave ci sono state, anche negli sbarchi di questi giorni, diverse vittime. Ormai non si riescono più a contare le vittime che sta portando questo tragico esodo dall’Africa all’Europa; il Mar Mediterraneo sta diventando l’Auschwitz del ventunesimo secolo, e il tutto proprio davanti ai nostri occhi. Bisogna fare qualcosa. E’impensabile che il mondo si stia abituando alla morte e legge il fenomeno drammatico dell’ immigrazione come qualcosa che non lo colpisce personalmente. Troppo sangue versato, troppe vittime, troppe vite che si consumano in mare. Bisogna rimanere umani davanti ala morte. I Giovani per la pace si sono recati a Lampedusa per conoscere e accogliere in maniera umana i migranti ma soprattutto per pregare per le vittime che ci sono state in mare in questo ultimo periodo. Giunti al centro di accoglienza i Giovani per la pace hanno conosciuto i migranti appena sbarcati, stanchi ma allo stesso tempo gioiosi poiché dopo tanto viaggiare e dopo tante difficoltà erano arrivati sani e salvi , felici per essere arrivati in Europa, anche se non sapevano bene dove, in Europa. I Giovani per la pace dopo aver conosciuto i migranti hanno ascoltato le loro storie e stanno cercando di ricostruire gli avvenimenti accaduti in mare che hanno provocato la morte di molti uomini. Non si conoscono ancora i nomi delle ultime trecento vittime, e si cerca di recuperarli parlando con i sopravvissuti. Questa è una sfida ardua ma che è stata già portata avanti dalla comunità di Sant’Egidio in passato. Ogni tre ottobre si celebra la preghiera Morire di Speranza, ricordando il nome di ogni vittima e pregando per loro. Ricordare è importante, perché è il primo modo di non accettare quello che avviene, di non passare oltre voltando lo sguardo dall’altra parte. In nomi ci ricordano che i morti non sono numeri ma uomini e donne, giovani, con delle storie, e un futuro che gli è stato strappato. La stagione che inizia è molto difficile poiché ci sono diversi sbarchi, ma alcuni giovani lampedusani hanno deciso di coltivare il sogno dei giovani per la Pace e andranno a trovare anche gli anziani in istituto, perché serve un’alleanza intergenerazionale. Bisogna coltivare questa grande amicizia con i migranti e soprattutto pregare e credere nella forza della preghiera, in particolar modo in questo periodo di Quaresima; bisogna creare ponti di Pace. C’è bisogno di cambiamento. Il mondo deve cambiare: è necessario fermare la “Globalizzazione dell’indifferenza”, perché l’indifferenza uccide e non crea società di uomini e donne rilevanti ma persone che davanti ai grandi appuntamenti con la storia girano le spalle e se ne vanno tristi. Articolo scritto da Giorgio Marino.
***AGGIORNAMENTO: I Giovani per la Pace questa sera 11.02.2015, a Porto Empedocle hanno rivolto l’ultimo saluto alle 29 vittime, morte per il freddo, deponendo un fiore su ogni bara***. L’ennesima tragedia di Lampedusa è tremenda e non possiamo lasciar cadere nel silenzio, anche del nostro pensiero, una tragedia così immane che tocca gente con cui diventiamo amici durante i servizi della comunità, nuovi europei che hanno avuto la grazia di non morire per il freddo, o nel deserto o in Libia, che ora sono nostri amici. Non ci si può abituare alla morte e non si può fare scorrere una notizia così grave con l’aggiornamento delle notizie dei social network! C’è l’urgenza di fermarsi, pregare, riflettere. Serve una generazione di donne e uomini che ricorda, nel pensiero e nella preghiera questi ragazzi, che capisca che tutto questo non è giusto, che non si abitui alla morte, che si preoccupi di cambiare le decisioni prese dall’alto che provocano questi disastri. Serve un’ alleanza intergenerazionale che accolga chi è straniero, lo porti nell'”albergo” mentre è mezzo morto e lo curi e successivamente lo accolga nella propria famiglia, tra le proprie preoccupazioni, pensando che nel volto di quell’africano che talvolta è arrabbiato per la sua situazione, ci sono tanti che non sono arrivati! La nostra amicizia spiazzante può tramutare quella rabbia giustificata in integrazione, e l’integrazione vera, regala frutti importanti per la nostra società tutta; penso ai Giovani per la Pace di Mineo, nuovi europei arrivati con i viaggi della speranza che pregano per la Pace e che servono chi è più povero. Bisogna fare uno sforzo culturale, informandoci e leggendo i giornali perchè non possiamo dimenticare questi morti di Lampedusa e dobbiamo vivere affinché non accada più, perché