English version: https://www.giovaniperlapace.it/2015/11/prayforparis-eng/ Si agitano le penne e le tastiere, la mente e i cuori. Il flusso continuo di parole che inondano i social e di pensieri nella mente è enorme. Parigi scuote e fa male. Un pensiero sincero di vicinanza e di affetto per chi ha perso i propri cari, per chi si sente impaurito, per chi non si sente sicuro, per chi è arrabbiato, per chi è ferito, nel corpo e nell’anima. Un pensiero anche a chi è lontano da Parigi. Un pensiero a chi in quelle zone ci è stato e si chiede: “potevo esserci io”. Un pensiero per chi ha paura che questa violenza cieca possa toccarlo. Un pensiero a chi continuamente vive questo terrore, un pensiero a chi scappa da questo terrore, un pensiero a chi soffre perché vede il nome di Dio bestemmiato e dice “not in my name”. Un pensiero. Questo soltanto può essere espresso. Un pensiero di condanna ferma alla violenza. Un pensiero che però vuole anche dire con forza, nel buio della paura – come il buio di ieri a Parigi -, che attanaglia molti adesso, che mai tutte le vittime si confonderanno ai carnefici. Questo pensiero vuole essere universale, toccare tutte le paure, perché le vittime di Parigi provocano una fitta al cuore e uno sgomento uguali a quello delle vittime di violenze indicibili e inenarrabili in tante parti del mondo. Ed un pensiero speciale va alla martoriata Siria. C’è una paura che dilaga da cui questo pensiero vuole allontanarsi, la paura che un “nemico” si confonda nei volti di chi è scappato da quelle violenze inenarrabili. In questo pensiero di vicinanza a tutte le paure e a tutti i sentimenti confusi scaturiti dopo Parigi una cosa si afferma con chiarezza: nessun musulmano nemico, nessun profugo nemico, nessun uomo nemico. A costo di ripetersi: mai tutte le vittime si confonderanno ai carnefici. Un solo volto cardine di questo pensiero nella nebulosa delle parole confuse: il volto di chi è nel pianto. Il volto in lacrime di chi ha visto la violenza abbattersi sulla propria vita a Parigi e ovunque nel mondo. Il volto in lacrime di tanti profughi. Il volto in lacrime di chi è scoraggiato dalla violenza. Il volto in lacrime dei musulmani nostri fratelli che piangono per le vite spezzate di Parigi in nome di un Islam bestemmiato dai violenti. I volti in lacrime di quei musulmani che piangeranno per la violenza delle armi (pensiamo nuovamente alla Siria) e alla violenza delle parole qui nella nostra Europa. I volti in lacrime di chi sente una fitta al cuore. Gridare “nemico” è come gridare “crocifiggilo”. Quando la folla grida i volti di tanti giusti piangono. Non ripetiamo lo stesso errore. Con la chiarezza di questo pensiero asciughiamo le lacrime di chi è nel pianto con la preghiera. Preghiamo per Parigi, preghiamo per le lacrime versate. Preghiamo perché non si pianga più. Preghiamo contro tutte le violenze. Preghiamo perché non prevalga mai e mai più l’odio ma la pace....
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La guerra non è mai santa” dice l’appello di #peaceispossible e ripensando all’11 settembre di quattordici anni fa queste parole risuonano nelle mie orecchie. Non esiste una guerra santa, non è mai santo togliere la vita a un altro uomo e non esiste modo di giustificare un assassinio o una strage. Il Signore chiede di porre la nostra vita al suo servizio, non di macchiare il suo altare con il sangue dei suoi figli. Il sacrificio di Isacco ce lo ricorda: il Signore non permise ad Abramo, padre di tutti i credenti, di uccidere suo figlio, bloccò la sua mano. Neanche Dio permise ad Abramo di offrirgli sacrificio con il sangue del proprio figlio, quindi come possiamo pensare che uccidere altri esseri umani sia santo? La violenza in nome di Dio è un sacrilegio, uccidere in nome di Dio è un sacrilegio. Non c’era nulla di santo negli attentati dell’11 settembre 2001, non c’era nulla di Santo nelle guerre che dopo ne sono scaturite. Dopo quattordici anni ci si apre la domanda di come onorare l’11 settembre, di come chiudere questo periodo di violenze e attentati contro i deboli, contro gli innocenti in nome di un Dio che è amore e misericordia, non certo violento e crudele. La guerra, è sotto gli occhi di tutti, ha miseramente fallito dimostrando che la violenza non può essere risposta perché genera solo altro dolore e altro odio. Deve finire il tempo della guerra, il tempo in cui si può prendere la vita degli innocenti e trovare giustificazione (che sia religiosa o laica). Questo mondo ha bisogno di pace. La pace è l’unica strada possibile per uscire dalla spirale del dolore. Non esiste guerra santa, solo la pace è santa.
L’Isis è alle porte dell’Italia, o almeno così vogliono far credere i guerriglieri. Ma si sa che questi signori sono bravi a far credere quello che vogliono. Sanno usare i social network, youtube, e la propaganda è forse la loro arma principale. Ma purtroppo non è l’unica. E come sempre chi paga sono i più deboli, coloro che non hanno fatto nulla, colpevoli solo di esistere. Che dolore per i 21 cristiani copti uccisi così barbaramente, morti con il nome di Gesù sulle labbra, privando gli assassini la vittoria più grande, quella di togliere loro la speranza. C’è che dice che a tanta violenza non si può che rispondere con la violenza. La guerra è l’unica soluzione, e chi non la fa è solo perché spaventato. Ma siamo sicuri? Non si tratta di essere pacifisti, basta guardarsi indietro. L’Isis non è nato forse da una guerra, quell’invasione dell’Iraq che ha gettato il medio oriente nel caos? E poi è stato aiutato da un’altra guerra, quella in Siria. Le armi che usano i terroristi sono degli americani, che li hanno armati per combattere una guerra per procura contro Assad (si può leggere il bel libro di Loretta Napoleoni per capire meglio questa storia intricata). Certo bisogna rispondere, ma siamo sicuri che una risposta forte significhi mostrare i muscoli? Andrea Riccardi ci spiega che non è così. Speriamo che venga ascoltato. Magari una soluzione ragionevole potrebbe essere quella proposta da Papa Francesco. Smettiamo di vendere le armi ai paesi in guerra! E voi che ne pensate?
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