#3GiorniSenzaFrontiere, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio e dai Giovani per la Pace, avrà luogo a Catania tra il “Lido Azzurro” e la Chiesa di Santa Chiara e vedrà sfidarsi squadre composte da giovani italiani e giovani stranieri in giochi, fisici, di abilità e di astuzia, ambientati in spiaggia dove il gioco ed il divertimento assicurato contribuirà a costruire una società più integrata, più divertente e più bella! Non esitare! IL PROGRAMMA DI #3GiorniSenzaFrontiere
Tag Archive for: integrazione
Contattaci con un WhatsApp o un SMS +39 351 972 5555
Amici, lo ammetto! A partire dalla cucina, amo il mondo e le sue varietà: il caffè brasiliano, la frutta esotica, i the indiani e asiatici, la cioccolata belga e svizzera, il riso alla cantonese e i gamberoni mozambicani, il chambo malawiano e la cucina indiana, libanese, quelle speziate afghana e pachistana, specie quando a prepararla sono degli amici. Anche l’altro giorno questo è accaduto, per la fine del Ramadan: in uno dei giorni più caldi dell’estate ragazzi pachistani ed italiani hanno sfidato il caldo e per 11 ore hanno lavorato fianco a fianco, per cucinare una cena per l’iftar- Il profumo delle spezie si è mescolato a quello dell’amicizia; il profumo, come il vento, soffia dove vuole…ed a Trieste, con la nostra bora, noi ne sappiamo qualcosa. Persino la bora non è italiana, viene da lontano, e soffia impetuosa, a volte più leggera. Ieri si sentiva, nella preparazione e poi durante la cena, il profumo dell’accoglienza, del rispetto, si respirava pace, curiosità, armonia. Ragazzi di 15 – 20 anni che si incontrano, confrontano, conoscono…Non è un’utopia, vivere insieme è possibile. Ed è meno raro e difficile di quanto possa sembrare. #EstateSolidali
A Milano c’è stata una serata speciale: l’Iftar tra musulmani, cristiani ed ebrei, invitati dalla Comunità di Sant’ Egidio. L’Iftar è la cena che i musulmani consumano dopo il tramonto durante il mese di Ramadan. Il Ramadan è un mese importante in cui i seguaci dell’Islam si astengono da bere e mangiare dall’alba al tramonto. Dopo la preghiera serale, si rompe il digiuno bevendo latte e mangiando un dattero; infine si consuma la cena. Questa volta, però, i musulmani non hanno pregato da soli: nella chiesa a fianco i cristiani delle diverse chiese hanno fatto in contemporanea la loro preghiera. Ha commentato Mahmoud Asfa della Casa della cultura islamica di via Padova: “Quant’è bello pregare con gli amici! È un’esperienza straordinaria che ci fa crescere, per questo ringrazio i fratelli cristiani che ci invitano a rompere il digiuno a casa loro». È stata per tutti un momento familiare: si è pregato gli uni accanto agli altri, ognuno secondo la propria tradizione. Poi tutti a cena, da amici. Chi c’era? I rappresentanti delle diverse comunità islamiche di Milano ma anche singoli: da Sami, giovane kosovaro che aveva appena finito il suo lavoro come giardiniere, ai giovani ragazzi curdi; hanno portato la loro testimonianza anche alcuni profughi siriani e alcuni giovani musulmani di seconda generazione. C’erano anche alcuni rappresentanti della Comunità ebraica di Milano. In fondo è questo il nostro sogno: una città dove cadano le barriere e si possa dire che convivere è possibile! Di Elisabetta D’Agostino
In questa settimana noi Giovani per la pace di Trieste abbiamo lanciato un appello: servono scarpe e luci al led per i nostri amici richiedenti asilo provenienti dall’Afghanistan e Pakistan che vivono per strada. In pochi giorni abbiamo trovato ( o comprato) le scarpe e le luci, che sono fondamentali perché i nostri amici stanno in angoli un po’ bui, e specie ora che è Ramadan di notte hanno bisogno di vederci per pregare e mangiare! Per ogni amico prepariamo un sacchetto col suo nome ed il suo numero di scarpe…così la distribuzione è più personale! Dopo aver raccolto il necessario, grazie all’aiuto generoso di tanti, siamo andati a distribuirli ai nostri amici. Con l’amicizia e le luci al led…abbiamo rischiarato un po’ il buio delle loro notti e abbiamo acceso una luce di accoglienza nella nostra città.