non è giusto che la morte ci abbia strappato via un amico potenziale, l’incontro benedetto con lo straniero che a tanti giovani italiani ha cambiato la vita, orientandone i sogni le preghiere, allargando le prospettive della vita da cristiano. Tempo fa con un amico parlavamo dell’olocausto e ci chiedevamo come fosse possibile che così tanta gente avesse fatto spallucce dinnanzi all’abominio di uno sterminio così atroce di sei milioni di ebrei. Oggi la nostra società quanta misericordia ha per questi morti? Quanto ci sembra normale? Quanto poco dura nel nostro sangue l’ebollizione dell’indignazione? Questa società è davvero in grado di scagliare la pietra verso il passato, avendo la coscienza così pulita da essere sicura che non ci ritorni in faccia? Papa Francesco che a Lampedusa aveva fatto il suo primo viaggio apostolico, durante l’udienza generale dell’undici Febbraio, si è detto preoccupato, assicurando la propria preghiera ed invitando nuovamente ad uno spirito di solidarietà nell’accoglienza. La sua preoccupazione deve diventare allora ancora più contagiosa, la preghiera diffusa e la solidarietà verso lo straniero uno stile di vita irrinunciabile che comprenda tutti affinché il suono dolce e accorato delle sue parole, proferite proprio a Lampedusa, tocchi il cuore di ciascuno: “non si ripeta, non si ripeta più per favore”.
Il 28 Maggio, alla presenza delle autorità civili e religiose, a Catania, si sono svolti i funerali delle 17 vittime del naufragio a largo di Lampedusa. Una cerimonia sobria, intensa e accompagnata dalla presenza di chi da quella barca è sopravvissuto. Sì erano presenti parenti, amici, “compagni di speranza” di quella barca, di quel legno, che approda sulla città di Catania il 13 maggio provocando un terremoto delle coscienze. Una preghiera, delle preghiere, delle bare e un rito interreligioso perché degna sepoltura fosse assicurata a tutti. Come detto dall’Imam della Moschea della Misericordia di Catania: “carità di fronte alle tragedie provenienti da oppressioni e guerre: oggi si sta dando dignità a chi non ha potuto averla da vivo”. Le parole dell’Imam Keith Abdelhafid, sono le parole dell’uomo spirituale che guarda oltre e coglie nella tragedia l’essenza dei fatti. Sì, perché forse riusciamo a comprendere quelle parole di Papa Francesco che a Lampedusa ci diceva che “Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere”. Cos’è l’esperienza del piangere se non la reale commozione dell’uomo davanti al dramma umano ? Si potrebbe quasi dire che con la commozione degli uomini e delle donne di oggi l’umanità si è salvata. Come accennato prima, a piangere erano anche i sopravvissuti e questa, al di fuori da uno sguardo banale e approssimativo, è la dimostrazione che qualcosa cambia. Sì, il cuore dell’uomo, anche del nuovo europeo che giunge nelle nostre coste, è un cuore intriso di mistero e bisognoso di conversione, cioè di “volgere lo sguardo verso”. Volgere lo sguardo verso quel passato pieno di sofferenze che diventa “palestra del dolore”, e commuoversi per non rimanere freddi come se ormai il dramma dell’olocausto del mediterraneo sia un fatto scontato:una scia di morte per cui nessuno potrà mai fare nulla. E’ la loro commozione, quella dei nuovi europei, e la commozione dei vecchi europei insieme che dona a noi la possibilità di ribaltare il paradigma di un’assenza di visione. E’ un terremoto delle coscienze che porta alla ricostruzione di un pensiero euro-mediterraneo: Europa terra di tutti, Europa terra dei popoli che soffrono. Non a caso Ghoete, citando lo stesso passaggio ripreso all’inizio della cerimonia di commemorazione dal Sindaco di Catania Enzo Bianco, definisce l’Europa come “Centro meraviglioso di tanti raggi della storia universale”. Sono tanti i raggi che si incastrano in questa nostra storia europea, sono raggi di storia universale di popoli e di singoli che nelle coste, nei luoghi di accoglienza, nelle chiese, nei luoghi di incontro ma anche nelle isole stanno plasmando questo centro che li raccoglie. Ghoete, un europeo del 700, lo definisce un centro meraviglioso, adesso gli europei del XXI secolo hanno il compito di definirlo. Ma questa affermazione non vuole essere una frase ben scritta o un’espressione ridondante e vuota. Un principio di definizione c’è, la storia di questo centro comincia a prender forma. Lo fa in quel Santo incontro – santo perché gradito a Dio – tra le domande dei giovani della sponda Nord del mediterraneo e quelli della...
