"La loro volontà è schiacciata, non parlano più, hanno affinato i sensi come degli animali per capire quando arriverà il momento..."
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Guarda Cities for life a Roma Il 25 novembre presso il liceo Socrate di Bari si è tenuta la conferenza “per un mondo senza pena di morte” hanno partecipato più di 200 studenti provenienti anche da altre scuole. Attraverso i video, lettere e il dialogo abbiamo trasmesso l’ importanza di un mondo senza pena di morte e come sia possibile cambiare le nostre città rendendole più accoglienti! Bari è Citiy for life!
A Roma, al Colosseo con Amir Issaa, Sr. Helen Prejean, Max Giusti. Città per la Vita, città contro la pena di morte!
RedazioneA Roma, al Colosseo, con Amir Issaa, Sr. Helen Prejean, Max Giusti. Monumenti, piazze, università, licei, scuole, per dire che la pena di morte è ingiusta e imbarbarisce le società. Per chiedere al mondo intero di superare la vendetta di stato, per una giustizia che rispetti innanzitutto la vita. Oltre 2000 città aderiscono alla giornata. 12 testimoni in Europa ci aiutano a dare voce a chi non ce l’ha. 200 città ci hanno fino ad ora inviato notizie di eventi. In questo 30 novembre di giubileo della misericordia chiediamo di tenere conto del cuore dell’uomo e della donna, come ha detto Papa Francesco: “La necessaria punizione non deve mai escludere la dimensione della speranza e l’obiettivo della riabilitazione”. Ecco perché questo 30 novembre è ancora più importante.
Art lotta per abolire la pena di morte, nonostante questa sia ritenuta la giusta risposta, la vendetta contro chi compie i reati più gravi, come l’uccisione di una persona. Si pensa prima di tutto a una giustizia da rendere ai familiari della vittima, tuttavia Art ha capito che non si tratta di giustizia: l’uccisione di un uomo è sempre ingiusta.
Quest'anno gli studenti delle superiori parteciperanno alla più grande mobilitazione locale e globale contro la pena di morte. Per partecipare ...
“Cari ragazzi e care ragazze”. Ecco come Tamara Chikunova., fondatrice dell’associazione “Madri contro la pena di Morte e la Tortura”, apre l’incontro del 28 novembre nell’aula magna dell’Università Lateranense. Si rivolge a un pubblico di 1600 studenti, come una mamma, e in effetti è così che la chiamano i suoi amici condannati a morte. Una storia di rabbia, di violenza ma soprattutto di grande perdono, il perdono che ha dato a Tamara la grinta necessaria per cominciare la sua lotta contro la Pena di Morte. Perché perdere il sonno per un condannato a morte? La sua storia comincia il 17 aprile 1999, in Uzbekistan, con l’arresto del figlio Dimitrij, condannato a morte per un delitto che non aveva commesso. Troppi sono stati gli insulti e le violenze – fisiche e psicologiche – che Tamara ha dovuto subire per tentare di salvare Dimitrij. Quella del figlio è stata infatti una condanna avvenuta con uno sporco ricatto, con una confessione falsa da firmare davanti a se e la cornetta del telefono vicino l’orecchio, con cui poteva sentire le grida della mamma picchiata dai poliziotti. Così ha inizio il processo. Sin dall’inizio dell’udienza il giudice mette in chiaro che Dimitrij sarebbe stato condannato a morte. La sua sorte, ormai, era già stata decisa. Persino l’avvocato della difesa di Dimitrij firma dichiarazioni contro di lui. Tre giorni dopo, la notizia è resa pubblica: Dimitrij Chikunova Condannato a morte per omicidio. I momenti per parlare col figlio sono pochi, circa un incontro al mese. Il 10 luglio 2000 Tamara va a trovare Dimitrij in carcere, ma l’incontro non avviene: quella mattina, infatti, suo figlio è uscito di cella per la sua esecuzione. Da quel giorno ha inizio la guerra di Tamara contro la società disumana dell’Uzbekistan e del mondo intero. E’ così che è nata la sua associazione, insieme ad altre donne coraggiose e “piccole” come lei che hanno voglia di umanizzare il nostro mondo. Perché, si chiede Tamara, questa crudeltà contro suo figlio? Perché dio l’ha voluta punire? E poi l’incontro con la Comunità di Sant’Egidio e con don Marco. “ Devi perdonare tutti”, le dice. “Avevo un problema” confida Tamara. “Non dormivo. Per mesi era come se avessi una sete dentro di me. Era la sete di vendetta. La vendetta è una cosa tremenda, ti distrugge dall’interno: non ti fa dormire, non ti fa vivere”. E come darle torto? Dopotutto la pena di morte ricorda molto una vendetta. Forse è per questo che uno stato che utilizza la pena capitale non è in grado di mantenere un ordine tra i cittadini e presenta un enorme tasso di criminalità. E’ la vendetta che si respira nell’aria, che viene promossa dalla legge. Se lo stato per primo commette un omicidio, come fa a dare l’esempio al cittadino? “ Mi dissero di perdonare” rivela Tamara. “ E ho perdonato tutti. Ho perdonato coloro che hanno picchiato e ucciso mio figlio. Ho perdonato anche quegli amici che dopo la morte di Dimitrij mi avevano abbandonata. E...