A Primavalle, il 25 giugno nella parrocchia romana di Santa Maria Assunta e San Giuseppe c’erano all’incirca 400 persone, tutte lì a testimoniare la loro presenza,per far comprenderei che esiste ancora la solidarietà. Entrati nella chiesa, si sente l’odore di una calda famiglia, di cuori pronti a battere all’unisono per condividere gli stessi sentimenti. Nell’aria si sentiva tristezza,malinconia. Le lacrime iniziano a scendere a poco a poco sul viso della gente alla pronuncia dei nomi delle vittime del mare. Il dolore è straziante,ma la voglia di stringersi attorno ai loro nomi, alla loro storia lo è ancora di più. Moltissime persone hanno partecipato all’accensione di una candela,che in breve tempo sembrava essersi trasformato in un grande cero fatto di candele,dove,ognuna di esse,rappresentava una vita, illuminata dal ricordo che ancora illumina la nostra speranza. Persone che come noi,volevano vivere una vita tranquilla,senza distinzioni. Perchè in fondo,tutti siamo uguali. di Francesca Iachini
Una barca, un cristiano e un musulmano insieme per affrontare il mare. Una seconda volta. Due migranti, due nuovi europei, due giovani per la pace, Elias e Muhammad che vogliono dimostrare che il nostro mare, il mediterraneo è un mare di pace, di sport e di bellezza e non deve più essere il luogo dove affrontare una prova dove per tanti l’esito è la morte. Elias e Muhammad, a bordo di “ottovolante” stanno partecipando ai mondiali di vela di Barcellona, insieme ad un meraviglioso team di italiani. Noi sogniamo la vittoria, ma sicuramente accettando questa sfida dopo essere arrivati vivi in Italia nella loro “prima” traversata con un barcone, fuggendo da storie da troppi dimenticate, hanno vinto la paura, restituendo a tanti il mare, il suo senso più profondo che è la sua bellezza. In bocca al lupo ragazzi!
Ci giunge dalla scuola media Daniele Manin di Roma la segnalazione di una interessantissima esperienza artistica all’insegna della multiculturalità. Ce la spiega Mattia, uno dei protagonisti: Un incontro-scontro di culture diverse, di mondi diversi, di colori diversi: è riassumibile con queste poche e semplici parole l’esperienza di “Graffi nel mondo”, vista dai miei occhi, uno dei protagonisti del progetto. Un progetto che ha alle fondamenta il concetto della diversità, da intendersi qui come qualcosa di decisamente positivo: la diversità è l’incipit dello scambio, del confronto. Non ci può essere confronto né scambio senza diversità. Nel caso di “Graffi nel mondo”, l’incontro tra le varie culture ha portato ognuno di noi – un gruppo di ragazzi provenienti da varie parti del mondo: dal Perù al Bangladesh, fino ad arrivare all’Ukraina, alla Cina, passando naturalmente per l’Italia – a farsi altro da sé, ad alienarsi fino ad accogliere l’Altro. “Graffi nel mondo” può essere considerato il frutto non solo di un progetto artistico che è partito dallo studio di “ciò che è bello” in relazione alla street art, ai murales, e che è arrivato fino a “La danza” di Henri Matisse, ma anche la manifestazione più evidente della multiculturalità del quartiere dove lo stesso racconto è ambientato, l’Esquilino di Roma. E’ un progetto che può essere letto in diverse chiavi: un insieme di racconti di vita vissuta (penso alla storia commovente di Paolo e Luigi, due fratelli che sono entrati l’uno a contatto con l’altro solamente dopo anni di separazione), un momento di riflessione sui fatti che negli ultimi anni hanno sorpreso la società mondiale (la rivolta dei monaci tibetani contro l’occupazione cinese, ad esempio), una serie di riflessioni su temi come la poesia, la musica e il viaggio. Un groviglio di colori. Ecco il primo episodio del documentario “Graffi nel muro”. A questo link le altre puntate.
