Questo ponte di amicizia tra giovani e anziani è raccontato dai Giovani per la Pace di Genova in un video straordinario e in racconti da leggere!
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Ora un luogo trasformato dall'accoglienza dal quale i Giovani per la Pace lanciano il loro appello
Da Genova e Pavia giovani volontari per donare gioia ai bambini e ai malati di Elbasan
Giungono prima gli anziani delle case di riposo che, grazie ai giovani volontari della Comunità di Sant’Egidio, possono vivere un giorno insieme agli altri abitanti della città, in particolare quelli del centro storico.
Don Milani negli anni Cinquanta cambiò l'idea di scuola: niente bocciature, niente voti, ma al primo posto i "ragazzi difficili". Un successo educativo che ancora oggi ispira tanti che hanno a cuore i poveri e l'educazione.
Grazie per aver donato! GxP per la trasparenza Nella campagna di donazioni sono stati raccolti 2.315,48€ da 36 donatori, che hanno permesso di raggiungere l’obiettivo prefissato di portare tutti i bambini in vacanza. La vacanza conclude un anno di amicizia con i bambini, sostenuti nella loro crescita ogni settimana con la Scuola della Pace. Ringraziamo anche tutti coloro che hanno condiviso i post su Facebook e la pagina sul blog, rendendo possibile la buona riuscita della campagna. Continuate a seguire i Giovani per la Pace! P.S. Proprio in questi giorni i GxP di Genova e di Napoli sono in Malawi e in Mozambico, per sostenere il programma DREAM per la lotta all’AIDS e i centri nutrizionali. In questa settimana saranno con centinaia di bambini. Seguite la loro avventura su Facebook! Malawi, we are coming! ???✈️❤️
Alle nove del mattino, insieme ai Giovani per la Pace, ci sono le signore che hanno appena portato i bambini a scuola, alcuni disoccupati, il marito della maestra della scuola elementare, che di solito aiuta nei compiti i ragazzi più grandi. Strappano erbacce, montano gazebo, sfidano il vento che sferza nella piazza appendendo festoni e striscioni, per dare un po’ di colore al grigio del paesaggio urbano. «Non è solo una festa – dice con orgoglio Francesca, una giovane da anni impegnata ad animare la Scuola della Pace – ma il risultato di un lavoro di anni per creare legami, per unire la gente in un quartiere dove c’è tanta solitudine, ma anche molta voglia di stare insieme». Giovedì scorso, nella piazza del quartiere del Cep – una piazza che non ha nemmeno un nome e questo è già di per sé indicativo in uno dei quartieri più poveri di Genova, caratterizzato dall’isolamento e dalla violenza – la Comunità di Sant’Egidio ha organizzato la festa “Insieme! Per una città senza muri” raccogliendo i cento bambini e ragazzi che frequentano la Scuola della Pace e centinaia di giovani, adulti, anziani del quartiere. Il denominatore comune è stato proprio questo: il desiderio che non fosse la festa di un gruppo o di un’associazione, ma del quartiere. È un’iniziativa che già esprime in modo chiaro l’idea di città che abbiamo: aperta e inclusiva. Una città in cui le periferie non siano luoghi di marginalizzazione ma laboratori di cittadinanza, in cui tanti lavorino per ritessere il tessuto sociale pieno di strappi. E nella piazza del quartiere Ca’ Nuova – è questo il nome ufficiale del Cep – c’erano in tanti: i bambini che hanno animato la festa con balli e canti, gli adulti che hanno aiutato ad allestire, cucinare e poi a ripulire perfettamente, gli anziani e tutte le realtà associative più importanti presenti nella zona. A un certo punto spuntano anche una decina di donne velate con mariti e figli. Alla festa erano presenti anche un gruppo di richiedenti asilo ospitati a Coronata, che durante l’anno hanno più volte raccontato ai bambini e ragazzi la loro storia. Anche loro hanno trasportato tavoli e sedie, gonfiato palloncini e aiutato ad animare i giochi per i più piccoli, testimoniando che costruire una città senza muri è veramente possibile e che, come afferma Papa Francesco, dalle periferie si capisce meglio il mondo. PS: Dona per la scuola della pace di Genova