In occasione dell’importante iniziativa “Città per la vita” della Comunità di Sant’Egidio molti giovani italiani hanno avuto la possibilità di incontrare persone eccezionali. Nei prossimi giorni racconteremo alcuni di questi incontri.Iniziamo con un post scritto dagli studenti del Liceo Labriola di Ostia sull’incontro con Shujaa Graham avvenuto il 3 dicembre nella sede della Comunità di Sant’Egidio di Ostia a cui hanno partecipato più di 300 studenti da diverse scuole del quartiere. Gli ultimi cinque anni benchè fuori dal carcere erano stati tormentati a parte qualche breve sprazzo di felicità. Dopo il braccio della morte aveva confessato diverse volte di desiderare di non essere mai nato e di aspettare con ansia il trapasso. Poco dopo il proscioglimento, la sorella Annette lo aveva visto davanti alla finestra della cucina come in trance. Ron le aveva preso la mano e le aveva detto :<< Prega con me, Annette. Prega il Signore che mi prenda adesso>>. (John Grisham, l’Innocente. Tratto dalla storia vera di Ron Williamson per anni detenuto nel “Death Raw”, rilasciato 5 giorni prima della condanna). Questo non è il caso di Shujaa Graham. Shujaa nasce a Lake Providence in Louisiana nel 1951. Da ragazzo si trasferisce a Los Angeles dove entra a far parte di una gang di criminali, per sentirsi forte, protetto, migliore, sicuro. Passa la sua adolescenza in riformatori e a 18 anni viene trasferito nel carcere di Soledad prison. Mr. Mohammed, un amico quarantacinquenne che conobbe dentro la prigione, gli insegnò la storia lo educò e proprio nel carcere cominciò a combattere per i diritti umani appoggiando le tesi di Malcom X e Martin Luter King. Venne accusato di aver ucciso una guardia carceraria. D’altronde accusare un afroamericano che lottava per i suoi diritti, era comodo a molti.Iniziarono i processi, la condanna; iniziarono gli anni nel Death raw (braccio della morte). Commosso, Shujaa ci racconta dei pestaggi ricevuti dalle guardie carcerarie, prima in un ascensore per 5 minuti poi in una stanza dove 12 guardie lo hanno picchiato per 30 minuti. Non pensava sarebbe sopravvissuto. Ma Shujaa voleva vivere con tutto se stesso, non ha mai pensato al suicidio; come si fa a non pensare di riottenere la libertà e di smettere di soffrire quando vieni torturato, picchiato, annullato, quando vivi per tre anni in una cella di più o meno due metri quadrati dove il massimo movimento consente l’apertura delle gambe? Dopo undici anni nel braccio della morte venne rilasciato. Shujaa è stato annullato di un’identità,privato di ogni diritto. Dopo la condanna a morte, Shujaa venne privato della vita. Poi arrivò quel Marzo 1981. Venne liberato, di colpo un uomo annullato viene costretto a portare il peso della libertà sulle spalle che grava come un macigno. Shujaa voleva vivere con tutto se stesso,ma non è facile per niente riabituarsi alla vita. Non ho mai conosciuto uomo più libero, ho pensato uscendo dalla conferenza tenutasi il 3/12/2013. La libertà è un diritto. Credete tutti di avere diritto alla vita? Non è così. L’uomo si crede creatore, toglie la vita...
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