Il 31 gennaio 1983 alla stazione Termini moriva Modesta Valenti di fronte agli occhi di chi non volle caricarla sull’ambulanza a causa dei pidocchi. Durante tutto il mese di febbraio, la memoria di Modesta e di quanti sono morti per le strade della nostra città, capitale d’Italia, ha attraversato le chiese di Roma, che si sono illuminate della luce di quelle candele accese in memoria di ciascuno dei nostri amici senza fissa dimora. Oggi – 1 marzo – la memoria è arrivata all’istituto San Michele ed è stata celebrata, con nostra grande gioia, da Monsignor Konrad Krajewski. La chiesa si è riempita di una molteplicità di volti differenti e, al contrario di come qualcuno vorrebbe farci credere, la molteplicità di storie, culture e lingue insieme non ha generato chiasso, discordia o confusione. La memoria di quanti hanno perso la vita per strada, i primi scartati da una società con il culto dell’autosufficienza, ha unito persone diversissime concordi nel voler rimettere al centro i più fragili, i più deboli. Dopo la liturgia, la moltitudine diversità unite nella gioia e nel sogno di una società che metta al centro i più deboli non si è dispersa, bensì raccolta a pranzo, durante il quale abbiamo conosciuto i giovani rifugiati ospiti della SPRAR San Michele, che hanno arricchito la nostra festa di lingue, racconti e gioia.
Una rappresentanza dei Giovani per la pace di Catania si è recata a Lampedusa, dove ha fatto visita al centro di accoglienza. La visita si inscrive in un periodo difficile poiché vi sono diversi sbarchi ma, cosa ancora più grave ci sono state, anche negli sbarchi di questi giorni, diverse vittime. Ormai non si riescono più a contare le vittime che sta portando questo tragico esodo dall’Africa all’Europa; il Mar Mediterraneo sta diventando l’Auschwitz del ventunesimo secolo, e il tutto proprio davanti ai nostri occhi. Bisogna fare qualcosa. E’impensabile che il mondo si stia abituando alla morte e legge il fenomeno drammatico dell’ immigrazione come qualcosa che non lo colpisce personalmente. Troppo sangue versato, troppe vittime, troppe vite che si consumano in mare. Bisogna rimanere umani davanti ala morte. I Giovani per la pace si sono recati a Lampedusa per conoscere e accogliere in maniera umana i migranti ma soprattutto per pregare per le vittime che ci sono state in mare in questo ultimo periodo. Giunti al centro di accoglienza i Giovani per la pace hanno conosciuto i migranti appena sbarcati, stanchi ma allo stesso tempo gioiosi poiché dopo tanto viaggiare e dopo tante difficoltà erano arrivati sani e salvi , felici per essere arrivati in Europa, anche se non sapevano bene dove, in Europa. I Giovani per la pace dopo aver conosciuto i migranti hanno ascoltato le loro storie e stanno cercando di ricostruire gli avvenimenti accaduti in mare che hanno provocato la morte di molti uomini. Non si conoscono ancora i nomi delle ultime trecento vittime, e si cerca di recuperarli parlando con i sopravvissuti. Questa è una sfida ardua ma che è stata già portata avanti dalla comunità di Sant’Egidio in passato. Ogni tre ottobre si celebra la preghiera Morire di Speranza, ricordando il nome di ogni vittima e pregando per loro. Ricordare è importante, perché è il primo modo di non accettare quello che avviene, di non passare oltre voltando lo sguardo dall’altra parte. In nomi ci ricordano che i morti non sono numeri ma uomini e donne, giovani, con delle storie, e un futuro che gli è stato strappato. La stagione che inizia è molto difficile poiché ci sono diversi sbarchi, ma alcuni giovani lampedusani hanno deciso di coltivare il sogno dei giovani per la Pace e andranno a trovare anche gli anziani in istituto, perché serve un’alleanza intergenerazionale. Bisogna coltivare questa grande amicizia con i migranti e soprattutto pregare e credere nella forza della preghiera, in particolar modo in questo periodo di Quaresima; bisogna creare ponti di Pace. C’è bisogno di cambiamento. Il mondo deve cambiare: è necessario fermare la “Globalizzazione dell’indifferenza”, perché l’indifferenza uccide e non crea società di uomini e donne rilevanti ma persone che davanti ai grandi appuntamenti con la storia girano le spalle e se ne vanno tristi. Articolo scritto da Giorgio Marino.