In una società veloce, che si crede sgamatissima, che cosa è veramente “smart”, intelligente? Veniva da chiederselo lunedì, mentre ascoltavamo parole profonde e originali in una sala gremita di giovani alla conferenza “Rifugiati: ricordare la Shoah per costruire una società accogliente”. Piero Dello Strologo, testimone della persecuzione degli ebrei genovesi, e Yaya Kongyra, giovane rifugiato gambiano, hanno incontrato i liceali e universitari genovesi con l’urgenza di testimoniare l’importanza di una memoria condivisa, fondamentale per chi come loro ha vissuto la violenza e la paura della guerra e della persecuzione. Piero era un bambino durante la Seconda Guerra Mondiale, costretto alla fuga verso la Svizzera per evitare la deportazione durante le retate dei fascisti. Yaya uno studente della Facoltà di Agraria in Gambia e faceva parte del principale partito di opposizione al regime di Jammeh, battendosi per “svegliare” i giovani gambiani e per sensibilizzarli sulle crudeltà del dittatore. Due storie diverse quelle di Yaya e di Piero, per tempo e luogo, ma molto simili per la drammaticità che le ha caratterizzate: entrambi rifugiati in paesi stranieri, in fuga dalla guerra e dalla violenza. Un altro aspetto inoltre le accomuna: l’importanza che ha avuto per entrambi l’incontro con la Comunità di Sant’Egidio. Come ha raccontato Piero, è nell’incontro con la Comunità che è nata in lui la voglia e l’esigenza di testimoniare con il suo racconto la persecuzione degli ebrei genovesi. Per anni, dopo il ritorno in Italia, non aveva raccontato la sua storia e soprattutto si era chiuso in sé stesso, non sentendosi mai veramente accettato dagli altri. L’amicizia con la Comunità gli ha fatto comprendere l’importanza della memoria, soprattutto per le nuove generazioni. Anche la vita di Yaya è cambiata grazie all’incontro con i giovani della Comunità, ha ritrovato la fiducia nel prossimo, che aveva perso dopo un lungo viaggio in mano ai trafficanti di uomini. Le storie di Yaya e Piero ci hanno aiutato a svegliarci dall’indifferenza che spesso inconsapevolmente ci avvolge, ricordandoci l’importanza della memoria, perché il pericolo della diffusione di movimenti antisemiti e xenofobi è reale e come ha detto Piero, felice di poter sedere accanto a Yaya, soltanto “la memoria può generare la solidarietà” di cui oggi il mondo ha tanto bisogno e aiutarci a coltivare una vera intelligenza della storia. E della vita.
Giovani per la pace Genova: Ieri sera abbiamo ricordato con una marcia silenziosa la deportazione degli ebrei genovesi, iniziata il 3 novembre 1943. Catturati con l’inganno, gli oltre duecento ebrei furono portati nei giorni seguenti nel carcere di Marassi e poi nei campi di concentramento. Ritornarono solamente in venti. Ogni anno la marcia diventa sempre più bella, tantissime le persone che ieri si sono unite a noi nel ricordo della deportazione: bambini delle Scuole della pace, ragazzi, famiglie, anziani che ricordano ancora lucidamente quei tragici eventi. Accanto ai testimoni di allora, i pochi sopravvissuti che portano ancora con urgenza il ricordo della tragedia che li ha colpiti, c’erano i rifugiati accolti in questi mesi nella nostra città, testimoni silenziosi della violenza e della guerra di oggi. Ci siamo uniti alla marcia perché convinti che non possa esserci futuro senza memoria, senza il ricordo della Shoah, ma soprattutto per non dimenticare a quali tragiche conseguenze può portare l’indifferenza. Lo sterminio degli ebrei è stato reso possibile anche da chi è rimasto nella “zona grigia”, dall’indifferenza delle persone, da chi si è voltato dall’altra parte mentre i vicini di casa e i colleghi venivano portati via. Solamente il ricordo e la memoria di quello che è accaduto possono farci aprire gli occhi su chi oggi è perseguitato e cerca rifugio nel nostro paese. Grazie alle testimonianze di chi ha vissuto la deportazione e all’esempio dei “giusti”, che hanno rischiato la vita per porre un argine al male, possiamo essere più consapevoli e trovare la forza per combattere l’indifferenza del mondo.