Il primo maggio 2014, a San Giovanni Gemini, nell’Agrigentino si è tenuta la manifestazione “Giovaninfesta” dal tema “Don’t pass over” ovvero “Non passare oltre”. La manifestazione ha visto coinvolti più di quattromila giovani, che hanno impiegato un giorno di vacanza per ascoltare diverse testimonianze. La prima, da parte del signor Costantino Baratta, un uomo comune che con tanto coraggio è riuscito a salvare la vita di undici migranti sbarcati sulle coste dell’isola di Lampedusa. L’uomo ha raccontato di essersi accorto di alcune persone in mare, bisognose disoccorso e con grande prontezza, ha offerto loro un efficace aiuto e, dopo averli salvati, li ha accolti nella sua casa, aiutandoli a mettersi in contatto con le loro famiglie. E’ stata messa in risalto la determinazione dell’uomo a “non passare oltre” ma invece, a preoccuparsi di salvare le persone in pericolo. Un’altra significativa testimonianza sull’immigrazione è quella di Felix, Giovane per la pace di Mineo, che ha raccontato il suo passato di sofferenze e pericoli prima di giungere sulla nostra terra, condividendo con il numeroso pubblico, le emozioni di paura, di sconforto provate durante il suo pericoloso viaggio dove ha più volte rischiato la vita. E’ stato arrestato in Libia ingiustamente, perchè scambiato per un sostenitore del dittatore Gheddafi: lì ha subito molte ingiustizie e torture durante i mesi di reclusione e, ormai libero, è riuscito a raggiungere le coste della nostra isola. Alla fine della testimonianza ha esclamato con gioia di aver finalmente trovato la pace e l’ospitalità presso la Comunità di Sant’Egidio – Sono molto felice di essere qui- ha affermato sorridendo. Tra divertenti coreografie e coinvolgenti canzoni, quello della “mafia” diventa l’argomento trattato attraverso la testimonianza dell’ imprenditrice Valentina Ferraro che con ammirevole coraggio ha denunciato Mario Messina Denaro, fratello del boss mafioso Matteo Messina Denaro. Forte infatti e a più riprese, è stata la presa di posizione contro la Mafia del Vescovo di Agrigento, Francesco Montenegro. La manifestazione si è conclusa con il brano “ We want peace” eseguito da Felix e da altri due Giovani per la Pace di Mineo, realtà composta da giovani richiedenti asilo politico, che hanno voluto dedicare il loro pensiero alla pace nel mondo. Nelle ore del pomeriggio, vari stand sono stati aperti al pubblico, compreso quello dei “Giovani per la pace” di Catania. Abbiamo lanciato una raccolta firme, rivolta alla pubblica amministrazione catanese per ottenere una targa commemorativa per le vittime dello sbarco a Catania del 10 agosto 2013. Firma on line la petizione dei Giovani per la Pace Incontrando i giovani dell’agrigentino abbiamo illustrato i servizi dei “Giovani per la Pace”, rivolti ai più poveri e invitato i passanti incuriositi a conoscere in modo più approfondito la Comunità di Sant’Egidio e soprattutto a farne parte. Con alcuni di loro, provenienti da tutte le parti della Sicilia, si prospetta di aprire delle nuove sedi laddove ce ne sia bisogno. Qualche ora dopo, gli stand vengono chiusi e la giornata si conclude con la felicità di aver passato un
“Sono italiano! Sono africano! E, come vedete, sono nero! E sono fiero di essere quello che sono. Ma soprattutto sono un essere umano!” Cosi apre la sua testimonianza Maurice, ventiseienne della Costa d’Avorio, sopravvissuto alla traversata del deserto del Sahara, ad un naufragio e giunto a Lampedusa; sorte fortunata, o oseremmo dire, benedetta , rispetto ai tanti immigrati che purtroppo in questi giorni ci hanno lasciato. Con queste parole sincere e coraggiose si apre il secondo appuntamento di “Parole di uomini, Parola di Dio”, organizzato dalla comunità di Sant’Egidio, che ogni mese si incontra per discutere sul valore di alcuni temi secondo le scritture e la nostra esistenza da uomini. Oggi vedremo come alla parola ODIO/INIMICIZIA si possa rispondere “ Facendo il bene” e “Riconoscendoci tutti fratelli, perché figli di uno stesso padre”. “Noi stranieri dobbiamo ringraziare l’Italia perché ci ha accolti” – ribadisce Maurice, ricordando quei 3 lunghi giorni di interminabile cammino nel deserto, mentre era costretto a lasciare sulla sabbia, stremati, tanti compagni di viaggio – “Molti non ce la fanno. Durante il viaggio vedi ai tuoi lati corpi umani, ma non puoi fermarti, devi andare avanti se vuoi sopravvivere”. Racconta ancora di come, dopo 2000 km, si sia visto proporre per la grande traversata una piccola barchetta trasandata di circa 250 posti, mentre lui e i suoi compagni di viaggio, erano più del doppio: “Quando arrivi lì devi per forza salire! Sono armati!”