***AGGIORNAMENTO: I Giovani per la Pace questa sera 11.02.2015, a Porto Empedocle hanno rivolto l’ultimo saluto alle 29 vittime, morte per il freddo, deponendo un fiore su ogni bara***. L’ennesima tragedia di Lampedusa è tremenda e non possiamo lasciar cadere nel silenzio, anche del nostro pensiero, una tragedia così immane che tocca gente con cui diventiamo amici durante i servizi della comunità, nuovi europei che hanno avuto la grazia di non morire per il freddo, o nel deserto o in Libia, che ora sono nostri amici. Non ci si può abituare alla morte e non si può fare scorrere una notizia così grave con l’aggiornamento delle notizie dei social network! C’è l’urgenza di fermarsi, pregare, riflettere. Serve una generazione di donne e uomini che ricorda, nel pensiero e nella preghiera questi ragazzi, che capisca che tutto questo non è giusto, che non si abitui alla morte, che si preoccupi di cambiare le decisioni prese dall’alto che provocano questi disastri. Serve un’ alleanza intergenerazionale che accolga chi è straniero, lo porti nell'”albergo” mentre è mezzo morto e lo curi e successivamente lo accolga nella propria famiglia, tra le proprie preoccupazioni, pensando che nel volto di quell’africano che talvolta è arrabbiato per la sua situazione, ci sono tanti che non sono arrivati! La nostra amicizia spiazzante può tramutare quella rabbia giustificata in integrazione, e l’integrazione vera, regala frutti importanti per la nostra società tutta; penso ai Giovani per la Pace di Mineo, nuovi europei arrivati con i viaggi della speranza che pregano per la Pace e che servono chi è più povero. Bisogna fare uno sforzo culturale, informandoci e leggendo i giornali perchè non possiamo dimenticare questi morti di Lampedusa e dobbiamo vivere affinché non accada più, perché non è giusto che la morte ci abbia strappato via un amico potenziale, l’incontro benedetto con lo straniero che a tanti giovani italiani ha cambiato la vita, orientandone i sogni le preghiere, allargando le prospettive della vita da cristiano. Tempo fa con un amico parlavamo dell’olocausto e ci chiedevamo come fosse possibile che così tanta gente avesse fatto spallucce dinnanzi all’abominio di uno sterminio così atroce di sei milioni di ebrei. Oggi la nostra società quanta misericordia ha per questi morti? Quanto ci sembra normale? Quanto poco dura nel nostro sangue l’ebollizione dell’indignazione? Questa società è davvero in grado di scagliare la pietra verso il passato, avendo la coscienza così pulita da essere sicura che non ci ritorni in faccia? Papa Francesco che a Lampedusa aveva fatto il suo primo viaggio apostolico, durante l’udienza generale dell’undici Febbraio, si è detto preoccupato, assicurando la propria preghiera ed invitando nuovamente ad uno spirito di solidarietà nell’accoglienza. La sua preoccupazione deve diventare allora ancora più contagiosa, la preghiera diffusa e la solidarietà verso lo straniero uno stile di vita irrinunciabile che comprenda tutti affinché il suono dolce e accorato delle sue parole, proferite proprio a Lampedusa, tocchi il cuore di ciascuno: “non si ripeta, non si ripeta più per favore”.