Benvenuti in Italia! Un benvenuto a Falak, Yasmin, Suliman, Hussein e ai tanti che insieme a voi sono arrivati grazie ai corridoi umanitari! Noi, Giovani per la Pace del Cep, siamo contenti del vostro arrivo! Negli ultimi mesi abbiamo parlato molto della guerra in Siria, della violenza che vi ha costretto a fuggire dal vostro paese, che un tempo era bello e in pace. La vostra vita era bella ma la guerra ha rovinato tutto. Abbiamo visto le immagini del campo profughi in Libano dove avete vissuto in questi anni e ci è sembrato ingiusto che dei bambini, uomini e donne dovessero vivere in un posto così brutto, al freddo, senza scuola, senza amici e lontano da casa. Pensiamo non sia giusto che i paesi costruiscano muri per non farvi passare, che chiudano le porte a chi ha già sofferto tanto. Ci dispiace che abbiate dovuto lasciare la vostra casa, affrontare un viaggio lungo, pericoloso e che dopo tanta sofferenza siate trattati male. Ci siamo messi nei vostri panni, noi tutti non vorremmo vivere dove c’è la guerra. Ci sono però tanti nella nostre città, anche qui a Genova, che non la pensano così. Tanti che giudicano gli altri senza conoscerli, che non si lasciano toccare dal loro dolore. Noi non vogliamo una città chiusa, razzista, piena di pregiudizi. Vogliamo che si crei una convivenza, che chi arriva nel nostro paese si senta accolto e non giudicato perché tutti insieme possiamo rendere le nostre città migliori. Noi veniamo da paesi diversi: Italia, Marocco, Senegal, Ecuador, Nigeria. Siamo cristiani e musulmani. Le nostre differenze non ci hanno mai fermato e in questi anni abbiamo scoperto che solamente restando uniti possiamo cambiare la realtà intorno a noi. È l’incontro con l’altro che ci fa capire molte cose e che ci aiuta ad abbandonare i pregiudizi. Ringraziamo la Comunità di Sant’Egidio per i corridoi umanitari che sono una risposta meravigliosa a chi in Europa costruisce muri e diffonde l’odio. Speriamo che tanti altri possano raggiungere il nostro paese in sicurezza, senza rischiare di morire durante il viaggio. Sono troppe le persone che hanno perso la vita in mare. Speriamo che chi diffonde parole cariche di odio cambi idea e che i paesi che hanno chiuso le loro porte le aprano. Molti parlano male, giudicano senza conoscere gli altri, per paura. Tutti abbiamo bisogno di aiuto ma da soli non si riesce a fare nulla. Tutti insieme possiamo fare tanto. Dio ci ha creato tutti uguali ed è ingiusto non aiutare chi è in difficoltà solo perché viene da lontano. I corridoi umanitari sono un esempio molto bello per tutti. Speriamo che possiate trovare una casa, un lavoro e soprattutto degli amici. Vorremmo tanto incontrarvi e aiutarvi a vivere in un mondo più bello, un mondo che accoglie e non respinge e speriamo che in tanti si uniscano al nostro sogno di pace.
