Fonte: La Provincia Il mese santo dei musulmani, il Ramadan, si è appena concluso. E’ un periodo -mobile secondo il nostro calendario, in quanto segue le fasi lunari- dedicato alla fede e alla lotta interiore tramite il digiuno. Così viene descritto da un antico teologo islamico siriano, Al-Nawawi: “Il digiuno è un’armatura: ognuno di voi non nutra pensieri cattivi né pettegolezzi. Chi digiuna ha due motivi di cui rallegrarsi: si rallegra quando lo rompe, e si rallegrerà del digiuno fatto quando incontrerà il suo Signore”. E’ stato particolarmente duro quest’anno, essendo capitato d’estate: i fedeli si devono astenere non solo dal cibo ma anche dall’acqua, dall’alba fino al tramonto, anche con il caldo e le lunghe ore di luce. Il movimento “Giovani per la Pace” ha voluto invitare i rifugiati ospitati dalla Caritas a Ferentino a celebrare l’Iftar, cioè la cena notturna, presso l’oratorio della parrocchia di San Valentino. Si tratta di uomini, donne e bambini provenienti dalla Somalia, dalla Costa d’Avorio, dal Mali, dal Gambia, dall’Eritrea: Paesi dell’Africa in cui guerre dimenticate e povertà rendono la vita un inferno. Sono arrivati sulle nostre coste dopo viaggi lunghi quasi un anno, attraversando anche a piedi deserti, confini, zone di conflitto, in mano a trafficanti senza scrupoli. La festa di ieri dedicata a loro è stata preparata con cura: alcuni volontari hanno preparato il couscous marocchino e i datteri, altri hanno cucinato specialità italiane e dolci, tanti studenti del vicino liceo classico e scientifico hanno abbellito la sala e apparecchiato per il banchetto. La preghiera in arabo in direzione della Mecca ha preceduto la cena ricca e festosa. E’ stata un’occasione per incontrarsi e approfondire l’amicizia ed il rispetto reciproco, nella conoscenza di culture differenti. I ragazzi e le ragazze di Ferentino hanno potuto allargare i propri orizzonti, sperimentando che l’Islam non è una fede minacciosa o aggressiva, come le tristi notizie di attacchi terroristici porterebbero a credere. Al contrario, nel nome stesso di questa fede è contenuta la parola pace (salaàm) e i volti, i sorrisi, le storie concrete di questa gente testimoniano mitezza e rifiuto dell’intolleranza. Nello stesso tempo, i rifugiati sono incoraggiati a compiere un serio ed impegnativo percorso di integrazione, che passa dallo studio della lingua italiana, dalla formazione professionale e, per i minori, dalla frequenza scolastica. Quando Camila, il piccolo Mohammed o altri incontrano in giro i volontari che danno loro lezione sempre all’oratorio in piazza Matteotti, si illuminano e corrono a salutarli. Così si vincono tante paure: non c’è nessuna invasione, nessuna minaccia, nessuna perdita quando si accoglie chi viene da lontano. Ha scritto Martin Luther King: “La frase che si trovava spesso appesa al muro in casa dei devoti dovrebbe essere impressa nei nostri cuori: la paura bussò alla porta. La fede andò ad aprire. Non c’era nessuno!” Conoscersi, rispettarsi, dialogare, festeggiare insieme sono gli ingredienti della ricetta che può sconfiggere il terrorismo e portare la pace. A partire dalla piazza della nostra città. Eid mubarik!
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