Ogni luogo che trasuda di storia e di preghiera è un luogo sacro. In molte culture anche distruggere ciò che contiene un rimando alla preghiera, alla storia del proprio popolo e di altri popoli, al nome di Dio è gravissimo. Mar Elian ha raccolto lacrime di gioia, di disperazione, preghiere, richieste e invocazioni di chi l’ha eretta, dei suoi pellegrini, di chi ad Homs chiedeva scampo, protezione e salvezza dalla guerra. Un luogo ed un impastato tra storia antica e preghiera contemporanea, quotidiana. E la sacralità della memoria è violentata non solo nei suoi edifici storici ma anche nel monumento per eccellenza, la vita. Genera sgomento insieme a questo anche l’astuzia diabolica di cancellare la memoria là dove essa è forse più al sicuro da colpi di pistola e mortai: nel cuore degli uomini. In particolare nel cuore, nella mente e nella mani di Khaled al-Asaad, ucciso a Palmira tre giorni fa. Questo assalto alla memoria, che viaggia nello spirito, ha qualcosa di diabolico perché è la scelta precisa di recidere ogni legame anche spirituale con la Storia: quella che conosciamo perché presente in noi da racconti lontani, anch’essi sacri. In Siria si continua a morire. Uomini e donne distrutti come monumenti da chi profanatore di vita e sacralità con occhi stolti vede merce e carne da macello, pietre e sabbia. Radere al suolo luoghi sacri come Mar Elian è una bestemmia a Dio e alla Storia e all’uomo. Capire questi luoghi trasudanti storia e preghiera (un po’ come Deir Mar Musa con Paolo Dall’Oglio – per il quale non smettiamo mai di chiedere la liberazione), le storie che hanno attraversato per secoli queste terre nel silenzio, senza mai calpestare arrogantemente, insieme grido, alla lotta e alla preghiera perché in queste terre sia scacciato il demone della guerra è necessario. Correremo altrimenti il rischio di aver riportato la calma – che non ha bisogno di memoria e ricordo – ma non la pace che è salvezza per le vite e della memoria che esse custodiscono.
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