Per noi, giovani universitari genovesi, quella in Sicilia è stata una vacanza ricca di incontri. Dalla festa con i profughi di Milazzo all’incontro con i Giovani per la pace di Catania, in una terra bella e complicata come quella siciliana non potevamo dimenticarci di una figura così importante come quella di Padre Pino Puglisi. Accompagnati da Vincenzo Ceruso siamo stati a Brancaccio, ripercorrendo i passi di Don Pino nelle vie e nei luoghi da lui frequentati fino al giorno della sua morte. Abbiamo visto la sua casa, il Centro Padre Nostro e la parrocchia dove chi lo ha conosciuto e i ragazzi più giovani tengono vivo il suo ricordo. L’impronta lasciata da Padre Puglisi è visibile in tutti quelli che lo hanno incontrato, come la signora Elisa che porta avanti i suoi pensieri e i suoi sogni, testimoniando ogni giorno la sua amicizia ai visitatori della casa di Don Pino. Era un uomo semplice, ci ha raccontato, ma sognava in grande. Anche noi vogliamo essere come lui, degli uomini e donne semplici ma con degli ideali e dei sogni da realizzare, quei sogni che non sono morti neanche con la sua uccisione. Vogliamo essere come lui nella non rassegnazione verso i tanti bambini e le situazioni più difficili che incontriamo nelle scuole della pace, pronti a parlare con tutti, anche con chi ci sembra così lontano dai nostri valori. Vogliamo sognare anche noi in grande, perché la mentalità ristretta dei quartieri in cui ci troviamo sia sconfitta da uomini e donne miti e col sorriso, proprio come Don Pino.
Leggiamo in queste ore dell’episodio che ha coinvolto l’insediamento di famiglie rom romene in via Muratori, a Cornigliano: nella notte di martedì un uomo ha sparato alcuni colpi con un fucile ad aria compressa in direzione delle roulotte. Non sappiamo i contorni di questa vicenda: le motivazioni, i particolari. Conosciamo però molto bene le famiglie che abitano accanto a villa Bombrini, che frequentiamo da anni, e in particolare in questi mesi siamo diventati amici dei bambini e dei ragazzi, che incontriamo tre volte la settimana alla Scuola della Pace, un doposcuola gratuito per i bambini di Cornigliano: abbiamo aiutato i genitori ad iscriverli a scuola, li sosteniamo nello studio e lavoriamo per costruire uno spazio di amicizia con gli altri bambini del quartiere. Spesso, il sabato mattina, li aiutiamo a farsi una doccia calda e la settimana scorsa insieme a loro e a tutti gli altri bambini della Scuola della Pace siamo stati in vacanza al mare. Anche noi, come tutti, percepiamo il clima di ostilità che circonda il popolo rom. Come tutti siamo cresciuti immersi nella paura e nel disprezzo verso gli zingari, disprezzo che sembra quasi indiscutibile nel pensiero comune del nostro Paese, che l’istituto americano Pew ha recentemente indicato come uno dei più razzisti in Europa. Ecco, trascorrere quei giorni insieme ai bambini rom ci ha molto colpito, ed ha come ribaltato tanti timori e tanti pregiudizi: dietro ai corpi magri e ai vestiti poveri, abbiamo scoperto ragazzini simpatici, intelligenti, appassionati allo studio, pieni di curiosità e di desiderio di imparare, innamorati del nostro Paese, entusiasti dell’amicizia con giovani italiani. Quei bambini sui quali si riversa il linguaggio violento e volgare dei blog o delle conversazioni sugli autobus, sono piccoli terribilmente normali nei loro atteggiamenti e nelle loro aspirazioni, del tutto uguali ai nostri fratelli minori. Ma questi bambini hanno anche paura: paura delle macchine che sfrecciano accanto alle loro roulotte, paura di chi gli può fare del male, paura di chi li disprezza o li deride senza sapere niente di loro. Poche ore dopo l’episodio degli spari, abbiamo sentito per telefono alcune famiglie del campo che ci hanno raccontato il terrore dei loro figli. Nelle loro voci, però, abbiamo anche sentito la rassegnazione di chi si è abituato alla violenza e all’umiliazione. Tramite il Secolo XIX noi vorremmo dire che questa città non è di chi spara a gente innocente. Questa città non è di chi vomita odio su qualche sito Internet, sfogando la propria frustrazione dietro la tastiera di un computer. Questa città non è nemmeno di chi ha responsabilità politiche ed insegue il consenso indicando in poche decine di povere persone la causa del degrado e della povertà di un quartiere (mentre forse il degrado nasce proprio da questa politica senza spina dorsale). Lo diciamo con umiltà, ma anche con convinzione: questa città è anche un po’ la nostra. Noi siamo cittadini genovesi, studiamo qui e qui vogliamo vivere e non ci possiamo rassegnare a vivere in un luogo in cui si permette...
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