. Conclude sobriamente e umilmente il suo “esodo” raccontando dell’arrivo a Lampedusa e della felice accoglienza che ha ricevuto dalla Caritas di Frosinone.“Dio mi ha fatto conoscere molte persone buone!” – cosi risponde ai tanti amici che gli domandano come faccia a vivere con delle persone che “lo insultano, lo picchiano, lo discriminano” (gli italiani). “Mi piace l’Italia perché non posso lamentarmi! Però è ancora dietro al razzismo!” – Inizia, allora, un accorato appello ai tanti universitari operanti nella comunità presenti in aula, perché è dai giovani che le cose devono cambiare – “Non sono sporco, sono nero! Sono una creatura di Dio! Se dici cosi allora anche Dio deve essere sporco!” – “Tu credi in Dio? E non ami suo figlio perché è nero?” – “Se io vi dessi per un solo giorno la mia pelle, non ve lo scordereste mai per quello che vivreste!”.La sua testimonianza è sincera, umile e si estende anche al tema dell’interculturalità e all’apertura alle altre culture, viste come ricchezza: “Dovete togliervi dalla testa che siete superiori ai neri e che gli altri non possono insegnarvi niente!” – afferma con rammarico, lui che ora è allenatore di calcio ai bambini di Strangolagalli, la cittadina in cui ora vive felicemente. “Dovete approfittare delle altre culture; solo cosi potete accrescere le vostre conoscenze” – “Rispetto e un po’ di affetto! Solo questo chiediamo noi stranieri! Devi dirci che tu sarai la nostra famiglia!”.La sua è una fede forte, e ce lo dimostra rispondendo al tema ODIO, con la parola PERDONO: “Ho imparato a perdonare, ho imparato a pregare, ma non imparerò mai a fare finta di essere ciò...
Voci da Lampedusa: “In quel viaggio terribile, sono stato trattato come una bestia. Ma sono africano, immigrato. Un essere umano!” Ciao a tutti! Nell’ultimo mese l’isola di Lampedusa è tornata tristemente alla ribalta per le stragi al largo delle sue coste: stragi di uomini e donne che, come tutti, cercano un futuro migliore per le proprie famiglie, sfuggono dalla guerra e dalla miseria, cercano un’alternativa – in alcuni casi – all’uccidere o all’essere uccisi. Partono prevalentemente dall’Africa subsahariana, e ultimamente da Siria ed Egitto (per ovvi motivi); attraversano il Sahara, stipati su pick-up o a piedi; trascorrono un periodo più o meno lungo in Libia, perché rinchiusi in una prigione o perché devono guadagnarsi i soldi per pagarsi la traversata del Mediterraneo, che avviene sulle “carrette del mare”: pescherecci piccoli e stipati di gente fino a scoppiare (o affondare). Infine arrivano in Italia e cosa trovano? Due centri di accoglienza e pratiche lunghissime, con dei funzionari italiani che devono decidere se era abbastanza grande la sofferenza da cui scappavano, se era abbastanza reale il rischio di essere uccisi o dover uccidere, per dargli lo status di rifugiato. Se non hai sofferto abbastanza, puoi tornare a casa. Quelli che arrivano, però, sono già dei sopravvissuti. Non solo, per i paesi da cui fuggono, ma perché sopravvivono a un viaggio tra i cimiteri: il cimitero del Sahara e il cimitero del Mediterraneo; solo nel secondo, dal 1988 sono morte almeno 19.372 persone. Perché parlo di tutto questo? Perché martedì 12 novembrealle ore 19:15 nella Basilica di San Bartolomeo all’isola Tiberina avremo la possibilità di ascolta Maurice, uno di questi uomini coraggiosi e fortunati, un ragazzo della Costa D’Avorio che ha guardato in faccia la sete, la sofferenza, i maltrattamenti insieme a tanti suoi coetanei, dei quali molti non ce l’hanno fatta. A seguire ricorderemo le tante vittime dell’inaccoglienza e dell’indifferenza. E rifletteremo insieme sull’odio e sull’inimicizia, come radici della sofferenza di tanti. Perché non è giusto guardare dall’altra parte, quando tanti muoiono e soffrono. Elena
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