Sabato scorso, 7 febbraio, abbiamo festeggiato insieme il 47° anniversario della fondazione della Comunità di Sant’Egidio. Molti messaggi di auguri sono giunti da tutto il mondo. Riportiamo sul nostro blog quello che ci hanno mandato i Giovani per la Pace del C.A.R.A. di Mineo, in Sicilia. I Giovani per la Pace del C.A.R.A vengono da tutto il mondo e in particolare da paesi africani, per questo ci rivolgono i loro auguri in inglese. From C.A.R.A. Mineo We the entire fellow brothers, friends and family of C.A.R.A. Mineo, joyfully and happily rejoice with Saint Egidio on this season of felicitation and celebration of Peace in the world in this 47th anniversary. In the way of the Peace from the last monday we started our weekly prayer for peace to be together with the Community on the request of Peace to God for the end of any violence and war that as Andrea teaching us is the mother of all the poverty. May God of Peace and Our Emmanuel continually reign and direct our paths in life, and grant every of our answers to our request on behalf of every land where there is war, killing and violence on humanity. May Our Father in Heaven make his peace known in every heart of men all over the Community and in the world. Long life to the Community Happy celebration
Dopo l’attentato di Parigi, la Comunità di Sant’Egidio e la Comunità Islamica di Sicilia hanno invitato la cittadinanza a riflettere sul dialogo tra Cristiani e Musulmani nella costruzione della società del convivere, a partire dalla vita comune nella città di Catania. Sono state organizzate infatti una serie di iniziative che hanno avuto luogo a partire da Venerdì 16 a Sabato 18 Gennaio 2015, che hanno compreso momenti di preghiera per la pace, una preghiera interreligiosa e, nella Domenica 18 Gennaio 2015, una giornata di giochi per i bambini, all’interno della suggestiva cornice del monastero dei Benedettini. La “tre giorni”, nata con l’intento di porre un argine ad un clima d’odio che sarebbe potuto nascere dalla lettura miope della tragica cronaca degli ultimi giorni, ha avuto il merito di riempire gli occhi dei cittadini di Catania dell’immagine emozionante della bellezza di una città dell’integrazione in cui cristiani e musulmani pregano, vivono e giocano insieme. Ci siamo riscoperti amanti appassionati della pace, costruttori pazienti di una città del convivere, necessaria per superare la difficoltà dei nostri tempi. -L’attentato di Parigi- come suggerisce Emiliano Abramo della Comunità di Sant’Egidio,- infatti è un campanello d’allarme che dimostra che le periferie sono vuote di proposte. Chi arriva con un’idea forte le conquista. Se a Parigi attecchisce il fondamentalismo, nelle periferie siciliane i ragazzi trovano la mafia. Ma non per questo pensiamo che tutti i cristiani sono mafiosi. Insieme, tutte le comunità religiose, devono contribuire a una città basata sulla convivenza pacifica-. E’ inaccettabile che ci si possa perdere in semplificazioni infauste sui musulmani, creando assiomi che fanno molto male a persone presenti in maniera assolutamente positiva nella vita della città di Catania e in particolare nel sostegno ai più poveri ed ai migranti durante la stagione degli sbarchi. I bambini musulmani sono nati in Italia, sono le seconde generazioni, si sentono italiani, frequentano le scuole italiane. Bisogna proteggerli da una demagogia indecente pronta ad additarli come “piccoli terroristi” o “figli di terroristi” creando una cultura d’insieme. La moschea è un luogo aperto a tutti dove si costruisce la pace e si aiutano i poveri, stranieri ed italiani, cristiani e musulmani. Il mondo in cui viviamo ci è solo dato in prestito ed abbiamo il dovere di consegnarlo ai più piccoli, migliore di come ce lo hanno lasciato, l’integrazione, anche attraverso il linguaggio universale del gioco, porta i più piccoli, di tutte le religioni, ad assimilare una cultura della solidarietà. In una società sempre più colorata stare insieme diventa cultura, e la cultura è un argine importante alla violenza. Allora perché non condividere insieme questa tensione per la pace ? Perchè non lanciare una proposta a tutta la dimensione cittadina per dare un’anima a quest’Europa delle semplificazioni e della fazioni. Perché non dimostrare che non solo è possibile ma che lo stiamo già facendo! La “tre giorni” ha visto il suo esordio Venerdì 16 Gennaio alle ore 14:00, nella Moschea della misericordia, dove centinaia di persone hanno pregato per la pace, orientati verso La Mecca,...
Altri articoli
-
Dall’ECO LAB di Pace un carico di aiuti umanitari con materiale scolastico per le bambine e i bambini in Ucraina
14/02/2024 -
Eco Lab di Pace, lo spazio dove l’ecologia e la solidarietà si incontrano e si trasformano in aiuto concreto
14/02/2024 -
L’amicizia che si rivela benedizione: dalla strada al Buon Pastore
26/01/2024 -
I corridoi umanitari: un viaggio con una meta sicura per un’accoglienza umana e rispettosa
02/04/2023